“Dovresti
indossare questi abiti, per evitare di essere notata, ok?”
– le dice Santiago,
porgendole vecchi jeans larghi e con strappi alle ginocchia, una felpa,
e un
berretto con la visiera di colore scuro.
“Sicuro
che conciata in quel modo, darà meno
nell’occhio?” – dice Tokyo una volta di
fronte alla gitana e al cambio look.
“Fidatevi,
i miei colleghi si distrarrebbero di più di fronte a
minigonne o pantaloni
attillati”
Agata
e Silene si guardano, capendosi al volo, per alzare poi gli occhi al
cielo e
commentare all’unisono – “Ah,
uomini!”
Forte
del sostegno degli amici e del suo uomo, la gitana sale a bordo
dell’auto
diretta verso la meta, scortata anche da Daniel, entusiasta e motivato,
come
mai prima, dalle avvincenti indagini.
Più
è vicina al Commissariato, più Nairobi inizia,
però, ad agitarsi. Non esce
dalla villa Lopez da tempo, per di più ha trascorso un
decennio di agonia senza
poter varcare l’uscio del Mariposas, quindi sapere di
incontrare gente, di
mettere piede in un luogo tanto formale, le crea una certa ansia.
È
il suo Bogotà ad accorgersene, spiandola dallo specchietto
retrovisore, ogni
due per tre.
“Andrà
tutto bene” – dice, approfittando di un momento di
silenzio, ceduto gentilmente
da Ramos che, nel frattempo, aveva abbondantemente parlato di
frivolezze varie.
“Me
lo auguro” – risponde lei, giocherellando con gli
anelli che porta alle dita.
Qualche
altro metro ed eccoli raggiungere i parcheggi.
Fortuna
vuole che di volanti ce ne siano ben poche.
“Un
buon segno, avremo pochi colleghi da evitare” –
commenta il trentenne,
accendendosi una sigaretta appena sceso dal mezzo.
“Beh,
non direi, amico. Guarda lì” – Ramos
riconosce una Porche precisamente di
fianco alla loro Mercedes, e sbruffa subito dopo.
Nairobi
fissa in silenzio l’automobile senza pronunciarsi, eppure
c’è un dettaglio che
attira la sua attenzione.
“Juanito
a bordo” – legge una sorta di adesivo sul retro.
“Già,
quel cretino non solo ha una moglie che lo sopporta, ma perfino un
figlio che
potrebbe imitarlo”
“Un
figlio hai detto? E quanti anni ha?” – chiede
Agata, spiazzando i due uomini.
“Booo,
non saprei. Forse nove, dieci anni” – ipotizza
Lopez, sospettoso
dell’espressione seriosa della compagna.
“Dai
entriamo, ho fumato abbastanza. Mi ero ripromesso di
smettere” – irrompe Daniel
non dando il minimo peso alla curiosità della gitana su quel
mezzo.
Anche
la zingara sorvola, lasciando Bogotà perplesso.
Percorrono
a passo un centinaio di metri ed eccoli di fronte al portone del
Commissariato.
Agata
afferra la mano del suo ispettore preferito, sentendosi protetta da
quel gesto.
E lui l’accoglie senza remore.
“Dopo
devi dirmi come mai quell’interessamento per la
Porche” – le sussurra.
La
Jimenez annuisce e dice – “Credo di averla vista
nei paraggi del Night Club
tempo fa. Ero uscita per dare delle informazioni a Helsinki e Oslo, e
l’ho
trovata ferma a pochi passi dall’ingresso. E il dettaglio mi
ha colpita. Quel
“Juanito a bordo”. Ovviamente ci ho dato poco peso,
poi. Qualche tempo dopo,
stessa situazione, stessa macchina, stavolta quell’adesivo
era stato eliminato
nonostante ci fosse ancora evidente”
Tale
scoperta sconvolge Santiago che, richiamando Daniel, gli dice
– “Cazzo, hai
capito che tipo che è Gandia?! Si aggirava nei pressi del
Mariposas”
“Cosa?”
– esclama Ramos, quando varcano la porta principale che
dà strada ai vari
uffici.
L’uscio
viene spalancato dallo stesso Cesar con dei fogli in mano.
“E
voi? Sempre tra i piedi, eh?”
“Potremmo
dire lo stesso di te” – replica il trentenne,
facendosi spazio per passare.
La
Jimenez sussulta, cercando di controllare la tensione, e stringe con
forza la
mano del suo ispettore preferito.
“Va
tutto bene, tranquilla” – le sussurra
all’orecchio, approfittando dell’ennesimo
battibecco tra il figlio del commissario e Gandia per defilarsi e
raggiungere
quanto prima l’ufficio in questione.
“Che
combinate tu e il tuo socio? Continuate a dare scarsi contributi
lavorativi?” –
punzecchia Cesar, ridacchiando per beffeggiare il trentenne.
È
la voce di Santiago, proveniente dalla stanza appena raggiunta, che
chiama
l’amico e lo invita a raggiungerlo.
“Meglio
tacere o rischierei di fare danni” – pensa tra se e
se Ramos, e dopo
un’occhiataccia al rivale, si allontana da lui.
Gandia,
però, è sospettoso. La persona con i due colleghi
è vestita come fosse sotto
copertura.
Riflette
sui casi che Lopez e il ragazzino hanno sotto mano… e la
sola ipotesi che salta
alla sua mente è il Mariposas.
“Che
sia una delle farfalle?” – deciso a capirne di
più, sceglie di restare nei
paraggi, e rincasare una volta ottenute le risposte in merito alla
faccenda.
Intanto,
tutti e tre in ufficio, danno il via al momento Identikit.
Bogotà
chiude la porta dopo aver sbirciato, rapidamente, che nessuno passasse
di lì o
potesse sbirciare. Conoscendo le invadenze di Cesar Gandia, meglio
evitare.
Posta
una sedia di fianco alla scrivania, chiede ad una agitatissima Agata di
accomodarsi
.
Ramos
accende il computer e fa un rapido log in su un programma specifico,
battendo
la password sulla tastiera.
“Ecco,
ci sono!” – dice Daniel, rivolgendosi alla Jimenez
– “Ti senti pronta?”
Santiago
guarda la gitana annuire e lasciare la sua mano. Quella faccenda deve
combatterla da sola e venirne fuori con le sue sole forze.
Le
ore seguenti sono un richiamo ai vecchi ricordi, ad una frustrazione
che domina
e la divora, un susseguirsi di immagini visive che piombano nella sua
mente e
le rammentano la vita di merda condotta ingiustamente.
Flashback
si susseguono nella sua memoria riportandola indietro nel tempo, a
quando,
chiusa nella stanza assegnatale al Mariposas, accolse il cliente 13, un
uomo
che ha saputo piegarla alla sua volontà.
*******************
“Bene,
bene! Finalmente da soli” – la porta della camera
viene sbattuta con forza e la
persona alle spalle di Agata manifesta chiare intenzioni su
ciò che vuole venga
consumato tra quelle mura. Allentandosi il colletto della camicia
avanza verso
di lei.
Nairobi,
nel frattempo, pensa e ripensa alle raccomandazioni del suo Berlino.
“Mantieni
la calma. Mantieni la calma” – ripete a se stessa,
mentalmente, sobbalzando
quando, all’improvviso, sente le mani del cliente adagiarsi
con foga sui suoi
fianchi.
“Con
un fondoschiena così potresti fare grandi cose”
– ridacchia poi.
Deglutendo
rumorosamente, per la tensione fisica, la Jimenez si frena dal
gridargli lo
schifo che nutre nei suoi riguardi.
E
si limita al silenzio.
Notando
scarse reazioni da parte della Mariposa, il cliente 13 vuole, in
qualche modo,
rompere il ghiaccio.
“Ti
ho vista ballare attorno al palo, e muoverti in pista…non
sei così rigida. Che
ti prende? Non avrai paura di me spero”
“No,
no” – replica subito la gitana, non intenzionata a
mostrarsi fragile.
Quella
sorta di autodifesa la sblocca nel parlare. Con coraggio si volta verso
l’uomo
e lo scruta in pieno viso.
Gli
occhi scuri, penetranti, la barbetta, le guance
paffute…tutti dettagli che la
sua memoria assorbe e custodisce.
“Allora,
mia cara, iniziamo?”
“Iniziamo!”
**********************************
Alcuni
dettagli dell’anonimo 13, sembrano essere svanire con il
tempo, come ad esempio
che avesse molta peluria, o che fosse panzuto, e adesso riappaiono,
proprio in
fase di Identikit.
“Hai
detto che ha le sopracciglia più incurvate?”
– chiede Daniel, ascoltando il
ritratto del tizio tramite la voce di Nairobi.
“La
bocca più piccola, anche se all’epoca era ben
coperta dalla barba”
Santiago
osserva la compagna, non partecipando al momento; vuole esserci per
lei,
nonostante la donna si mostrasse desiderosa di affrontare la situazione
con le
sue sole forze. E così le accarezzando la schiena ogni
qualvolta nota in lei
dei tratti di agitazione, come la fronte corrugata, gli occhi
spalancati, la bocca
tremante…tutto ciò che segnala quanto quei
ricordi facessero male.
Improvvisamente
la Jimenez rammenta di quel dettaglio improvviso, fattosi strada nella
sua
mente come un fulmine a ciel sereno.
“Ha
una sorta di voglia sul… ecco
lì…precisamente…”
“Una
voglia?” – chiede Ramos, domandandole poi di che
tipo.
“Sembrava
una sorta di…non saprei…di…di
fragola”
La
risata alquanto bizzarra del trentenne segue quel momento e
sdrammatizza il
tutto.
“Idiota,
che cazzo trovi di tanto divertente” – sbotta la
donna, tornando, per quei
secondi, ad indossare i panni dell’aggressiva Nairobi.
“Nulla,
perdonami. Quindi hai detto che aveva questo segno distintivo sulla
guancia
sinistra!?”
“Esatto”
Procedendo
nell’identikit, la persona che Agata disegna verbalmente
riesce in un’ardua
impresa: quella di ammutolire il giovane ispettore.
“Cazzo”
– esclama poi, chiamando a sé Santiago, posto
distante dal monitor.
Lopez,
stupito, si avvicina al collega, potendo scrutare nel dettaglio
l’immagine,
ormai prossima al completamento.
“Porca
puttana, ma è uno scherzo?!” – ed
impallidisce.
“Che
succede?” – si preoccupa la gitana, non
comprendendo le stranezze dei complici.
Il
quarantaduenne sposta gli occhi sulla mora e manifesta uno shock
innegabile ed
inevitabile.
“Sei
certa che questi ricordi non siano stati distorti?”
– le domanda, esterrefatto.
“Certo
che non ho distorto nulla Mi state prendendo per pazza?”
– esplode lei,
mettendosi in piedi.
“No,
amore mio, assolutamente no. E’ che…”
“E’
che…cosa? Che diamine avete visto di tanto
sconvolgente?”
“Guarda
tu stessa!” – stampato il lavoro finale,
è proprio Santiago a porle il foglio.
Quel
pezzo di carta, ceduto tra le mani di Agata, cade, in un battibaleno,
sul pavimento,
lasciando Nairobi con lo sguardo fisso sul suo uomo, mentre le lacrime
tornano
a sgorgare rammentandole dell’ennesima beffa del destino.
“Ecco…adesso
hai capito la ragione del nostro shock”
“Non può essere. Io non mi sbaglio su queste
cose” - ripete lei.
“E
invece stavolta sì” - ribadisce Ramos, piuttosto
deluso e infastidito nell’aver
creduto di aver vinto la guerra contro il nemico.
“Ma…ma…”
“Niente ma, Nairobi. Abbiamo perso tempo prezioso…
hai appena realizzato
l’Identikit di Santiago”
****************************
“Wow,
è stata la scopata più bella della mia vita. E
brava la zingarella! Mi
porteresti una birra adesso?”
Esclama
soddisfatto il cliente 13, dopo aver trascorso la notte a letto con
Nairobi.
La
gitana, mettendosi in piedi, avvolta da un lenzuolo bianco, oltraggiata
nel
cuore e nel corpo, si incammina verso il frigobar, posto
nell’ala di fianco a
quella matrimoniale della suite.
E’
allora che lascia via la fragilità e le paure di una
ventitreenne scappata da
una triste realtà di vita, per indossare i panni di
mangiauomini. Dopo quanto
vissuto, cosciente di aver saputo fingere di essere una persona
diversa, per
difendersi, opta per accogliere tale personalità dentro di
se fino alla fine
dei suoi giorni. Non esiste migliore maniera per tutelarsi se non
quella di
mostrarsi differente da ciò che per natura si è.
Preso
da bere, si riavvicina al tipo, il quale, è intento a
rivestirsi.
“Ecco
a te” – dice, porgendogli la bottiglia –
“Che fai? Sei di fretta adesso?”
“Mi
ha cercato mia moglie. Meglio andare, o si
insospettirà”
“Beh…io
vado a fare una doccia”
A
quel punto, Agata scompare e viene sostituita da Nairobi che,
audacemente, con
una voce non sua, ma di una corazza appena costruitasi, gli propone
– “Vieni
con me? Trova una banale scusa con la tua compagna
e…”
Ridacchiando
soddisfatto, il tipo si mostra piacevolmente colpito
dall’idea, però si vede
costretto a rifiutare.
“Avremo
modo di recuperare. Vedrai” – si fionda sul suo
collo, concludendo il tutto con
una palpata fin troppo aggressiva al sedere di lei.
“Ok.
Buon rientro…” – dopo un veloce
occhiolino, la gitana, fa per allontanarsi, ma
non prima di avergli domandato – “Potrei sapere il
tuo nome…o, non so, magari
il tuo cognome. Odio scopare con persone associate a dei
numeri”
“Beh…non
hai tutti i torti. Diciamo che puoi chiamarmi Lopez. Questo
basterà”
*****************************************
“Diceva
di chiamarsi Lopez! Ve lo giuro. Non mi sto confondendo né
inventando nulla”
“Dai, Agata. Ammetti che l’agitazione ti ha fottuta
per bene e chiudiamola
qui”- insiste
Daniel.
“Vi
dico di no. Cazzo, ci sarà una spiegazione! Magari si
assomigliano molto”
“Ma
sono identici! Non è che semplicemente si
assomigliano… sono la stessa persona,
capisci?”
Santiago,
nel frattempo, rimasto in silenzio, per conto suo, ha una strana
sensazione.
Qualcosa
sembra non tornargli.
Gli
occhi fissano il disegno con insistenza, come a voler trovare
chiarimenti a
quanto appena accaduto.
Che
sia frutto delle tensioni interne che la Jimenez sta vivendo o davvero
esiste
qualcuno identico a Santiago Lopez che potrebbe essere il presunto
cliente 13?
“Bogotà!
Ascoltami, almeno tu…non sono una folle. Vi sto dicendo
quanto i miei ricordi
hanno custodito per anni”
“E allora, come mai non hai mostrato segni di shock quando
l’hai conosciuto per
la prima volta?”
“Non
l’ho associato a quel tizio. Ma mettendo insieme i pezzi, il
risultato è stato
questo”
“Mah…io non la capisco più!”
– commenta il trentenne, con le mani tra i
capelli, rivolgendosi poi al socio – “Che si
fa?”
“Come
la spiegate la voglia sul viso?” – insiste Nairobi.
“Hai
detto la voglia sul viso?” – è allora
che l’ispettore maggiore scruta il particolare
tralasciato.
“Beh
la spiego magari come ennesimo sbaglio della memoria. Forse quel tipo
aveva
davvero una voglia che tu, però, hai identificato sulla
faccia sbagliata”
“No” – esplode Lopez, sorpreso dal fatto
– “Io ne ho una identica sulla schiena”
Segue
qualche attimo di silenzio.
Silenzio
rotto subito dopo dall’ennesima giustificazione di Ramos,
ormai sempre più
convinto della poca lucidità della loro testimone numero
uno.
“Ecco
che tutto torna: allora, hai visto quella voglia di Santiago e
l’hai immaginata
sulla sua faccia. Semplice, no?”
Amareggiata
dalla scarsa fiducia nei suoi confronti, Nairobi si chiude nel
silenzio.
Non
ha intenzione di discutere ancora e ancora con chi crede di avere la
verità in
tasca.
Perfino
il suo Bogotà si è mostrato dubbioso. E sapere
che chi ami non confida in te,
fa male.
Usciti
dal Commissariato, con la stessa discrezione con cui vi misero piede,
salgono a
bordo della vettura, diretti a casa.
Un
tragitto di puro e scomodo silenzio.
Nel
frattempo…
“Allora?
Gandia, cosa hai scoperto?”
“Gli
stronzi se ne sono appena andati. Hanno chiuso l’ufficio,
però ho delle chiavi
di riserva.”
“Ottimo!”
Cesar
scruta la zona, setaccia ogni cassetto, materiali del pc, fino ad
imbattersi
nella spazzatura.
Anche
quella è vuota.
“Avranno
sicuramente lavorato per la questione del Mariposas. Non capisco in che
modo”
“Beh
allora vedi di capirlo. Non vorrei che la donna incappucciata fosse
Tokyo o
Nairobi. Potrebbero parlare”
“Bisogna
riportarle al night club quanto prima, signore. E forse un modo per
farlo
esiste e si chiama…maternità”
“Se
ti riferisci ad Axel, quel bambino è lontano da qui. sono
anni che vive in
Portogallo”
“Andrò a prenderlo io. Dirò che serve
il suo contributo per una missione di
estrema delicatezza!”
“Gandia, complimenti. Se questa storia terminerà
nel migliore dei modi, verrai
premiato profumatamente”
“E’ un piacere servirla signor Dalì!
Adesso mi metterò in viaggio per Lisbona.
Datemi i contatti del piccolo Axel. A breve, vedrete, Nairobi
tornerà al
Mariposas con le sue stesse gambe…e con lei anche la ribelle
Tokyo!”