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Autore: miss_MZ93    21/06/2022    1 recensioni
Marinette ed Adrien hanno ormai diciotto anni. Le loro vite continuano ad essere minacciate dalla presenza di Papillon ma qualcosa sta per cambiare. Gli anni iniziano a farsi sentire e gli equilibri fragili che esistevano tra i due ragazzi iniziano a spezzarsi. Tra Adrien e Marinette qualcosa cambierà radicalmente, lasciando uno spiraglio per qualcuno che, in segreto, non ha mai smesso di provare grandi sentimenti per Marinette.
Tra dolci e sensuali drammi, i nostri protagonisti dovranno affrontare anche un nuovo pericolo per Ladybug.
Ho iniziato a scrivere la storia prima dell'uscita della terza stagione, quindi mancheranno alcuni personaggi o dettagli particolari.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Luka Couffaine, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo aver trascorso la domenica a riprendermi da quel sabato pieno di battaglie, questo lunedì non potrebbe sembrare più lunedì di così. 
La sveglia non ha suonato, o meglio, Tikki dice di avermi vista spegnerla più volte con gesti assonnati e pesanti, fino a far cadere il telefono a terra. Come se non bastasse, mi sono alzata nuovamente in un bagno di sudore e mi sono dovuta lavare alla velocità della luce, degno di una supereroina. Per di più, dopo aver smesso di pensare all’ultima settimana, mi sono ricordata che oggi tornerà a scuola anche Adrien e che, quindi, la mia pace è destinata a svanire. Non so bene cosa aspettarmi da lui, se un sorriso inopportuno, uno sguardo severo di rimprovero o chissà cos’altro e questo mi agita non poco. Non riesco a capire ancora bene il motivo ma continuo a temere la sua opinione più di quella di chiunque altro. 
 
Il tragitto da casa all’istituto non mi è mai sembrato più lungo di questo. La cosa, però, che mi riporta al presente è la curiosità. Non quella per il comportamento di Adrien e nemmeno quella per la sensazione provata con Chat Noir ieri. La curiosità che mi avvolge riguarda i miei amici, i compagni di classe che, in questo momento, sono radunati attorno ad Alya. Basta un istante per rivivere la stessa sensazione, la stessa scena ed il motivo per cui si era scatenato quell’interesse verso la mia amica. 
“Cos’è successo questa volta?” 
Nemmeno il tempo di pensarlo che due nomi a me molto noti vengono pronunciati proprio dalla fondatrice del Ladyblog. 
“Avete visto? Avevo ragione! Ladybug e Chat Noir si frequentano!” 
“Maledizione” 
Cerco di farmi spazio tra Nino ed Alix, trovando la mia migliore amica alle prese con il telefono. 
La scena sembra sempre più famigliare quando Alya mostra a tutti una fotografia. Un’altra. 
“Maledizione” 
Oggi sembro non riuscire a pensare a null’altro che a quella parola. 
“Sono perfetti insieme!” 
“Maledizione” 
Un leggero rossore mi coglie mentre osservo lo schermo del telefono della mia amica. L’immagine spicca più di qualunque altra cosa, probabilmente aiutata dalla luminosità del cellulare. Impiego qualche minuto, qualche lungo minuto prima di realizzare quanto io sia rimasta paralizzata ad osservare quella fotografia. Non saprei dire quale sentimento mi stia sconvolgendo maggiormente. Tutto ciò che riesco a capire è la particolarità di quella immagine. Il modo in cui Chat Noir mi sta abbracciando, la sua mano posata sulla mia spalla, dolcemente ma con quel guizzo deciso e forte, i suoi occhi chiusi che mi impediscono di vedere quello sguardo verde ma che posso immaginare essere dolce e profondo. Tutto il suo corpo sembra proteso verso di me, quasi come se volesse avvolgermi completamente ma, allo stesso tempo, lasciarmi quello spazio che ho sempre imposto tra noi due. 
Sposto il mio sguardo, osservando l’altra figura in quella fotografia. Sapevo che quel bacio mi avesse lasciato un segno da qualche parte ma non immaginavo di averlo trasmesso anche alla mia pelle che in quell’immagine risulta decisamente arrossata. Il mio sguardo è rivolto a lui, alle sue labbra posate sulla mia fronte, al suo viso che sembra così rilassato e dolce. Se il corpo di Chat Noir è totalmente volto ad abbracciarmi, il mio sembra esser fatto appositamente per rimanere in quella posizione, tra le sue braccia, sulla torre più alta di Francia, con una scatola di dolci al nostro fianco e Parigi a farci da sfondo. 
La mia capacità verbale sembra essersi dissolta, svanita totalmente alla luce di quello schermo. Non riesco a distogliere lo sguardo da quella immagine, come se fosse una calamita per me, qualcosa che attira inevitabilmente tutta la mia attenzione, più della mia migliore amica che continua a vantarsi di quella fotografia che prova l’amore tra i supereroi di Parigi, più di Rose che sembra persa in chissà quali pensieri dolci e romantici, addirittura più di Adrien che sorride con un cipiglio orgoglioso. Nonostante tutte queste distrazioni, i miei occhi non riescono a lasciare quella fotografia. 
Pian piano, i miei amici cominciano ad entrare nella struttura, lasciandomi all’ingresso con un’espressione confusa. Non so perché quella immagine mi abbia sconvolta tanto. Non è una reazione negativa, non come quella che ho avuto per l’ultima fotografia che Alya ha pubblicato sul Ladyblog, è qualcosa di diverso, un misto di curiosità e tenerezza che mi hanno lasciata con un leggero batticuore ed il desiderio di rivedere quella fotografia. 
Velocemente rincorro Alya e, una volta raggiunta, le afferro il braccio, attirando la sua attenzione. 
“Marinette?” 
“Mi dici come hai avuto quella fotografia?” 
Il suo sorriso smagliante mi abbaglia per qualche secondo, lasciandomi con l’impressione che quella domanda mi costerà mezz’ora di dettagli. 
“Ieri ho fatto l’acquisto migliore della mia vita” 
Dopo una storia lunghissima su come abbia messo da parte i soldi per tutto l’inverno occupandosi delle sorelline minori, la mia domanda trova risposta in un drone. Un drone. 
“Maledizione” 
Mi mancava la preoccupazione di un drone guidato dalla ragazza più curiosa e pettegola di tutta Parigi che, per di più, ha sviluppato da subito un interesse morboso verso Ladybug e Chat Noir. Adesso sì che sono tranquilla. Papillon che continua a dar vita a nemici, i miei sentimenti confusi che mi rendono facilmente oggetto di ferite anche durante la trasformazione, Adrien che non mi lascia un giorno di pace, quelle sensazioni indescrivibili quando sono con Chat Noir e adesso anche Alya ed il suo meraviglioso drone. 
Mi lascio sfuggire un sospiro pesante, attirando l’attenzione della mia amica. 
“Marinette, tutto bene?” 
Come colta in fallo, cerco di rassicurarla, ottenendo come unico risultato un sorriso luminoso da parte sua ed un nuovo motivo di ansia e preoccupazione per me. 
La settimana non poteva iniziare in modo peggiore. L’ansia per il bell’acquisto di Alya, però, perde, via via, importanza. Ho trascorso anni a non preoccuparmi di queste cose ed i droni esistono da più tempo di quello che ho passato io nelle vesti di Ladybug. Se finora nessuno è mai riuscito a scoprire le nostre identità, non vedo perché questo dovrebbe succedere adesso. 
 
Le lezioni si susseguono per tutto il giorno, fin quando un pensiero comincia ad infilarsi nella mia mente senza lasciarmi scampo. 
Cercando di non farmi notare dall’insegnante, afferro il cellulare ed inizio a digitare velocemente sul browser. Il primo risultato della mia ricerca non può che essere il Ladyblog. Apro la pagina dedicata alla creazione di Alya e trovo l’oggetto del mio interesse. In qualche modo, non so nemmeno bene io come, riesco a salvare quella fotografia sul mio telefono. Continuo a ripensare al motivo per cui quell’immagine mi attiri così tanto eppure non riesco ad afferrare il concetto alla base di tutto. Sarà per una questione di bellezza artistica? In fondo, io sono una stilista ed è normale che mi interessi la composizione della fotografia, lo studio degli spazi vuoti e pieni, delle luci e dei colori. 
Sospiro scioccamente, dandomi della stupida per i miei stessi pensieri. No, non penso proprio che io sia interessata a quell’immagine solo per quel motivo. È vero, però, che non ho idea di cosa pensare. Alla fine si tratta di una delle poche riprese di me e Chat Noir in contesti che non siano dovuti ad uno scontro con un super cattivo o simili. Forse è quello il motivo, forse davvero mi piace quella foto perché sembriamo solamente due ragazzi, senza super poteri, senza doppie vite, senza i problemi che i nostri ruoli ci impongono, solo io e lui. Io e lui. 
Continuo a sospirare, ignorando le occhiate curiose di Alya. Quasi non mi accorgo di due occhi verdi che mi osservano distrattamente. Il rientro di Adrien è quasi passato inosservato, l’attenzione della classe è stata completamente catturata dalla fotografia di Alya e dalla relazione tra i due paladini di Parigi che ormai sembra esser certa. 
Impiego qualche secondo di troppo ad accorgermi di una domanda che la mia amica sembra avermi rivolto. 
“Marinette? Mi stai ascoltando?” 
Alya sussurra, cercando di non farsi sentire dall’insegnante. Ormai sembra esser diventata molto brava a distrarsi dalle lezioni ed a distrarre me dalle lezioni. 
“Eh? Ah, sì” 
“Quindi? Cosa ne pensi?” 
“Di cosa?” 
La vedo lasciarsi scivolare sul bancone, con un sorriso divertito in volto. 
“Ti ho chiesto se hai pensato a quello di cui parlavamo la scorsa settimana” 
“Ancora? Alya, smettila di immaginarti chissà che cosa, sei davvero pesante a volte” 
Ha trascorso tutta la settimana passata a cercare di convincermi dei sentimenti di Adrien nei miei confronti ma speravo che, una volta tornato tra i banchi di scuola, la sua attenzione verso di me svanisse, anche solo per non farsi sentire da lui. Inutile dire che le mie aspettative si sono dimostrate del tutto vane. 
“Ma dai, non vedi come ti guarda? Non ha fatto altro da quando è tornato” 
La mia pazienza rasenta l’inesistenza. Sbatto con violenta il libro sul bancone, intimandole di smetterla. Alya continua a sorridere, certa delle sue parole mentre io tento di mantenere la calma per non urlare contro. Adoro la mia amica, le voglio un gran bene ma lei non ha idea di quanto tutto questo parlare di Adrien mi dia fastidio. Sembra che non riesca a capire quanto io abbia già sofferto a causa sua e, invece di spingermi a lasciarmi alle spalle tutta questa storia, non fa che ricordarmi la mia stupidità e la sua crudeltà. 
Senza pensarci troppo, attiro l’attenzione dell’insegnante, chiedendole di poter andare in bagno. Non sono solita interrompere le lezioni ma oggi proprio non riuscirei a rimanere concentrata sulle spiegazioni della professoressa, specialmente con Alya che continua a parlarmi di Adrien. 
Una volta raggiunti i bagni dell’istituto, mi sciacquo il viso con dell’acqua fredda, sicura di essere rossa in volto. Non so nemmeno per quale, tra i tanti motivi, io sia arrossita ma non voglio dover dare spiegazioni a nessuno. 
“Che situazione stupida” 
“Marinette, non stai bene?” 
La vocina di Tikki mi raggiunge, lasciando il suo nascondiglio per svolazzare davanti al mio volto. 
“No Tikki, non ti preoccupare, sto bene” 
“Sei sicura?” 
Sospiro un paio di volte prima di osservarla con tenerezza. La sua preoccupazione è dolce e confortante. Tikki è l’unica che sappia tutto di me, è l’unica che capisca i miei sentimenti confusi, sicuramente meglio di quanto potrei mai fare io.  
“Non capisco. Perché Alya continua a volermi spingere tra le braccia di un ragazzo che mi ha già rifiutata ed umiliata una volta?” 
Un sorriso dolce le tinge il volto. 
“Forse perché sa quanto tu abbia investito in questo sentimento” 
“A quanto pare ho solo perso tempo” 
“Sei sicura di poter definire il tuo primo grande amore una perdita di tempo?” 
Le parole di Tikki risvegliano qualcosa dentro di me. È stato davvero uno sbaglio? Il tempo passato a ritagliare fotografie dalle riviste, sognare un futuro con Adrien, immaginare la nostra vita assieme, i nostri figli, realizzare regali fatti a mano per cercare di stupirlo con qualcosa che non avrebbe mai potuto trovare altrove, le giornate trascorse a parlare con Alya di come avrei confessato quel mio grande amore. 
Un sorriso dolce mi sfiora. No, forse non è stata una perdita di tempo. In fondo, mi sono divertita in questi anni, ho affrontato molti momenti imbarazzanti con lui, è vero, non lo nego. Però devo ammettere di aver vissuto anche molti momenti pieni di allegria, di simpatia e dolcezza. Anche nelle piccole cose, riuscivo ad essere felice. Da quanto non mi capita qualcosa di simile? 
Un pensiero si insinua nella mia mente, bloccando le mie mani a mezz’aria, tra il mio viso e l’acqua che scorre dal rubinetto. 
Ci sono stati piccoli momenti in cui sono stata felice, o, per lo meno, istanti in cui mi sono sentita protetta ed a casa e tutti hanno come protagonisti una sola persona. Per quanto io per prima vorrei che quella persona fosse Luka, per quanto stare con lui sarebbe più semplice che innamorarmi di chiunque altro, non è il suo volto quello a cui sto pensando. Capelli biondi, occhi verdi, uno sguardo magnetico. Un solo nome mi salta in mente ed è con il sorriso in volto che mi abbandono al suo pensiero, uscendo dal bagno con una rinnovata allegria. 
“Marinette” 
La voce dell’ultima persona che volevo incontrare qui, mi raggiunge, raffreddando immediatamente i miei pensieri. Il ricordo dell’ultima volta che ci siamo visti in questo posto riaffiora dentro di me. In quell’occasione ha mostrato non solo molta preoccupazione ma anche qualcosa che ancora non riesco a definire. Riposare appoggiata alla sua figura è qualcosa che avrei sognato di poter fare solo nei miei sogni più rosei, un tempo. Adesso, invece, adorna un momento costellato di dolore, lo stesso dolore che mi ha costretta a barcollare fuori dalla classe e rifugiarmi in bagno per poi essere raggiunta da lui. Quel qualcosa che non comprendo, però, è la sua reazione alla cicatrice sul mio braccio. Chiunque avrebbe reagito in modo preoccupato ma, allo stesso tempo, avrebbe provato compassione per il mio essere maldestra. Lui, invece, sembrava pentito, colpevole quasi, anche se ancora non ho capito il motivo di quelle sue emozioni. 
Scuoto la testa velocemente, cercando di dimenticare quello che è successo quel giorno. 
“Adrien” 
“Come stai?” 
“Scusa?” 
Come sto? Che domanda è questa? Che significa? 
“B-beh, ecco io...” 
Il silenzio ci avvolge mentre lui cerca di balbettare qualcosa. È strano vederlo così, in questo stato di confusione, insicuro sulle parole da usare con me. Forse adesso riesco a capire cos’abbia pensato lui quando ero io a comportarmi in questo modo. È buffo, quasi tenero, eppure in un qualche modo anche terribilmente sbagliato. Alya ha ragione, anche se solo in parte. Adrien si sta comportando in modo diverso dal solito ma non credo sia per un qualche tipo di interesse nei miei confronti. Forse si sente solo dispiaciuto per tutto ciò che è successo tra noi negli ultimi tempi. 
Tornando a pensare a quella domanda strana, ancora non capisco cosa volesse chiedermi in realtà. 
Nelle ultime settimane, Adrien si è preoccupato per me per tanti motivi diversi. Dai miei attacchi d’ansia in sua presenza, al mio braccio, a quella ferita diventata una cicatrice chiara ed alla mia salute, vacillante più che mai. Quello, però, che torna ad occupare la mia mente è quel “mi dispiace, Marinette” detto subito dopo aver saputo che la fantomatica ragazza di Luka lo aveva lasciato. 
Quindi, a cosa si riferisce, adesso, con quella domanda? 
“Stai meglio?” 
Di nuovo, il senso delle sue parole mi sfugge ma qualcosa nel suo sguardo mi lascia capire quanto seria possa essere questa domanda per lui. Come sto? Non lo so nemmeno io. Sono confusa forse più di quanto lo ero l’ultima volta che ci siamo visti però, almeno fisicamente, ammetto di star meglio e forse è questo ciò a cui pensa lui. In fondo mi ha vista in momenti in cui non stavo per nulla bene. 
“Meglio?” 
Un sorriso rallegra il suo volto. 
“Lo chiedi a me?” 
Sospiro lentamente, cercando di capire il perché parlare con lui sia diventato così complicato. O meglio, più complicato di quanto non lo fosse già prima. 
“Adrien, sto bene” 
Il modello biondo sembra rilassarsi visibilmente dopo la mia risposta. 
“Sembravi piuttosto... Irritata prima” 
Il ricordo delle parole insistenti di Alya distrugge definitivamente il mio buon umore. 
“Lo ero” 
Lo vedo sbattere velocemente le palpebre, probabilmente cercando di capire cosa possa avermi fatta arrabbiare. Se sapesse che i nostri più cari amici hanno complottato tutta la settimana per costringermi ad accettare l’idea che lui possa essere interessato a me. Se soltanto lo sapesse, cosa farebbe? Quasi sicuramente si metterebbe a ridere, pensando a quanto sia stupida quella possibilità. Questo pensiero mi lascia un gusto amaro in bocca, come se fosse davvero così brutto poter prendere in considerazione l’idea di amarmi. 
Sbuffo pesantemente, ignorando quella sensazione drammatica. 
“Ho avuto una settimana pesante, Adrien. Cosa vuoi che ti risponda?” 
“Pesante?” 
Annuisco debolmente, ripensando agli ultimi sette giorni. Alya e Nino hanno attentato più volte alla mia salute mentale ma questo è solo un pezzo del puzzle. Il pensiero che Chat Noir fosse arrabbiato poiché convinto che io stessi ancora “usando” Luka non mi ha dato pace e la sua assenza non migliorava la situazione. Inoltre, Papillon ha deciso di movimentare il mio week end troppo spesso e la goccia che ha fatto traboccare il mio vaso pieno di pensieri, è stata quella conversazione di ieri. Quel bacio sulla fronte ancora mi brucia, un contatto leggero, eppure così intimo. Forse solo un modo per ringraziarmi ma con il fare unico e tipico di Chat Noir. 
“Mi dispiace Marinette, davvero” 
La mia pazienza, messa a dura prova dallo stress delle ultime giornate e dal suo modo di comportarsi, evapora, velocemente. 
“Continui a dirlo ma io non capisco a cosa ti riferisca!” 
Adrien indietreggia di qualche passo, come se fosse stato colpito dalle mie parole. Non volevo aggredirlo o urlare ma davvero, non sarebbe più semplice se la gente smettesse di girare attorno a ciò che vuole dire? È così difficile provare ad essere schietti e sinceri, una volta tanto? 
Scuoto la testa, cercando di calmarmi. Adrien mi guarda curioso, forse cercando di capire a cosa io stia pensando. Se solo potesse leggere la confusione nella mia mente, probabilmente impazzirebbe, come credo di aver fatto io nelle ultime settimane. 
Sospirando, mi volto verso il corridoio, cercando di tornare in classe. Ignorare la sua presenza, però, si rivela più difficile di quanto pensassi. Adrien mi afferra il braccio, fermando la mia corsa, di nuovo. Sembra che trattenermi vicino a lui sia diventata quasi un’abitudine. 
“Cosa c’è, Adrien?” 
La mia voce risulta stanca, esattamente come mi sento. Sono stanca dei suoi cambiamenti d’umore, sono stanca delle sue belle parole, sono stanca della confusione che mi provoca. Sono stanca. 
“Mi...” 
“No, ti prego. Non dirmi che ti dispiace, non farlo” 
Sospira lentamente, passandosi una mano tra i capelli biondi mentre con l’altra continua a stringere delicatamente il mio braccio. 
“Però è vero, Marinette” 
“Adrien...” 
La mia voce sembra quasi un lamento e, forse, è davvero così. Non voglio sentire le stesse parole senza comprenderne il significato, non ho bisogno di altra confusione nella mia mente. 
Osservo Adrien riflettere un momento e poi sorprendermi con parole che non avrei mai pensato di sentirli pronunciare. 
“Mi dispiace che ti sia ferita, mi dispiace di essermi comportato in modo... Strano, mi dispiace che tu stia soffrendo per colpa mia o... Sua” 
Mi volto completamente verso di lui appena sento quelle parole. Libero dalla sua presa il mio braccio e lui sembra convinto di potermi lasciare senza che io me ne vada. Ha ragione, perché quello a cui sto pensando adesso non è fuggire da lui e dal suo comportamento “strano” ma trovare certezze nei dubbi che avevo fino a pochi istanti prima. 
Sapevo che le parole dette dopo aver saputo della situazione di Luka, potevano solamente significare una cosa, eppure ho cercato in ogni modo di evitare l’argomento, pensando che fosse stupido credere davvero nella mia fantasia. Adrien non poteva sapere della relazione tra me e Luka, così come nessuno dei nostri amici. Mi sono rifiutata fermamente di pensare a quell’eventualità, perché un altro pensiero si sarebbe insinuato nella mia mente. Adesso, però, che tutto sembra stia prendendo consistenza, anche l’immagine di Adrien che sorride, sicuro di non essere visto, mi lascia più dubbi di quanti già non ne avessi. 
“Da quanto lo sai?” 
La sua mano prende ad arruffare i suoi capelli mentre il suo sguardo vaga per tutta la scuola, prima di posarsi nuovamente su di me. Sembra quasi stia cercando una qualche spiegazione logica. Non credevo di avergli posto una domanda così complicata, eppure qualcosa sembra averlo scosso. 
“Adrien?” 
Un mugugno esce dalle sue labbra, incomprensibile per me che non posso evitarmi un’espressione dubbiosa. 
“Da sempre” 
Un momento, solo questo chiedo. Un momento per cercare di capire cosa significhi questa frase ma più ci penso, meno riesco a trovare una risposta. La campanella della scuola interrompe quel discorso, lasciandomi con una certezza ed altre mille domande inespresse. 
Adrien si avvia in classe mentre io rimango ferma, bloccata, congelata in quel mio limbo. 
 
La giornata scolastica prosegue tra battutine di Alya, complimenti dei compagni di classe per la foto ed occhiate di Adrien che definire “strane” sarebbe davvero riduttivo. Non mi ha guardata nel solito modo scontroso o dispiaciuto ma con una sfumatura diversa, quasi sincera e dolce. Probabilmente mi sto solo immaginando ogni cosa, influenzata dalla sincerità che, per una volta, sembra essere uscita dalle sue labbra o, forse, dalla confusione assoluta che regna nella mia testa. Spero solamente che Papillon non decida di creare un nuovo nemico o questa volta potrei davvero trovarmi nei guai. 
Quando anche l’ultima campanella risuona nella struttura, finalmente posso evadere da ogni cosa e rinchiudermi nella mia stanza a contemplare il soffitto mentre ripenso ai problemi della vita. 
Proprio quando stavo per addormentarmi sulla chaise-lounge, un rumore ben distinto mi riporta alla realtà ed alla figura scura che mi aspetta oltre la finestra della mia stanza. 
Mi stropiccio gli occhi mentre salgo i gradini che portano al mio letto e, da lì, alla terrazza. Afferro la maniglia della finestra e lascio che l’aria ormai torrida invada la mia stanza. 
“Chat Noir?” 
Mentre mi arrampico incespicando quasi nei miei stessi piedi, lo vedo bearsi dei raggi solari, steso sulla mia terrazza. 
“Principessa, potrei abituarmi a prendere il sole qui, sai?” 
“Sarebbe difficile con quel costume, non credi?” 
Un ghigno malizioso prende vita sul suo volto, lasciandomi decisamente senza parole. So che ama scherzare e lasciarsi andare a battutine imbarazzanti con Ladybug ma con Marinette raramente ha mostrato questo lato di sé. A quanto pare, ha deciso di cambiare abitudini e, distrattamente, inizio a chiedermi perché. 
“Preferiresti che lo togliessi?” 
La mia mano destra si scontra violentemente con la mia fronte, ricordandomi di avere a che fare con il gatto più egocentrico di Parigi. 
Scuoto la testa, lanciandogli uno sguardo di rimprovero. 
“Non posso correre il rischio di scoprire chi ci sia sotto quella maschera, lo sappiamo entrambi” 
Il suo ghigno si allarga, influenzando anche il verde di quegli occhi incredibilmente profondi. 
“Questo non è un no” 
Lo vedo allungare le braccia sopra la testa, consapevole di mettere in mostra il suo corpo, per poi tornare seduto ed osservarmi con quel cipiglio divertito e malizioso. 
Ignorando la sua espressione, decido di sedermi al suo fianco, lasciando che il sole sfiori la mia pelle, coperta solamente da una maglietta corta, nera e senza maniche ed un pantaloncino in cotone dello stesso colore. 
Mi accorgo distrattamente che sia la prima volta che indosso qualcosa di davvero estivo, vestiti che non ho scelto per nascondere qualche livido provocato da uno scontro con un nemico di Parigi o la cicatrice che ancora è sconosciuta per la maggior parte delle persone a me care. Inizio a chiedermi quando mi sia diventato così facile mostrare quel solco chiaro alla persona che ne è responsabile, in qualche modo. Che sia colpa del troppo caldo o un tentativo per accettare che quella cicatrice rimarrà con me per sempre, non è importante. L’unica cosa di cui voglio interessarmi, adesso, è il sole caldo che può donare un po’ di colore alla mia pelle. 
Qualcosa, però, sembra impedirmi di godere di quel momento ed io so esattamente cosa sia. 
Lo sguardo di Chat Noir mi studia, lasciando che il suo volto si apra in un enorme sorriso. La curiosità mi divora ma prima che io possa aprir bocca, la sua frase arriva alle mie orecchie, così come le sue labbra, fin troppo vicine alla mia pelle. 
“Ti dona molto il nero” 
Un qualche doppio senso ironico mi sfugge, mentre lui si scosta notevolmente da me e torna ad appoggiarsi alla terrazza. Nemmeno mi ero accorta di aver trattenuto il respiro a causa della vicinanza di Chat Noir è solo quando lo vedo sdraiato nuovamente accanto a me, riprendo a far entrare ossigeno nei miei polmoni. 
Il mio mondo perde consistenza solo un attimo, riportandomi alla realtà solo per presentarmela confusa e piena di domande, di nuovo. 
Sbuffo sonoramente, cercando di ritrovare una calma che sembra evaporata. Solo il caldo torrido dell’estate in arrivo riesce a liberare la mia mente, lasciandomi, però, la pelle bollente e sudata. 
Raccolgo i capelli sulla testa, afferrando l’elastico che tenevo sul polso e li fermo in una crocchia disordinata che lascia cadere alcune ciocche, troppo corte per essere intrappolate in quella morsa dolce. 
Sento lo sguardo di Chat Noir sfiorarmi e, con ancora le mani tra i capelli, mi volto verso di lui, trovandolo intento a fissarmi. Il suo non è uno sguardo dolce o canzonatorio, piuttosto qualcosa che non riesco a decifrare al meglio. 
I suoi occhi continuano ad osservare il mio corpo e più sento il tempo passare, più la situazione sembra diventare stranamente imbarazzante. 
“C-chat?” 
Il suo modo di guardarmi inizia a farsi insistente e solo sentendo la mia voce, il ragazzo gatto sembra riprendersi da chissà quali pensieri. A volte mi piacerebbe davvero poter entrare nella sua testa e capire su cosa stia rimuginando. 
“Chat...” 
“Eh?!” 
“T-tutto bene?” 
“Eh? S-sì, certo, t-tutto bene” 
I suoi occhi si specchiano un solo istante nei miei, lasciandomi vedere quanto quel verde sia diventato profondo ma quello che mi attira maggiormente è la pelle leggermente arrossata del suo volto. 
Esattamente come quando ci siamo ritrovati sul mio letto qualche giorno fa, l’imbarazzo scende su di noi. Questa volta però non sono discorsi particolari o il luogo intimo a caricare l’aria di tensione ma lo sguardo che Chat mi sta rivolgendo.  
Per smorzare quella situazione, mi lascio ricadere sulla terrazza, sdraiandomi sulla superficie ruvida. Porto una mano sulla mia pancia leggermente scoperta e l’altra sui miei occhi, cercando di ignorare lo sguardo di Chat Noir. Un pensiero sciocco mi avvolge, forse, se non posso vedere i suoi occhi intenti a fissarmi, posso far finta che non lo stia facendo per un motivo che, sono quasi sicura, non mi direbbe mai e poi mai. 
Un sospiro lento esce dalle mie labbra e questo sembra provocare una reazione fin troppo esagerare nel biondino al mio fianco. Chat Noir si alza velocemente e, senza nemmeno darmi il tempo di capire cosa sia successo o cosa io abbia fatto, si inventa la scusa più banale al mondo per fuggire sui tetti della città. 
Una lieve risata stravolge il mondo fatto di domande ed incertezza che mi avvolgeva e Tikki compare al mio fianco con un’espressione tra le più divertite. 
Il mio sguardo curioso sembra riportarla da me mentre continua ad osservare il nostro compagno di battaglie fuggire da questa terrazza. 
“Tu hai capito cosa sia successo?” 
La risata di Tikki riprende ed io inizio a chiedermi se tutto il mondo sia impazzito o se solo io sia diventata improvvisamente stupida. 
Tikki indossa un sorriso ambiguo, dai tratti sinceri e dolci ma con anche una sfumatura maliziosa che non le si addice. Il Kwami della fortuna non mi ha mai mentito se non per proteggermi e, come sempre, dovrò solamente fidarmi del suo buon senso ed accettare che non voglia dirmi ciò che a me sfugge in questo momento. 
Un ultimo sguardo verso la direzione presa dal gatto nero e mi decido a rientrare in camera mia, se non per studiare, almeno per provare a distrarmi da questo inizio settimana dai tratti bizzarri. 
 
I giorni trascorrono lentamente, lunedì scivola lontano, sostituito dal martedì e poi dal mercoledì. Più il week end si avvicina, più la mia pazienza sembra si stia esaurendo. Ogni volta che vedo Adrien a scuola, le sue parole mi inseguono. Ho provato qualche volta ad avvicinarmi a lui, sperando di potergli chiedere spiegazioni ma ogni volta qualcuno, o qualcosa me lo ha impedito. Nino, Alya, un compito in classe a sorpresa, la pausa pranzo con la seguente corsa per riuscire ad afferrare l’ultimo trancio di pizza. 
Le domande, così, sono rimaste nella mia mente, a vorticare procurandomi grandi mal di testa. Come diavolo faceva Adrien a sapere della mia relazione, o qualunque cosa fosse, con Luka? Da quanto lo sapeva esattamente? Perché non mi ha mai detto nulla? Soprattutto... Cosa diavolo significava quel sorriso e quel “mi dispiace” che mi stanno torturando? Era tutto collegato a me e Luka? Oppure era dispiaciuto per quella ferita al braccio? Oppure al fatto che abbia spezzato il mio cuore e reso il nostro legame qualcosa di indefinito ed imbarazzante? 
Più mi interrogo su tutto questo, meno riesco a venirne a capo. 
Oltre questa situazione riguardo ad Adrien, si aggiunge lo strano comportamento di Chat Noir. Da quel giorno in cui è scappato come un ladro, è tornato a trovarmi solo ieri, quando stavo ormai per andare a dormire. Una visita veloce solo “per salutarmi”, così ha detto ed io gli ho creduto, almeno fin quando non l’ho visto cambiare umore come il peggiore dei lunatici. In fondo, prima che gli aprissi la finestra e lui si fiondasse nella mia stanza senza essere invitato, di nuovo, sembrava avere la solita espressione felice e disinvolta di sempre. Una volta toccato il pavimento di casa, invece, i suoi occhi si sono colorati di una sfumatura più scura, quasi come se gli avessi dato modo di pensare a chissà cosa. Nessuna battutina, nessun commento, niente, solo qualche minuto passato assieme, di nuovo sul mio letto in una situazione ambigua, lo ammetto ma niente di così sconvolgente che potesse metterlo a disagio. In fondo non ci eravamo avvicinati poi chissà quanto, né avevamo parlato di qualcosa di particolare o ci eravamo sfiorati come l’ultima volta che lo avevo avuto su quel materasso. Quel pensiero ancora mi fa arrossire quando mi capita di ripensarci. 
In questo caso, invece, avevo vagliato ogni possibile causa di quel comportamento ma niente aveva acceso la lampadina del mio cervello, finendo con il pensare che mai sarei riuscita a capire quel mistero vestito di nero. 
A volte mi chiedo che tipo di problema possa avere ed è questo che vorrei chiedergli adesso che lo sento bussare nuovamente alla mia finestra. 
La brezza leggera della sera cozza leggermente con il caldo sole che ormai è vicino al tramonto e mi costringe ad indossare un cardigan leggero che ricade sul mio corpo senza coprirlo davvero. Una volta uscita sulla terrazza, il suo sorriso si smorza nuovamente, anche se questa volta per lo meno si degna di provare a nasconderlo. Questa situazione mi manderà al manicomio, ne sono sicura. 
Con una naturalezza e tranquillità che assolutamente non fanno parte di me, mi avvicino lentamente al gatto nero dal comportamento irritante. 
Lo vedo voltarsi verso la capitale, lasciandomi osservare la sua schiena e non il suo volto. Il mio indice prende vita propria e decide di picchiettare sulla sua spalla, cercando di attirare la sua attenzione. 
“Marinette” 
Il suo sguardo rimane ancorato al sole che sembra si voglia nascondere tra i palazzi di Parigi. L’impressione che vedermi non sia più qualcosa di positivo per lui diventa sempre più plausibile e, distrattamente, inizio a chiedermi se non sia colpa mia. In fondo, non riesce nemmeno più a guardarmi negli occhi e quel “principessa”, il modo buffo in cui aveva iniziato a chiamarmi sempre più spesso, è tornato ad essere un semplice e banale “Marinette”. 
Cercando di ignorare la pungente sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutta quella situazione, affianco Chat Noir, cercando di osservare la sua espressione. Appena il mio sguardo si posa su di lui, però, il suo si rifugia nei palazzi accanto al mio, portandolo a voltarsi. Punta sul vivo, inizio a chiedermi quanto dovrò comportarmi da bambina per cercare di capire cosa stia succedendo. È per questo motivo che rincorro il suo sguardo muovendomi da un lato all’altro del suo corpo, ritrovandomi a pensare a quanto questa stupida situazione stia iniziando a darmi sui nervi. 
Sbuffo pesantemente e mi decido ad afferrare il suo braccio per farlo voltare completamente verso di me. Qualcosa sembra finalmente scuoterlo, forse la mia presa ferrea, forse l’impeto che ci ha spinti a pochi centimetri l’uno dall’altro. 
I suoi occhi finiscono prima sulla mia mano, ancora stretta a lui, poi al mio volto ed, infine, al panorama alle mie spalle. Quel contatto inizia a pizzicarmi qualcosa dentro, lasciandomi una strana sensazione di disagio, o forse di imbarazzo, un sentimento particolarmente intenso che mi costringe a lasciare il suo braccio, come scottata da quel gesto. 
Sbatto velocemente le palpebre un paio di volte, cercando di riacquistare una qualche forma di calma che nemmeno prima sembrava appartenermi. 
“Chat?” 
La mia voce sembra velata di quell’imbarazzo vissuto fino a pochi istanti fa ma mi impongo di ignorare la situazione, richiamandolo un paio di volta ancora. A nulla sembra servire la mia voce ed io decido di comportarmi da persona matura, ignorare il bruciore che ancora sento sul palmo ed afferrare il suo volto con entrambe le mie mani. Quel fuoco sembra ricomparire ed invadere ogni parte di me quando finalmente i suoi occhi incontrano i miei. Ho visto spesso quel verde sciogliersi in un miscuglio di emozioni ma mai mi erano sembrati così intriganti. Quella tonalità che molte volte ho visto tinta di divertimento, di dolcezza e complicità con Ladybug, adesso sembra vinta da qualcosa di incomprensibile, qualcosa che mi lascia con la bocca leggermente aperta, qualcosa di totalmente diversa da ciò che ho trovato in quella foto di qualche giorno fa. 
Chat Noir mi osserva in modo che potrei benissimo definire “strano” e quando cerco di parlargli davvero, quando finalmente trovo la forza di dirgli che mi deve delle spiegazioni per tutta una settimana di comportamenti senza motivo, i suoi occhi si scostano dai miei. Ciò che mi colpisce è la direzione che hanno preso le sue iridi. Dai miei occhi, il suo sguardo scivola verso il basso osservando la mia figura nella sua interezza. Quando sembra avermi scrutata abbastanza, riporta i suoi occhi in un percorso a ritroso, per poi fermarsi sulle mie labbra. Una strana sensazione si fa spazio dentro di me, quasi come se mi avesse spogliata con lo sguardo. 
I suoi occhi ancora mi fissano le labbra, seguendo ogni loro movimento in un gesto meccanico che quasi mi costringe a socchiuderle, in attesa che le parole decidano di uscire dal mio corpo. 
Non so perché continui a guardarmi in quel modo. Non so perché continui a guardarmi le labbra, una porzione di pelle decisamente strana da osservare con insistenza. Non so perché sento quasi il cuore voler compiere una maratona per Parigi. Non so perché il suo volto ancora sia stretto tra le mie mani, in una presa che vorrebbe essere decisa ma che risulta solamente leggera e senza determinazione. Per quanto, però, le mie mani non stiano più esercitando alcuna pressione su di lui, Chat Noir non sembra intenzionato a muoversi di un millimetro da quella posizione. 
Il mio corpo inizia a non rispondere più agli input mandati dal cervello. Mi ritrovo immobile, bloccata in un gioco di sguardi che non so quanto a lungo riuscirò a sopportare. 
Dopo vari tentativi e molti sospiri, un dettaglio, o per meglio dire un pensiero del tutto fuori luogo, mi costringe a chiudere le labbra in un’espressione seria. Una linea netta mi dipinge il volto mentre ricordo molto bene una persona che, alcune settimane fa, aveva lo stesso sguardo. 
Ripenso alla sensazione alla bocca dello stomaco, al desiderio scorrermi nelle vene ed a cosa sia successo dopo. Più è più volte. 
Quegli occhi, sono gli stessi che ho visto riflessi in quelli di Luka, i miei. Quante volte l’ho guardato esattamente nello stesso modo, quante volte ho osservato quelle labbra carnose desiderando di assaggiarle anche solo per qualche istante, quante volte mi sono rifugiata in quei baci che sapevano farmi sentire meglio. 
Ecco, sono sicura che l’espressione di Chat Noir si avvicini davvero molto a quella che avevo io in quei momenti. La malsana idea che la mia mente ha partorito, però, non può dimostrarsi veritiera. Chat Noir non prova per me quello che io provo, o provavo, per Luka. 
Certo, mi è stato accanto in un periodo in cui nemmeno Alya poteva aiutarmi e sì, si è dimostrato un amico talmente sincero e schietto da dirmi che “usare” il chitarrista non era la soluzione migliore, specialmente per i sentimenti che lui nutre per me. Però, da questo a pensare che Chat Noir possa volermi baciare la strada è sconfinata. 
Per l’ennesima volta, sospiro e sbatto velocemente le palpebre, cercando in ogni modo di scacciare quella folle idea dalla mia mente. 
Perché folle? 
Una vocina dentro di me continua a ripetermi quella domanda in continuazione, arrivando anche a suggerirmi che forse, forse, solamente forse, ci sia davvero qualcosa di vero nei miei pensieri. 
Devo essere impazzita. Del tutto. 
In questo susseguirsi di pensieri, basta un attimo di esitazione, un solo istante perché io nemmeno mi accorga della distanza tra noi che continua ad accorciarsi. 
Quando si è avvicinato così tanto Chat Noir da sentire il suo profumo invadermi con prepotenza? Ha sempre avuto quella sfumatura chiara negli occhi? Molto più simile ad un verde tinto di un giallo ambrato piuttosto che un colore piatto è monocromatico. In effetti non avevo mai notato molte cose del suo viso, gli occhi profondi, in cui perdersi per un tempo indefinito, il naso che gioca ad un delicato equilibrio sul suo volto e le labbra. Ammetto che non sia la prima volta che mi soffermo a guardarle ma solitamente sono rilassate, mostrano un bel sorriso o un’espressione maliziosa, anche se mai rivolta alla vera me stessa ma questa volta sembrano tirate in una linea retta, un misto di agitazione e qualcosa a cui non voglio pensare, assolutamente. Perché ciò che la mia mente sta architettando è di riesumare i film mentali di qualche istante fa. 
Ormai pochi centimetri ci separano, rendendo difficile anche solo distinguere i miei sospiri dai suoi. Non ero pronta a questo, non ero pronta a vederlo di nuovo comportarsi in modo così strano, non ero pronta a doverlo rincorrere per capire cosa stesse succedendo, non ero pronta a sentirlo così vicino. La cosa che mi confonde maggiormente, è, però, un’altra. Non ero pronta a desiderare tutto questo in modo così prepotente. 
Come a voler sottolineare la stupidità dei miei pensieri, qualcosa si muove nel panorama alle spalle di Chat Noir, lasciandomi sbalordita, confusa e follemente arrabbiata. 
I miei occhi si tingono di frustrazione mentre dalle mie labbra iniziano a non uscire che parole sconnesse. 
“Ladybug…” 
“Eh?” 
Quel sussurro mi sfiora il viso in modo dolce ma rude, un connubio incredibilmente confuso. 
“Tu e lei…” 
Chat Noir lascia un attimo il suo sguardo vagare tra le mie labbra ed i miei occhi, per poi riflettere su qualcosa della quale io mi ero anche completamente dimenticata. 
“La stavo ringraziando per avermi salvato la vita, niente di più” 
Quella frase, poche parole in verità, hanno un potere su di me che non credevo possibile. Se da una parte mi fa piacere che, finalmente, abbia capito quanto Ladybug e Chat Noir non potranno mai stare assieme ed amarsi come vorrebbe, dall’altra parte mi sento quasi offesa da quella spiegazione. È vero che mi stava ringraziando ed è vero che, tra i due, sia io quella con l’espressione ebete sul volto, però quel gesto, quella fotografia, è talmente bella che quella frase sembra quasi sporcare il momento. Altre mille domande iniziano a prendere vita dentro di me. 
Cosa significa che mi stava solo ringraziando? Da quando si ringrazia la gente baciandola sulla fronte ed attirandola tra le proprie braccia? Perché non dà a quel gesto il significato sul quale avrebbe spinto anche solo poche settimane fa? Si è già dimenticato di Ladybug? Ha fatto in fretta! Perché, poi, sembra darmi così tanto fastidio tutto questo ma, allo stesso tempo, rendermi estremamente felice? Perché mi sento quasi sollevata dal fatto che lui voglia assicurare a me, Marinette, che tra di loro non ci sia nulla? 
Maledizione! 
In mezzo a tutti quei pensieri, nemmeno mi rendo conto di aver appena sfiorato la morte. Una sfera infuocata grande quanto uno di quei palloni usati per pilates si è scagliato violentemente accanto a me, producendo un tonfo sordo all’ingresso della mia camera da letto, che viene bloccata dai detriti della struttura. Una sensazione molto calda mi nasce in volto, lasciandomi con la consapevolezza di avere una leggera scottatura proprio sotto l’occhio destro. 
“Marinette?! Stai bene?” 
Ancora confusa da tutto ciò che sembra accadere in questa giornata, mi sento scuotere debolmente dal gatto nero al mio fianco che inizia ad osservare il mio volto come se dovesse trovarci un qualche segno di vita. 
Gli occhi di Chat Noir continuano a saggiare la mia pelle fino a ritenersi soddisfatto nel non aver trovato altre ferite. Dopo essersi assicurato che avessi ancora la forza di parlare , lo vedo stringere una mia mano tra le sue, lasciandomi con una semplice frase. 
“Non muoverti da qui” 
Come se fosse un ordine e non un consiglio, le mie gambe sembrano acquisire la consistenza della gelatina per poi lasciarmi cadere al suolo quando gli occhi di Chat Noir tornano ad osservare la città di Parigi, sicuro di dover trovare il colpevole di tutto quel trambusto. Nel suo sguardo non c’è preoccupazione ma solo qualcosa di molto simile alla rabbia folle ed è quello che mi spaventa maggiormente. 
Impiego un tempo infinito per riprendermi da quello stato di trance e ricordarmi di essere anche io la portatrice di un Kwami e non uno qualunque ma di quello che, alla fine di ogni battaglia, ha il compito di purificare le akuma e riportare Parigi alla sua normale bellezza. Presa da non so quale agitazione, richiamo Tikki che, attraversando le macerie, riesce a raggiungermi e lasciarmi usare i suoi poteri per qualche tempo. 
Velocemente afferro lo yo-yo e volo tra i tetti di Parigi, in cerca di un gatto che, preso dalla furia, potrebbe essere capace di qualunque cosa. 
Atterrata in una piazza desolata, un rombo molto vicino mi sorprende, mentre alte fiamme vive mi avvolgono, creando, attorno a me, una sorta di delimitazione, il perimetro per la battaglia. Qualche istante più tardi, tra il fuoco si fa largo un’apertura che lascia entrare due figure avvinghiate e dedite ad uno scontro più fisico che “magico”. 
Chat Noir prova in ogni modo a raggiungere il bastone da circense che il nemico stringe tra le mani. Vicino a risolvere quella battaglia nel minor tempo mai visto, il cattivo della situazione ribalta completamente la situazione, iniziando a produrre strane palle infuocate dall’estremità della composizione in legno e metallo. Pochi istanti bastano a Chat Noir per comprendere che quegli attacchi non devono essere sottovalutati e, mentre lui continua a lottare fisicamente contro il nemico di Parigi, io cerco un modo più sicuro di porre fine ad ogni cosa. 
È proprio mentre osservo tutto con attenzione che vedo questo nuovo nemico sferrare un pugno avvolto dalle fiamme al mio compagno di battaglie, lasciandogli parte del costume bruciato e, sotto di esso, una lieve scottatura sulla pelle, all’altezza dell’addome. Un altro paio di colpi lo raggiungono ed io inizio a pensare che, più che cercare una via sicura, dovrei preoccuparmi di lui e del fatto che, di nuovo, si stia facendo prendere dai suoi sentimenti confusi durante una lotta. Il braccio sinistro di Chat Noir si tinge di rosso in più punti mentre il tessuto nero svanisce sotto ai miei occhi. Un istante solo basta per farmi capire quanto sia grave la sua situazione. Senza più pensare a cosa sia più logico fare, inizio a correre per raggiungerli e riesco appena in tempo ad afferrare il nostro nemico per le spalle, finendo per rotolarmi con lui lontano da Chat Noir. Nemmeno mi preoccupo della sensazione di calore in tutto il corpo, effetto del potere di questo personaggio in fiamme. L’importante è che lui sia al sicuro, l’importante è che smetta di procurargli ferite che guariranno con molta calma, l’importante è averlo distratto abbastanza da trovare un modo per sconfiggerlo. 
In una posizione davvero scomoda, riesco a richiamare il Lucky Charm che compare sotto le sembianze di ciò che più mi poteva servire in questa occasione. Un boomerang rosso a pois neri ricade dal cielo a pochi metri da noi, vicino abbastanza da poterlo raggiungere ma non a sufficienza da sfuggire alle grinfie del nemico che, con una mossa ben assestata, mi blocca qualunque via di fuga. 
Il suo bastone finisce sulla mia gola, impedendomi quasi di respirare, mentre con una mano inizia a percorrere le mie braccia lasciando una scia infuocata sulla mia tuta. L’unica cosa a cui posso aggrapparmi è la speranza, remota e quasi insensata, di avere abbastanza chiarezza e tranquillità in me da non dover trascorrere i prossimi giorni, o settimane, a curare nuove ferite. 
Muovendomi appena, riesco a far avvicinare entrambi al Lucky Charm, prima di sentire la sua mano sfiorarmi il volto ed avvicinarsi pericolosamente al Miraculous della coccinella. Tento in ogni modo di raggiungere quel dannato boomerang, sicura che il mio yo-yo non avrebbe la stessa efficacia ma più mi sforzo, più le sue mani si avvicinano pericolosamente ai miei orecchini. 
Una figura scura si scaglia contro il nemico, creando un nuovo groviglio di corpi e lasciandomi libera di agire velocemente. Senza prestare troppa attenzione a ciò che sta succedendo tra Chat Noir e quella figura in fiamme, afferro il boomerang e lo lancio a poca distanza da noi dove inizia a cambiare direzione, finendo esattamente dove poco prima avevo visto alcuni estintori a schiuma. Un’esplosione ci avvolge, invadendo le strade di Parigi di una consistenza bianca ed appiccicosa che sembra placare, oltre al nemico, anche le mie lievi scottature. Solo in quel momento mi rendo conto che la tuta che indosso ha subito solamente lievi danni, diventando leggermente trasparente ma, per mia fortuna, senza lasciarmi ferite da curare. 
In mezzo a quella confusione, riesco ad individuare con facilità il nostro nemico, riuscendo a strappargli l’oggetto contenente l’akuma e liberando Parigi da quella maledizione. 
Il mondo attorno a me riprende colore, liberandosi da quella schiuma ed io finalmente posso dedicarmi alla ricerca di quel gatto nero. 
Attorno a me, solo il silenzio. Provo a chiamarlo, più volte ma la sua voce non mi risponde. Inizio a correre ovunque, sperando di vederlo, sperando che stia bene, sperando che ci sia una spiegazione logica al suo silenzio che non mi faccia impazzire dalla preoccupazione. 
All’ingresso di un vicolo buio, sento una presenza alle mie spalle e quando mi volto, riesco solo a vedere la sua figura sparire tra i tetti della città. 
Senza pensare alle conseguenze o al tempo che mi rimane a disposizione, decido di inseguirlo. Ho bisogno di sapere che stia bene, che le scottature che ho visto siano le uniche ferite che il nostro nemico è riuscito ad infliggergli. 
Inseguo quel gatto per quasi tutta la città, chiamandolo a gran voce ma sembra quasi che lui stia cercando di ignorarmi. La nostra corsa si perde accanto alla Senna, dove quella macchia nera riesce a sfuggirmi. Atterro accanto al canale, dove noto l’ultima persona che pensavo di rivedere così presto. 
“Luka” 
Ignorando i vari sentimenti che vivono in questo momento dentro di me, mi avvicino correndo a lui. 
“Ciao” 
“Ma… Ladybug” 
Un silenzio imbarazzante ci avvolge ed io devo far appello a tutta la mia forza per ignorare i suoi sentimenti e porgli una semplice domanda. 
“Hai visto Chat Noir?” 
Il suo volto si tinge di sorpresa mentre mi avverte di averlo visto di sfuggita ma di non sapere dove sia diretto. 
“Sei sicuro?” 
Ricomincio a cercarlo con lo sguardo, fin quando non scorgo un’altra persona raggiungerci. Quando finalmente si accorge di chi io sia, si avvicina velocemente, lanciandomi uno dei suoi sorrisi migliori. 
“Ladybug!” 
“Chloé, hai visto Chat Noir?” 
So di aver saltato qualunque convenevole ma non ho tempo adesso di chiacchierare allegramente con un ragazzo che sta soffrendo a causa mia e con la ragazza che ha reso difficile qualunque cosa nella mia vita adolescenziale. 
“Ehm sì, mi sembrava stesse andando verso il Louvre” 
“Grazie, Chloé, grazie!” 
Non avrei mai pensato di poter ringraziare quella ragazzina dai capelli biondi. Prima di allacciare il mio yo-yo ad un palazzo accanto a noi, mi rivolgo nuovamente verso Luka. 
“Mi dispiace, Luka. Davvero” 
Chloé ci guarda incuriosita mente io sparisco dalla loro vista. Tra i tetti di Parigi, seguendo le indicazioni della mia compagna di classe, ritrovo velocemente Chat Noir. Sembra ancora intento a scappare verso non so bene dove ed io non posso che sentirmi sollevata. Se riesce a muoversi con facilità, forse le sue ferite non sono così profonde come credo. 
Quasi a beffarsi dei miei pensieri, la figura di Chat Noir inciampa lungo la via e, dolorante, si trova costretto a nascondersi in un vicolo poco distante. 
Velocemente lo raggiungo, preoccupandomi appena del fatto che potrebbe anche essersi già ritrasformato. Solo quando appoggio a terra i piedi, mi accorgo che, in quella stradina, non sembra esserci nessuno. 
“Chat Noir” 
Sussurro il suo nome più volte e nemmeno io so bene il motivo che mi spinge a non urlarlo con tutte le mie forze. Forse è la paura che qualcuno possa scoprirci qui, la paura che se qualcuno si avvicinasse, potrebbe scoprire davvero chi siamo. In fondo, non mi rimangono più molti minuti a disposizione, lo so bene. 
“Chat Noir!” 
Un ultimo disperato tentativo ed un lamento mi raggiunge da dietro una porta. 
“Ladybug…” 
Velocemente mi avvicino a quella superficie in legno trovandolo leggermente aperta. Prima di muovere un solo passo, cerco di capire dove possa trovarsi lui e se sia ancora trasformato o meno ma i miei occhi, quelli di una ragazza comune, senza poteri da gatto, non riescono a carpire nemmeno un dettaglio. Tutto quello che mi rimane da fare è appoggiarmi al muro accanto a quella porta e sospirare un paio di volte. 
“Come stai?” 
Sembra la domanda più stupida del mondo, specialmente se paragonata a quelle che avrei voluto fargli prima di questo attacco. Eppure, è anche l’unica cosa che mi preme sapere. 
“Be…” 
“La verità” 
Chat sembra prendersi del tempo per trovare la risposta migliore e, quando la sua voce torna alle mie orecchie, rimango leggermente sorpresa. 
“Sono stato meglio… ma anche peggio” 
Il ricordo di quando quelle stesse parole erano scivolate dalla mia bocca mi lascia quasi senza fiato. Mi perdo un attimo nel chiedermi se anche lui stia ripensando a quel momento o se si tratti solo di una coincidenza. Una strana coincidenza. 
“Quanto è grave?” 
“Non tanto, in verità. Solo qualche bruciatura che spero guarisca il prima possibile” 
Il silenzio tornò ad avvolgerci mentre sento i battiti del mio cuore riprendere un ritmo quasi normale. 
“Hai la pomata?” 
“Eh?” 
“La pomata del Maestro, ne hai ancora? ” 
“Ah, sì, a casa” 
Mi consola il fatto che non l’abbia finita e che, una volta rientrato, potrà avere un qualche tipo di sollievo. Questo, però, non riesce a lenire il mio desiderio di sapere quanto stia male. Sono riuscita a vedere solamente i primi lividi, le prime ferite ma non so se ce ne siano state altre. 
I miei pensieri vengono interrotti dalla sua voce, ancora provata. 
“Penso di doverti ringraziare di nuovo, Ladybug” 
Le sue parole mi costringono a sbattere le palpebre più volte, in cerca di una qualche spiegazione che non sembra farsi attendere. 
“Se non ti fossi buttata letteralmente su di lui, probabilmente adesso starei molto peggio” 
“Non potevo permettergli di ferirti” 
Una bassa e breve risata esce dalle sue labbra ed io sono sempre più tentata di ignorare ogni precauzione per avvicinarmi a lui. 
“Non pensavo tenessi tanto a me, my lady” 
“Davvero?” 
Quel pensiero mi lascia un gusto amaro in bocca. Sembra quasi che Chat Noir non sappia quanto realmente sia importante per la mia vita e questo non mi rende sicuramente felice. 
“No. So quanto ti preoccupi per me. Me lo hai dimostrato quando mi hai vietato di combattere al tuo fianco” 
“Ho dovuto farlo” 
“Lo so” 
Un’altra risata lo scuote mentre muovo un piede nella sua direzione, stanca di non poterlo vedere in faccia. 
“Non ti conviene avvicinarti, coccinellina, a meno che non voglia scoprire chi si nasconda sotto la maschera nera” 
Il mio piede si blocca, indeciso se compiere quell’ultimo passo o meno. 
“In verità, per me non ci sarebbero problemi. Non ce ne sono mai stati” 
Sbuffo pesantemente, sedendomi accanto alla porta che ci separa. 
“Perché allora mi hai fermata?” 
“Perché so quanto tieni a separare le nostre vite private da quelle da supereroi” 
Un ricordo divertente mi lascia un sorriso in volto. 
“Non eri tu quello che aveva detto non si sarebbe coperto gli occhi davanti alla mia trasformazione?” 
“Ed è vero” 
“Però mi hai fermata” 
“Se un giorno vorrai sapere chi sono, preferisco che sia tu a dirmelo e non che succeda in una situazione come questa” 
Lascio la mia mente libera di riflettere sulle sue parole e, più ci penso, più capisco il suo discorso. Mentre ancora sono intenta ad ascoltare la mia testa, lo sento ridere di nuovo ed almeno questo riesce a rassicurarmi riguardo la sua situazione, anche se solamente in parte. 
“E poi, preferirei che ti ricordassi di un ragazzo senza lividi o scottature varie” 
Un lieve sorriso dipinge le mie labbra. Con o senza lividi, se scoprissi la sua identità, sono sicura che non cambierebbe mai ciò che provo per lui, la gratitudine e la complicità che ci lega o l’affetto ed il senso di protezione che ci accomuna. 
Decido di riportare la conversazione su binari più stabili e sicuri, cercando di smorzare la tensione che sento salire prepotente tra noi. 
“Comunque penso di doverti ringraziare anche io questa volta” 
“E per cosa?” 
La sorpresa trapela dalla sua voce e, se potessi vedere il suo volto, probabilmente avrebbe dipinta un’espressione tra le più confuse e divertenti al mondo. È strano immaginare quanto lui si preoccupi per me senza capire quanto io gliene sia grata. 
“Se non fossi intervenuto, sicuramente avrebbe preso il Miraculous” 
“Penso che tu abbia le idee un po’ confuse Ladybug” 
“Confuse?” 
Si, ho la mente in una confusione incredibile da giorni, se non settimane ma proprio non capisco cosa stia cercando di dirmi. 
“Cosa significa?” 
“Che non stavo cercando di evitare che lui prendesse i tuoi orecchini” 
“Cosa?” 
“Stavo cercando di evitare che ti facesse del male” 
Sento il corpo scuotersi da una risata imbarazzata. A quanto pare, siamo più simili di quel che sembriamo. Nessuno dei due lascerebbe mai soffrire l’altro e non importa se per evitarlo dobbiamo gettarci nel fuoco, letteralmente. Questo legame, forse un po’ strano e costellato di affetto, amore, sentimenti confusi ed amicizia profonda, è ciò che mi piace di noi. Non potrei vivere sapendo di non averlo al mio fianco, di non poter contare su di lui durante le battaglie o quando, semplicemente, ho bisogno di questo gatto nero lunatico. 
Il pensiero di lui sotto forma di animale mi ricorda qualcuno che non si è fatto minimamente sentire da quando abbiamo iniziato a parlare. 
“Chat Noir?” 
Un mugugno esce dalle sue labbra, in attesa di sentirmi proseguire. 
“Come sta Plagg?” 
Un borbottio leggero si sente da oltre la porta in legno massiccio. 
“Finalmente ti sei ricordata che esisto anche io, Ladybug!” 
Il tono di rimprovero di Plagg è velato da sentimenti contrastanti, probabilmente il dolore, probabilmente il desiderio di abbuffarsi di formaggio. Solo in questo istante mi rendo conto del sottofondo curioso che le mie orecchie sembrano aver ignorato finora, tentando di concentrarsi su Chat Noir. Uno scrocchio leggero ma scomposto mi fa capire che Plagg sia intento a mangiare, beatamente soddisfatto di chissà quale formaggio uscito dalle tasche del suo portatore. 
“Come stai?” 
“Come può stare un povero Kwami affamato che sta cercando di riprendersi da un incendio in piena regola” 
“Plagg!” 
“Cosa? Ragazzino, per poco non diventavamo carbonella! Guardati e dimmi che riuscirai a nascondere tutte quelle bruciature!” 
Il silenzio piomba su di noi, rendendo l’atmosfera pensante per entrambi. Chat Noir continua a volermi proteggere, anche dalla verità che lo riguarda, nascondendo le sue condizioni ed io non riesco a non trovarlo dolce ma anche tremendamente irritante. 
Sento un rumore provenire dai miei orecchini, un invito a non rimanere ancora per molto in quel vicolo.  Mi rimangono tre minuti prima di trasformarmi e, per quanto io sia preoccupata anche per Tikki, so che capirà le mie azioni e, forse, mi perdonerà per averla spinta nuovamente oltre i suoi limiti. 
“Non muoverti da qui” 
“Ladybug… cosa…” 
Sento solo in lontananza il mio nome, mentre cerco di muovermi con una velocità che, al momento, non mi appartiene affatto. 
Un minuto scarso mi basta per raggiungere il mio balcone e, da lì, la mia stanza, afferrare la pomata ed indugiare qualche minuto sulla confezione di biscotti per poi riemergere nel buio della sera. 
Mentre saggio i tetti di Parigi, gli orecchini emettono un nuovo suono, costringendomi ad aumentare la velocità dei miei movimenti. Ad un passo dal vicolo in cui ho lasciato Chat Noir, riesco a recuperare fiato giusto due secondi prima di giungere accanto a quella porta e ritrovare i sospiri di Chat Noir ed i commenti velati di acidità al formaggio di Plagg. 
Riesco solamente a lasciare la pomata oltre la soglia, prima di venire accecata da un lampo che lascia uscire Tikki dal Miraculous e cadere lentamente sulle mie ginocchia, esausta e con qualche lieve graffio, niente di troppo grave per fortuna. 
“Mi dispiace, Tikki” 
Un sorriso le sfiora il volto stanco ed io recupero i biscotti che le avevo preso da casa per lasciarglieli tra le zampe. 
“Non ti preoccupare, hai fatto quello che dovevi” 
“Lo so ma mi dispiace doverti sempre chiedere così tanto” 
Vedo Tikki scuotere la testa mentre assaggia un biscotto con le gocce di cioccolato al latte che adora. 
La vedo evitare di rispondermi, concentrata sulla sua cena e su quei graffi che già sembra stiano guarendo. 
“Sei troppo dura con te stessa” 
“Sei tu ad essere troppo buona con me” 
Un sorriso ci avvolge mentre oltre la porta sento un discorso del tutto diverso tra Chat Noir e Plagg. 
“Perché non puoi essere come Tikki?” 
“Una femmina?” 
“No Plagg, gentile” 
“Gentile? Ti rendi conto che ti presto i miei poteri ogni volta che ti salta in mente di vagare tra i tetti di Parigi per poter vedere il tuo camembert? Sono già troppo buono” 
Un sospiro sommesso esce dalle labbra del ragazzo biondo che, dopo aver finito di spalmarsi la crema, la spinge appena oltre la porta. 
“Sei un vero maleducato, Plagg, non meriti il formaggio pregiato che ho ordinato ieri per te” 
“Ehi, umano, non scherziamo con cose vitali come il formaggio” 
Una risata leggera avvolge me, Tikki e Chat Noir mentre Plagg continua un monologo dedicato ai profumi del latte cagliato e stagionato. L’atmosfera passa da drammatica a divertente in un secondo e mentre io sfioro il volto di Tikki, intento ad assaggiare anche l’ultimo biscotto di pasta frolla, la mia testa si appoggia sul muro della struttura che mi divide da Chat Noir ed un pensiero mi sfiora, il ricordo di quel momento tra noi sulla mia terrazza, interrotto solamente dal frastuono del nuovo nemico. 
  
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