Quando tornammo a Baker Street, tra
qualche mugugno e perplessità,
parlammo a Sherlock e a John della nostra decisione di andare a vivere
insieme.
Alla fine capirono la nostra
voglia di costruire un rapporto più solido e complice.
Ci aiutarono a radunare le nostre
cose. La signora Hudson versò qualche lacrima, ma la
rassicurai che saremmo
passati a trovarla spesso.
Coccolai la piccola Rosie
garantendo a John che avrei fatto da baby sitter quando ne avesse avuto
bisogno.
Passammo quell'ultima serata tutti
insieme e fu piacevole rilassarsi con loro, provavo un sottile
dispiacere nel
lasciarli ma ero consapevole che dovevo andare avanti con Mycroft.
Rimanemmo a
conversare fino a tardi. Quando tutti si ritirarono ci concedemmo un
bacio
nella sua camera, poi ci separammo per andare nelle nostre rispettive
stanze,
con la promessa di trasferirci il giorno dopo nel pomeriggio.
Infatti dopo il lavoro Mycroft,
puntuale come sempre, venne a prendermi al San Bart.
Aveva già fatto
trasferire i miei
bagagli in mattinata.
Quando entrò in
laboratorio era
raggiante, non sentiva nemmeno il peso del tutore sul ginocchio.
"Sembri impaziente! Dove hai
smarrito il tuo British aplomb, Myc?" Gli baciai la guancia e gli
sistemai
la cravatta.
"Difficile essere freddi e
misurati quando ti sono vicino. Laura non ho fatto altro che pensarti
tutto il
giorno! Sei una distrazione continua. Il mio lavoro ne
risentirà."
Brontolò attirandomi a sé. Le stampelle
ruzzolarono a terra, fecero un tonfo
sordo che risuonò nella stanza.
"Stai diventando uno
sconsiderato, guarda cosa hai combinato." Ma non sentì
ragione perché
reclamò un bacio più intimo.
"Non mi importa di nulla,
sono contento di essere uno sconsiderato se la causa sei tu." Le sue
labbra furono sulle mie, il suo sapore era quello che conoscevo bene,
che mi
apparteneva. Mi piaceva accarezzagli la nuca, intrecciare le dita tra i
capelli, e ancora di più sentire il suo abbandonarsi.
I passi delle inservienti ci
sorpresero e ci staccammo ridendo per il nostro imbarazzo. Mi chinai a
raccogliere le stampelle e lasciammo il laboratorio.
Albert sembrava gongolare, mi
salutò con un inchino e mi aprì addirittura la
porta della berlina.
Mycroft sorrideva appagato,
zoppicò al lato opposto. Ora capiva quanto gli fosse
affezionato quell'uomo
taciturno ma fidato.
Ci tenemmo per mano durante tutto
il viaggio, sereni e complici di iniziare una nuova vita, il desiderio
di stare
insieme era sia mentale che fisico.
La villa di Pall Mall era
bellissima immersa nel tramonto, l'auto percorse il viale che mesi
prima avevo
lasciato con il cuore distrutto per la sua partenza. La gioia di
tornare
stretta a lui era un sogno accarezzato da tempo.
"Grazie Albert, sei stato
prezioso." Lo salutai abbracciandolo prima che se ne andasse. Mycroft
sorrise, sapeva che gli volevo bene, mi era stato vicino molte volte
durante il
periodo della sua assenza.
"Dottoressa, per così
poco!" Si schernì incespicando nelle parole.
"Chiamami Laura,
Albert."
Annuii, con le guance rosse,
salì
alla guida e partì.
Mycroft guardava il giardino
studiando
ogni piccolo cambiamento avvenuto in quei mesi. Ci avvicinammo alla
porta
mentre lui non riusciva a nascondere l'emozione di ritornare nella sua
amata
casa.
Era così cambiato
dall'uomo freddo
e scostante che avevo conosciuto nei nostri primi incontri. Era gentile
e
amorevole, e colmo di premure inaspettate. Digitò il codice
di sicurezza, la
porta si aprì con uno schiocco secco, la spinse con la mano
tremante.
"Mi sembrano passati secoli,
Laura. Vieni ti spiego come funziona, da fuori sembra una vecchia casa
ma in
realtà è molto tecnologica. E soprattutto sicura."
Passai un po' di tempo ad
ascoltare tutte le sue direttive. Ogni tanto mi dava un bacio in
fronte, per
assicurarsi che avessi capito. Mi portò in giro come un
perfetto cicerone.
La casa era ampia e abbondava di
stanze. Al piano terra c'era il soggiorno dove avevamo cenato mesi
prima. Nella
parte finale c'era una biblioteca ben fornita, con una scrivania in un
angolo
dove lavorava. Di fronte c'era una sala adibita a palestra.
Il tutto si affacciava in un
piccolo giardino interno, ordinato e ben tenuto. Il muro che lo
delimitava era
abbellito con un roseto che lo ricopriva quasi interamente.
"È bellissimo Myc.
Qualche
volta potremo cenare qui fuori." Lui rise e si strinse al mio fianco.
"Ora sei tu la padrona, mia
dottoressa operosa. Credo di averti detto tutto, ma se hai dei dubbi,
beh sono
qui."
"Come mi hai chiamato?"
Mi voltai a guardarlo con un finto broncio.
"Dottoressa operosa?
Perché
ti dispiace?"
Gli pizzicai il braccio, sfiorando
con la fronte la sua spalla. "No di certo! Ma sai cosa fanno le
dottoresse
operose?"
Si accigliò socchiudendo
gli
occhi, era già in allarme. "No, cosa? Dove vuoi arrivare?"
"Che qualcuno che conosco
bene e amo anche di più, è stato troppo in piedi
e si deve prendere una
pausa!" Gli sussurrai all'orecchio.
"Laura! Non mi trattava
così
nemmeno mia madre quando mi ammalavo." Mi rispose sorpreso per quella
premura a cui non era abituato.
"Non sono tua madre, ma tengo
a te. Ora ti siedi e ti riposi un po'." Fui convincente e
capitolò. Si
sedette sul divano vicino al camino, gli sistemai la gamba ferita e mi
accoccolai vicino a lui.
"Dovrai abituarti alle mie
cure, non sei più solo Myc." Per risposta
appoggiò la testa alla mia
spalla, il suo contatto era diventato familiare, rassicurante.
"Chi si occupa del camino?
Chi lo fa ardere?" Gli chiesi per capire come muovermi all'interno
della
casa.
"Avviso la governante e il
giardiniere lo accende. Mi piace sentire l'odore della legna. Una
vecchia
reminiscenza di quando stavo in campagna a Musgrave."
"Quindi abbiamo una
governante?"
"Certo, ti avevo avvertito
che avresti avuto un aiuto, lavoriamo entrambi. Ma sarai tu a decidere
ora."
Lo baciai sulla guancia. "Mi
vizierai, my loving care. Ma stasera cucino io, che ne dici?"
"Che è perfetto, mi
piace
stare ai fornelli con un'italiana. È la garanzia di
un'ottima cena." Mi
sollevai dal comodo divano, mi ravvivai i capelli.
"Vado di sopra a mettermi
comoda. So dov'è la tua stanza."
"La nostra stanza
Laura." Sottolineò con decisione.
"D'accordo, ma non sarai
così
raggiante quando ti scombinerò i cassetti e gli armadi."
"Mi adatterò anche a
questo." Lasciò cadere le stampelle dal divano e mi
afferrò per i fianchi
stringendomi a sé.
"Chi è il selvaggio
adesso." Risi chinandomi sul suo volto addolcito. Mi sentivo al settimo
cielo con lui vicino.
"È tutta oggi che
aspettavo
di stringerti. Al diavolo il ginocchio e le stampelle! Baciami Laura."
Non me lo feci ripetere, lo
abbracciai e lo tenni stretto e lo baciai con tutto l'amore che mi
rimandava il
mio corpo teso che lo reclamava. Poterlo accarezzare con una
complicità che
finalmente era solo nostra avverava il desiderio che aspettavo da
molto.
Infilai le mani sotto la giacca, accarezzando la camicia che mi
restituiva il
calore del suo corpo, la sua schiena era snella e compatta. Le sue
mani, libere
dalle fasciature, non smettevano di accarezzarmi il collo e la nuca,
non avevo
paura di stare fra le sue braccia, la mia fiducia era totale.
E lui consapevole di quello che
avevo passato mi lasciava la libertà di toccarlo, di
esplorarlo, ma non mi
imponeva la sua voglia. Era attento ai miei tempi, era perfetto.
Mi staccai dalla sua bocca e lui
sorrise senza forzarmi.
"Beh, forse è meglio
cenare.
O perderò la testa Myc. Se mai ne ho una." Biascicai
stordita da quel
bacio pieno di passione.
"Giusto, Laura, prendiamoci
il tempo che vogliamo."
Salimmo di sopra insieme, lo
aspettai mentre si arrampicava aggrappandosi al corrimano della scala
di legno
che portava alle stanze. La sua camera, che avevo già visto
mesi prima, era
pulita e in ordine. Sul letto matrimoniale, una trapunta beige con
fiorellini
scuri, rendeva l'ambiente accogliente. C'era un armadio per i miei
vestiti e
una cassettiera dove ordinare le mie cose. La mia valigia appoggiata
sulla
poltrona.
"Vuoi sistemare i tuoi abiti?
Intanto mi svesto anch'io." Annuii, e cercai un cambio dentro il mio
bagaglio. Ne approfittai per sistemare i capi nella cassettiera.
Lui abbandonò le
stampelle e
zoppicò con il tutore fino allo specchio. Si tolse la
giacca, il gilet, la
cravatta e li ripose con naturalezza, mi consegnava la sua
intimità quella che
aveva custodito per molto tempo. lo spiavo di soppiatto
finché rimase in camicia.
Andò nel bagno, quello
con
l'idromassaggio più high teck che avessi mai visto.
Intanto mi sfilai la maglietta e
la camicetta. Quando uscì dal bagno mi fissò
sorridendo, zoppicò fino
all'armadio e indossò un cardigan di lana azzurro. Scosse la
testa, ridendo.
"Laura, se mi avvicino a quel
reggiseno in pizzo che indossi con tanta classe, credo non
scenderò più di
sotto per cena. Grazioso, nero, di ottima fattura." Cercava di
mantenersi
in equilibrio sulla gamba sana appoggiato all'armadio. Volutamente, mi
avvicinai, presi le stampelle e gliele portai.
"Non così vicina, my
loving
care, così non resisto." Mormorò rauco.
Allungò la mano indeciso e con le
dita percorse il bordo del pizzo e del seno e raggiunse l'incavo. Era
così
disarmante vederlo arrossire di piacere, si appoggiò con la
schiena al mobile
per reggersi.
"My loving care è
bellissimo
detto da te." Gli sistemai maliziosa il tutore che lo sosteneva.
"Forse è meglio scendere
a
cucinare." Gli baciai la guancia, mi allontanai ancheggiando, mi
infilai
una maglietta di cotone misurando i gesti per provocarlo, mi ravvivai i
capelli
in modo sensuale, mentre lui mi osservava stranito.
Scoppiai a ridere. Lo afferrai per
la mano e lo tirai. "Avanti scendiamo, Myc sei adorabile! Vuoi cenare
visto che è la nostra prima serata insieme?"
"Ho già un appetito
formidabile, e non solo di cibo." Gracchiò con la mano
libera dalle
fasciature che sembrava di fuoco.
"Adulatore." Mormorai
seducente e lo trascinai letteralmente di sotto.
Ci perdemmo a cucinare, Anthea
aveva
rifornito il frigorifero di tutto quello che poteva servirci.
Sapevo quello che piaceva a
Mycroft e lui sapeva quello che piaceva a me. Era così bello
ritrovarsi insieme
senza tensioni, a tagliare verdure, a salare l'acqua per la pasta
all'italiana
e infornare un dolce al cioccolato, coperti di farina.
Lo sorpresi a canticchiare. Ogni
tanto mi dava un'occhiata, e brontolava perché mi sporcavo.
"Laura, dovresti essere
attenta in cucina come lo sei quando lavori al San Bart. Selvaggia." Si
scherniva e scuoteva la testa e mi copriva di piccoli baci affettuosi.
Mentre
aspettavamo che la pasta cuocesse, mi abbracciò per le
spalle, la sua camicia
che sfregava sulla pelle del collo sembrava seta. Era accaldato e il
suo
profumo maschile era invitante.
"Non sono mai stato bene come
stasera, non mi merito tutto questo visto il male che sono riuscito a
farti."
Mi dondolò piano e mi
baciò i
capelli, mormorò con la voce tremante. "Profumi di buono, My
loving care,
cercherò di essere un partner attento, ma aiutami anche tu
ad amarti."
Strinsi le sue mani al mio petto.
"Lo farò, Myc. Non aspettarti nulla di meno."
Cenammo ascoltando della musica
classica che piaceva ad entrambi, conversando di libri, di un viaggio
in Italia
che presto avremmo fatto insieme. Nessuno dei due parlò del
passato, volevamo
vivere il presente perché era quello che contava di
più.
Alla fine della serata dopo aver
riordinato insieme, ci lasciammo andare sul divano, il calore del
camino acceso
che crepitava lentamente.
Mycroft, sistemata la gamba ferita,
iniziò a leggere il suo libro prezioso. Mi accoccolai al suo
fianco con la
testa appoggiata sulla sua spalla, mentre lui assorto leggeva a voce
alta. Era
tutto così perfetto da non sembrare vero.
E mi presi le mie
libertà:
allungai la mano sul suo braccio, rimasi appoggiata così per
alcuni secondi,
poi sbadigliai e la portai sul suo fianco.
Si voltò a guardarmi,
gli regalai
un sorriso innocente. Riprese a leggere, ma brontolò
aggrottando la fronte.
"Stai ascoltando Laura?"
"Ma certo." Gli risposi
con voce calma, mentre tramavo la mossa successiva. Lentamente, mentre
lui
leggeva assorto, feci scivolare la mano sotto al suo cardigan
accarezzando la
camicia e sentendo il calore del suo corpo.
Mi fermai. Rimasi immobile
cercando di sembrare interessata alla lettura, lui si mosse appena un
po'
sorpreso. Presi a giocherellare con i piccoli bottoni, annuendo di
tanto in
tanto alle sue riflessioni sul libro. Pensò che perdessi
solo del tempo e che
non ci fosse malizia in quel gesto, mi lasciò fare, si
schiarì la voce e
continuò a leggere.
Sbottonai un paio di bottoni, e
infilai rapida la mano sotto la camicia, fra la sua maglietta di cotone
e la
pelle.
"Laura." Brontolò
lasciando il libro. "Che fai, mi stai spogliando?" Si
accigliò non
capendo bene dove volessi arrivare.
Dio! Era così disarmante
che
soffocai una risata.
"Dovrei?" Gli risposi
contrita, intanto gli arruffai la canottiera e trovai finalmente il
contatto
con il suo petto.
"Laura!" Ansimò,
sorpreso da quella intrusione.
Allargai la mano sulla sua pelle,
assorbendo il piacere di sentirla calda e liscia e deliziosa al tatto.
Lo
accarezzai lentamente con desiderio crescente.
Mycroft indugiò, sentii
il suo
respiro aumentare, si lasciò accarezzare, il suo libro ormai
dimenticato
pendeva dalla sua mano. Appoggiò la testa all'indietro sulla
spalliera e si
arrese.
"Ti stai approfittando di
me." Mormorò con la voce smorzata da brividi di piacere.
"Ti sto curando Myc. E curo
anche me stessa, voglio sentirti, conoscerti."
"Non sono insensibile, la tua
vicinanza mi toglie il controllo. " Accarezzò le mie spalle
avvicinandomi
di più.
"Lo vedo Myc, sento che ti
piace. Non devi temere per me, perché lo voglio anch'io." Un
leggero
piacere lo percorreva, ansimava e il suo corpo sembrava gradire.
"Sono semplici carezze, nulla
che possa infastidirti, non ti forzerò Myc." Mi strinse a
sé, il corpo
accalorato come lo era il mio.
"Mia dottoressa operosa, ti
amo troppo." Scivolò con le mani sui miei fianchi.
Eravamo appassionati e vogliosi,
ci accarezzammo imparando quello che piaceva l'uno dell'altro.
Fu l'inizio della nostra intesa e
della
nostra vita insieme, ma non andammo oltre.
Ci staccammo tenendoci per mano.
"Non avere paura, Laura, non temere non mi spingerò oltre."
Lo disse con una dolcezza
infinita, una lacrima mi scivolò lenta sulla guancia.
"Voglio amarti Myc. Non ho
paura, non sentirti colpevole per il male che mi hanno fatto. Sei tu
l'uomo che
desidero."
Mi asciugò la lacrima,
mi baciò la
guancia e mi coccolò tenendomi stretta a sé.