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Autore: Nao Yoshikawa    26/06/2022    4 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo ventisei
 
Masato non era mai stato bravo a dire le bugie. Soprattutto, non se doveva dirle a Yuichi. Se ne stava pensieroso con i gomiti poggiati sul banco, mentre dietro di lui, Yami faceva un sacco di moine ad Ai, che era finalmente tornata a scuola. 
«Oh, Ai! Finalmente sei tornata, mi sei mancata troppo!» Yami la stava abbracciando e Ai stava arrossendo. 
«Anche tu mu sei mancata. Mi siete mancati tutti» disse guardando Hikaru. Quest'ultimo non vedeva l'ora che fosse pomeriggio per andare a casa di Ai, per passare un po' di tempo con lei. A causa di una lezione di danza Yami non sarebbe venuta, questo voleva dire che sarebbero stati soli. Beh, più o meno, c'era il dottor Kurotsuchi a tenerli d'occhio e questo lo terrorizzava abbastanza, ma andava bene così. Kaien, che aveva più o meno capito cosa fosse successo ad Ai, batté la mano sul banco. 
«Io giuro, se qualcuno toccherà ancora le mie amiche… gli darò un pugno. Io sarò un uomo che protegge tutte le donne!» 
Nel sentirlo parlare in questo modo, Kiyoko era arrossita. Kaien era forte ed era sempre più sicura che da grande lo avrebbe sposato. 
«Proteggi anche me?» domandò battendo le ciglia. Lui gonfiò le guance, in imbarazzo. 
«Beh. Sì. Anche tu sei una ragazza!» 
Masato, che in genere si accorgeva di tutto, non si accorse di come Kiyoko guardava Kaien. Che poi era lo stesso modo in cui lo guardava Yuichi. 
Yuichi che gli si era avvicinato, osservandolo. 
«Amh… Stai bene, Masato? Sei troppo silenzioso. Non parli nemmeno con me.»
Non lo guardò negli occhi. Si sentiva in colpa, aveva promesso che lo avrebbe aiutato a scoprire se i suoi genitori fossero tornati insieme, ma adesso perché gli era così difficile dirlo? 
«Ecco…  ti devo dire una cosa, ma non so come dirtela.»
Yuichi sgranò gli occhi e lo afferrò per le spalle. 
«Hai scoperto qualcosa!» 
Non era una domanda. Aveva capito. Masato arrossì. Non aveva alcuna speranza di nasconderglielo. 
«Va bene, Yuichi. Io adesso te lo dico perché ti voglio bene. Però se te lo dico mi devi dare un bacio.»
Le guance pallide di Yuichi divennero rosse di imbarazzo. 
«Dobbiamo… darci un bacio?» 
«È… come si dice? Ah sì, un compromesso. Però se non vuoi, non fa niente.»
Stava provando ad imitare Kaien, ad essere coraggioso come lui. Ma essere coraggiosi era difficile. Yuichi respirò profondamente. 
«Va bene. Avanti dai, dimmelo.»
Non appena Yuichi gli ebbe detto di sì, però, Masato si sentì improvvisamente più coraggioso. 
«Per sbaglio ho letto un messaggio che tuo papà ha mandato al mio e… è vero, loro stanno insieme» e avranno un altro figlio. Ma non era sicuro che questo dovesse dirlo. Gli occhi di Yuichi divennero enormi dietro i vetri degli occhiali. 
«Ma davvero? Lo sapevoooo! Perché non me l'hanno detto? È una cosa bella!» 
Masato non lo sapeva. A dire il vero, l'unica cosa che ora gli interessava era baciarlo. 
«Non lo so, però…allora, dove ci baciamo? Non possiamo farlo in classe davanti a tutti.»
«Ah, giusto. Beh. Ci chiudiamo in un’aula vuota e lo facciamo. Però cominci tu, io mi vergogno» disse giocherellando con i propri occhiali. Masato annuì. 
E con il pensiero di quel bacio in mente, non riuscì a seguire nemmeno una lezione. Sapeva che i baci erano cose da grandi. Ma lui era grande. Ed era molto nervoso. Durante l'intervallo, Kaien e il resto dei suoi amici andarono in cortile per godere del sole. Lui e Yuichi no. Loro andarono nell'aula di disegno, dove c'erano tempere, colori, un segno rosso sul muro che aveva lasciato Naoko. E si guardavano. 
La prima volta era stato molto più facile. Forse perché era stato un gioco. 
«Dai, Masato. Spicciati» gli mise fretta Yuichi. 
«Uffa, un attimo» disse avvicinandosi. «E stai fermo.»
Yuichi aggrottò la fronte è, nonostante la timidezza e tutto, decise di fare il primo passo e stampargli un bacio dritto sulle labbra. Masato rimase così, immobile e con le labbra protese. Era stato bello. 
«Fatto» disse Yuichi. «Però non ho capito se adesso siamo fidanzati, ci siamo già baciati due volte.»
«Emh, non lo so. Forse sì. Però non lo diciamo a nessuno, è un segreto. Come per Kaien e Kiyoko. Lo so che sono fidanzati anche loro, anche se non lo dicono.»
Yuchi sorrise. 
«Okay! Oggi sono molto felice. Andiamo a mangiare? Voglio un panino con i fagioli rossi.» 
 
Orihime era indaffaratissima in quei giorni. Tra il lavoro, la famiglia e il suo nuovo obiettivo, oramai non aveva più tempo per pensare e di questo ne era molto contenta. Sembrava tornata un po’ l’Orihime di sempre, allegra e affettuosa, ma in un certo modo sembrava anche più matura. Come se da ragazza si fosse trasformata in donna in maniera definitiva.
«Sei sicuro che Nnoitra stia bene?» domandò Orihime, mentre teneva gli occhi incollati ad alcuni documenti e allo stesso tempo controllava qualcosa sul suo portatile. Prendere in affido un bambino era molto più difficile di quello che aveva creduto, per non parlare poi delle mille mila telefonate e incontri con gli assistenti sociali.
«Bene mi sembra un po’ troppo» disse Ulquiorra bevendo il suo tè. «Sospettavo che non l’avesse mai superato. Nnoitra… non ne parla quasi mai, di quei tempi. Mi sento anche in colpa. Anche se non prendevo parte alle loro scorribande, avrei potuto fare qualcosa per impedirlo.»
Orihime sollevò lo sguardo verso suo marito.
«Eravate dei ragazzini, non avresti potuto fare niente comunque. Nnoitra e Grimmjow sono fortunati ad avere un amico come te. Sei come un angelo custode.»
Ulquiorra arrossì, sempre con quel suo cipiglio serio. Ad un angelo non ci somigliava affatto, ma avrebbe accettato comunque quel paragone.
Orihime si stiracchiò.
«Sai, penso che dovremmo dire a Kiyoko che c’è la possibilità che arrivi qualcuno di nuovo in questa famiglia.»
«Va bene, ti copro le spalle.»
«Ulquiorra.»
«… Era solo una battuta, credo» disse, cercando di fare un po’ di spirito, ma non era mai stato molto bravo in questo.
Kiyoko aveva tappezzato la parete della sua camera di fotografie da lei scattate. Orihime aveva cercato di spiegarle che forse sarebbe stato meglio sviluppare solo le fotografie più belle, ma Ulquiorra le aveva detto lasciale fare quello che vuole.
Oh, gli artisti. Chi li comprendeva era bravo.
In piedi sul proprio materasso, Kiyoko aveva appena attaccato una fotografia scattata il giorno prima ad un gatto nero che prendeva il sole in giardino. Le piaceva particolarmente.
«Mia piccola fotografa» disse Orihime entrando. «Hai un momento?»
«Solo uno» disse lei scendendo dal letto con un salto. «Devo scattare altre fotografie adesso che la luce sta cambiando.»
Ulquiorra si guardò intorno, provando un moto d’orgoglio. Era così felice che Kiyoko avesse l’indole da artista, ma considerando la sua sensibilità, non si aspettava niente di meno.
«Faremo in fretta, c’è una cosa di cui dovremmo parlarti.»
Kiyoko, che aveva preso la sua macchina fotografica, la riposò immediatamente, facendosi seria. Ulquiorra e Orihime si guardarono, quasi stessero decidendo silenziosamente chi dovesse parlare per primo. E per prima parlò Orihime.
«D’accordo. Sai che ci sono tanti bambini che non hanno una casa o una famiglia? O che ce ne sono altri che hanno una famiglia, ma che per qualche motivo non possono stare con loro?»
Kiyoko sgranò gli occhi, preoccupata.
«Sì, lo so. Ma noi possiamo continuare a stare insieme, giusto?»
«Kiyoko, non preoccuparti, starai qui fino ai tuoi trent’anni» disse Ulquiorra con un tono talmente serio che fece ridere Orihime. Forse trent’anni erano un po’ troppi, ma preferiva fare finta che Kiyoko non sarebbe mai cresciuta. «Quello che volevamo dirti è che vorremmo accogliere in casa nostra un bambino che ne ha bisogno. Tu cosa pensi?»
Kiyoko prese molto sul serio quella domanda e assunse un’espressione pensierosa per alcuni minuti interminabili. Se suo padre le aveva detto che non doveva preoccuparsi, perché l’amavano, perché nessuno l’avrebbe sostituita, poteva crederci. Certo, da un lato non amava ancora l’idea di condividere tutta la sua vita con una persona che non conosceva. Che avrebbe dovuto imparare a conoscere. E d’altronde non trovava giusto che ci fossero bambini infelici, tutti meritavano una famiglia affettuosa e bella come la sua.
«Mmh. Penso che si può fare. Però ci sono delle regole. Intanto, io non voglio condividere la mia stanza con nessuno. Seconda cosa, voglio che sia una bambina e che sia piccola, ma non troppo perché i neonati sono troppo carini. Diciamo più piccola di me» guardò Ulquiorra. «E questa regola è per te: se mi accorgo che mi adori anche solo un pochino meno… io me ne vado e scappo con Kaien, ecco.»
Aveva colpito nel vivo con quell’affermazione. Ulquiorra chiuse gli occhi.
«Questo è un ricatto bello e buono, ma tanto non c’è pericolo che io possa adorarti meno.»
Kiyoko si rilassò, più tranquilla.
«Allora va bene. Allora me lo promettete?»
Kiyoko era stata così dolce e spontanea in ciò che aveva detto che Orihime l’aveva abbracciata. Certo, avrebbe in seguito dovuto dirle che non potevano scegliere il sesso o l’età del bambino, ma aveva l’impressione che sua figlia avrebbe accettato di buon cuore tutto. Kiyoko era brava e buona. Magari un po’ era anche merito loro.
 
 
Sosuke guardò Shinji con la coda dell’occhio. Lo vedeva nervoso, non riusciva a stare fermo, sembrava star soffrendo nello stare seduto. E poi pensava, pensava tropo.
«Shinji, non fare così. Vedrai che a Miyo passerà, lei ti adora.»
«Già, ma è da qualche giorno che a malapena mi rivolge la parola. E poi ha detto una cosa giusta. Io e Hiyori non andiamo d’accordo, ma non dovremmo farglielo pesare in questo modo. Merda!» disse dandosi un colpetto in testa. «Ho sbagliato tutto.»
Forse non era stato un genitore così irreprensibile come aveva creduto.
«Non hai sbagliato. E poi con me perdi di sicuro. Almeno tua figlia non ha paura di te. È che io ho sempre creduto che la disciplina fosse importante.»
Shinji fece una smorfia.
«Ah-ah. Sì, ma i bambini hanno anche bisogno di amore incondizionato e di sentirselo dire, ogni tanto. Piuttosto, sei proprio certo di volermi portare a casa tua? A me l’hotel piaceva, anche se faceva troppo Pretty Woman. E non fare battute su questo» chiarì. Aizen sorrise, accostando l’auto.
«Non preoccuparti, Momo non c’è. Sarà occupata.»
Shinji chiuse gli occhi. Almeno quelle ore in cui si trovava con Sosuke, non pensava a niente. Più o meno.
 
Momo era occupata. Occupata con Toshiro.
Con cui aveva riscoperto la passione. E l’amore. Quando era con lui non era più la moglie perfetta, la madre perfetta. Era Momo Hinamori e basta. E Toshiro, oh quanto era diventato stupido. L’amore forse ti rendeva davvero folle. O forse erano i suoi baci infuocati a renderlo folle.
«Momo…» ansimò, mentre le scompigliava i capelli e poi scendeva a baciarle il collo.
Momo sapeva di star sbagliando ed essere egoista. Che si sarebbe bruciata col fuoco. Si diceva che sarebbe stata pronta.
«Toshiro… non vuoi almeno raggiungere il letto?» ansimò. Il vestito le stava già fin troppo stretto. Lui scosse la testa e la baciò ancora, ancora, infilando una mano sotto la sua gonna. Anche lui si era detto che sarebbe stato pronto. O almeno così pensava.
Le luci si accesero. Accadde tutto troppo velocemente. Shinji si portò una mano sul viso e allo stesso tempo desiderò scomparire. Toshiro si era staccato dalle labbra di Momo, ma non si era allontanato abbastanza. Il colorito di Momo passò dal rosso al bianco in un attimo. E Sosuke Aizen invece non aveva avuto alcuna reazione. Li guardava, senza battere ciglio.
«Sosuke…» sussurrò sua moglie.
Non era proprio così che si era figurata il tutto. Per niente, anzi. Aizen sorrise e guardò Toshiro, il quale stava cercando di ricomporsi.
«Allora avevo ragione. È con lui che mi tradisci, eh? Momo, non sapevo amassi i ragazzini. O forse avevi solo voglia di un toy-boy.»
Momo ansimava, in panico. Toshiro la guardò, doveva dire qualcosa.
«Ascolta… è colpa mia, sono io che l’ho sedotta.»
«Cosa? No, non è vero!» disse subito Momo. Toshiro le lanciò un’occhiataccia. Si sarebbe preso lui tutta la colpa se fosse stato necessario.
«Non raccontarmi storie, ragazzino. Mia moglie ha pensato bene di andare a cercare attenzioni da un altro. Dovevo immaginarmelo.»
Momo sentì la rabbia montarle dentro. Lei non era andata a cercare le attenzioni in un altro uomo. Si era innamorata, che era diverso.
«Questo non è vero! Io non sono come te!» gridò. «Lo so bene che hai anche tu un’ amante, quindi non prendiamoci in giro.»
A Shinji venne la nausea. Nessuno badava a lui, nessuno sospettava di lui. Ma la cosa lo riguardava eccome.
«Sosuke» gemette, stringendo il suo braccio.
«Solo un secondo, Shinji. Sto solo cercando di comprendere perché mia moglie sia stata così sciocca, dal momento che aveva tutto.»
«Lei non aveva niente, bastardo» sibilò Toshiro. Dubitava che Aizen lo avrebbe picchiato, era di sé stesso a non essere sicuro. Anche se avrebbe perso sicuro.
Shinji non ce la fece più.
«Basta! Zitti un attimo. Sosuke, tua moglie ha ragione: non prendiamoci in giro.»
Lui assottigliò lo sguardo.
«Che cosa vuoi…?»
Guardò Momo. La guardò negli occhi.
«Mi dispiace… è vero, Sosuke ha un amante e quell’amante… sono io» disse ad alta voce. Era la prima volta che trovava il coraggio di dirlo. Toshiro sgranò gli occhi, fissandolo. Lui era l’amante? Non sapeva se fosse più turbato dal fatto che fosse un uomo o dal fatto che fosse Shinji, appunto. Totalmente opposto a quel bastardo. Aizen sospirò e Momo sgranò gli occhi. Aveva sempre creduto che suo marito la tradisse con una donna molto diversa da lei. Beh, di sicuro lui era diversa da lei.
«Tu…» mormorò, avvicinandosi a Shinji e schiaffeggiandolo. «Sei sempre stato tu! Sin dal principio!»
Shinji sibilò, toccandosi una guancia. Era stanco di prenderle, ma stavolta credeva di esserselo meritato. Toshiro lo guardò.
«Shinji, ma…»
«Mi dispiace, Toshiro. Non sei l’unico che si è innamorato.»
Shinji innamorato di Aizen era assurdo anche solo da pensare. Momo invece pensava a quanto l’odiasse in quel momento e basta. Anche se non era nella posizione per poterlo odiare. 
«Sapevi che era sposato e sei andato con lui comunque. È per questo che sono stata infelice così a lungo?» 
Probabilmente lo avrebbe colpito di nuovo, ma Sosuke glielo impedì. Strinse Shinji a sé, così forte da fargli male. 
«Ora non facciamo scenate. Non mi pare che io abbia alzata un dito sul tuo amante, Momo. Quindi non toccare Shinji e… davvero. La nostra storia non la conosci.»
Shinji bruciava. E non era per lo schiaffo, ma per la vergogna. Per il dolore che si erano causati. 
Tsk, non ho bisogno che tu mi protegga, avrebbe voluto dirgli. 
O forse un po' ne aveva bisogno. 
«D'accordo. Shinji e… Toshiro. È meglio se andate, credo che io e mia moglie dovremmo parlare in privato.»
Toshiro avrebbe evitato di lasciare Momo da sola con lui, ma quando lei lanciò uno sguardo, come a dirgli stai tranquillo, non poté opporsi. E Shinji, invece, non vedeva l'ora di scappare.
Quando rimasero soli, Momo cercò di non crollare sulle sue stesse gambe. Cercava di controllare il battito del suo cuore, di respirare, di non pensare che si era arrivati alla temuta resa dei conti. Ed era così confusa da quella piega inaspettata. Come se niente fosse, Aizen si accese una sigaretta.
«E così mi tradisci con il ragazzino, eh? Bene, vedo che vi siete divertiti alle mie spalle.»
Momo lo aveva sempre temuto. Anche adesso lo temeva, era in soggezione. Ma se era arrivata fino a quel punto, non poteva permettersi di comportarsi da codarda adesso.
«E tu allora? Non sapevo nemmeno ti piacessero gli uomini. Da quanto… da quanto esattamente questa cosa va avanti?» ogni parola pronunciata le costava uno sforzo enorme. Aizen inspirò il fumo della sigaretta.
«Il mio orientamento sessuale non è importante, adesso. Comunque, se ci tieni a saperlo, è iniziata sette anni fa. Siamo andati avanti per un po’, ma poi Shinji ha deciso di chiudere per ovvi motivi. Sono io che l’ho cercato, un po’ di tempo fa.»
Quindi, pensò Momo, mentre io me ne stavo a casa con nostro figlio a comportarmi da moglie fedele e accondiscendente, tu avevi un amante?
E dunque da quanto tempo non la amava più? Se mai ci fosse stata una volta in cui l’aveva amata.
«Tu… sei innamorato di lui?» domandò, tremando appena. Aizen guardò da tutt’altra parte. Non era tipo da dichiarare il proprio amore ai quattro venti. E infatti non lo fece, lo disse talmente piano che per poco Momo non lo udì.
«Non riesco a immaginare una vita in cui lui non c’è. Shinji è totalmente diverso da me. È un pazzo, parla sempre troppo, è indolente e svogliato. E tutto questo lo amo, sì.»
Parole così dolci un tempo le aveva riservate anche a lei.
«E allora perché non mi hai lasciato?» domandò, ma poi sorrise amaramente. «Che domanda sciocca. Chiaro, per questo lederebbe alla tua reputazione. Un divorzio è già pesante, ma pensa cosa succederebbe se si sapesse che mi hai lasciato per un uomo. È sempre così, pensi a te stesso. E un po’ in effetti mi dispiace per Shinji.»
Ed era sincera. Sapeva fin troppo bene cosa volesse dire amare Sosuke.
«E perché parliamo solo di me? Hai un amante anche tu, direi che non sei nella posizione di giudicarmi. Oh, Momo» le sorrise, in un modo che lei detestò. «Sei innamorata come una ragazzina. Forse la mia reputazione sarebbe intaccata, ma anche la tua.»
Momo strinse i pugni. Gli avrebbe lanciato qualcosa, ma non lo avrebbe fatto.
«Non me importa, io non sono te! Ora va’ via. È colpa tua se Hayato è sempre stato infelice. Hai cercato di plasmarlo a tua immagine e somiglianza, ma non ci sei riuscito. Dovrai avere il coraggio di guardarlo negli occhi e dirgli che tra noi è finita. E dopodiché non ti ci farò più avvicinare.»
Sul viso di Aizen calò un’ombra.
«Non osare.»
«Non fingere che t’importi. Tu hai sempre pensato solo a te stesso» disse, ferita. Non voleva più vederlo e non gli avrebbe lasciato Hayato neanche morta. Ma Aizen dalla sua aveva le giuste conoscenze e la capacità di vincere sempre.
«D’accordo, mio cara. Convinciti pure in questo modo. Sarà una liberazione, immagino. Il nostro matrimonio, dopotutto, è finito da ben prima di oggi.»
Momo si sfilò la fede. In genere la toglieva sempre durante i suoi momenti di intimità con Toshiro, ma adesso l’aveva sfilata per non indossarla più. E inoltre si sentiva irriconoscibile.
«Su questo siamo d’accordo.»
 
Anche se Shinji era nervoso e con il morale a terra, non aveva fumato nemmeno una sigaretta, aveva promesso a Miyo di evitare. Era un disastro, era sfuggito tutto al suo controllo, ma perché si era illuso che le cose potessero andare bene? Cosa sarebbe successo adesso? Si era vergognato così tanto, ma oramai era inutile piangersi addosso. Era stato lui a volerlo, ad accettare di essere l’amante di un uomo sposato. Nella sua vita di casini ne aveva combinati tanti, raramente avevano portato a qualcosa di buono. Miyo rientrava in quell’eccezione.
Miyo aveva appena finito di studiare e capì subito che qualcosa non andava. E poiché alla fine il gioco del silenzio non piaceva nemmeno a lei, gli si avvicinò.
«Stai bene?»
«Ah? Sì, sto bene» provò a mentire. Almeno per una volta voleva evitare di coinvolgerla nei suoi problemi, ma Miyo era troppo sveglia per non capire. Gli si sedette accanto e l’abbracciò.
Shnji sospirò.
«Non sei più arrabbiata con me?»
«Sì, un po’. Ma ti voglio bene comunque. Ti dico quello che tu dici a me ogni volta che sono triste: tutto si può aggiustare. Anche tu, tu sei forte!»
Shinji la strinse a sé, baciandole la testa.
«Cosa ho fatto io di bene per meritare te?»
«Tante belle cose, penso! E poi io non faccio niente di eccezionale, noi siamo una squadra.»
Certi bambini erano sorprendenti, lei più di tutti. Poco importava che lui fosse di parte: Miyo era la parte migliore di sé. E sì, probabilmente anche di Hiyori, sarebbe stato sciocco prendersi tutto il merito.
«Lo so, lo siamo» le disse. Avrebbe voluto dirgli una di quelle classiche frasi figlia mia, non innamorarti mai, perché l’amore fa star male, ma sapeva che sarebbe stato inutile. L’amore accadeva. Era accaduto a lui. E sempre a lui toccava venirne a capo. Era un momento difficile, ma reso un po’ più dolce dal sostegno disinteressato di quella bambina.
 
Passare il tempo insieme era bello. Ai si trovava bene con Hikaru e Hikaru si trovava bene con lei. Erano… com’è che si diceva? Animi affini forse, o una cosa del genere.
«Ai, tu ti senti mai invisibile?» domandò Hikaru mentre strappava dei fili d’erba. Ai guardò verso il cielo. Sapeva benissimo cosa volesse dire sentirsi invisibili.
«A volte. E tu invece?»
«A volte» rispose subito lui, come se non avesse atteso altro che quel momento. «È che io non mi faccio notare spesso. Quello lo fa Yami, lei ha un carattere diverso e si mette sempre nei guai. Io sono più tranquillo e le attenzioni su di me ci sono soprattutto quanto sto male. Non mi piace.»
Anche se Ai era figlia unica, capiva che forse Hikaru era un po’ geloso della sorella. Tra fratelli, succedeva spesso che due fossero completamente diversi gli uni dagli altri. Come Masato e Kaien. E come Hikaru e Yami, appunto.
«Però per me non sei invisibile» sussurrò mentre arrossiva. «Sei il mio migliore amico, il mio preferito.»
Nascose il viso nelle ginocchia. Voleva bene a tutti i suoi amici, ma Hikaru era un po’ più speciale.
«Nemmeno tu sei invisibile. E anche tu sei la mia persona preferita» ammise. Anche se non tutto andava bene, anche se i suoi genitori erano strani ultimamente (e più volte la paura che potessero lasciarsi lo aveva sfiorato), con Ai era tutto un po’ meno spaventoso.
Hikaru tossì. Aveva come la sensazione che qualcosa gli fosse entrato in gola. E tossì ancora e rantolò.
Ai sollevò lo sguardo e subito dopo si immobilizzò. Hikaru stava ansimando. Sembrava non riuscire a respirare bene. Giusto, lui soffriva d’asma, forse era proprio quello, un attacco d’asma.
«H-Hikaru... Vuoi che ti prenda l'inalatore? Ce l'hai, vero?»
Lui scosse la tasta, sgranando gli occhi con preoccupazione. Aveva un attacco d'asma e non aveva con sé l'inalatore. Come aveva potuto dimenticarlo? Eppure se lo portava sempre dietro. Ai fu colta dal panico. Geniale e intelligente per quanto potesse essere, era solo una bambina, impotente e spaventata dinnanzi il suo amico che non respirava. Si alzò subito.
«Aspetta, Hikaru. Vado a chiamare aiuto!» gridò, correndo dentro casa.
Aveva paura e le veniva da piangere, ma avrebbe pianto dopo. Ora soveva sbrigarsi. Sua madre non c'era. Sarebbe stata adatta, lei era un'infermiera. Ma anche suo padre avrebbe saputo come aiutarla. Quindi si precipitò dentro casa, gridando come una forsennata.
«Papà! Dove sei? Aiutami, ti prego!»
Mayuri, da che era seduto nel suo studio, si alzò di scattò e uscì, trovando Ai che gridava e si agitava in un modo che terrorizzò perfino lui.
«Ai?»
«Hikaru ha un attacco d'asma e non ha l'inalatore! Aiutami!» gridò di nuovo, nel panico. La bambina era scossa dai tremiti, dal terrore più nero.
Accidenti. Doveva accadere una cosa del genere proprio adesso?
Ma lui era un dottore, non si tirava mai indietro se qualcuno aveva bisogno di aiuto.
 
Mayuri raggiunse Hikaru che se ne stava riverso sull'erba e lo tirò su, mentre Ai gli girava attorno tutta preoccupata.
«Che devo fare? Chiamo un’ambulanza?»
«No, Ai. Non fare niente, cerca solo di stare tranquilla un attimo» disse professionale, senza la minima traccia di panico nella voce. Aiutò Hikaru a mettersi seduto. Lui non era abituato ad avere a che fare con i bambini, non in quel modo almeno. In genere erano Kurosaki e Ishida che si occupavano della parte della rassicurazione. Ma Hikaru aveva bisogno anche di questo. Che fosse capace o meno, ora doveva farlo, non c’era scelta.
«Ragazzino. Hikaru. Va tutto bene. Guardami, okay? Ti puoi fidare. Stai respirando troppo velocemente» poggiò le mani sulle sue guance, guardandolo negli occhi. Ai era bloccata, sia per la paura che per la sorpresa. Non aveva mai, mai visto suo padre così, di solito era molto distaccato, come se mettesse un muro tra lui e gli altri, anche tra lui e i pazienti.
«Respira e ispira. Lentamente. Lo so che ti è già capitato. Puoi farcela con le tue sole forze» gli disse. Urahara non faceva altro che parlare dei suoi figli, sempre, e gli aveva raccontato anche dell’asma di Hikaru. Almeno non tutti i mali venivano per nuocere, ogni tanto.
Hikaru decide di fidarsi. Provò a respirare, più piano, ora che si sentiva più al sicuro.
Provò ad aprire la bocca per dire qualcosa.
«Non parlare, pensa solo a respirare. Andrà tutto bene» e più Mayuri parlava e più si sorprendeva di sé stesso. Hikaru era solo un bambino. Spaventato, inerme e in quel momento fragile e si stava affidando a lui. Ai non osava muoversi, stringeva i pugni fissandoli. Vedeva Hikaru che man mano si rilassava e sorprendentemente iniziava a respirare in maniera più lenta e profonda, anche senza il suo inalatore. Poi, quando qualche minuto dopo l’attacco d’asma fu passato, si lasciò andare tra le sue braccia e Mayuri lo strinse.
E riprese a respirare anche Ai.
«Sta bene?» domandò subito.
«Ha ripreso a respirare. Meglio se lo portiamo dalla sua famiglia» le disse, prendendo in braccio Hikaru.
Aveva detto riportiamo. Quindi era compresa anche lei. Ai annuì e mentre lo seguiva le sue guance si bagnarono di lacrime. 
 
Nota dell'autrice
Io l'avevo detto che non risparmio nemmeno i bambini. Povero Hikaru, per fortuna aveva Mayuri che l'ha aiutato e che quando vuole sa essere rassicurante, che si stia avvicinando il momento del suo passo evolutivo più importante? Ah, sì, i grandi tradimenti vengono allo scoperto e il mio Shinji le prende sempre (MI DISPIACE SHINJI). E adesso? E Yuichi che è venuto a sapere da Masato dei suoi genitori che sono tornati insieme? Che succederà? Il prossimo capitolo, per quanto mi riguarda, è particolarmente emozionale, quindi alla prossima :*
Nao
 
   
 
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