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Autore: blackjessamine    27/06/2022    7 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Promesse




 

La pioggia era decisamente troppo forte perché Gilderoy potesse davvero pensare di concentrarsi sulla pergamena che aveva davanti agli occhi. L'idea di tutta quella pioggia che si stava riversando sopra Londra, soffocandola in una cappa umida e fredda, lo innervosiva. Sapeva che esistevano persone in grado di farsi cullare dal suono della pioggia che tamburellava contro le finestre, chiudendo il mondo fuori e trovando la giusta concentrazione per portare a termine ogni compito, ma Gilderoy non era così. Quando pioveva, Gilderoy pensava solo al crespo dei capelli, alle pieghe sfatte, ai vestiti rovinati e al pericolo di un raffreddore in agguato – naso arrossato e sguardo annebbiato, una pessima accoppiata in caso di paparazzi appostati dietro l'angolo.

Pensava anche ai rapaci che si limitavano a consegnare la posta davvero importante, rifiutandosi di fare la spola per tutta la sera fra un capo e l'altro della città per portare uno scambio di corrispondenza infinito. 

Naturalmente Gatsby non avrebbe avuto problemi ad affrontare quel tipo di pioggia, ma questo non significava che Kingsley lo avrebbe obbligato a svolgere il ruolo di sollecito postino che aveva ricoperto nelle ultime sere.
Si erano visti soltanto una volta dopo la cena a base di patatine fritte, e si era trattato di un incontro breve, un altro incontro informale in cui però non si erano nascosti dietro alcun tipo di scusa per rivedersi: si erano scritti, si erano detti d’aver voglia di rivedersi e si erano rivisti. Tutto d’una semplicità e di una naturalezza che Gilderoy non avrebbe mai potuto credere possibile in alcuna circostanza. Non c’erano stati altri incontri, ma c’erano state lunghe serate in cui Gatsby aveva attraversato continuamente il cielo di Londra, portando un esagerato numero di lettere da un capo all’altro della città. Gilderoy, che pure quei biglietti li aveva conservati tutti, non avrebbe saputo dire, su due piedi, il contenuto di quelle lettere: lui e Kingsley si erano scritti continuamente chiacchiere di poco conto, commenti brevi a fatti accaduti durante la giornata, parole prive di qualsiasi peso ma apparentemente incapaci di essere accantonate. Kingsley aveva cominciato, quasi per gioco, a ritagliare articoli di giornale che parlassero di Gilderoy e a mandarglieli correlati di commenti ironici – erano commenti che scherzavano sempre sul giornalista, sul suo modo di presentare l'articolo e sul mondo patinato da cui tutto sembrava provenire, non su Gilderoy, mai su Gilderoy – e allora Gilderoy rispondeva apportando correzioni e fantasiose critiche alla prosa del giornalista. E Kingsley assecondava quelle  correzioni, inviava una stesura di suo pugno dell'articolo che distorcesse volutamente ogni situazione, e Gilderoy continuava, e così le loro lettere si trasformavano in fantasticherie che somigliavano a veri e propri racconti comici, spesso pronti a sfiorare il demenziale, in cui Gilderoy interagiva con personaggi di fantasia, la cui vita si arricchiva di nuovi dettagli a ogni nuova lettera.

Gilderoy non aveva mai fatto una cosa del genere, ma quelle lettere, quello sfogo indistinto della pura gioia di scrivere e accostare parole a disegnare situazioni sempre più assurde per il puro gusto di alimentare fantasie lo faceva sentire completamente libero e leggero. Kingsley si era inserito in quel gioco dando prova di una fantasia sorprendente: Gilderoy non avrebbe mai sospettato  che un Auror tanto pragmatico potesse essere in grado di lasciarsi andare ad attività tanto prive di uno scopo, ma  mai sorpresa era stata tanto gradita.

 

Un lieve bussare alla porta del suo studio lo riscosse dai suoi pensieri,  costringendolo a un sobbalzo. 

"Avanti!"

Gilderoy si affrettò a nascondere la pergamena praticamente intonsa sotto una pila di vecchi appunti, sperando che Septimus non si accorgesse che il lavoro non era proseguito di una virgola da quando Gilderoy aveva promesso di cominciare a lavorarci.

"Eccoti, eccoti! Allora, come procede questa scaletta? Abbiamo qualcosa di concreto su cui lavorare?"

Gilderoy fissò gli appunti svogliati  che aveva davanti, sperando di trovare una giustificazione e una scusa plausibile per ammansire l'entusiasmo inquisitore di Septimus.

"Be', sì, procede, io…"

"Benissimo, benissimo! Dopo mi racconti tutto. Adesso lascia piuma e pergamena, aggiustati il sorriso e vieni nel mio ufficio, abbiamo un appuntamento con la signorina Skeeter".

Gilderoy avrebbe voluto essere grato alla signorina – che di signorile non aveva proprio niente – per la provvidenziale distrazione di Septimus, ma la preoccupazione superava qualsiasi tipo di gratitudine. 

Gilderoy non aveva nessun appuntamento con lei: la sua intervista mensile in esclusiva, parte del folle accordo stipulato da Septimus, era già stata rilasciata, ma di Rita Skeeter Gilderoy non si fidava. Quella convocazione improvvisa aveva sicuramente più di uno scopo, e Gilderoy sospettava che la Skeeter volesse cercare di rubar loro più attenzioni di quanto pattuito.

Tuttavia, Gilderoy non aveva altra possibilità che seguire Septimus lungo il cupo corridoio che collegava il suo ufficio a quello del direttore della Magic Inkheart, approfittando di ogni finestra per controllare la perfezione dei suoi ricci – una fotografia poteva sempre essere in agguato – e rassettarsi il completo da ufficio di un seriosissimo color carta da zucchero. 

"Dimenticavo", gettò lì distratto Septimus, mentre incedeva con il suo marciare pesante lungo il corridoio "domenica sei invitato a un convegno di Spezzaincantesimi nel Northumberland. È una cosa molto tecnica, tu sei solo un ospite, ti basterà raccontare qualche aneddoto sull’Albania e poi vi sposterete subito alla cena, quindi…"

"Domenica non posso, ho già un impegno".

Gilderoy non si era fermato a riflettere: convegni di quel genere erano un incubo, perché gli addetti al lavoro del mondo della sicurezza magica sembravano sempre pronti a dissezionare ogni sua frase con un bisturi tagliente, quasi credessero che lui fosse un ciarlatano e loro avessero la possibilità di smascherarlo. Però erano ottime occasioni di intessere relazioni sociali utili, creare contatti e ammaliare qualche pezzo grosso che in futuro avrebbe anche potuto rivelarsi di una certa utilità. 

Eppure, quella domenica era fuori discussione che Gilderoy preferisse cene scadenti in luoghi dimenticati dalla grazia di Corinna al misterioso invito che Kingsley gli aveva lanciato – fatti trovare alle otto precise all'ingresso del villaggio di Coniston, nel Distretto dei Laghi: al resto penserò io.

"Un impegno? Non mi risulta…" 

Septimus aveva estratto dalla tasca slargata della giacca l'enorme agenda rivestita di pelle di drago dove era solito appuntarsi qualsiasi cosa, compresa la frequenza con cui faceva dei doni a Ottilia.

"Non ti risulta perché non è un impegno che tu possa avere in agenda, è qualcosa di… personale".

Gilderoy aveva involontariamente abbassato lo sguardo, pronunciando quel personale. Se c’era qualcuno che sapeva tutto, o per lo meno abbastanza sulla sua vita privata, quello era Septimus. Septimus che aveva sempre mostrato una certa tolleranza per le sue inclinazioni, limitandosi a raccomandare più e più volte di tenere eventuali flirt ben lontani da qualsiasi sguardo pubblico. Eppure, Gilderoy non poteva fare a meno di provare una certa vergogna, quasi un senso di colpa, ogni volta che l’argomento tornava prepotentemente a galla. 

“Oh… oh, ma Gilderoy, sicuramente questo può aspettare. Il convegno…”
“Non credo possa aspettare. Non voglio che aspetti”.
Gilderoy, di nuovo, non aveva riflettuto prima di parlare. Gilderoy che era sempre stato attentissimo non solo a tenere al sicuro e lontano dai riflettori la propria vita privata, ma anche a non permettere mai che l’avventura del momento potesse anche solo lontanamente interferire con la propria carriera, si era ritrovato a rifiutare in maniera categorica e del tutto inconscia la possibilità di dover rimandare quello strano appuntamento.
“Gilderoy, per favore, sii ragionevole. Questo affare personale non può davvero essere più importante della cena e di…”
“Oh, ma qui stiamo affrontando argomenti interessantissimi! Che ne dite di anticipare l’intervista del prossimo mese? Sono sicura che fin troppe streghe ucciderebbero per leggere fra le righe della vita privata dello scapolo più ammirato d’Inghilterra!”
La porta dell’ufficio di Septimus si era improvvisamente spalancata sotto la spinta violenta e totalmente priva di grazia di Rita Skeeter. La donna indossava un terribile completo d’uno stridente color ocra – a Gilderoy pareva addirittura di udire il fastidio che quella visione gli provocava – e il suo sorriso ricoperto di rossetto magenta con tanto di sbavatura sull’incisivo si allargava come una minaccia sul suo viso acceso di curiosità. 

“Rita! Puntualissima, vedo! Ah, quanto è bello trovare qualcuno capace di dare valore al tempo altrui… vieni, cara, accomodati, e scusaci per l’attesa, ma insomma, io e Gilderoy avevamo delle questioni importantissime di cui discutere, sai, per quel progetto di cui ti ho parlato… te ne ho parlato, sì? No? Ma allora bisogna rimediare!”
Septimus trascinò una Rita stordita all’interno del suo ufficio, e Gilderoy si ritrovò, per l’ennesima volta nella sua vita, a ringraziare il cielo di avere un editore tanto pronto a captare il pericolo e a disinnescarlo. Le chiacchiere di Septimus sapevano essere così avvolgenti da sopraffare chiunque, anche un segugio come Rita Skeeter.

E così Gilderoy si ritrovò ad accomodarsi sulla sedia dove aveva passato tante ore della sua vita, immerso fra le carte e il disordine dello studio, sentendo accanto a sé l’ingombrante presenza di Rita Skeeter. 

Septimus fu a dir poco bravissimo: riuscì a offrire a Rita dettagli succulenti sul manuale che era ancora solo un’idea, senza però rivelare niente di davvero importante. Senza nemmeno rivelare che quello a cui stavano lavorando era un manuale, cosa che Gilderoy non sarebbe mai stato in grado di fare: decisamente, doveva ancora imparato molti  dei segreti di Septimus sulla dissimulazione. Riuscì anche a gettare in mezzo al suo discorso-fiume minuscoli accenni alla famiglia di Gilderoy, lasciando presumere – senza mai dire una palese bugia – che lui avesse bisogno di passare del tempo con alcuni familiari che non godevano più di ottima salute. Insomma, qualcosa di plausibile ma di poco interessante per Rita, che parve dimenticare ciò che aveva origliato e decise di non insistere in proposito. 

“Ma adesso lascio la parola a te. Se non sbaglio, mi hai scritto che hai delle novità sul piccolo… incarico che ti abbiamo affidato, giusto?”
Rita, in un istante, tornò serissima. Smise di giocare con la fibbia della sua borsetta, come faceva ogni volta che sembrava sul punto di estrarre la sua Penna Prendiappunti, e raddrizzò la schiena, posando sulla scrivania le sue mani munite di artigli di pessimo gusto. 

A Gilderoy venne quasi da ridere: sembrava che la giornalista priva di ogni scrupolo fosse scomparsa per lasciare il suo posto a una studentessa di Hogwarts decisa a dimostrare alla McGrannitt di aver studiato per bene la lezione.

Anche Gilderoy, del resto, si era ritrovato a sporgersi verso quella donna, improvvisamente ansioso di non perdersi nemmeno una delle sue parole: se davvero Rita aveva scoperto qualcosa su Queenie Royal, lui aveva bisogno di saperlo al più presto.
Non sapeva neppure lui che cosa sperasse di sentirsi dire: temeva di scoprire chi si celasse dietro quell’incubo letterario, temeva di doverla incontrare, temeva che la situazione fosse ancor più spaventosa di quella che già sembrava. Temeva, soprattutto, di dover mettere in atto il piano di Septimus: lo faceva perché aveva paura di fallire, certo, ma lo faceva anche perché questo avrebbe significato dover troncare sul nascere tutto ciò che stava succedendo con Kingsley.

“L’hai trovata? Hai scoperto di chi si tratta?”
Gilderoy non si trattenne e sputò fuori questa domanda fissando direttamente la Skeeter e ignorando le sopracciglia sollevate di Septimus. La donna arrossì lievemente, e Gilderoy ebbe l’impressione di scorgere nel suo sguardo un briciolo di vergogna.

“A dire il vero no, non ho ancora scoperto di chi si tratti”. 

Dunque anche Rita Skeeter non era il segugio formidabile che voleva apparire. 

Sollievo.
Gilderoy provava sollievo, ma il sollievo naufragò presto nella frustrazione: possibile che questa dannata Royal fosse così brava da nascondersi anche dalle indagini più accurate?
“Scusa, mia cara, ma avevi accennato a delle novità…”
Alle parole di Septimus, Rita parve riscuotersi e ritrovare un po’ di sicurezza.

“Infatti. Credo di aver trovato quella che potrebbe essere la pista vincente, ma mi servirà del tempo”. 

Improvvisamente, gli occhi della donna si accesero di un brillio metallico, che a Gilderoy ricordò in maniera incredibile il modo in cui lo stesso Septimus sapeva animarsi quando finalmente poteva dare spettacolo e mostrare un suo piano ben architettato. 

“Ho un contatto alla Gringott”, esordì infatti la Skeeter, raggiante. 

Septimus e Gilderoy si scambiarono uno sguardo incerto, ma nessuno dei due osò aprire bocca.

“Sì, insomma, un goblin che ho pizzicato tempo fa con gli artigli sporchi del fango che ti resta addosso quando ti immischi di mercato nero e vendita illegale di manufatti magici, e…”
“Rita, cara, purtroppo a me non interessano questo tipo di storie. Una denuncia sulla corruzione interna della Gringott farebbe sicuramente un figurone sulle pagine della Gazzetta del Profeta, ma io pubblico libri, non…”
“So benissimo quello che pubblichi, grazie”, Rita intervenne secca a interrompere Septimus.

“Quello che voglio dire è che questo piccolo collaboratore si è detto disposto a lasciar scivolare per sbaglio un occhio sui registri delle transizioni. Se la camera blindata di qualche strega dovesse essersi riempita di qualche galeone di troppo in corrispondenza con le pubblicazioni della Royal, potremmo iniziare a sommare gli indizi”.

“La Royal non si è fatta pagare per i suoi libri”, intervenne Gilderoy, senza riuscire a nascondere l’irritazione dalla voce: non aveva ancora digerito il modo in cui la beneficenza della Royal aveva oscurato la sua grande vittoria. 

“Non si è fatta pagare per il suo ultimo libro, ma per tutti gli altri la furbona ha intascato fino all’ultimo galeone delle sue royalties. E sì, prima che tu mi interrompa” Rita lanciò un’occhiata truce a Septimus “abbiamo considerato l’idea che la Royal non si sia fatta accreditare i pagamenti sul suo conto della Gringott, ma è del tutto improbabile”.

Gilderoy si ritrovò a concordare con Rita: facendo qualche rapido conto, i guadagni della Royal, per quanto limitati ai suoi primi romanzi, dovevano essere relativamente ingenti. Era quindi improbabile che Flintshire avesse scelto di pagarla con Galeoni sonanti senza passare per un’istituzione come la Gringott, perché un accredito che passava attraverso la Gringott generava un tracciamento magico che permetteva ad un onesto commerciante di dimostrare la legittimità di tutte le proprie entrate e uscite a qualsiasi controllo, e Flintshire aveva tutta l’aria di voler apparire irreprensibile agli occhi della legge.

“E se… se la Royal avesse un’altra banca?”
Gilderoy e Rita scoppiarono entrambi a ridere. Non esistevano altre banche nel mondo magico. Quei dannati goblin controllavano qualsiasi grammo d’oro rotolasse per il Paese.

“Un’altra banca? Quale altra banca, Septimus?”
Septimus si strinse nelle spalle, gli occhi stretti in due sottili fessure. 

“Non so. Una banca babbana, magari, proprio per sviare i sospetti…”
Era possibile? Gilderoy credeva di no. I libri di Queenie Royal erano così immersi di cultura magica da lasciare intendere che probabilmente la Royal non doveva nemmeno sapere quanti occhi avesse, un babbano. Eppure, se Ebenezer Flintshire avesse mai sospettato che prima o poi qualcuno avrebbe provato a rintracciare a tutti i costi la vera identità di Queenie Royal, prendere una precauzione del genere sarebbe stato non solo sensato, ma anche auspicabile. 

La voce spiccia di Rita Skeeter tornò a riempire la stanza:
“Non è da escludere, ma mi sembra la soluzione meno probabile. E in ogni caso, se non dovessimo trovare niente, potremo sempre passare ad analizzare il registro dei cambi: se la TuMiStreghi ha pagato la Royal con soldi babbani su conti babbani, avrà pur dovuto far richiesta alla Gringott per ottenere una nuova valuta, no? E anche tutti questi movimenti sono registrati”. 

 

Quell’incontro durò ancora a lungo, troppo a lungo per la pazienza di Gilderoy, soprattutto perché Septimus e Rita continuarono a parlare di Queenie Royal, dei suoi romanzi, delle strane tempistiche con cui erano stati pubblicati e del loro effetto sul pubblico dimenticandosi quasi completamente di Gilderoy. E Gilderoy avrebbe dovuto esserne felice, perché l’inizio di quell’incontro aveva rischiato di sfiorare la tragedia, con le domande inopportune della Skeeter e la sua voglia di scoprire che cosa si celasse dietro il suo impegno personale. 

Eppure, Gilderoy non era capace di stare al centro di una stanza senza essere anche al centro dell’attenzione, così prese a tamburellare con le dita, a emettere sospiri rumorosi, a picchiettare a terra con il tacco degli stivali, a giocherellare con piume e pergamene abbandonate sulla scrivania di Septimus fino a quando, finalmente – finalmente – Rita strinse le mani a tutti, promise di farsi viva entro due settimane con qualche risultato più concreto della sua ricerca e lasciò finalmente la stanza.

Senza gli orridi colori che la donna si portava addosso, Gilderoy ebbe la sensazione di poter respirare più liberamente.

“Allora, Gilderoy, il momento di conquistare la tua nuova fiamma si avvicina sempre di più. Sei pronto?”
Gilderoy annuì, svogliato. 

No che non era pronto. 

Non era pronto a dover studiare la vita di questa donna misteriosa, imparare i suoi gusti e le sue abitudini e mettere a punto con Septimus un tipo di personaggio il più adatto possibile a conquistarla. Non era pronto a corteggiare, a posare la mano sul fianco di una donna, a baciare una donna e farci chissà cos’altro. Non era nemmeno sicuro che sarebbe stato in grado di combinarci qualcosa, maledizione.

“Sono prontissimo”.

“Il tuo impegno personale di domenica non sarà un problema, vero?”
Dalla porta che Rita aveva lasciato socchiusa giunse il ronzare pigro e fastidioso di una grassa mosca che svolazzò nella stanza per poi posarsi in cima alla pila più alta dell’incartamento sulla scrivania di Septimus. Gilderoy fece un gesto pigro per scacciarla – cielo, quanto detestava gli insetti! – ma lei rimase impassibile.

“Non lo sarà”.

“Gilderoy, devi capire l’importanza della situazione”.

“Ti ho detto che non sarà un problema!”
Gilderoy era scattato, più nervoso di quanto avrebbe voluto. 

Detestava quella situazione, e detestava che Septimus riuscisse a vedere così bene attraverso le sue false rassicurazioni. 

“Gilderoy, ragazzo, lo so che è difficile. Sei stato impeccabile, in tutti questi anni, e lo so che non dev’essere stato facile. Però non puoi crollare, non adesso”. 

Gilderoy chiuse gli occhi: non voleva vedere lo sguardo pieno di compassione – una compassione sporcata di rimprovero  – di Septimus. 

“Non sto crollando”.

“Eppure mi sembra che sia più difficile del solito, per te”.

“Ti ho detto che non sto crollando. È solo che… lasciami questa domenica. Solo questa domenica, lasciaci questa domenica e poi ti giuro che mi dimenticherò di lui e mi sveglierò ogni mattina pensando solo a Queenie Royal”.

Gilderoy non riaprì gli occhi, sperando che assieme al mondo potesse ignorare anche il male che sentiva nel petto alla prospettiva di rispettare la promessa fatta a Septimus. Non aveva mai fatto così male. 

Non era giusto che facesse così male. 






 

 


 

Note:

Di parole per giustificare la mia lentezza non ne ho proprio più.
Mi dispiace, davvero, ma giuro che sto facendo del mio meglio in un periodo in cui il poco tempo libero che ho lo passo a fissare il soffitto cercando di recuperare energie. 

Ma, insomma, ci ho messo tanto questa volta perché nel frattempo ho anche scritto l’epilogo della storia. Che non è vicinissimo, ma scriverlo mi ha aiutata a dare ordine ad alcuni pensieri sparsi. E sì, se ve lo steste chiedendo: Queenie Royal è molto vagamente ispirata alla figura di Elena Ferrante, e sì, il metodo con cui la Skeeter vuole scoprire la sua vera identità si ispira (molto liberamente) all'inchiesta con cui il Sole 24 Ore ha scoperto l'identità della Ferrante.

Grazie a chiunque abbia la pazienza di continuare a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti a singhiozzo. 

 
   
 
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