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CONTINUITA’
SPAZIO ANNO 2977
Erano trascorsi alcuni mesi dalla partenza di Joy.
Molte cose erano accadute.
L’Arcadia era stata nuovamente e pesantemente attaccata dalla flotta della Gaia
Sanction. Avevano tentato di usare una potentissima arma di distruzione
chiamata Jovian Blaster. Si caricava usando il pianeta Giove come un cannone al
plasma, che poi sparava la sua potenza distruttiva sull’obiettivo,
disintegrandolo. Così avevano cercato di distruggere la nave pirata e la Terra
stessa, di cui a loro non interessava più niente perché Harlock aveva fatto in
modo, entrando tramite Yattaran nella rete d’informazione interplanetaria, di
rendere nota a tutti la sua vera e reale condizione. I pirati avevano poi
trasmesso, sempre intrufolandosi nella rete, un messaggio in cui spiegavano il
loro piano di riedificare il Pianeta, creando grande scompiglio e non pochi
problemi al governo Gaia. Di fatto avevano dato una bella scossa alle coscienze
dormienti, che ora avevano cominciato a non fidarsi più delle informazioni
diffuse dalle reti nazionali.
Era stato per questo motivo che il Plenipotenziario aveva ordinato di scagliare
contro l’Arcadia tutta la loro flotta e concesso di usare il terribile e
devastante Jovian Blaster. Li volevano neutralizzare a qualsiasi costo.
Ezra, avendo subito compreso che oltre la nave pirata avrebbero distrutto anche
la Terra, si era ribellato ed aveva avvertito Harlock. Questa scelta gli era
costata la vita, dato che quelli, una volta capito che non stava affatto attaccando
i pirati, avevano dato ordine che le navette della Gaia Fleet lo
bombardassero, costringendolo ad una veloce ritirata.
Ezra, con la sua ammiraglia Okeanos, aveva tentato di raggiungere l'Arcadia in
un disperato tentativo di salvataggio ma, quando si era reso conto che il
potentissimo cannone stava per sparare, si era subito messo in mezzo deviandone
la traiettoria in modo da salvare la Terra e lasciando che l’arma sfiorasse
appena la nave pirata. Quell’azione non gli lasciò scampo: la sua nave ed il
suo equipaggio erano inevitabilmente saltati in aria. Grazie al suo sacrificio,
il Jovian Blaster era a sua volta divenuto un facile bersaglio per l’Arcadia.
La grande abilità strategica di Harlock aveva consentito di colpirlo e
distruggerlo tramite una massiccia esposizione di materia oscura che ne aveva
assorbito la potenza, per poi riscagliargliela contro. Era stata utilizzata
un’arma sempre a base di dark matter che trasformava l'Arcadia dotandola di una
struttura ad ali laterali che si aprivano e funzionavano come una sorta di
fionda. Questa operazione complicata e difficile era quasi costata la vita a
Meeme che, per rendere attuabile il piano del Capitano, si era dovuta
smaterializzare ed inglobare nel motore per potenziarlo al massimo, facendo
così uscire fuori quasi tutta la dark matter necessaria a neutralizzare e
distruggere il Jovian Blaster.
Per fortuna poi era riuscita miracolosamente a rimaterializzarsi, con grande
sollievo da parte di tutti, soprattutto di Harlock che era stato costretto, suo
malgrado, a chiederle questo sacrificio così immenso per il bene comune. Lei,
di contro, aveva aderito quasi con sollievo, come se potesse finalmente
riscattarsi dall’averlo aiutato a distruggere la Terra, dimostrandosi forte e
impavida.
Poco prima di immolarsi, Ezra aveva chiesto di parlare con Yama e lo aveva in
qualche modo perdonato per l’incidente alla serra, ma non solo, gli aveva
confessato che era stato adottato(1) e
che per questo lui era sempre stato così geloso e scostante nei suoi confronti.
Aveva chiesto a sua volta anche il perdono del ragazzo, per poter morire in
pace e raggiungere Nami senza conti in sospeso.
Yama ovviamente glielo aveva accordato e si era molto disperato per il suo sacrificio:
adottato o meno, lui lo amava davvero come un fratello e vederlo morire era
stato straziante.
Questa cosa dell’adozione ovviamente aveva sconvolto tantissimo Yama il quale
ancora non sapeva assolutamente niente, né riguardo ad Harlock, né tanto meno
riguardo a Joy, che di fatto erano i suoi veri genitori.
Successivamente a questi accadimenti, Harlock si era immerso a capo fitto nella
sua missione. Procedeva a testa bassa nelle sue incombenze e così aveva
caldamente evitato la problematica Yama. La sua priorità era la
Terra e la sua riedificazione, prima avessero messo a punto il processo, prima
lui avrebbe potuto fare ciò che gli premeva di più, ovvero viaggiare nel tempo
per andare a riprendersi Joy. Era diventato il suo secondo scopo di vita subito
dopo la rinascita della Terra.
Con il ragazzo aveva un rapporto conflittuale. Naturalmente la sua affezione
era mutata e spesso si sorprendeva a scoprire atteggiamenti molto simili ai
suoi, ma anche a quelli della madre e questo lo turbava molto, a volte anche
troppo. Tanto che spesso era scostante e molto cupo in sua presenza. Alla fine
con lui si comportava forse in modo più severo e più strano che con chiunque
altro, perché era ancora a disagio e non sapeva bene che fare né come risolvere
il problema, quindi al momento semplicemente lo aggirava e, sbagliando, ne
faceva fare un po’ le spese al ragazzo.
“Vorrei capire come mai il Capitano è sempre così ingrugnito con
me, insomma tutte le volte che mi rivolge la parola sembra arrabbiato. Pare che
io non ne faccia una giusta…” stava commentando Yama con Kei, durante una pausa
dal suo nuovo incarico insieme al nuovo biologo, che era ormai a bordo da
qualche tempo.
Erano tornati ad essere buoni amici. Avevano capito che tra loro per il momento
non ci potevano essere implicazioni sentimentali. Si conoscevano poco ed erano
partiti con il piede sbagliato, quindi avevano voluto ricominciare da capo,
partendo dalla semplice amicizia, il tempo poi avrebbe stabilito di che reale
natura avrebbe potuto diventare il loro rapporto.
“Sta soffrendo molto, anche se non vuole darlo a vedere. Non deve essere stato
facile rinunciare a lei, cerca di capirlo. Tu qui sei comunque l’ultimo
arrivato è normale che sia un po’ più duro con te” gli spiegò la ragazza.
“Sì, va bene, ma a volte l’ho sorpreso a spiarmi. Certo lui è furbo, sembra sia
sempre nei paraggi per caso, invece sono certo che mi tampina”.
“Alla fine non è mai stata approfondita la faccenda del fatto che vi somigliate
così tanto… forse è per quello che ti spia…” commentò a voce alta Yuki,
cambiando radicalmente discorso.
Come tutti, ad eccezione di Meeme e Zero, nemmeno Kei era al corrente della sua
vera identità e aveva fatto riferimento a quella famosa volta in cui c’era
stata quella discussione nella cabina del ragazzo, dopo che aveva parlato con
Joy.
Yama sospirò e fece spallucce “Tutte cazzate… voi ragazze avete insita questa
tendenza al dramma, che vi fa vedere anche quello che non c’è e poi io sono più
bello di Harlock, ergo lui non può essere me” e fece una faccia buffissima per
poi scoppiare a ridere da solo della scemenza che aveva detto, aveva bisogno di
leggerezza; era un po’ a disagio ultimamente, proprio a causa di Harlock perché
sentiva, costante, il suo sguardo addosso, non ne capiva la ragione e ne
soffriva. Quindi doveva sdrammatizzare ed in questo assomigliava a sua madre.
Gli ultimi tempi erano stati difficilissimi per lui, si sentiva solo al mondo,
senza più famiglia ed identità. Non ne parlava, ma il fatto di aver scoperto di
essere stato adottato lo aveva sconvolto, minando tutte le sue certezze. Come
suo padre, era però molto forte interiormente e celava il suo vero dolore
ricacciandolo sempre in una parte recondita di sé, cercando di dominarlo.
“Harlock, quando hai intenzione di parlare con Yama?” chiese Meeme al Capitano,
prima di bere un sorso di Barolo dall’elegante calice di cristallo e argento,
di antica fattura.
Lui non rispose, era impegnato a controllare una carta nautica e quello era un
argomento di cui non voleva parlare.
“Ignorarmi non risolverà il problema” disse l’aliena prima di finire il liquido
purpureo in tre piccoli sorsi “Non sai quando lei lo rimanderà indietro e se,
come ha promesso, farà in modo di evitare l’incidente nella serra, è probabile
che tra qualche tempo riappaia Nami, dovresti parlargli”.
Harlock alzò la testa e la guardò accigliato.
“Non comprendo la tua agitazione, Yama sa che Joy farà questa cosa, glielo ha
chiesto lui stesso, io che cosa dovrei mai dirgli?”.
“Lo sai benissimo di che cosa devi parlargli e stai rimandando da troppo tempo.
Cos’è che ti preoccupa?” gli chiese Meeme avvertendo chiaramente il suo
disagio.
“Niente” tagliò corto.
“Sai che non è vero”.
“Meeme, non mi interessa cosa senti, non intendo parlare di questo argomento”.
“Non potrai accantonarlo per sempre”.
“Lo so” ammise, passandosi una mano tra i capelli “Il punto è che non ho idea
di cosa dirgli e non so come comportarmi. Sono suo padre, ma non vorrei
esserlo” ammise sincero.
“Perché?” gli chiese l’aliena, inclinando appena la testa di lato.
Lui sospirò forte “Non lo so… probabilmente non riesco ad abituarmi all’idea di
avere un figlio già grande. Mi manca una larghissima parte della sua vita e
sono in difficoltà, mi sembra tutto troppo strano. Non riesco a sentirlo mio,
poi la verità è che non ho mai voluto avere dei figli” ammise con cruda sincerità.
Un uomo come lui trovava quasi impossibile avere una relazione fissa,
figuriamoci avere un figlio.
Era rientrato nella sua modalità di chiusura e razionale distacco.
In realtà oltre a tutto ciò, era anche molto a disagio nel dover svelare la
vera natura del suo rapporto con Joy, sebbene ormai tutti sapessero, non voleva
assolutamente rendere nota la loro intimità e anche, in un certo senso, il suo errore.
Insomma era molto, troppo geloso delle sue cose personali e Yama era la prova
vivente di ciò che lui avrebbe voluto custodire, mantenere segreto e non
condividere con nessuno, tanto meno con la sua intera ciurma.
E poi che avrebbe dovuto dirgli? Sai, io sono tuo padre, mi è capitato
di mettere incinta tua madre, la biologa venuta da un altro tempo, e così sei
arrivato tu, scusa se non siamo stati troppo attenti! Da oggi in poi chiamami
papà.
Era sempre il solito Harlock, un uomo molto in difficoltà a rapportarsi con
gli altri, figuriamoci con un figlio adulto.
Meeme lo ascoltava e sentiva tutto il suo profondo disagio. Era un evento raro
che parlasse così tanto di ciò che gli passava per la testa e infatti vi pose
subito rimedio “Ora se non ti dispiace vorrei rimanere solo” concluse
all’improvviso. Meno pensava a quella cosa e meglio era, già ci rimuginava
troppo per conto proprio, non aveva bisogno dei rimbrotti dell’aliena.
Lei pazientemente lo accontentò. La strada da percorrere per convincerlo le
parve ancora molto lunga, meglio non calcare la mano.
Per Harlock c’era anche un’altra questione spinosissima e, da un certo punto di
vista, assurda ma di fatto anche se non lo diceva e se ne vergognava, era
davvero arrabbiato con Yama.
Era una cosa illogica, ma a volte ai sentimenti non si può proprio comandare,
ed era come se in un certo senso lo ritenesse responsabile della dipartita di
Joy.
Certo, l’aveva messa incinta lui, non è che non considerasse la sua di
responsabilità, però quel ragazzo era un promemoria vivente e giornaliero
nonché il motivo principe per cui lei aveva dovuto lasciare l’Arcadia e quell’arco
temporale.
Doveva digerire un sacco di cose, era normale che avesse bisogno di tempo.
Finì di consultare le carte nautiche interstellari e poi si alzò per dirigersi
in Plancia.
Appena arrivato dette le coordinate a Yattaran che si stupì.
“Andiamo sulla Terra, Capitano?”.
“Sì. È ora di fare un bel giro di ricognizione per vedere in che reale stato
versa”.
“Non sarà pericoloso? Voglio dire, la Gaia Sanction conosce i nostri piani,
sarà sicuramente presidiata” commentò saggiamente Kei.
“Nasconderemo l’Arcadia con un ologramma, la saturazione di Dark Matter
presente nell’atmosfera potenzierà lo scudo di protezione e scenderemo con due
navicelle io, Yama e Yattaran, che deve farci da eventuale copertura; tu Kei,
rimarrai sulla nave e prenderai il comando finché non risaliremo” disse serio
dal suo Scranno sul quale si era seduto.
La ragazza annuì, raggiante per la fiducia accordatale dal Capitano
nell’affidargli l’intera baracca e si sentì fiera di questo onore.
Subito dopo, Harlock chiese a Yattaran di chiamare Yama per interfono e farlo
arrivare in Plancia.
Una volta arrivato il ragazzo, il Capitano lo mise al corrente di che cosa
dovessero fare.
“Parla con il nuovo biologo, suppongo che tu debba prendere dei campioni.
Equipaggiati come quando sei sceso su Tokarga, non sappiamo se possiamo
respirare senza bombole sulla Terra…”.
Yama lo interruppe per spiegargli una cosa.
“Nami una volta mi disse di sì, non chiedermi perché, ma sembrava che lo
sapesse”.
Harlock lo fulminò con un’occhiataccia delle sue.
“Non dovresti interrompermi quando parlo” gli disse gelandolo.
“Scusa io non… volevo” rispose il ragazzo mortificato. Non erano sue paranoie,
Harlock ce l’aveva proprio con lui, era chiaro.
“Va' a preparati. Tra quattro ore scendiamo sulla Terra” gli disse infine.
Come stabilito, esattamente quattro ore dopo, l’Arcadia stava
entrando nell’atmosfera terrestre. Non sarebbe atterrata ma sarebbe rimasta
nascosta a pochi metri da terra, come deciso dal Capitano.
Poco dopo, Harlock e Yama si apprestavano a scendere dalla loro navetta,
Yattaran rimase nella propria, pronto ad intervenire se mai ce ne fosse stato
bisogno.
Appena affacciatisi per uscire, si resero subito conto che l’aria era
respirabilissima, quindi decisero, anche per comodità, di lasciare l’equipaggiamento
sulla navicella e proseguire senza ingombri, in abiti normali.
La dark matter aveva reso la Terra proprio come l’aveva descritta Joy, una
sorta di deserto atipico. Era tutto rossastro e fosco; c’era un gran vento che
sembrava sibilare quasi perpetuo ed alzava polvere simile a sabbia rossa.
Sembrava di essere su di uno sconosciuto pianeta alieno. Tutto intorno c’erano
diverse rovine. Assomigliava vagamente a Marte prima di essere terraformato.
Harlock era molto turbato e rimase qualche secondo ad osservare quello che la
sua sciagurata rabbia aveva causato al pianeta Terra. Immobile, a braccia
conserte, scrutava l’orizzonte nebuloso e vermiglio, mentre quel forte vento
anomalo gli faceva svolazzare il mantello, gli scompigliava i capelli e
lasciava che quella specie di sabbia gli pungesse il viso e gli irritasse
l’occhio. Mille pensieri si rincorrevano nella sua testa, estraniandolo da
tutto il resto.
Yama intanto si era subito messo a raccogliere campioni, quando
inavvertitamente, per colpa anche della poca luce che la foschia rossastra
rendeva fioca, inciampò e ruzzolò giù per un dirupo appena scosceso.
Non si fece niente ma come aprì gli occhi, davanti a sé, vide una piccola
distesa di fiorellini bianchi che si muovevano ondeggiando al ritmo del vento.
Dapprima li guardò incredulo, come se stesse avendo una sorta di allucinazione,
ma poi rendendosi conto che erano veri si alzò in piedi, quindi, emozionato ed
agitato, chiamò subito a gran voce Harlock che, allarmato da quelle grida
concitate, lo raggiunse.
Quando il Capitano arrivò in fondo al dirupo e vide i fiori, sgranò il suo
occhio e fu colto da una genuina e stupefatta meraviglia. Il suo cuore iniziò a
palpitare fortissimo, una corsa impazzita di battiti irregolari. L’emozione che
provò fu indescrivibile e violenta. Un vero colpo al cuore.
La Terra, la sua amata Terra era ancora viva!
Yama ne raccolse uno e lo rimirò.
“Nami…” disse in un soffio, rapito dalla candida corolla.
Era chiaro che la moglie di suo fratello, o chi per lei, in qualche modo era
stato lì e aveva provato a trapiantare quei fiorellini, per questo aveva così
tanto spinto Joy a fare quelle colture, perché lei sapeva già con certezza che
ci fossero ottime probabilità di riuscita(2)
Spontaneamente il ragazzo porse il fiore ad Harlock che lo prese
delicatamente tra le dita, come fosse stato il più raro e prezioso dei tesori.
Assomigliava così tanto alla Camelia Japonica che aveva Tochiro e che lui aveva
condiviso con Joy…
In quel momento, con quella piccola meraviglia della natura in mano, si rese
conto che tutto il dolore, il sacrificio e la sofferenza provati negli ultimi
mesi non erano stati inutili, così come non era stata inutile la sua espiazione
durata cento anni, tutto era servito a dare vita a questa nuova concreta
possibilità di rinascita.
Il tempo delle illusioni era finito e finalmente si erano aperte le porte della
speranza, una nuova Era stava per compiersi.
Dentro di lui fu come se un nodo atavico si sciogliesse. Sentì un’ondata di
calore salirgli dalla pancia fino in gola, per poi invadergli il viso e la
grande emozione che stava provando, si sciolse in una lacrima che dall’occhio,
rigandogli la guancia sfregiata, gli morì vicino alle labbra.
Non era dolore, non era rimpianto, era gioia pura, viva e prepotente che faceva
male al cuore da quanto era intensa.
Yama rimase toccato da questo grande turbamento che vide accendersi sul volto
del Capitano, che gli distese i lineamenti in un candido e sincero stupore,
tanto da renderlo quasi irriconoscibile. Aveva la stessa espressione di un
bambino di fronte ad un evento miracoloso, ne fu a sua volta molto emozionato e
rimase rispettosamente in silenzio.
D’improvviso però, Harlock mutò espressione e lo guardò serissimo.
“Dimmi, saresti pronto a morire, ora, in questo momento, per la salvezza della
Terra?”.
Yama non capiva che c’entrasse quella domanda, ma non fu difficile rispondere,
non c’era pericolo imminente, né alcuna ragione di dover morire.
“Sì, certo, come tutti” rispose un po’ superficialmente. Non lo capiva più il
suo Capitano, francamente cominciava a credere che fosse un po’ esaurito e che
fosse meglio assecondarlo e basta.
Harlock non rispose, con molta cura sbarbò dalla terra un fiorellino con tanto
di radici e poi lo esortò a finire di prendere i suoi campioni, quindi fecero
rientro sull’Arcadia.
Più tardi, quella sera stessa Harlock convocò nuovamente Yama in Plancia,
quando il ragazzo arrivò si rese conto che erano soli. Non c’era anima viva
oltre loro due.
Harlock se ne stava imperiosamente seduto sul suo Scranno e lo graffiò con
un’occhiata durissima.
Yama si sentì subito a disagio, ma parlò ugualmente “Eccomi. Che succede?”
chiese cercando di tranquillizzarsi, non aveva fatto nulla di male e, sebbene
lo stesse guardando di traverso, si volle convincere che gli girassero per
conto suo e non ce l’avesse direttamente con lui.
“Ho preso una decisione. Imparerai a pilotare questa nave” gli disse asciutto.
Yama lo guardò perplesso “E perché mai? Non sono nemmeno un ufficiale, cioè lo
sono ma non di questa nave”.
“Perché ho deciso così. Ti ritengo il candidato più idoneo a diventare il
futuro comandante in seconda” sparò a sorpresa, sempre molto ingrugnito.
Non era semplice per niente. Stava, oltre tutto il resto, cercando di fare
qualcosa per passare del tempo insieme a lui, per trovare un contatto, ma come
suo solito gli riusciva proprio male interagire con le persone e così finiva
per essere il solito burbero ed incomprensibile vecchio Harlock, proprio come a
suo tempo lo era stato con sua madre.
Provava dei sentimenti per lei, ma li soffocava e così stava facendo con il
ragazzo.
Yama era basito. Comandante in seconda? In realtà non era troppo convinto di
volerlo quel ruolo, né ora e forse neppure mai, e poi c’erano delle gerarchie
da rispettare, questa cosa lo agitò moltissimo. Non la capì e non gli piacque,
ma non disse nulla, quello era così torvo che era meglio essere cauti.
“Ovviamente non lo diventerai subito. Devo addestrati come si deve e capire se
potrai essere davvero all’altezza”.
Il ragazzo era rimasto in silenzio, c’era qualcosa che proprio non gli tornava
in tutta questa faccenda, ma non riusciva a capire che cosa fosse, anche se era
lampante che Harlock con lui fosse molto, troppo strano.
“Perché prima mi hai risposto in modo superficiale, Yama?” gli chiese spiazzandolo
e distogliendolo dalle sue congetture.
“Ma quando?” domandò.
Harlock sbuffò “Quando eravamo sulla Terra e ti ho chiesto se eri disposto a
morire” quindi si alzò e gli andò incontro a braccia conserte, guardandolo
serio “Non si scherza mai con la morte, mai! Hai capito?”.
Yama si sentì ancora più a disagio, come sotto esame.
“Non intendevo scherzare, Capitano” disse raddrizzando la schiena, proprio come
faceva Joy e questo ammorbidì appena Harlock, ma giusto solo un poco.
“Te lo ripeto: sei pronto a morire per il bene della Terra?” gli chiese
nuovamente girandogli intorno.
Yama sospirò “Se sarà necessario sì” disse più convinto.
Ma perché quell’interrogatorio?
“Bene, molto bene” disse condiscendente, smettendo di giragli intorno per poi
fronteggiarlo.
Quindi a sorpresa estrasse il detonatore delle bombe a vibrazione dimensionale
e poggiò il dito sullo start.
“Vedi, non ho abbandonato l’idea di far saltare tutto in aria, soprattutto se
dovesse accaderci di essere sconfitti dalla Gaia Fleet. In quel caso, farei
esplodere tutte le bombe che ancora non ho disinstallato”.
Yama sentì un moto di rabbia investirlo.
“Non lo farai, non puoi farlo, è una follia!” si risentì con veemenza.
“Sarebbe più folle condannare l’umanità alla schiavitù della Gaia Sanction”
rispose calmo ma deciso Harlock.
“C’è sempre una speranza! E comunque io te lo impedirò” disse ed a sorpresa
tirò fuori la sua Cosmo Gun, puntandogliela contro.
Era proprio figlio loro: pieno di speranza come sua madre e combattivo come suo
padre.
Harlock, non si fece cogliere alla sprovvista, velocissimo estrasse il Gravity
Saber ed a sua volta lo puntò contro il ragazzo. Si stavano tenendo entrambi
sotto tiro incrociato.
“E ora Yama, che farai?” gli chiese serio.
Non gli avrebbe fatto nessuno sconto, mai, anzi sarebbe stato più duro proprio
perché era sangue del suo sangue.
Il ragazzo tacque qualche secondo e osservò torvo il suo Capitano.
“Se credi che non abbia il coraggio di spararti, ti sbagli” gli disse serissimo
e Harlock capì che non stava mentendo. Questo gli piacque molto, tanto da
strappargli un lieve accenno di sorrisetto compiaciuto.
Ma a sorpresa Yama abbassò l’arma “Ti ho giurato spontaneamente fedeltà fino
alla morte e non rinnegherò la mia scelta, ma non puoi distruggere la Terra,
renderesti vano tutto il lavoro di Nami e di Joy: i loro sacrifici, la morte di
Ezra, sarebbero inutili. Non sei un pazzo, ma se davvero uscirai di senno,
allora sappi che mio malgrado ti sparerò”.
Harlock abbassò l’arma e fece un cenno di assenso con la testa, quindi
rinfoderò il Gravity Saber.
Yama lo guardò serio “Perché ti stai comportando così con me?” gli chiese
scrutandolo.
Harlock non rispose.
“Sei arrabbiato con me perché ho detto a Joy di Nami vero? Mi reputi
responsabile della sua partenza? Se avessi taciuto lei sarebbe ancora qui…”.
Non volendo aveva quasi centrato il punto.
“Ci sono cose che non sai, cose importanti” disse Harlock.
“E allora dimmele!” lo esortò il ragazzo, stufo di tutto quel mistero e quelle
stranezze.
“A tempo debito” fu la risposta criptica del Capitano.
Yama rimase qualche secondo in silenzio e poi disse: “Non credo di voler
diventare il capitano in seconda di questa nave, non mi sentirei a mio agio in
questo ruolo. Non mi interessa comandare”.
Era stato estremamente sincero. Non sapeva più chi fosse, in più si ritrovava
con un uomo che aveva stimato moltissimo ma che adesso gli sembrava strano e
incoerente. Era confuso e amareggiato, cercava solo chiarezza e risposte da una
vita nuova che non capiva, che non sentiva ancora completamente sua.
Harlock rimase chiuso nel suo silenzio e alla fine Yama si arrese, gli dette le
spalle e si allontanò dalla Plancia senza neanche chiedere il permesso.
Quel silenzio era pesante come un macigno, perché era custode di un grande
segreto e lui avvertiva che il Capitano gli stava facendo ostruzione.
Era profondamente turbato e sconcertato. Non sapeva, né capiva bene perché, ma
quella sera in Plancia avvertì senza ombra di dubbio che era accaduto qualcosa
di importante tra loro, ma non riusciva proprio ad intuire che cosa fosse,
sebbene ne avvertisse a pelle la potenza. Aveva la necessità fisica di
allontanarsi, cercando rifugio nella solitudine. Doveva raccogliere le idee,
solo dopo avrebbe affrontato il Capitano e preteso spiegazioni sul suo comportamento
e su quell’idea assurda di farlo comandante in seconda. Non era uno stupido,
era chiaro che se gli aveva proposto un ruolo così importante, ci doveva essere
a monte un motivo particolare e lui voleva saperlo.
Harlock lo vide andare via, proprio come avrebbe fatto lui stesso al suo posto
e capì che i tempi erano maturi, che gli piacesse o no, era giunta l’ora di
dirgli la verità.
LONDRA ANNO 2034
Joy guardava incredula quell’esserino che gli avevano appena
portato e che teneva tra le braccia. Si sentiva profondamente felice e allo
stesso tempo infinitamente infelice. Questa dualità di sentimento la rendeva
quasi assente, come se vivesse ancora sospesa tra terra e spazio, tra reale e
irreale.
Il bimbo era piccolo, morbido e profumava di buono, come un biscotto alla
vaniglia. Era tranquillo, aveva appena mangiato ed ora sonnecchiava placido. Lo
osservò con attenzione, i pochi capelli castani leggermente ritti sulla testa e
due occhi incredibilmente dorati, lo rendevano inconfondibilmente ciò che era: il
frutto dell’amore con Harlock. Lo guardava sempre più incredula e confusa.
Sapeva esattamente l’aspetto che avrebbe avuto tra circa una ventina d’anni e
poco più e le sembrava una cosa davvero folle, quasi un’eresia, eppure…
Suo padre l’aveva raggiunta in ospedale da pochi minuti ed era stranamente
silenzioso. Sembrava profondamente turbato, ma per ora non aveva parlato un
gran che. Si era solo assicurato che stesse bene e aveva guardato il piccino
con aria prima basita, poi incredula ed infine curiosa.
“Sembra tu sia preoccupato” gli disse biologa di sottecchi, che intuiva il suo
disagio.
“Ti prego, non una parola del tuo viaggio, ne parleremo una volta a
casa da soli, certo non mi sarei aspettato che tornaste in due!” commentò
l’uomo appena contrariato. Non è che l’avesse mandata su Gorianus per
riprodursi.
“Se questa vuole essere una predica, risparmiatela, ho un sacco di domande da
farti e pretendo delle risposte chiare” gli disse Joy adirata e poi si toccò la
testa per fargli capire del chip.
“Hai ragione, ho un’infinità di cose da dirti e spiegarti, ma ti chiedo una
cosa sola: sei riuscita a fare ciò che dovevi?”.
“Sì” rispose Joy, carezzando piano il piccolo.
“E questo… è il figlio… di lui?” chiese l’uomo imbarazzato. Insomma mica
l’aveva mandata lassù nello spazio perché diventasse l’amante di Harlock!
“Ne parleremo a casa, anche io ho un sacco di cose da dirti e non credo che ti
piaceranno tutte…” ammise la ragazza pensando a Nami e alla sua triste sorte.
L’uomo annuì. Certo la curiosità era tanta, ma sapeva che era meglio non
mettersi a parlare in una camera d’ospedale che per di più Joy condivideva con
un’altra puerpera ciarliera e un po’ impicciona.
Sorrise e poi guardò il bambino “Hai già deciso come lo chiamerai?”.
“Sì. Il suo nome è Yama”.
“Yama? Ma è il nome del dio della morte!” commentò perplesso il professore.
“Sì, ma non c'entra niente. È l’anagramma del nome Maya” rispose la ragazza
senza neppure rendersi conto che aveva scelto quel nome per una ragione
particolare e profonda.
L’uomo non capiva, ma lei sì.
Yama, anagramma di Maya, il primo vero amore di Harlock, perché sapeva che
sarebbe stato il più grande e profondo affetto del Capitano, colui che gli
sarebbe stato accanto sempre, colui che avrebbe dato veramente un senso alla
parola continuazione ed eternità, colui che avrebbe attenuato il dolore della
loro separazione, perché Yama sarebbe stato la loro ragione di accettazione del
destino che li aveva fatti incontrare e poi divisi.
Il filo invisibile che li avrebbe per sempre uniti e le sembrava giusto che
anche il primo vero grande amore Harlock fosse in qualche modo ricordata e
celebrata.
NOTE
(1)Yama suppongo sia stato mandato nel futuro come Emma di Once Upon a Time, cioè spedita dai genitori (Yama dalla madre che è Joy) ed è arrivata in un altro arco temporale dove è stata adottata e cresciuta, cosa che si intuisce, ma non si vede e non viene né spiegata, né specificata. Io ho adottato lo stesso metodo. Yama viene spedito e successivamente adottato dalla famiglia di Ezra. Questo fatto va preso per buono così come lo leggete, chiamasi stratagemma narrativo ;) Cioè, così comoda al narratore (in questo caso me) e così è :D
(2) Nel film non viene specificato come ci siano arrivati quei fiorellini sulla Terra e io mi sono immaginata questa versione dei fatti.