Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! ZEXAL
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Autore: vennalyrion96    17/06/2022    2 recensioni
Grazie all'aiuto di Yuma, il personaggio più temuto e famigerato della prima serie di Zexal si pente delle sue malefatte e si riconcilia con il dottor Faker. I suoi tre figli attendono con ansia il ritorno del padre Byron e finalmente, dopo cinque anni di sofferenze e brame di vendetta, la famiglia Arclight è di nuovo riunita per ricominciare una nuova vita. Il ritorno nella loro vecchia villa è il primo passo voluto da Tron per dimostrare ai figli di essere tornato il padre buono e gentile di un tempo. La casa è sottosopra, sporca, malandata e buia. Ma cosa è rimasto, allora, dei tempi felici? Dopo cinque anni, cosa mai ci sarà custodito? Di sicuro, tutto ciò che c'era al suo interno ci sarà ancora, ma cosa potrebbe trovare Tron nella soffitta, in cui nessuno aveva messo piede da molto più tempo? Quale mistero si cela all'interno di un prezioso ed antico baule? Cari lettori e lettrici, se siete presi dalla curiosità, non esitate a leggere, perché non ve ne pentirete (Spero ^^). Grazie per il sostegno e buona lettura da vennalyrion96 (Sabrina)!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Byron Arclight/Tron, Christopher Arclight/ Five, Michael Arclight/ Three, Thomas Arclight/ Four
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~ Capitolo 1 ~
Un incontro inaspettato
 
7/03/2285

Caro diario,

non immagini quanto sono lieta al pensiero di averti finalmente tra le mani e di potermi confidare con te! Era infatti da tantissimo tempo che attendevo il momento in cui avrei trovato una valida valvola di sfogo che non si limitasse alle sole passeggiate quotidiane o a semplici chiacchierate con amiche e parenti. Il punto è che di per sé mi sarei magari anche accontentata di tutto ciò, se non fosse che negli ultimi tempi vedo così raramente le mie amiche che mi sento più sola del solito. Alcune di loro infatti si sono dovute trasferire lontano principalmente per motivi di lavoro dei genitori, mentre tutte le altre, essendo più grandi di me di qualche anno, si son man mano allontanate dalla città di provincia in cui hanno risieduto insieme a me per incominciare una nuova avventura e per intraprendere gli studi universitari in diverse città del mondo.

Per non perdere del tutto i contatti con loro ho pensato di telefonargli di tanto in tanto, ma naturalmente, nei periodi in cui le sessioni di studio si fanno più impegnative per via degli esami imminenti, non mi sono mai permessa di disturbarle più di tanto e nel momento in cui pure il lavoro ha iniziato a entrare a far parte della loro vita, le distanze fra di noi si sono ampliate sempre di più, proprio perché tra un impegno e l’altro, di tempo da dedicarmi non ne trovano quasi mai.

Come se non bastasse, pure la mia agenda ultimamente ha incominciato a farsi sempre più piena, dato che mancano davvero pochi mesi al mio esame di maturità e siccome sto facendo il possibile per superarlo dato che ho intenzione di dimostrare ai miei che sono degna di intraprendere la stessa strada delle mie amiche e di realizzare i miei sogni proprio come loro, sto passando gran parte della mia giornata tra i libri. È sfiancante in effetti, però devo ammettere di essere avvantaggiata dal fatto di avere davvero poche distrazioni, visto che come ti ho appena annunciato, ormai praticamente tutti i miei amici e conoscenti si trovano lontano da qui e si stanno giustamente dedicando alla costruzione del loro futuro.

Un tempo infatti mi capitava effettivamente di essere tentata all’idea di accettare i costanti inviti a uscire con le mie amiche, ma puntualmente venivo sgridata da mio padre, il quale mi raccomandava di concentrarmi piuttosto sullo studio, accusandomi oltretutto di essere incoerente, visto che mentre da un lato ambivo a coltivare la mia passione per l’astronomia, al tempo stesso tendevo a distrarmi con una facilità piuttosto estrema proprio per via del mio entusiasmo all’idea di poter passare delle serate piacevoli in compagnia delle mie migliori amiche.

Ricordo che ai tempi me la prendevo molto per queste accuse e le discussioni con mio padre erano frequenti e talvolta molto accese, ma col senno di poi ho effettivamente capito che non aveva tutti i torti, visto che in effetti se il mio desiderio è sempre stato quello di lavorare tra le mura di un osservatorio per studiare la maestosità e la magnificenza dei corpi celesti, trascurare i miei studi per il semplice gusto di passare il mio tempo in compagnia di altre persone avrebbe sicuramente significato il decadimento totale dei miei obiettivi, nonché il sempre più graduale allontanamento dalla realizzazione del mio sogno.

E in effetti a onor del vero devo ammettere che le parole di mio padre si sono ben presto dimostrate più rivelatorie che mai, dato che c’è stato un periodo (più precisamente durante i primi anni delle scuole superiori) in cui prendevo fin troppo spesso brutti voti a scuola proprio a causa delle mie costanti distrazioni. Col terrore della bocciatura e perennemente perseguitata dalla sensazione di essermi fatta scivolare di mano il mio obiettivo, mi sono fatta istantaneamente prendere dal panico (anche perché nel frattempo mio padre si era fatto più intimidatorio) e ho quindi ripreso a studiare con più impeto con mai, incominciando a ignorare le richieste di uscita serale delle mie amiche e accettandole solo nel momento in cui mi sentissi del tutto sicura di essere libera dai miei impegni.
Adesso che se ne sono tutte gradualmente andate, riesco fortunatamente a dedicarmi allo studio con la giusta dose di attenzione e a sentirmi assai meno ansiosa al pensiero che la data dell’esame di maturità si stia avvicinando.

Tuttavia, l’entusiasmo iniziale si è ben presto attenuato, in particolare man mano che i giorni passati in solitudine hanno incominciato a farsi sempre più numerosi. Non riuscendo infatti a confidare i miei pensieri e le mie sensazioni a qualcuno che non fosse esclusivamente mia madre, mi sono ben presto lasciata sopraffare dalla noia e dalla malinconia.

Non nego infatti che da quando ho ripreso a studiare seriamente e la popolazione del mio vicinato si è ridotta a essere composta quasi esclusivamente da adulti, bambini e anziani, le mie giornate hanno ben presto iniziato a diventare più monotone del ticchettio di un orologio.

Inizialmente il rimedio madre a questa noia mortale è stata la mia scelta di uscire più spesso in bicicletta e passare le giornate in mezzo alla natura della campagna che circonda la mia cittadina (e che potrebbe benissimo competere con gli sfondi sfruttati dai tour operator per la realizzazione delle loro brochure e dei loro volantini), ma non nego che nonostante tuttora apprezzi particolarmente quest’alternativa allo stare a casa china sui libri e ad aiutare mia madre a svolgere le faccende domestiche, delle volte mi sento travolgere da un notevole senso di frustrazione, proprio perché continuo a sentire la mancanza delle persone che fino a poco tempo fa hanno costituito una parte importante della mia vita e che riuscivano quasi sempre a farmi tornare il sorriso.

È per questo che dico che mi sento euforica al pensiero di aver finalmente trovato il compagno perfetto per raccontare le mie vicissitudini e per esprimere i miei pensieri e i miei sentimenti senza alcun filtro di sorta (e naturalmente con questo mi sto riferendo proprio a te).

A tal proposito, non posso che essere grata al mio zio materno Marcus! Lui è forse l’unico che, assieme a mia madre e alle mie amiche, mi capisce veramente e che mi supporta davvero in tutto (anche se sfortunatamente pure lui ultimamente si fa veramente veder poco nei paraggi, visto che lavora praticamente sempre! Pensa che a momenti non ha neppure il tempo di stare a casa sua, quindi figuriamoci se può permettersi di passare a farmi una visita).
È stato infatti lui a consegnarmi proprio te ieri, quando ho festeggiato il mio 18esimo compleanno in sua compagnia e in quella dei miei genitori.

E al di là del preziosissimo regalo che mi ha donato, potrai immaginare quanto sia stata importante la sua presenza di per sé ieri. Grazie al suo sorriso e il suo spiccato senso dell’umorismo posso tranquillamente affermare che è riuscito perfino a placare alla perfezione il mio persistente senso di malinconia dovuto all’assenza delle mie compagne di avventura, le quali negli anni scorsi erano solite venire qui a casa mia per farmi gli auguri e per festeggiare tutti insieme.

Oltretutto io e zio Marcus ci siamo pure messi a discutere assiduamente e appassionatamente in merito ai nostri rispettivi deck e il solo ricordo di lui che mi insegnava a duellare quando ancora ero piccola mi ha lacerato il cuore dalla commozione, tanto che poco prima che se ne andasse, l’ho abbracciato calorosamente e l’ho ringraziato, promettendogli che molto presto avremmo duellato seriamente (e possibilmente dopo il mio esame) e avremmo stabilito in via definitiva se sono migliorata o meno.  

E non dico “in via definitiva” per caso, in quanto zio Marcus è sempre stato un eccellente duellante (per non dire uno dei migliori all’interno della famiglia di mia madre), quindi batterlo avrebbe solo significato una cosa, ovvero che sono finalmente riuscita ad apprendere fino in fondo tutti i trucchi e le strategie che mi ha trasmesso grazie alla sua decennale esperienza e al suo talento, e naturalmente non c’è nulla al mondo che mi avrebbe dato maggior soddisfazione, visto e considerato quanto sia sempre stato importante per me giocare a Duel Monster, essendo questa una delle mie più grandi passioni di sempre assieme all’astronomia.

E poco prima di salire sulla sua auto e di allontanarsi da casa mia la sua risposta alla mia proposta di duellare insieme era stata “Puoi starne certa, cara! E mi raccomando, Alison: voglio vederti più grintosa e determinata che mai quel giorno, perché esigo assistere con i miei stessi occhi a tutto il tuo potenziale!”. Subito dopo poi mi aveva fatto l’occhiolino e io avevo ricambiato facendo altrettanto.
Inutile ribadire che zio Marcus rimarrà sempre un grande!

Per quanto riguarda mamma e papà, loro mi hanno invece regalato una collanina con le mie iniziali, un paio di jeans e una t-shirt blu scuro raffigurante le dodici costellazioni dello Zodiaco, la stella polare e la Croce del Sud, promettendomi oltretutto che se fossi riuscita a passare gli esami di maturità, mi avrebbero fatto un’ulteriore sorpresa (e di cui tutt’ora ignoro la natura, visto che si sono categoricamente rifiutati di rivelarmela).
Ammetto che per me inizialmente è stato abbastanza difficile accettare l’idea di dover aspettare ancora tre mesi per sapere a cosa si stessero riferendo (soprattutto a giudicare dalla maniera in cui si rivolgevano a me mentre parlavano di questa fantomatica sorpresa), ma alla fine ho accettato mio malgrado le condizioni da loro imposte, arrivando a pensare con relativa certezza che in fin dei conti l’attesa sarebbe in qualche modo valsa a qualcosa.
L’euforia per i regali ricevuti mi ha quindi dato un ulteriore impulso a continuare a migliorarmi sempre di più sia nello studio che nel Duel Monster ed è anche per questo che al momento attuale mi trovo a scrivere tra le tue pagine con il sorriso stampato sulle labbra prima di andare a letto.

Perché sì, in effetti a quest’ora mi trovo proprio nella mia stanza seduta sul mio letto, con indosso il mio pigiama rosa e con le coperte pronte ad accogliermi al primo segnale di sonnolenza.
I miei si sono già addormentati da circa mezz’ora e il silenzio regna sovrano in casa.
Gli unici rumori che al momento riesco a udire sono il canto delle cicale provenienti dalle siepi e dai cespugli situati sotto la mia finestra e il distante viavai delle automobili e delle moto che passano di tanto in tanto lungo il viale in cui risiedo.
Fortunatamente però, nonostante l’ora tarda in cui mi ritrovo a scrivere e l’atmosfera quieta e silenziosa che mi circonda sembra stia facendo il possibile per indurmi a chiudere gli occhi, non ho affatto sonno e siccome so già che domani sarò molto occupata con le mie faccende quotidiane e che quindi ho praticamente la certezza che purtroppo avrò davvero poco tempo da dedicarti, ne approfitterò di questo piccolo momento di libertà per raccontarti quello che è successo oggi.

Dopo essere tornata a casa da scuola intorno all’una di pomeriggio, mi sono come mio solito dedicata allo studio e visto che fra non molto ho una verifica di chimica da affrontare e ho pure il debito da colmare in questa materia, puoi immaginare lo strazio e la stanchezza che ho provato una volta terminati gli esercizi che mi sono stati assegnati come compito a casa.

Ammetto a tal proposito che sebbene ormai i miei livelli di distrazione siano calati drasticamente da quando le mie amiche se ne sono andate, quest’oggi la tentazione di controllare le notifiche sul mio cellulare è diventata intensa a livelli esasperanti, ma a distogliermi dal mio intento è stato il fatto di essermi improvvisamente ricordata che mio padre me lo aveva temporaneamente sottratto proprio per evitare che corressi il rischio di fare una cosa simile e perciò non ho potuto fare altro che rassegnarmi e concludere gli esercizi con la giusta dose di calma e concentrazione.

Le pause tuttavia non sono certo mancate, e anzi, devo dire che nonostante le sole tre ore di studio a cui mi sono dedicata oggi, ne ho fatte addirittura ben cinque (tutte da un quarto d’ora circa), proprio perché tanta era la mia stanchezza che non ho potuto farne a meno.

Oltretutto, avendo il debito formativo in chimica, la mia insegnante ha deciso di rincarare la dose aumentando di gran lunga per me e per altri miei compagni di classe nelle mie stesse condizioni il numero di esercizi da svolgere come compito a casa.
Questo perché secondo la sua logica, ciò dovrebbe esserci di grande aiuto proprio per aumentare la probabilità di alzare la media del nostro voto entro la fine dell’anno scolastico. Come se limitarsi a farci fare tutti questi compiti serva per davvero, mentre guai magari a pensare di proporre adeguati corsi di ripetizione (che secondo me ai fini del miglioramento del proprio rendimento scolastico sono assai più efficaci dei classici compiti a casa)! Ma scherziamo? Quelli non contano un accidenti, altroché!
Posso solo dire una cosa a riguardo: no comment.

Ad ogni modo, dopo aver concluso i miei compiti verso le 16 ed essermi finalmente fatta restituire il cellulare da mio padre, sono corsa a prendere la mia borsa e ci ho messo dentro una borraccia piena di acqua fresca che mi ero debitamente procurata il giorno precedente da un armadietto della cucina. Poi ho salutato la mamma, mi sono recata in garage per prendere la mia bicicletta e mi sono gradualmente allontanata da casa senza voltarmi indietro.
L’unica cosa che volevo era infatti stare all’aria aperta per ricaricare le energie e magari cogliere l’occasione di telefonare alla mia cara amica Kayleigh, che essendo più grande di me di un anno, si è diplomata l’anno scorso e si è infine trasferita in Germania per studiare lingua e letteratura tedesca all’università di Heidelberg.

Mi manca tantissimo in effetti, sai?

È stata ed è tuttora la mia prima e vera amica, tanto che ad oggi ho perso il conto di quante volte avevamo passeggiato per le strade che in quel momento stavo percorrendo in bicicletta a chiacchierare del più e del meno e a ridere talmente a crepapelle da arrivare ad attirare involontariamente l’attenzione dei passanti (che a giudicare dal modo in cui ci guardavano era evidente che si sentivano combattuti sul come sentirsi nel vedere due ragazzine in preda a risate isteriche e fuori controllo. E in effetti, da quel che ricordo, alcuni di loro sembravano effettivamente divertiti, mentre altri non facevano altro che fissarci come se fossimo due psicopatiche fuggite da una clinica psichiatrica).
Una volta avevo addirittura rischiato seriamente di soffocare perché da brava sapientona quale sono (sono ironica, nel caso non si fosse capito), avevo avuto la brillante idea di continuare a bere a grandi sorsate il tè freddo che avevo acquistato al pub che si trovava nel parco pubblico della mia cittadina.

Ci eravamo recate lì entrambe per passare una piacevole serata estiva in compagnia e una sua barzelletta mi aveva letteralmente colta di sorpresa proprio mentre ero sul punto di gustarmi la mia bevanda preferita. E io, al posto di posare la bottiglietta ghiacciata sul bancone, avevo preferito continuare ad ascoltare la barzelletta portando alle labbra l'anello della bottiglia e ingurgitando il tè senza preoccuparmi minimamente delle conseguenze che avrebbe subito dopo avuto la mia risata fragorosa su quel gesto avventato.

Ti lascio quindi immaginare cosa fosse successo: in pratica il tè era finito con l’andarmi di traverso, facendomi tossire molto forte per alcuni minuti e attirandomi di conseguenza le attenzioni di un sacco di clienti abituali del pub, che per poco non si erano spaventati, arrivando quasi al punto di pensare che stessi soffocando sul serio e che avessi bisogno di aiuto.

Dire che ai tempi ero una pirla totale è un eufemismo, non trovi?

In ogni caso, devo dire che se da un lato tutta questa serie di ricordi imbarazzanti non fa che farmi provare quasi del dispiacere per tutte quelle persone che hanno sempre avuto la sfortuna di assistere alle mie gaffes, al tempo stesso non posso comunque fare a meno di sorridere a ripensare a quei tempi così spensierati, che nonostante non siano effettivamente troppo remoti, non fanno altro che amplificare di gran lunga la mia nostalgia con l’avanzare dei giorni, resi sempre più monotoni dallo scandire di giornate tutte uguali fra di loro.

E più la nostalgia si faceva sentire con l'avanzare del tempo, più il desiderio di risentire Kayleigh accresceva inesorabile man mano che attraversavo i luoghi in cui in passato ero stata insieme a lei, tant’è vero che un certo punto, mentre pedalavo verso la mia destinazione, la mia decisione di provare a farle uno squillo è diventata estremamente forte.

Giunta quindi al cancello del parco pubblico, sono scesa dalla bici e l’ho trascinata per diversi metri, sperando di trovare al più presto una panchina libera su cui potermi sedere.

Fortunatamente a quell’ora il parco era scarsamente frequentato, quindi non è stato difficile trovarne una su cui riposarmi e per telefonare liberamente alla mia migliore amica, che a quell’ora si sarà sicuramente trovata per le strade di Heidelberg a godere dello splendido paesaggio urbano di quell’affascinante ed antica città tedesca.

Per dare conferma a quanto sosteneva il mio sesto senso, ho quindi fatto partire una videochiamata e… Tombola!
Al momento della risposta di Kayleigh, quest’ultima si trovava proprio sui pressi del ponte Karl-Theodor (chiamato anche Ponte Vecchio), che a giudicare da quello che mi aveva detto tempo addietro, non era altro che uno dei ponti più antichi di tutta la Germania, essendo stato nominato per la prima volta circa mille anni fa ed essendo stato costruito nella sua forma attuale nel 1788.
Sfortunatamente la sua sorte non era stata sempre molto fortunata nel corso della sua lunga storia, tanto che era stato completamente distrutto verso la fine della seconda guerra mondiale dall’esercito del Führer.

Non nascondo che la prima volta che ero venuta a conoscenza di questo fatto storico da parte di Kayleigh mi ero sentita montare dentro di me una rabbia non indifferente, in quanto mi dava ancora di più la conferma di quanto le guerre del passato e in generale i conflitti tra nazioni diverse non avevano fatto altro che seminare odio e distruzione in tutto il mondo e che se al momento ci troviamo in un’epoca tendenzialmente pacifica, in cui il progresso tecnologico e la tendenza al dialogo tra individui di varie nazionalità la fanno da padroni, non è certo per merito degli inutili spargimenti di sangue che purtroppo avevano dominato questo mondo per così tanti millenni.

Kayleigh per fortuna mi aveva poi rassicurato, dicendomi che due anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il Ponte Vecchio era stato ricostruito e riportato fortunatamente all’antica bellezza di un tempo.

E la videochiamata tramite cui stavamo conversando in quel momento ne era l’ennesima dimostrazione, in quanto la mia cara amica non esitava a mostrarmi ogni volta l’assetto strutturale in pietra del ponte stesso, l’ammontare impressionante di persone che lo attraversavano ed infine la portata del fiume Neckar, che scorreva quieto sotto il ponte stesso.

Dal canto mio, mentre le parlavo, mi limitavo a mostrarle i luoghi del parco in cui in passato avevamo trascorso così tanti momenti felici e la sua risposta in tal senso è stata “Ahh, che bei tempi, Alison! Sapessi cosa darei per venire a fare un salto lì anche solo per un giorno! Qui in Germania non c’è mai un attimo di tregua per quanto riguarda il lavoro e lo studio, diamine!”.

Io tuttavia non potevo dire diversamente, perché sebbene ancora non lavori e la vita nella mia cittadina sembri più monotona del solito, ho per l’appunto lo studio di cui occuparmi, visto che mancano solo tre mesi al mio esame e come se non bastasse ad aggravare la situazione ho pure alcune materie di cui colmare il debito!

Kayleigh però, in qualità di mia migliore amica, mi ha tranquillizzato con un sorriso, dicendomi infine “Alison… Ti conosco troppo bene. Sai essere pigra come un ghiro in letargo, quello è innegabile, ma quando ti rimbocchi le maniche non ti ferma più nessuno. Quindi perché mai dovrei dubitare del tuo talento? Devi solo cercare di focalizzarti sui tuoi obiettivi e pensare che una volta che li avrai raggiunti, potrai finalmente dedicarti alle tue vere passioni. E vedrai che è solo questione di tempo prima che tutto si sistemi e che tu riesca a trovare la tua strada. E io sono sicura che un po’ alla volta ce la farai, perché in fin dei conti finora non hai mica dimostrato di essere all’altezza?”.

Nel sentire quelle parole confortanti e rassicuranti, non nego che se avessi potuto, mi sarei teletrasportata seduta stante fino a Heidelberg per abbracciare Kayleigh con tutta la forza possibile.

Quanto posso ritenermi fortunata ad avere lei come amica?

Dopo quindi averla ringraziata calorosamente ed averle ribadito quanto le voglia bene, ci siamo promesse di rivederci molto presto ed infine l’ho salutata prima di riagganciare.

Ahh, quanto mi sono sentita rinascere non appena ho rimesso il cellulare in tasca e ho ripreso la marcia!
Mi era bastata quella conversazione con Kayleigh per sentirmi molto meglio, tanto che per un attimo mi è balenata l’idea di fare ancora un ultimo giro per il parco per poi tornare direttamente a casa senza passare al pub come invece avevo avuto inizialmente in programma di fare.

Tuttavia, una volta guardato l’orologio ed essermi resa conto che in effetti era passata solo un’oretta da quando mi ero allontanata da casa, ci ho subito ripensato e una volta giunta lungo il duplice sentiero che conduceva rispettivamente all’uscita del parco e all’ingresso del pub, alla fine ho preso la strada per quest’ultimo.

Oltretutto, mi ero ricordata di avere decisamente voglia di un bel caffè macchiato per ricaricare le energie esauritesi dopo lo svolgimento dei compiti per casa, per cui, dopo aver parcheggiato la mia bici proprio di fianco alla porta d’ingresso, sono entrata e ho ordinato il caffè.

Dopodiché mi sono seduta su una poltroncina collocata esattamente vicino alla prima finestra che si affacciava direttamente sulla radura.
In attesa del mio caffè ho quindi iniziato a contemplare serenamente la bellezza del luogo in cui mi trovavo e a ripensare alle parole di Kayleigh, che non solo era riuscita insieme a zio Marcus a scuotermi dal torpore mentale in cui mi ritrovavo da quando il senso di lontananza dalle persone a cui ho sempre voluto bene si era acuito pericolosamente, ma mi aveva anche infuso tutto il coraggio necessario per riprendere in mano con ancora più determinazione le redini del mio futuro.

E mentre pensavo a tutto ciò, il mio sguardo si era nel frattempo posato sulla mia adorata t-shirt che avevo ricevuto dai miei genitori per il mio compleanno e che in quel momento stavo indossando con immenso piacere.

“Prima o poi avrò l’onore di ammirare queste meraviglie della natura da un telescopio, e non più solo su delle semplici immagini stampate su una maglietta o su un poster. Ne sono più che sicura” dicevo tra me e me e tanto ero in sovrappensiero in quel momento da arrivare quasi a non accorgermi della giovane cameriera che nel frattempo se ne stava in piedi di fianco al mio tavolo con un piccolo vassoio tra le mani.

Puoi già immaginare l’imbarazzo che ho provato nel momento in cui ho alzato lo sguardo su di lei!

Che dire a questo punto, se non che sono la regina delle gaffes?

Mi sono quindi scusata e ho ringraziato la cameriera, cercando di mascherare scrupolosamente il mio imbarazzo tramite un ampio sorriso. Ma proprio mentre ero sul punto di versare lo zucchero nel caffè, qualcosa (o per meglio dire una voce assai familiare) ha attirato la mia attenzione, facendomi poi sgranare gli occhi per lo stupore nel momento in cui ho rivolto la testa in direzione della porta del pub e ho riconosciuto fin da subito il proprietario di quella voce maschile.

Era lui.

Sean.

L’unico ragazzo che faceva parte della mia cerchia di amici e che come loro era finito con l’allontanarsi per cercare fortuna altrove.

E dico “l’unico ragazzo” perché è effettivamente l’unico ad essere riuscito a superare la barriera della mia timidezza nei confronti di quelli del suo stesso sesso e che si è guadagnato col tempo non solo la mia fiducia e il mio affetto, ma anche qualcos’altro…

I suoi folti capelli rossi e i suoi occhi azzurri avevano fatto breccia nel mio cuore sin da quando ero ancora una ragazzina e man mano che ampliavamo la conoscenza quando ancora frequentavamo la stessa scuola insieme, sono finita con il provare qualcosa di più intenso di una semplice amicizia nei suoi confronti.

In particolare, avevo avuto conferma dei miei sentimenti per lui quando avevamo iniziato a svolgere i compiti insieme durante il doposcuola. Lui peraltro è più grande di me di circa tre anni, quindi in quelle occasioni non aveva mai esitato a darmi una mano ogni qualvolta mi vedeva in difficoltà durante lo studio.

Sapevo quindi di esserne innamorata e di sognare sotto sotto di intraprendere con lui una relazione d’amore simile a quella delle fiabe che mi venivano raccontate da bambina.

Tuttavia, nonostante il sentimento bruciante ed intenso che ho sempre nutrito per lui, ho continuato a tenermi il tutto rigorosamente dentro, sia perché da un lato temevo di essere respinta e di soffrirne di conseguenza, e sia perché tutto sommato la mia timidezza nei confronti dei ragazzi continuava fin troppo spesso a giocarmi un brutto tiro, impedendomi perciò di acquisire il giusto coraggio per dichiararmi finalmente a Sean.
Onde evitare di correre rischi avevo quindi preso la decisione di continuare a restare sua amica, anche se… Quanta sofferenza questo comporta!

La sola idea di non riuscire a baciarlo e tenerlo fra le braccia fa più male di qualsiasi dolore fisico che abbia mai provato in vita mia, e non penso di star esagerando nel dire ciò.

Ma a rincarare per davvero la dose non era stata neanche l’impossibilità di potermi dichiarare, come magari si tenderebbe a pensare.

Ciò che infatti mi aveva fatto stare ancor più male era stato il momento in cui l’avevo visto partire definitivamente per Seoul circa tre anni fa.

E pensa che ad un primo acchito avevo pure cercato disperatamente di trovare una qualche forma di consolazione pensando cose del tipo “Ma se Sean se ne va sul serio… Magari col tempo riuscirò pure a dimenticarlo! In fin dei conti averlo avuto al mio fianco come amico per tutto questo tempo non ha fatto altro che accrescere il mio lancinante dolore all’idea di non riuscire a dirgli quanto lo amo, quindi forse… Il suo allontanamento potrà solo che giovarmi e farmi tornare più serena!”.

E mi credi se ti dico che addirittura, qualche ora prima che si recasse in aeroporto, l’avevo salutato e gli avevo augurato tutta la felicità possibile con il più ampio e smagliante sorriso che molto probabilmente abbia mai rivolto a qualcuno?

In sostanza, cercavo di convincermi in tutti i modi che questo suo viaggio di sola andata avrebbe solo giovato a entrambi, in quanto non solo avrebbe soddisfatto a pieno le aspettative professionali e personali di Sean, ma avrebbe anche dato tregua al mio cuore dilaniato dal troppo dolore causato dagli effetti collaterali della mia timidezza e dalla mia stupida paranoia, la quale non faceva altro che indurmi a pensare che molto probabilmente, se avessi osato spingermi al di là delle mie già scarse capacità di approccio al sesso maschile e avessi magari ricevuto un rifiuto da parte sua, avrei solo dato il definitivo colpo di grazia al mio già tormentato stato d’animo.

Peccato però che le mie convinzioni basate su un fasullo tentativo di sentirmi più sicura di me in un momento tanto straziante si erano ben presto attenuate, in quanto non appena avevo visto Sean allontanarsi in macchina dalla mia finestra, avevo perso definitivamente il controllo delle mie emozioni ed ero scoppiata a piangere.

Ricordo ancora quanto mia madre e la mia amica Kayleigh avevano fatto il possibile per farmi stare meglio, e in effetti devo dire che i loro consigli erano valsi a qualcosa, in quanto col passare del tempo avevo effettivamente imparato ad accettare con più buon grado la mia lontananza da Sean.

Le cose tuttavia si erano fatte assai più complicate del previsto quando, poco dopo di lui, erano partite anche Kayleigh e le altre mie amiche di lunga data Lucy, Shelley e Leah.

Era stato allora che le mie ricadute dovute alla nostalgia e alla solitudine si erano fatte più persistenti, facendo in modo che tornassi a sentire con ancor più impeto e prepotenza la mancanza di Sean.

Improvvisamente però tutto ciò è svanito d’un colpo proprio nel momento in cui, nell’alzare gli occhi verso l’ingresso del pub, ho intraveduto il suo viso lentigginoso e la sua corporatura esile e longilinea.

E non esagero nemmeno se dico che tanto era il mio stupore e la mia gioia nell’averlo rivisto dopo così tanto tempo che per un attimo mi è sembrato di aver perso la cognizione del tempo, paralizzandomi momentaneamente da capo a piedi e impedendomi quindi di alzarmi e di correre a salutarlo.

Ma prima ancora che potessi effettivamente reagire, sorprendentemente è stato proprio lui a corrermi incontro non appena il suo sguardo ha incrociato il mio.

Dopo avermi quindi salutato a voce alta, si è avvicinato al mio tavolo a grandi falcate e io, non potendo ormai più resistere alla tentazione di averlo di nuovo vicino, mi sono quindi alzata e l’ho abbracciato calorosamente, dicendogli quanto ero felice di rivederlo e domandandogli come stava.

Sean ha risposto affermativamente dopo essersi seduto di fronte ad me e dopo aver ordinato una birra, dicendo tuttavia che sebbene la vita in Corea del Sud lo abbia pienamente soddisfatto a livello professionale (facendogli assumere l’impiego di ingegnere informatico presso una prestigiosa società coreana di telecomunicazioni), allo stesso tempo il caos delle metropoli e il ritmo di vita estremamente frenetico ed estenuante lo hanno spesso frustrato, tanto che mi ha pure ammesso che nei primi tempi si era quasi pentito di essersi trasferito proprio lì, venendo quasi tentato all’idea di trovare un altro paese in cui andare a vivere.

Col passare dei mesi, tuttavia, era riuscito ad abituarsi a questo stile di vita, distogliendolo dal suo intento di trasferirsi nuovamente e facendolo integrare perfettamente nella società di Seoul, tanto da arrivare ad apprezzarne le numerose e variegate sfaccettature.

Una di queste è in particolare la cucina, tant’è vero che una delle prime cose che mi ha mostrato una volta che ha tirato fuori il suo cellulare dalla tasca del suo zaino è stata una serie di fotografie di piatti tipici coreani (molti dei quali dall’aspetto bizzarro e poco rassicurante, devo dire), oltre a dei piccoli video intervista fatti ad alcuni chef riguardo alle loro peculiari tecniche di preparazione di cibi a base principalmente di pesce, di carne e di verdure.

Poi naturalmente non sono nemmeno mancate foto raffiguranti Sean e altri ragazzi (evidentemente suoi nuovi amici) di fronte a palazzi e monumenti situati nella periferia della megalopoli, lontani dal chiasso dilagante e dal rumore incessante delle automobili e dei mezzi pubblici.

Inoltre, quando gli ho infine domandato qual buon vento lo avesse spinto di nuovo qui, mi ha risposto che aveva pensato di approfittare di queste due settimane di ferie per venire a trovare i suoi genitori, sua sorella e sua nonna.

Dal canto mio, gli ho raccontato per filo e per segno come procedono le mie giornate e quanto mi senta ansiosa per gli esami di giugno.

E per quanto abbia cercato il più possibile di non manifestare in maniera eccessiva il fatto che mi sia mancato così tanto, sono stata comunque molto sincera con lui, dicendogli che avrei di gran lunga gradito una sua telefonata o un suo messaggio durante questi tre anni di lontananza.

In passato non erano infatti mancate occasioni in cui avevo effettivamente provato a mettermi in contatto con lui, ma il suo numero di telefono era sempre risultato non raggiungibile per motivi a me ignoti.
Tuttavia, confidando nella nostra amicizia, all’inizio non mi ero lasciata prendere dal panico, in quanto nutrivo pur sempre la speranza che sarebbe stato lui a mettersi in contatto con me.

Ciò tuttavia non era mai accaduto, motivo per cui oltre alla tristezza, era ben presto subentrata in una forte delusione, che a sua volta si era poi tramutata in frustrazione e senso di abbandono.

Addirittura c’era stato un periodo in cui mi ero pure spaventata a furia di sentire dall’altra parte della cornetta la voce robotica “Numero non raggiungibile”, poiché temevo che gli fosse successo qualcosa di brutto.

Non riuscivo infatti a credere che si fosse dimenticato di me dopo tutti gli anni passati insieme, quindi il mio pensiero a un certo punto era stato “Non posso credere che non gli sia venuto in mente neanche una volta di rispondermi o di telefonarmi. È il mio migliore amico, non può essersi dimenticato di me così facilmente… E se gli fosse successo qualcosa? Oddio, se così fosse non esiterei a prendere il primo volo per Seoul solo per venirlo a cercare! Ma potrei pure sbagliarmi e magari le mie sono solo paranoie infondate e quindi… Cosa faccio adesso?”.

Il solo ricordo di quel momento di pura crisi emotiva mi destabilizzava troppo, tanto che non ho esitato a chiedergli proprio perché non si fosse fatto più sentire nonostante abbia sempre saputo quanto gli voglia bene.

Sean però, nel vedere il mio sguardo deluso e quasi offeso, si è subito giustificato e scusato, dicendomi che in effetti una volta trasferitosi in Corea aveva dovuto cambiare necessariamente il suo numero di cellulare e il suo gestore telefonico, finendo col perdere il mio numero di telefono.

“E come se non bastasse, da quando lavoro a Seoul non ho praticamente mai tempo per sentire nemmeno i miei, pensa te!” ha poi aggiunto con tono evidentemente mortificato.

Io però, se da un lato accettavo bene o male l’ipotesi secondo cui la mancanza di tempo costituiva una valida giustificazione per non farmi una telefonata (anche perché di fatto siamo entrambi consci del fatto che se ci fossimo messi a parlare, la conversazione sarebbe durata parecchio, e ciò gli avrebbe fatto correre il rischio di distrarlo dal lavoro o comunque di non farlo concentrare a sufficienza), allo stesso tempo ero pervasa da un dubbio.

Non riuscivo infatti a capire come mai non gli fosse venuto in mente di fare il backup dei contatti del suo telefono.
In questa maniera non avrebbe perso affatto il mio numero, neanche cambiando operatore.

“È che non ci ho pensato, Alison” mi ha detto una volta che gli ho chiesto spiegazioni.
“Non so perché, ma stranamente non mi era venuto in mente di fare quello che hai appena detto. Sarà che in quel periodo ero più incasinato del previsto, visto che per il mio trasferimento e per l’ottenimento del visto ho dovuto sbrigare una serie di faccende burocratiche e altre cose noiosissime. Ma credimi, non volevo ferirti!”

A quelle parole mi sono sentita più rassicurata, ma onde evitare che capiti nuovamente un fattaccio simile, l’ho quindi costretto (in termini amichevoli, naturalmente) a fare il backup dei contatti seduta stante e naturalmente gli ho dettato il mio numero affinché lo salvasse in rubrica.

Dopo avermi ringraziato ed essersi scusato per l’ennesima volta, ha quindi finito di gustare la sua birra e improvvisamente mi ha guardata spalancando gli occhi.

“Alison, mi è venuta un’idea! Siccome è da tantissimo tempo che non ci vediamo e voglio farmi perdonare per non essermi fatto sentire per così tanto tempo, che ne dici di venire a trovarmi a casa dei miei genitori questa settimana e duellare il giorno stesso? Voglio proprio vedere quanto sei migliorata in tutto questo tempo! Noi poi purtroppo non abbiamo più modo di vederci così spesso come una volta, quindi non vedo perché non approfittarne!”.

La sua proposta mi è giunta in maniera talmente improvvisa e inaspettata da lasciarmi perplessa per qualche secondo, e non tanto perché non intendevo accettare (anche perché come detto prima, duellare è una mia grande passione), quanto perché… La sola idea di duellare contro il ragazzo che ho sempre amato non mi dava propriamente una bella sensazione.

Fossimo stati in due contro altri duellanti sarebbe stata una scelta più che ottima e non credo proprio che lui non l’avrebbe tenuta in considerazione se solo ci fossero più persone nella mia cittadina contro cui gareggiare, ma essendo al momento disponibili solo io e lui, in effetti di alternative alla sua opzione non ce ne sono, quindi sebbene desiderassi duellare volentieri, dopo un attimo di tentennamento dovuto al mio timore di fargli del male e dopo aver constatato il fatto che in fin dei conti non avevo altra scelta, ho accettato.

Lui si è quindi alzato e dopo aver rimesso il bicchiere di birra sul tavolo ha detto gioiosamente:
“Perfetto! Allora facciamo così: venerdì pomeriggio vieni a casa mia, poi verso sera ci rechiamo nel capannone di mio padre e duelliamo proprio lì! Sei d’accordo?”

Io ho risposto che era un’ottima idea e dopo averlo riabbracciato nuovamente, ci siamo entrambi recati al bancone per pagare e ci siamo infine salutati poco prima di uscire dal parco pubblico.

Nel frattempo, se già ero scossa per la proposta fattomi da Sean e mi sentissi più agitata che mai al solo pensiero di gareggiare per la prima volta contro di lui, sono andata letteralmente nel panico una volta che ho letto l’ora sul mio orologio.

“Dannazione, sono quasi le 21! Papà mi ammazzerà!” ho subito pensato un istante prima di saltare letteralmente sulla sella della mia bici ed essermi messa a pedalare a perdifiato verso la strada di casa.
In effetti la chiacchierata con Sean era stata più lunga del previsto e l’esserci parlati del più e del meno dopo tutto questo tempo di lontananza l’uno dall’altro mi aveva fatto perdere la cognizione del tempo.

E se da un lato mi sentivo felicissima di avere avuto la fortuna di reincontrarlo, riconoscevo che questo nostro incontro avrebbe sicuramente nuociuto al mio rapporto con mio padre, che già non è affatto contento del fatto che manchino solo tre mesi al mio esame di maturità e io abbia ancora dei debiti da colmare onde evitare la bocciatura.
Sono quindi corsa a casa il più in fretta possibile, tanto che ci è mancato pure poco che mi cadesse la catena.

Robe da matti! Ma me ne deve accadere sempre una, rendiamoci conto!

Fortuna però ha voluto che quando la catena ha iniziato a fare i capricci, mi trovassi proprio di fronte al cancelletto di casa mia, quindi ho tratto un profondo sospiro di sollievo prima di entrare.

Ho quindi rimesso la bici in garage e ho salito le scale fino a giungere in salotto.

Papà e mamma si trovavano proprio lì a parlare di chissà cosa e proprio come mi aspettavo, lui si è subito alzato dal divano per rimproverarmi.

“Alison, dove sei stata finora? Lo sai che devi alzarti presto per andare a scuola domani! Vorrei ricordarti che hai l’insufficienza in tre materie e che se non ti sbrigherai a colmarne il debito, potrai dire addio all’esame! Non hai forse detto che vuoi studiare astronomia? Perfetto, allora mi spieghi il senso di perdere il tempo prezioso che dovresti dedicare allo studio per andare a gironzolare chissà dove?”.

Io però, sebbene riconosca effettivamente di essere stata in passato incoerente e di non aver saputo alternare nella maniera giusta studio e tempo libero, mi sono sentita in dovere di obiettare in merito alla sua accusa di star perdendo tempo.

Ho quindi provveduto subito a dirgli che oggi pomeriggio mi sono impegnata tantissimo per fare tutti i compiti e che siccome questi erano sfiancanti e anche particolarmente impegnativi, avevo sentito il bisogno urgente di uscire per prendere un caffè e una giusta dose di boccata d’aria.

Dopo un attimo di esitazione, papà mi ha guardato con sguardo indagatore e mi ha detto “Stavolta ti è andata bene. Ma non sarò più tanto magnanimo e tollerante la prossima volta che uscirai senza avvisarmi. Siamo intesi?”.

Io allora ho abbassato lo sguardo e gli ho promesso che fintanto che non sarò sicura di aver passato l’esame, lo avrei sempre avvisato ogni qualvolta sarei uscita.

Per dare dimostrazione della mia sincerità e del fatto che stessi parlando seriamente, quando l’ho visto allontanarsi per andare in camera da letto, l’ho fermato e gli ho confessato il mio incontro con Sean e il suo invito a duellare questo venerdì.

“Ma non vi siete già messi d'accordo tu e zio Marcus a riguardo? Alison, guarda che non sono così stupido! So perfettamente che stai usando il duello come ennesima scusa per distrarti.” ha affermato lui con severità.

Io però, che nel corso del tragitto dal pub verso casa avevo avuto modo di ripensare alla proposta del mio amico e a convincermi che molto probabilmente questa mi sarebbe servita per far tornare il nostro rapporto allo splendore di un tempo e che quindi non mi sarei dovuta perdere quest’opportunità per nulla al mondo, ho subito messo le mani avanti, rassicurando papà e dicendogli che il duello contro Sean sarebbe stato l’unico che avrei fatto nel periodo che intercorre tra il mio essere il piena full immersion e il giorno del mio esame e che quello contro zio Marcus si sarebbe invece tenuto solo una volta che mi fossi assicurata di essermi sistemata a livello scolastico.

Lui però è rimasto poco convinto delle mie parole per una bella manciata di minuti, fino a quando la mamma non è fortunatamente intervenuta, sostenendo che si sarebbe assicurata personalmente che mantenessi la parola e che sarebbe stata la prima ad avvisarlo nel caso l’avessi infranta.

Inoltre, ha detto che in fondo duellare non avrebbe costituito per forza di cose una mera distrazione, ma che piuttosto avrebbe avuto un enorme vantaggio sulla mia psiche, collassata dalla solitudine e dalla noia più nera.

Papà allora, dopo averci riflettuto su, ha infine annunciato che sarei potuta andare a casa di Sean, ma che sarei dovuta rimanere di parola se non avessi voluto perdere definitivamente la sua fiducia.

Io naturalmente ho promesso che avrei fatto come concordato ed è stato allora che papà è entrato nella sua stanza da letto e ha chiuso la porta alle sue spalle.

A quel punto ho ringraziato la mamma, poi ci siamo sedute in cucina e mentre pregustavo la mia cena le raccontavo per filo e per segno della mia chiacchierata con Kayleigh e di quella con Sean, esprimendo tutta la mia gioia nell’essere finalmente riuscita a rivederlo dopo così tanto tempo e di quanto al tempo stesso me la fossi presa con lui per il fatto che era sparito senza mai contattarmi neanche una sola volta da quando se n’era andato.

“In effetti in questo senso non si è comportato propriamente bene con te. Spero solo che abbia imparato la lezione.” ha poi detto lei seccata.

Mamma poi è l’unica assieme a Kayleigh ad essere conscia di quanto lo ami e di quanto sia frustrante per me non riuscire a dirgli quello che realmente provo, perciò la sua seccatura si poteva benissimo ritenersi giustificata.

Ma in cuor suo, si è sempre notato piuttosto bene il fatto che in fondo abbia sempre sperato che le cose fra me e lui si tramutassero in qualcosa di ben più intenso di un’amicizia, per cui non ha mai esitato a darmi preziosissimi consigli in tal senso.

Da qui il suo voler suggerire a papà di provare a lasciarmi andare a duellare contro Sean, reputando ciò un’opportunità non indifferente per lo sviluppo del nostro rapporto, già messo a dura prova dal suo trasferimento e dal suo lavoro all’estero.

Posso solo dire una cosa a questo punto: grazie di esistere, mamma.

Io nel frattempo mi sono messa a lavare i piatti e abbiamo poi ripreso a parlare ancora per un po’, fino a quando a un certo punto non mi ha raccomandato di andare a letto e di non farmi vedere ancora sveglia da papà onde evitare che si infuriasse e che magari rivalutasse la sua scelta di farmi duellare contro Sean.

Ci siamo quindi augurate la buonanotte e quando lei ha raggiunto mio padre in camera da letto, sono corsa in bagno a lavarmi i denti e poi mi sono messa il pigiama prima di entrare nella mia stanza.

Ed eccomi qui, a contemplare con gioia il cielo stellato (che io ho sempre considerato il mio miglior portafortuna) mentre ti sto scrivendo e ad associare ogni mio pensiero alle costellazioni che mi è concesso ammirare dalla mia finestra.

Il solo pensiero di poterle un giorno studiare ancora più da vicino e non più semplicemente a occhio nudo mi riempie il cuore di eccitazione…

E Sean… Ohh, quale gioia mi pervade tutta all’idea di potermi finalmente mettere alla prova con lui e non solo con zio Marcus! E pensare che inizialmente ero pure scettica e ci è pure mancato poco che avessi valutato l’ipotesi di non accettare. E tutto solo per delle stupide paranoie prive di fondamento (e questo non può che dar conferma di quanto sia sciocca il più delle volte)!

Il punto è che lo amo troppo, caro diario, e il solo pensiero di vederlo cadere a terra a causa dei miei attacchi mi metteva inquietudine.

Tanta inquietudine.

Ma col senno di poi, ho capito che la mamma ha perfettamente ragione e che se voglio sperare di attirare la sua attenzione senza arrivare a dichiararmi apertamente questa è al momento la mia unica possibilità.

E io non voglio perderla.

Per nessuna ragione al mondo.

Detto questo, mi sa proprio che mi metto a dormire perché sto seriamente cominciando ad avere sonno.

Vedrò di tornare a scriverti il prima possibile, magari appena prima di iniziare la mia sfida con Sean.

Sono già sicura che mi darai il giusto sostegno psicologico e considerando come sono fatta, so già che ne avrò seriamente bisogno.

A presto!
 
Angolino dell’autrice:
buonsalve ragazzi belli! Come promesso ormai circa due mesetti fa, ecco finalmente il benedetto primo capitolo di questa storia che ho provveduto a resuscitare dopo ben sette anni in cui è stata tenuta nello status di “congelata”.
Vi dirò: in verità questo primo capitolo era già pronto il giorno del mio compleanno (che è stato l’11 giugno), ma siccome come alcuni di voi sapranno (soprattutto le mie adorate mogli Olga e Martina) sono piuttosto perfezionista e non sono mai (e dico MAI) sicura al 100% se quello che produco sia valido o meno, prima di pubblicare mi sono prima sentita in dovere di fare una revisione grammaticale e sintattica abbastanza approfondita e soprattutto di valutare con attenzione il mio approccio alla narrazione in prima persona, visto che è la primissima volta che ne faccio uso all’interno di un mio racconto e quindi i rischi di scrivere porcherie si fanno sempre più elevati.
Il punto è che trattandosi per l’appunto della descrizione di quanto sta scritto nel diario della protagonista femminile, ho voluto tentare di immaginarmi un tipo di prospettiva diversa dalla classica terza persona (che bene o male rimarrà pur sempre un mio standard, e fra poco vi spiegherò il perché) e a provare a usare la focalizzazione interna per raccontare le vicende secondo quello che è il punto di vista di lei.
La storia infatti, per quanto sia ambientata nel presente, è allo stesso tempo il resoconto della vita della moglie di Byron/Tron dal momento in cui ha ricevuto il diario (ovvero quando era appena 18enne) a quello in cui muore (e non è uno spoiler questo, visto che il fatto che sia morta viene fatto intendere anche nell’anime e l’ho per giunta sottolineato in vari punti del prologo).
In sostanza verranno alternati a più riprese capitoli in prima persona in cui viene proprio riportato parola per parola tutto quello che è stato scritto da Alison (e che come avrete notato, non stanno a descrivere minuziosamente i dettagli dei luoghi da lei visitati e degli altri personaggi che ha incontrato nella sua vita, proprio perché trattandosi di un diario, non sarebbe stato sensato da parte mia usare lo stesso stile preciso che di solito tendo invece a usare nella terza persona) e capitoli in terza persona ambientati nel presente, in cui Tron e i figli trascorrono del tempo insieme nella loro casa e lui ricorda quello che ha vissuto assieme a lei (e a sto giro avviso già i più sensibili che il rischio di contrarre diabete è elevatissimo, proprio perché ho in mente delle scene estremamente fluff e zuccherose tra loro due).
Quando però poco fa vi ho detto che per quanto la prima persona sarà preponderante nella narrazione per i motivi appena citati, la terza rimarrà pur sempre lo standard del mio stile di scrittura, il motivo è molto semplice: siccome come appena spiegato non sono abituata a scrivere in prima persona e onestamente trovo abbastanza approssimativa l’idea di fare della storia una mera alternanza tra i capitoli ambientati nel passato in cui domina il punto di vista di Alison e quelli ambientati nel presente col punto di vista onnisciente, ho pensato di fare una cosa che spero apprezzerete e che mi auguro che non si riveli una trashata (anche perché se no mi sparo).
In pratica, siccome mi piacerebbe molto anche “ampliare” per così dire ciò che è stato scritto da Alison e approfondire dei punti che sono stati da lei tralasciati per esigenze dovute al tipo di genere narrativo utilizzato (mi riferisco al diario in questo caso), ho pensato di inserire, dopo questi capitoli in prima persona, dei capitoli che raccontano le stesse vicende raccontate da lei, ma in terza persona.
Proverò a spiegarmi meglio con un esempio pratico: avete notato che in questo capitolo in prima persona non è stato specificato per niente il carattere e l’aspetto fisico dei genitori di Alison (e al massimo il primo è stato fatto intendere dai loro atteggiamenti spiegati da lei a grandi linee) e che lei addirittura non ha neppure nominato il nome della sua cittadina? Ebbene, il mio intento sarebbe quello spiegare questo ed altro ancora nel capitolo che verrà esattamente dopo questo e dopo tutti gli altri che saranno in prima persona, proprio perché intendo “colmare” per così dire le lacune provocate dall’utilizzo del semplice punto di vista di Alison, che per quanto riconosca che possa magari avere un impatto emotivo maggiore nei confronti di voi lettori (o almeno lo spero), non dà comunque informazioni troppo approfondite in merito a certe cose e siccome io sinceramente non riesco ad accontentarmi dell’idea di fornirvi delle informazioni abbozzate o addirittura frammentate, ci tengo davvero col cuore ad approfondirle io stessa in questi capitoli “di transizione” in terza persona.
E non nego che questo è forse uno dei motivi principali per cui ho aspettato due mesi per decidere di pubblicare il primo capitolo, proprio perché ero indecisa su che modalità di narrazione usare e soprattutto come strutturare la storia senza creare un bordello nella trama e a rischiare addirittura di confondervi.
Alla fine però finalmente mi sono decisa (anche perché prima o dopo una decisione andava presa, giusto?) e quindi… Niente, spero che l’idea sia di vostro gradimento e che soprattutto abbiate apprezzato questo primo capitolo.
Alla prossima!
vennalyrion96
  
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