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Autore: Nao Yoshikawa    12/06/2022    5 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo ventidue
 
Kurosaki e Ishida non erano mai stati tanto malinconici e silenziosi. Hanataro li conosceva da poco, eppure aveva già capito che qualcosa non andava. Erano entrambi pensierosi, tristi, strani. Erano i suoi senpai e si sentiva quindi in dovere di fare qualcosa, visto che loro per lui c’erano sempre stati (e soprattutto lo avevano spesso salvato dai guai).
«Amh, vi sentite bene?» domandò Hanataro. Tra non molto sarebbero dovuti entrare in sala operatoria, ma nessuno di loro sembrava nel mood giusto per affrontare una giornata di lavoro.
«Sono un pessimo marito» disse Ichigo senza rendersene conto.
«Tatsuki è incinta» disse Ishida quasi contemporaneamente. La sua affermazione attirò le attenzioni di entrambi i suoi colleghi.
«Cosa?» domandò Ichigo, cadendo dalle nuvole.
«Cosa?! Congratulazioni! Ma allora tornate ufficialmente insieme?» domandò Hanataro contento. Ishida avrebbe voluto condividere il suo entusiasmo, ma era più preoccupato che altro. E Ichigo lo capì subito.
«Non ne sei felice, vero?» gli chiese.
«Non è questo, io sono molto felice. Avrei sempre voluto un altro figlio, ma Tatsuki no. E poi ci stavamo riprovando, appunto, ma così le cose cambiano. E poi non so nemmeno se vuole tenerlo e io non so che fare. Mi sento impotente e incasinato.»
Ishida sembrava davvero a pezzi. E lo era. Tatsuki non sembrava troppo decisa a portare avanti quella gravidanza. Forse aveva ragione? Forse non era la cosa giusta da fare? Era giusto lasciare tutto per com’era? O forse era giusto il contrario? Ishida avrebbe tanto voluto avere la risposta giusta.
«Mi dispiace» disse Ichigo, che non aveva saputo trovare niente di più originale da dire. «Non so, forse questa può essere la vostra seconda possibilità.»
«È quello che ho pensato anche io. È quello che spero…» Ishida sospirò. Non riusciva a credere che fosse successo proprio in quel momento. Aveva inoltre il brutto presentimento che Tatsuki si sarebbe allontanata, lei era fatta così: per proteggersi innalzava dei muri, gli stessi che aveva abbattuto quando aveva deciso di riprovarci con lui. Nonostante la situazione non proprio felice, Hanataro aveva colto solo il lato entusiasmante della vicenda, essendo anche un grande amante dei bambini.
«Dottore, lo sa? Ishida avrà un altro figlio.»
L’entusiasmo era tanto da averlo reso anche più coraggioso nei confronti di Kurotsuchi. Ishida avrebbe tanto voluto dire al suo kohai di non diffondere quella notizia così, con tanta leggerezza, ma la reazione di Kurotsuchi lo sorprese tanto.
«Ah. Congratulazioni. Adesso però abbiamo un’operazione da affrontare» disse, senza alzare la voce, quasi distratto. I tre chirurghi si guardarono, scioccati. Era la prima volta che lo vedevano così.
«Ma… che succede?» domandò Hanataro, dopo che Kurotsuchi si fu allontanato. Ichigo fece spallucce.
«Non lo so, ora che ci faccio caso sono tuti un po’ strani. Urahara se ne va in giro tutto serio, Kurotsuchi è troppo tranquillo, quasi gentile. E l’infermiera Kurotsuchi invece sembra arrabbiata. Il mondo va al contrario» si rese conto. Ishida annuì, anche se in quel momento era fin troppo preoccupato per i suoi problemi. Pensava soltanto a Tatsuki e al figlio che avevano concepito.
 
Tatsuki avrebbe voluto tanto confidarsi con le sue amiche, ma non ne aveva il coraggio. Soprattutto, voleva evitare di parlarne con Orihime, vista la situazione. Chi invece aveva capito tutto senza bisogno che le dicesse nulla era Kanae, sua suocera.
«Ma si può sapere come hai fatto a capirlo?» domandò Tatsuki, mentre se ne stava seduta e cercava di sorseggiare una tisana. Non sapeva se aveva la nausea per la gravidanza, per l’ansia o entrambi.
«Immagino che l’essere sposata con un medico mi abbia aiutata ad avere un occhio critico. E poi si capisce guardandoti in faccia che c’è qualcosa di diverso. Che la gravidanza renda più belle non è poi un luogo comune» disse la donna. «Sei preoccupata, vero mia cara?»
Tatsuki annuì. Nemmeno quando aveva scoperto di essere incinta di Yuichi era stata colta da un panico così profondo.
«Non è solo per me e Uryu che sono preoccupata. So che lui si prenderebbe cura di noi, è sempre stato un padre esemplare. E non sono preoccupata per Yuichi, lui ha sempre voluto un fratellino o una sorellina, ma… sono preoccupata per me. Lo sai come ho vissuto male il primo post-gravidanza. E se succedesse di nuovo…»
«Lo so, mia cara. La fregatura è che non ci sono certezze. Io però so che qualsiasi cosa tu sceglierai di fare, Uryu ti amerà lo stesso. Sei tu la sua anima gemella.»
Tatsuki si asciugò una lacrima. Dannazione, era diventata così emotiva. Ma come poteva non piangere? Aveva una famiglia che l’amava incondizionatamente e in parte sentiva di non meritarlo. Ryuken era appena rientrato e quando la vide, si soffermò un attimo a guardarle. Se Kanae aveva capito, era chiaro che sapesse anche lui.
«Su, non piangere» le disse. «Andrà bene. Te lo prometto.»
Tatsuki annuì, sorpresa. Ryuken era la versione ma un po’ più matura e ancora più seriosa di Uryu. Kanae rise.
«Non farci caso, sei come una figlia per lui, scateni il suo istinto di protezione.»
«Va bene, non infieriamo» borbottò. «Comunque, a prescindere da quello che deciderai di fare, noi ci saremo.»
Tatsuki li ringraziò, asciugandosi le guance umide. Era davvero fortunata anche nei momenti difficili. Adesso però doveva respirare e agire, decidere.
 
Ai non era venuta a scuola quel giorno e Hikaru sembrava inconsolabile e preoccupato. Era la sua gemella che cercava di consolarlo come solo lei sapeva fare.
«Non ti preoccupare, Ai starà bene. Lei è forte e noi le vogliamo bene.»
Yami aveva cercato di spiegare ai suoi compagni quello che era accaduto, anche se nemmeno lei era certa di capire fino in fondo. L’unica a capire, anche se era più grande di solo un anno, era proprio Miyo, alla quale era venuta una nausea terribile.
«Povera Ai, è… è orribile…» sussurrò. «Se fosse successo a me… adesso avrei paura anche a uscire di casa.»
«Mmmh» fece Naoko, pensierosa. «A me non è successo, però penso che sarei scoppiata a piangere. Se penso che uno sconosciuto si avvicini a me e provi a toccarmi… che poi, mi chiedo, ma perché un adulto dovrebbe fare questo con una bambina? O anche con una persona grande.»
Rin aveva sentito la discussione e si era avvicinata a Miyo.
«Pff. Se qualcuno prova a toccare le mie amiche, io lo prendo a pugni! Lo prendo a pugni!» disse Yami.
«Anche io!» disse Kaien. Rin li guardò e poi disse una cosa che in seguito nessuno di loro (soprattutto Miyo) avrebbe dimenticato.
«Queste cose possono succedere. Magari è successo anche a me e nemmeno me lo ricordo.»
I suoi compagni sollevarono lo sguardo in contemporanea verso di lei.
«Come… forse è successo anche a te?»
«Ho detto magari. Le persone strane e cattive sono ovunque. E noi siamo piccole e siamo vulnerabili. Non so come si fa a difendersi» disse Rin con naturalezza.
Miyo iniziò a mordersi le unghie. Sensibile per com’era tutto ciò la turbava. E non sapeva nemmeno che cosa dire. Nessuno di loro lo sapeva. Era davvero solo una bambina. Non fu l’unica turbata: anche Naoko infatti era rimasta altrettanto sorpresa da quello che Rin aveva detto. Antipatica per quanto potesse essere, era anche molto saggia e ciò che aveva detto l’aveva colpita. Anche se non lo capiva fino in fondo, sentiva che era comunque sbagliato.
Così, durante la pausa di metà mattinata, si avvicinò al suo banco.
«Emh, Rin?»
«Eh?» domandò lei, guardandola.
Naoko non sapeva cosa dire. Rossa in viso, si tolse il fiocco che portava tra i capelli.
«Se vuoi, puoi provarlo. Con il colore dei tuoi capelli ci starebbe bene.»
Rin la guardò e poi sfiorò il fiocco di velluto. Sentì gli occhi bruciarle come se le venisse da piangere. Era stata una mattinata strana. Con tutti quei discorsi aveva iniziato a prendere consapevolezza che non tutto quello che facevano gli adulti era giusto. E poi Naoko che si avvicinava a lei.
«Naoko. Mi dispiace per quello che ti ho detto. Non conosco la tua famiglia. Però se tu sei brava, devono esserlo anche loro.»
Naoko annuì, fiera. Era proprio così. Improvvisamente non si sentiva più arrabbiata. Le mise il fiocco tra i capelli e, notò, le stava proprio bene.
«Uffa, sta meglio a te che a me. Vabbé, puoi tenerlo. A casa ne ho altri dieci dello stesso colore.»
Il viso pallido di Rin si colorò di rosso. Si sfiorò il fiocco e sorrise.
Che strano, pensò, Sono felice, ma mi viene da piangere.
 
 
Shinji aveva accettato di vedere Aizen solo per un motivo: per insultarlo e maledirlo. Non aveva ancora avuto l’occasione di farlo dopo la loro splendida serata finita in maniera (quasi) disastrosa, ma adesso aveva circa due o tre cose da dirgli. E poi, ovviamente, voleva vederlo perché gli mancava, perché oramai non poteva più farne a meno.
Ci era ricascato.
«Dammi un buon motivo per cui non dovrei ammazzarti. Non potevi evitare? No, dovevi per forza fare la tua scena madre. È stato così imbarazzante, così disagiante. Non so se ho la forza di andare avanti. Grazie.»
Aizen gli aveva dato un bicchierino di sakè. La camera d’albergo era sempre la stessa, oramai era la loro, il luogo in cui condividevano i loro momenti più intimi.
«Non è andata poi così male. Momo non sospetta di te, pensa ci sia un’altra donna.»
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio? Almeno anche lei ha un nuovo amico. Oh, dovevi vederla, sembrava proprio una ragazzina innamorata» lo stuzzicò. Aizen era tremendamente orgoglioso. Per quanto non fosse in diritto di parlare, detestava l’idea di essere tradito e umiliato. Si avvicinò a Shinji e lo afferrò per un braccio.
«Tu mi provochi.»
«Pff. Io ti provoco? E dai, Sosuke. Non potresti dare torto a tua moglie, tu la tradisci da anni. Non credi sia arrivato il momento di lasciarvi? Sarebbe meglio per tutti.»
Sosuske sorrise, accarezzandogli i capelli.
«Così sposerò te?»
«Per carità, no! Io non mi sposerò mai, sono un uomo libero. E poi si dispererebbero in troppe. Ma sono serio. Io sono qui, ma non con l’intenzione di fare l’amante a vota. Non più.»
Si odiò quando arrossì. Era davvero orribile sentirsi così esposti. Sosuke afferrò il suo viso con delicatezza e lo guardò negli occhi.
«Dammi solo tempo, d’accordo? Tra l’altro non so come la prenderebbe mio figlio.»
«Beh, di certo tuo figlio adesso non sprizza di gioia. Tu sei troppo duro con lui, i bambini hanno anche bisogno di affetto. Non sarà questo a renderli deboli.»
Sosuke sapeva perché amava Shinji. Perché in lui ci aveva trovato tutte le qualità che a lui mancavano. Era l’unica persona che trovasse migliore di lui sotto molti aspetti, anche se non gliel’aveva mai detto.
«Lo so. È che io sono fatto così»
«E allora prova a migliorarti. Non sei poi così perfetto, Sosuke Aizen» Shinji sospirò e gli accarezzò i capelli. Aizen gli baciò una mano.
«Dimmi che mi ami.»
«No.»
E lo baciò. Non riuscivano a stare lontani l’uno dall’altro. Dopo aver fatto l’amore, molto spesso crollavano addormentati l’uno nelle braccia dell’altro, a prescindere da che ora fosse. Era stato così anche quella tarda mattinata. Si erano addormentati e Sosuke si era svegliato dopo un po’, aveva sentito il letto vuoto accanto a sé. In un primo momento aveva creduto che Shinji se ne fosse andato. Invece poi aveva sentito la sa voce provenire dal bagno. Quindi si era alzato, indossando i pantaloni. Aprì appena la porta e scorse Shinji intento a pettinarsi i capelli e a canticchiare Like a Virgin.
Si poggiò allo stipite e lo guardò. Non capiva come fosse possibile amare così tanto una persona del tutto diversa da lui. Shinji era un pazzo, viveva per la musica, era impulsivo, spesso aveva un carattere impossibile, parlava sempre a voce troppo alta. Ma era una brava persona e un bravo padre. Avrebbe potuto imparare tanto da lui.
«Sosuke, grazie per la privacy» borbottò lui, cercando di sistemarsi la frangia.
«Sei bravo a cantare, dovresti farlo. Sarebbe meno stressante che fare il manager.»
«Sì, e poi chi è che prende il mio posto? Tu?» chiese alzando gli occhi al cielo.
«Non so come si fa, ma posso imparare» disse facendo spallucce. Shinji lo guardò. Quando parlava del futuro non sapeva mai se scherzasse oppure no. Perché lui al futuro ci aveva pensato tanto, aveva pensato a tante opzioni, una più irrealistica dell’altra. Non sapeva se poteva immaginarsi con lui, ma oramai era chiaro che senza non sapeva proprio viverci.
«Questo sì che sarebbe divertente. Comunque devo andare, ho degli impegni. E per favore, evita di farti vedere dai miei amici, la mia ex sospetta troppo e ogni scusa è buona per darmi contro.»
«Non lo farò, promesso. Ciao, Shinji.»
Lui arrossì e gli sorrise.
«Ciao, Sosuke. A più tardi.»
 
 
Per Yoruichi era arrivato il momento di dire a suo marito la verità. Quello che era successo tra Nemu e Mayuri in qualche modo l’aveva scossa e forse ciò non era poi un male. Soi Fon non le rivolgeva più la parola, si limitava a comportarsi da normale studentessa e almeno per il momento andava bene così. Era giusto che si allontanassero almeno un minimo, anche se Yoruichi una cosa la sapeva bene: lo faceva più per sé stessa che per la ragazza. Per cercare di calmare il suo grande tumulto interiore, la sua confusione. Non sopportava più quella situazione. Non aveva nemmeno potuto aspettare che Kisuke finisse il suo turno a lavoro. Sapeva che era indispensabile tenere il lavoro separato dalla vita personale, cosa in cui lei però aveva già fallito. Aveva chiesto di lui direttamente a Nemu.
«Il primario è nel suo ufficio in questo momento. Ah, comunque» disse, seria. «Per favore, chiamami infermiera Hachigou. È il mio cognome da nubile.»
Hanataro lo sentì e s’impanicò.
«Come il cognome da nubile? No, non è possibile! Mi dica che non vi siete lasciati, la prego!»
«Va bene, grazie» disse Yoruichi, frettolosa. Suo marito era in effetti nel suo studio, sembrava nervoso. E Kisuke non era mai nervoso. E fu sorpreso quando vide sua moglie lì.
«Yoruichi, mia cara. Non hai lezione oggi?»
«Dovevo venire a parlarti. Lo so che avrei potuto aspettare, ma sai che la pazienza non rientra nelle mie virtù» la donna si sedette davanti a lui. «Kisuke, in effetti c’è qualcosa che non va tra noi.»
«Questo mi sembra evidente. Pensavo che il problema si limitasse al sesso, ma ho capito che c’è altro» disse in tono gelido. Non usava quel tono nemmeno per rivolgersi ai pazienti nei momenti più difficili. Yoruichi si sentì attraversare da un brivido.
«È vero che non ti ho tradito. Però è vero che… c’è una persona che non mi è indifferente» disse, vergognandosi. «Questo mi ha mandato in tilt. Non solo per la mia relazione con te, ma anche personalmente.»
Kisuke prese a giocare nervosamente con una penna. Era arrabbiato. Anche quando si arrabbiava si tratteneva sempre.
«Chi è lui?»
«È una lei» rispose subito e Kisuke lasciò cadere la penna.
«Quindi hai scoperto di essere… cosa? Bisessuale? O forse ti piacciono sono le donne?»
«Questo è il punto. Pensavo di essere troppo vecchia per certe cose. Pensavo di essere semplicemente un’etero a cui piace sperimentare, ma… evidentemente non è così. A quanto pare non esiste un’età per certe cose. E non capisco nemmeno perché faccio così fatica ad accettarlo» non lo stava nemmeno più guardando negli occhi. Si guardava le unghie smaltate di nero, torturandosi le dita. Kisuke annuì, anche se appariva un po’ confuso.
«E quindi ti piace una donna.»
«Una ragazzina, Kisuke. Dannazione, è una mia studentessa. Capisci perché non te l’ho detto? Sono una donna orribile.»
Yoruichi non si piangeva mai addosso, né faceva la vittima. Se era così dura con sé stessa, evidentemente quelle cose le pensava per davvero.
«Cosa ti aspetti che ti dica, adesso?» domandò Kisuke. «Non mi fa certo piacere, ma lo sappiamo che può capitare di prendersi una cotta per qualcuno. Anche se si ama una sola persona. Sta a te decidere cosa fare.»
«Pensi davvero che io voglia mandare a monte il nostro matrimonio? Io ti amo Kisuke e amo i nostri figli, se ti sto parlando è perché voglio che tu sappia. Ma forse non puoi capirmi.»
Non si sentiva nella posizione di arrabbiarsi. Al posto di Kisuke si sarebbe arrabbiata molto di più e gliel’avrebbe fatta pesare. Stava attraversando un momento della sua vita di cambiamento, stava ancora prendendo consapevolezza.
«D’accordo, ma io non so cosa dirti. Provi qualcosa per un’altra persona, ebbene? Come pensi dovrei sentirmi io, invece?»
Yoruichi rilassò le spalle. Aveva ragione. Doveva essere terribile.
«Mi… dispiace…»
«Non l’hai deciso tu. Beh, almeno adesso so qual è il problema. E il mio compito è risolvere i problemi. Non so ancora come, ma lo farò, se tu sei disposta ad aiutarmi.»
Yoruichi annuì, anche se nemmeno lei sapeva come avrebbero potuto risolvere quel problema. 
 
 
Molto spesso Chad non sapeva come approcciarsi a suo figlio, anche dopo tutti quegli anni. Kohei era diverso e no, non era solo per l’Asperger. Aveva un animo ancora più sensibile di quanto lo avesse lui, e capiva tutto, capiva ogni cosa. Allo stesso tempo viveva nel suo mondo e difficilmente permetteva a qualcuno di entrare. Kohei era molto più legato a Karin e in tanti gli dicevano di non prendersela, perché era normale che i figli maschi fossero più legati alla madre. E lui non se la prendeva, però era frustrante, sembrava non riuscire ad arrivare mai al cuore di suo figlio. A creare con lui una sorta di legame.
«Non c’è proprio niente che vuoi fare?» domandò Chad. Kohei se ne stava la maggior parte del tempo a leggere con il suo fidato pappagallino poggiato su una spalla o sulla testa, era quello il suo migliore amico, si trovava molto meglio con gli animali che con le persone.
«No. Se vuoi io leggo ad alta voce e tu ascolti» disse Kohei serio. Chad asserì, perché quello era pur sempre meglio di niente. Come se non bastasse, le cose con Karin non andavano benissimo. Anche se non aveva alzato la voce (non era proprio nella sua natura), temeva di essere stato troppo duro. Però aveva detto la verità: lui e Karin più che una coppia oramai sembravano due amici che insieme crescevano un bambino. E non era proprio questo che si era augurato per loro. Kohei, vedendo il padre distratto, smise di leggere e lo fissò.
«Perché ti sei fermato?» domandò Chad.
«Perché non mi ascolti. Tu e la mamma litigate per colpa mia.»
Non era una domanda, ma un’affermazione. Kohei lo guardava con una tale serietà da rendergli difficile rispondere.
«No…. Non è così, non devi nemmeno dirlo.»
«Litigate per colpa mia. Mamma si occupa sempre di me. Anche se non lo dite lo so che prima eravate più felici. Prima di me, voglio dire.»
Non c’era la minima emozione nella sua voce, ne parlava come avrebbe parlato di qualsiasi cosa. Diceva sempre tutto quello che pensava con estrema facilità.
«Kohei, non è così. Io e la mamma, noi… siamo felici anche adesso, solo che ora le cose sono più…»
Non avrebbe voluto dire più complicate, ma di fatto era così. Kohei fece spallucce.
«Lo so. Non litigate per me. Altrimenti dovrò andarmene.»
Chad avrebbe voluto abbracciarlo, ma non poté farlo perché suo figlio apprezzava il contatto fisico solo quando era lui a deciderlo.
«Non dire queste cose, non devi andare da nessuna parte» fu tutto quello che riuscì a dire. Un po’ pochino, rispetto a quello che stava pensando.
Perché era tutto così difficile? Non si sentiva in grado di fare più niente, oramai.
«Yasutora e Kohei, sbrigatevi. Dobbiamo andare» li chiamò ad un tratto Karin. 
Ah, giusto. La cena da Ichigo e Rukia.
 
«Eeeeehi! Che succede, perché quest’atmosfera lugubre?»
Renji era entrato in casa di Ichigo tutto allegro, ma si era immediatamente reso conto che qualcosa non andava. Percepiva una strana tensione tra Rukia e Ichigo e tra Chad e Karin, e se non fosse stato per i bambini, Yuzu e Isshin, sarebbe stato deprimente.
«Ammmh, ma che c’è?» domandò proprio a Isshin, con un sorriso tirato sulle labbra.
«Non lo so, fa finta di niente, ti prego» rispose l’uomo. «Byakuya, ma che bello vederti, sei in gran forma.»
Byakuya salutò tutti e poi si ritrovò i gemelli che cercavano di attirare la sua attenzione in tutti i modi (riuscendoci, tra l’altro), e infine c’era sua sorella.
«Sono così contenta che tu sia venuto qui di tua spontanea volontà! Che siate venuti insieme!» Rukia ammiccò in direzione di Renji, il quale sentì all’improvviso caldo. Si sentiva un po’ nervoso all’idea di dire a tutti della loro relazione. E se Byakuya avesse cambiato idea? Dopotutto era presto. Però quella era la sua, la loro famiglia.
«S-sì. Comunque io mi siedo accanto a Ichigo» sperava che almeno lui potesse distendere i suoi nervi, ma Ichigo era stressato, nervoso e sembrava improvvisamente portarsi addosso più anni di quelli che in realtà aveva.
«Kaien e Masato, non fate casino!» li rimproverò infatti.
«Non sono stato io!» rispose il figlio più grande. Lui e gli altri due bambini avevano ben pensato di costruire un fortino proprio in mezzo al salotto. Rukia sembrava altrettanto nervosa.
«Ichigo, quello che sta facendo casino sei tu, quindi ora siediti in modo composto, perché dobbiamo mangiare.»
Byakuya si guardò intorno, confuso. Di litigi tra Ichigo e Rukia ne aveva visti tanti, ma mai li aveva visti così nervosi l’uno nei confronti dell'altro.
«Stai bene, Rukia?» domandò infatti. In genere era lei a preoccuparsi, adesso toccava a lui. Sua sorella sorrise, mentre gli si sedeva di fronte.
«Sto bene, sono solo un po’ stanca, per fortuna Isshin e Yuzu mi danno una mano»
«Io invece non faccio niente tutto il giorno, eh?» borbottò Ichigo. Yuzu si schiarì la voce, iniziando a servire da mangiare e chiacchierando amabilmente sulla cucina, sul tempo o su qualsiasi altra cosa che potesse distrarre da quell’atmosfera cupa. Karin mangiava a malapena quello che aveva nel piatto e suo padre se ne accorse.
«Karin! Perché non mangi? Stai forse male? Yasutora, mia figlia sta male? NON MENTIRMI!»
«Eh… eh? No, non sta male. È tutto a posto» sussurrò, senza nemmeno guardarlo. Non sapeva mentire.
«Io lo so che mi stai nascondendo qualcosa. Non mi dite che volete lasciarvi, vero?» chiese, col suo solito modo di fare melodrammatico ed esagerato. E più Karin non rispondeva, più le domande aumentavano. Ichigo sospirò, annoiato.
«Non so loro, ma è probabile che Rukia mi lasci presto» la stuzzicò. Sua moglie strinse un pugno.
«Sai, non ti sopporto quando fai la vittima. Hai ben poco di cui lamentarti, hai sempre avuto quello che volevi.»
«E perché, tu no? Tu hai scelto di dedicarti alla famiglia per otto anni, io non ti ho mai detto niente.»
«Già, appunto, tu non dici e non fai mai niente!»
Era incredibile come, in mezzo a tutto quel caos, Byakuya mangiasse come se nulla fosse. Renji invece iniziava a sentirsi a disagio. Sentì Yuzu sussurragli “Renji, ti prego, dì qualcosa, cambia discorso”.
E va bene, si era detto. Dipendeva da lui allora. Così alzò la voce.
«Lo sapete che io e Byakuya ci siamo messi insieme?»
Calò istantaneamente il silenzio, interrotto solo dal tossire di Byakuya, qualcosa gli era andato di traverso per lo shock. Non era esattamente così che aveva pensato di dirlo. Anche perché a dirlo non era stato lui.
«V-voi?» chiese Rukia. «Cos…? QUANDO? E NON MI AVETE DETTO NIENTE? RENJI, SEI UN TRADITORE!»
«È… è successo, da poco, va bene? Comunque ci stiamo andando piano. Vero, Byakuya?»
«Ah, non guardare me, sei così bravo a prendere l’iniziativa» disse lui, serio. Adesso si sentiva a disagio, non riusciva a credere che fosse tutto… reale.
Ad un tratto si sentì la voce di Masato.
«Oooh. Significa che vi siete fidanzati? Bello!» esultò il bambino.
Ichigo invece tentò un approccio più impacciato. Lui non ne aveva mai saputo nulla, al contrario di sua moglie.
«Amh… congratulazioni, credo. Però vi consiglio di non sposarvi.»
Rukia, che si era trattenuta fin troppo, gli diede un colpetto sulla testa.
«Sei un cretino!»
Dopodiché si alzò, aveva bisogno di aria. Mentre Byakuya desiderava sparire, mentre Renji desiderava nascondersi sotto il tavolo, mentre Ichigo stentava e riconoscersi e Karin e Chad si sentivano sbagliati, Yuzu si ritrovò a pensare che fosse proprio un peccato. In genere aveva sempre amato le cene di famiglia.
 
Ishida era rientrato stanco. Più mentalmente che fisicamente. Sapeva che Tatsuki si trovava a casa dei suoi, perché l’agitazione e l’ansia erano troppe. Tatsuki, dal canto suo, aveva cercato di comportarsi normalmente con Yuichi, che però doveva aver di sicuro captato qualcosa. Alla fine era crollata addormentata sul divano, trovando un po’ di sollievo dall’ansia e dalle nausee. Quando Ishida l’aveva trovata così, tutta accovacciata come a volersi proteggere, aveva sentito la stanchezza sparire. Non sapeva se dovesse credere al destino o chissà a che altro, ma quella gravidanza era arrivata proprio in quel momento. Era un segno, un qualcosa che poteva avvicinarli. O allontanarli. Non c’era niente di scontato. Si avvicinò a sua moglie e le accarezzò i capelli con delicatezza per non svegliarla. Tatsuki era stata così male dopo la nascita di Yuichi e non voleva vederla ridursi di nuovo così. Ma aveva l’impressione che questa volta sarebbe stato diverso, che anche se si fosse presentato un problema, avrebbero saputo affrontarlo. Tatsuki aprì gli occhi.
«Scusa, non ti volevo svegliare.»
«Non fa niente» sussurrò. «I tuoi genitori sono dei santi, lo sai? Sono così fortunata. Non dovrei stupirmi, visto che anche tu sei un santo.»
Tatsuki gli fece spazio per farlo sedere. Accidenti. Lei che non aveva mai avuto bisogno di rassicurazioni, adesso non bramava altro. Uryu le si sedette accanto e le lasciò poggiare la testa sulla sua spalla.
«No, non sono un santo, sono solo una persona.»
«Per sopportare me, non puoi essere umano. Uryu, tu vorresti tenerlo?»
Lui le accarezzò i capelli.
«Sì» disse con sicurezza. «Ma visto che sei tu quella maggiormente coinvolta, la decisione ultima spetta a te.»
«E se poi torniamo di nuovo a litigare? Se capiamo che insieme non possiamo proprio stare? Soffriremmo e stavolta saremmo in quattro a farlo.»
«Se pensassimo sempre ai se, non faremmo mai nulla. La vita è fatta di rischi. Per quanto riguarda me, io sono sicuro di amarti e che voglio passare il resto della mia vita con te.»
Tatsuki arrossì. Uryu doveva smetterla di sorprenderla così. O forse no. Forse il bello era proprio questo. Nascose il viso sul suo petto.
«Ti amo anche io. Uryu, io… niente. Volevo solo dire grazie. Per non esserti arreso con me. E dire che io non torno mai indietro sui miei passi.»
«Lo so. Per questo sono stupito» lui sorrise e poi la rassicurò ancora. Tatsuki non aveva ancora preso una decisione, ma le sembrò più leggera, meno preoccupata. Forse anche lei stava iniziando a comprendere che quella poteva essere la loro seconda possibilità.
 

Nota dell'autrice
ma 
che
ansia.
Me ne sono resa conto poco prima di pubblicare, ansia per tutti, tensione per tutti, ma d'altronde non poteva essere diversamente visti gli eventi degli scorsi capitoli. La cena a casa di Rukia e Ichigo non è andata proprio benissimo e il povero Renji s'è ritrovo a dare la notizia della sua relazione con Byakuya così, come scusa per fermare la discussione. Almeno però lo sanno. Su Kisuke e Yoruichi NO COMMENT perché mi piange il cuore a far loro del male, però con le coppie Shinji/Sosuke e Uryu/Tatsuki mi sono rifatta un pochino. BEH, spero che il capitolo vi sia piaciuto, ansia a parte.
A presto,
Nao
   
 
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