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Autore: Signorina Granger    05/07/2022    5 recensioni
[Dal testo]
“Che palle, magari si stanno baciando e noi ce lo siamo perso!”
“Sapete, è così che dovrebbe funzionare.”
“E allora il gossip dove sta?!”
“A proposito di gossip Shou, sono pronta a riprendere la conta delle tue frequentazioni lampo… Sono rimasta a 35, arriveremo a 40 per la fine dell’anno? Quel che è certo è che saranno una peggiore dell’altra, chi vuole prendere parte ad un giro di scommesse?”
*
“Io comunque non voglio finire calpestata da una tartaruga gigante. Ci serve un’esca per filarcela. Propongo Malai.”
“Perché io?!”
“Perché è colpa tua!”
“Shou, tua cugina è antipatica come la minestra con i pezzi giganti di verdura per cena.”
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of weird campers'
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Ci ho messo un po’, ma l’avevo promessa e quando prometto di scrivere qualcosa è molto raro che non lo faccia. In tutti questi anni ho scritto diverse storie basate su degli studenti ma mai così piccini, questi sei disagiati sono adorabili a 17 anni e ad 11 non possono che esserlo ancora di più <3
Mi dispiace non aver inserito molti dei nostri amati prof (soprattutto il mio everlasting love, Phineas l’Uomo Ananas) ma purtroppo molti di loro ancora non insegnavano ad Hogwarts quando questi pulcini erano al primo anno.
Buona lettura



 
PROLOGUE OF A FRIENDSHIP
 

 
 
How it ended…
 
“Che palle, magari si stanno baciando e noi ce lo siamo perso!”
“Sapete, è così che dovrebbe funzionare.”
“E allora il gossip dove sta?!”
“A proposito di gossip Shou, sono pronta a riprendere la conta delle tue frequentazioni lampo… Sono rimasta a 35, arriveremo a 40 per la fine dell’anno? Quel che è certo è che saranno una peggiore dell’altra, chi vuole prendere parte ad un giro di scommesse?”

 
How it started…
 
Sei anni prima
1° settembre

 
Sua madre le aveva raccontato talmente tante cose su Hogwarts da farle perdere il conto, ma che lei e i suoi futuri compagni avrebbero dovuto raggiungere il castello su delle scialuppe incantante che avrebbero solcato l’acqua gelida del Lago Nero, per di più con l’oscurità che aveva già avvolto ogni cosa, quello Reina doveva averlo scordato. O forse, si disse Priscilla mentre osservava con occhi pieni di preoccupazione quelle barche dall’aria poco stabile galleggiare sull’acqua scura, sua madre aveva omesso quel dettaglio di proposito per evitarle di provare più nervosismo di quanto già la ragazzina non provasse da diversi giorni a quella parte in vista della partenza per la sua nuova scuola.
Priscilla stava ancora osservando timorosa gli insoliti mezzi di trasporto quando un signore grande e grosso dalla barba grigia che, ne era sicura, avrebbe potuto farle raggiungere Hogwarts in volo assestandole una sola manata, ordinò nuovamente a lei e ai suoi compagni di sbrigarsi a salire sulle scialuppe. La voce tuonante del mago la fece sussultare, e decisa a non costringerlo a ripetersi un’altra volta la ragazzina scattò rapida verso la scialuppa più vicina, alla quale si erano già avvicinati due ragazzi dai capelli scuri. Mentre il più alto dei due saliva rapidamente a bordo, aiutato da un paio di gambe insolitamente già lunghe per la sua età, Priscilla sentì una ragazzina dai capelli biondi con cui aveva condiviso lo scompartimento passarle accanto borbottando qualcosa a proposito dell’acqua gelida e di come lei, con la sua fortuna, sarebbe sicuramente stata la cretina a farsi un bel bagno ghiacciato per inaugurare l’anno scolastico.
All’udire quelle parole il panico iniziò ad impossessarsi della scozzese, che già si vide mettere piede ad Hogwarts bagnata fradicia destando le risa di tutti, ma cercò di non pensarci mentre si avvicinava al ragazzino che stava tenendo ferma la barca mentre il suo amico si sedeva.
“S-scusate?”
Quando la voce di Priscilla si levò dalle sua labbra con un timido pigolio entrambi si voltarono verso di lei, facendola arrossire copiosamente per l’imbarazzo – ma forse con il buio non si notò, sperò Priscilla – prima di chiedere con un mormorio a malapena percettibile se condividere con loro la barca. I ricci scuri le erano, come sempre, finiti davanti agli occhi, e la ragazzina se li scostò dal viso proprio mentre il suo nuovo compagno le sorrideva gentilmente, annuendo:
“Certo. Vuoi una mano a salire?”
“Grazie.”
Priscilla accennò un timido sorriso e provò un’immensa gratitudine verso di lui, certa che senza il suo aiuto avrebbe dato prova della sua goffaggine davanti a tutti i suoi nuovi compagni. Mentre Hiro l’aiutava a salire un paio di ragazzini asiatici, nella barca accanto, stavano litigando in una lingua che Priscilla non conosceva, probabilmente per stabilire chi dei due avrebbe dovuto sedersi davanti e avere la visuale migliore sul castello quando la barca sarebbe stata in movimento.
Una volta a bordo – e il fatto di essere riuscita a farlo senza cadere e rovesciare la barca le diede un po’ di sollievo – Priscilla si ritrovò seduta di fronte al ragazzino più alto e che aveva i capelli ricci come i suoi guardandolo sorriderle allegro prima di presentarsi mentre anche Hiro li raggiungeva, sedendosi accanto a lei.
“Ciao, io mi chiamo Malai, lui è Hiro.”
“Io mi chiamo Eden.”
“Eden? Che nome strano…”
“Lo so, non mi piace molto. Voi allora vi conoscevate già?”
“Sì, i nostri padri sono diventati amici a scuola. Tu conosci qualcuno?”
“No, io no…”
Il tono e l’espressione della ragazzina si incupirono – sarebbe stato immensamente più facile e meno spaventoso, in quel caso – mentre le barche iniziavano a muoversi autonomamente, allontanandosi dalla riva per iniziare ad attraversare il Lago Nero. Benchè ogni barca fosse munita di una torcia l’acqua era così scura da rendere impossibile scorgere qualcosa al di sotto della superficie, ma Priscilla cercò di non pensare a cosa potesse popolare quel lago – suo padre due settimane prima aveva fatto cenno ad una piovra gigante, ma di fronte alla sua espressione terrorizzata sua madre gli aveva assestato una sberla sul braccio e si era poi affrettata ad assicurare alla figlia che il padre scherzasse – mentre, nella barca accanto, la ragazzina sembrava aver vinto la disputa e sedeva sul posto davanti, dando le spalle a quello che aveva tutta l’aria di essere un parente che borbottava qualcosa standosene imbronciato e con le braccia conserte.
“Beh, adesso conosci noi!”
Priscilla annuì e rivolse un timido sorriso ad Hiro, sforzandosi di guardarlo in faccia come sua madre le ripeteva sempre di fare quando parlava con qualcuno. Fu in quel momento che sperò che il Cappello Parlante la Smistasse nella Casa di uno dei due, non sapendo che presto sarebbe stata accontentata.

 
*

 
Sala Grande
 
 
Malai Johansson era giunto ad Hogwarts armato di precisi intenti: cercare di non sbandierare ai quattro venti il fatto di essere il figlio dell’insegnante di Volo e allo stesso tempo tentare di non finire sempre sotto l’occhio di sua madre. Fu con grande disappunto che il ragazzino, quando fece il suo ingresso nell’enorme Sala Grande insieme ai suoi nuovi compagni, appurò di essere il più alto del suo anno. Questo naturalmente non giocava a favore della seconda parte del suo proposito, e il futuro Tassorosso sbuffò sonoramente quando scorse sua madre adocchiarlo nell’esatto momento in cui mise piede nella stanza. Nel mentre, alle sue spalle, alcuni indicavano ammirati il soffitto stellato e le candele che galleggiavano sopra le loro teste – ma non Malai, lui stava escogitando piani per non farsi controllare dalla madre 24 ore al giorno –  mentre la voce di una ragazzina spiattellava di aver letto un certo libro e che il normale soffitto del castello fosse semplicemente celato da un incantesimo.
“Lily, ma ti sei già letta tutti i libri?! Sei la solita secchiona.”
“Uno di noi doveva arrivare preparato, tu hai passato le vacanze sulla tua scopa a fare lo scemo!”
“Chi lo dice sa di esserlo! Ahia, mi hai fatto male!”
Mentre il ragazzino dietro di lui accusava la cugina di avergli assestato il pizzicotto più doloroso del mondo, Hiro si accostò leggermente a Malai, parlando in un sussurro mentre attraversavano la Sala camminando in mezzo ai tavoli di Tassorosso e Corvonero e tutti tenevano gli occhi puntati su di loro:
“Malai, secondo te tua mamma era seria quando ci ha detto che avevano cambiato lo Smistamento e che ora invece di farci mettere il cappello ci fanno superare un percorso a ostacoli?!”
“Percorso a ostacoli?!”
L’incarnato già pallido di Priscilla a quelle parole si fece color gesso, e la ragazzina si disse che sicuramente nessuna Casa l’avrebbe voluta dopo la clamorosa figuraccia che avrebbe fatto pubblicamente mentre la ragazzina bionda che le camminava accanto e con cui aveva condiviso lo scompartimento spalancava gli occhi blu, inorridita quasi quanto lei:
“Percorso a ostacoli?! … Scusate, permesso, io torno a casa mia…”
Tallulah Rice girò sui tacchi e cercò di farsi strada tra i compagni in divisa a suon di gomitate e preghiere, ma prima che potesse raggiungere la fine della fila e darsi alla fuga – non sapeva ancora come avrebbe attraversato il Lago Nero, ma decise di porsi un solo problema alla volta – una voce maschile magicamente amplificata per risuonare in tutta la Sala Grande dichiarò che la cerimonia dello Smistamento poteva avere inizio.
Noo!”
Tallulah si fermò di colpo, voltandosi per gettare un’occhiata inorridita alla fonte della voce e capendo, al tempo stesso, che qualcosa non andava quando vide l’insegnante tenere in mano quello che aveva tutta l’aria di essere un cappello a punta molto, molto vecchio.
 
“Ma quello non è un cappello?!”
Hiro aggrottò la fronte e accennò dubbioso all’oggetto bitorzoluto che l’insegnante baffuto che aveva parlato teneva in mano, insieme ad uno sgabello dall’aria molto vecchia. A quelle parole il viso di Priscilla si illuminò e riprese rapidamente colorito, ma pur alzandosi in punta di piedi la ragazzina non riuscì comunque a vedere nulla, la visuale completamente ostacolata dai compagni che le stavano davanti.
Malai, penso che tua mamma ci abbia presi in giro.”
Malai e Hiro volsero sincronicamente lo sguardo verso Demelza, osservandola torvi mentre la donna, invece, cercava di non ridacchiare in modo troppo plateale e indirizzava ai due un bacio aereo con la mano, seduta tra una donna che portava gli occhiali più enormi che i due avessero mai visto e un insegnante seduto su una pila altissima di cuscini per arrivare all’altezza del tavolo.
“Davvero? Meno male!”
A quelle parole Priscilla sorrise, e quasi prese a saltellare sul posto per il sollievo mentre Tallulah, dietro di loro, apprendendo di non dover attraversare nessun percorso a ostacoli esultava mentalmente, smettendo di cercare di dileguarsi dalla Sala Grande e tornando ad occupare il suo posto vicino a Priscilla.
Sedersi su uno sgabello e indossare un cappello? Una passeggiata. Tallulah sperò solo che, vista la sua fortuna, quello sgabello così vecchio non decidesse di perdere una gamba proprio quando fosse arrivato il suo momento di sedercisi sopra. All’improvviso, visto quanto poco sapesse sulle quattro Case – suo padre era americano e quindi totalmente inutile in quel frangente, e sua madre parlava sempre male di tutte le Case eccetto Serpeverde – la ragazzina si sporse leggermente verso Priscilla, sussurrando qualcosa con tono preoccupato mentre il Professor Lumacorno iniziava a chiamare i primi studenti andando in ordine alfabetico:
“Per caso sai se c’è una Casa per le persone perseguitate dalla iella?”
“No, scusa, non lo so, mia mamma a riguardo non mi ha detto niente. Perché vuoi saperlo?”
“Perché se ci fosse, io ci finirei di sicuro!”
“Speriamo che non esista!”
Mentre l’ansia iniziava a farsi sentire Tallulah e Priscilla gettarono due occhiate preoccupate al Cappello Parlante, quasi temendo il momento in cui avrebbero dovuto indossarlo. Uno dei grandi timori di Priscilla era di restare seduta su quello sgabello davanti a tutti per interminabili minuti, e quando venne chiamata dopo Hiro – che venne Smistato a Corvonero quando la tesa del Cappello gli aveva appena sfiorato la testa – i suoi peggiori pronostici si avverarono: l’oggetto magico la tenne inchiodata allo sgabello per più di cinque minuti, dicendosi indeciso tra Tassorosso e Corvonero, e quando la ragazzina lo sentì finalmente prendere una decisione quasi corse via senza sfilarselo dalla foga di andare finalmente a sedersi al suo nuovo tavolo. Priscilla prese posto accanto ad Hiro, ricambiandone il sorriso prima di accennare con la testa ricciuta in direzione di Malai, che ancora svettava su tutti i compagni in attesa di essere chiamato:
“Secondo te dove finirà il tuo amico?”
“Non lo so, magari Corvonero anche lui… Nemmeno i suoi genitori erano sicuri. Sua mamma sarà la nostra insegnante di Volo.”
Le lezioni di Volo erano il momento che Priscilla più temeva del suo primo anno ad Hogwarts: i suoi genitori non erano mai riusciti a farla salire su una scopa nei suoi 11 anni di vita, e dopo aver implorato sua madre per settimane di inventarsi una sorta di malattia che potesse impedirle di volare Priscilla si era infine arresa all’inevitabile, ovvero di dover prendere parte alle lezioni e diventare probabilmente la peggior studentessa della storia.
“Tu sai già volare?! Io non ho mai voluto provare, ho paura dell’altezza… Penso che mi romperò qualcosa già alla prima lezione.”
“Sì, mio papà è un fanatico di Quidditch. Tranquilla, neanche Malai sa volare. Quando ci prova si schianta sempre contro qualcosa, per fortuna ha la testa dura.”
Forse non avrebbe dovuto, ma quell’immagine rasserenò un tantino la Corvonero, che tornò a concentrarsi sullo Smistamento finche anche Malai non venne chiamato a sedersi, venendo Smistato a Tassorosso poco dopo. Il ragazzino sembrò inizialmente vagamente deluso per non essere finito nella stessa Casa del suo amico, ma si diresse ugualmente verso il tavolo che lo stava applaudendo dopo aver riconsegnato il Cappello Parlante e finì col sedersi di fronte ad una ragazzina dai grandi occhi blu e i capelli castani, la prima del loro anno ad essere stata Smistata in Tassorosso, che si stava lamentando per la fame e per quanto li stessero facendo aspettare per la cena.
 
 
Sua cugina venne chiamata subito prima di lui e Smistata in Grifondoro nel giro di un minuto, perciò quando venne finalmente il suo turno Shou si avvicinò allo sgabello quasi sperando di non finire nella stessa Casa di Lilian: certo voleva bene alla cugina, era come una sorella per lui, ma proprio perché era come una sorella a volte lo infastidiva terribilmente, ed era anche sicuro che i suoi genitori le avessero ordinato di tenerlo d’occhio. Se avessero condiviso la Casa e in quel modo tutte le lezioni non avrebbe mai avuto un attimo di pace – e lei lo avrebbe sempre costretto a fare i compiti – perciò Shou sedette e indossò il Cappello troppo grande sperando, in silenzio.
Per certi versi anche Lilian sperava lo stesso: i suoi zii non le avrebbero mai perdonato ipotetiche malefatte del cugino se si fossero ritrovati a condividere la Casa, e Lilian aveva atteso l’inizio del primo anno di scuola per imparare a usare la magia, non per fare da babysitter a Shou. Fortunatamente l’attesa durò poco per entrambi: Shou venne Smistato in Serpeverde in appena una manciata di secondi, portando il ragazzino a sfilarsi il Cappello e a correre verso il tavolo – per di più il più lontano da quello della cugina, appurò Shou con gioia – con un gran sorriso e Lilian ad esultare destando lo sconcerto dei suoi nuovi compagni:
“Sì!”
“Ma non è tuo fratello?”
“No, è mio cugino. E sono felice proprio per questo!”
 
 
L’attesa iniziava a farsi snervante: Tallulah maledisse in tutte le lingue il suo cognome che la costrinse ad attendere in eterno, mentre pian piano i compagni che le stavano attorno diminuivano sempre di più. Le braccia strette al petto, la bionda iniziò a tamburellare nervosamente un piede sul pavimento mentre osservava torva lo sgabello e il Cappello Parlante, morendo dalla voglia di andare a sedersi da qualche parte. Non le importava in quale tavolo, voleva solo porre fine a quell’eterna agonia.
Quando finalmente il Vicepreside la chiamò Tallulah fece del suo meglio per non dar voce ad un sconveniente “Finalmente!”, anche se un mormorio che prese vita alle sue spalle mentre andava a sedersi la fece raggelare: sperò vivamente di essersi sbagliata, ma le sembrò di sentire qualcuno degli studenti più grandi menzionare il nome di suo padre. Appuntandosi mentalmente di smentire qualsiasi parentela di sorta, Tallulah deglutì a fatica prima di indossare il Cappello, sperando che prendesse in fretta una decisione.
Fortunatamente non restò seduta a lungo, e meno di un minuto dopo Tallulah si era già alzata, dirigendosi con un gran sorriso verso il lungo tavolo dove avrebbe mangiato ogni giorno per i successivi sette anni. La ragazzina sedette in un posto vicino a quelli occupati precedentemente da Priscilla ed Hiro, sorridendo allegra ai due prima di presentarsi:
“Che bello, finalmente questa tortura è finita. Io sono Tallulah, comunque. Per favore, non chiamatemi Tall, sono troppo bassa per essere chiamata così.”
“Scusa, ma tu sei la figlia di…”
Quando un ragazzo del sesto anno si sporse verso di lei, Tallulah smise di guardare i coetanei per voltarsi di scatto verso il compagno di Casa, scuotendo la testa con vigore prima di ribattere prontamente:
No, sono orfana.”
Priscilla sembrò inorridirsi per quella risposta, e si portò una mano alle labbra mormorando “Poverina!” con gli occhi verdi sgranati mentre gli ultimi studenti venivano chiamati e quelli già seduti si lamentavano per la fame e per la lunga attesa.
 
 
Un paio d’ore dopo Tallulah e Priscilla si erano coricate nei loro nuovi letti a baldacchino dalle tende blu notte quando la prima, dopo aver riflettuto su ciò che aveva detto a cena fissando il soffitto nel suo pigiama rosa con le nuvolette, scostò le tende per affacciarsi verso il letto di Priscilla, chiamandola in un sussurro mentre alcune delle loro compagne già dormivano:
“Eden?”
“Sì?”
Anche Priscilla si affacciò oltre le tende blu, mostrando il colletto del suo pigiama con gli orsetti e ricambiando curiosa lo sguardo di Tallulah:
“Mi sei sembrata un po’ sconvolta prima, quindi immagino di dovertelo dire, visto che passeremo molto tempo insieme. Non sono orfana.”
“E perché l’hai detto?”
“Te lo dirò tra tre anni, mi mette troppo in imbarazzo.”

 
*

 
Se le avessero detto, un mese prima, che sarebbe arrivata in ritardo alla primissima lezione dell’anno, Tallulah Rice non avrebbe esitato a crederci. Quel castello era bello quanto paurosamente immenso, e lei e Priscilla fecero non poca fatica a trovare l’aula di Pozioni nei Sotterranei, che somigliavano più che altro ad una sorta di labirinto buio dalle gelide mura di pietra.
“Qui sotto non si vede niente, ma non potrebbero accendere qualche torcia in più?! O distribuire delle cartine geografiche?! Sembra di stare nel castello di Dracula!”
A quelle parole Priscilla, che stava seguendo la compagna attraverso un corridoio terribilmente umido e praticamente identico a molti altri già attraversati negli ultimi cinque minuti, ammutolì, sperando che non ci fossero vampiri e altre creature spaventose nascoste nei meandri della parte più buia, fredda e sotterranea del castello.
“Credo che sia questa. O almeno lo spero…”
Dicendosi che avrebbero almeno potuto inserire delle indicazioni stradali, o magari appendere delle targhe al muro che indicassero quale stanza fosse l’aula di quale materia, Tallulah si fermò davanti una pesante porta ad arco dall’aria molto antica prima di bussare timidamente. Le due attesero in silenzio, sperando che qualcuno rispondesse, ed entrambe tirarono un sospiro di sollievo quando udirono una voce maschile invitarle ad entrare. Tallulah afferrò il battente della porta e tirò, sbuffando piano quando appurò quanto fosse dannatamente pesante quella porta: ma in quel posto non lo sapevano, che c’erano anche studenti di 11 anni, per di più bassini e assolutamente non forzuti come lei?!
“Ma quanto pesa…”
“Ti aiuto.”
Priscilla afferrò a sua volta il battente e insieme riuscirono finalmente ad aprire la porta, ma l’euforia per il successo ebbe vita breve: quando l’aprirono le due ragazzine scorsero le facce parzialmente illuminate dalle torce dei loro nuovi compagni, naturalmente tutti già seduti sui lunghi banchi di legno, rivolte verso di loro. Anche l’aula di Pozioni era, come tutti i Sotterranei, piuttosto buia, ma all’improvviso le due Corvonero se ne rallegrarono: con quella semi-oscurità nessuno riuscì a scorgere il rossore sui loro visi.
Hiro e Malai, seduti vicini in seconda fila, salutarono le due ragazzine con un sorriso e un cenno della mano mentre Tallulah, schiaritasi la gola, mormorava qualcosa all’indirizzo del Professor Lumacorno:
“S-scusi ci siamo perse…”
Fortunatamente l’insegnante, lo stesso che aveva diretto lo Smistamento la sera prima, non sembrò prendersela per il loro ritardo e, asserendo che capitasse molto di frequente durante la prima mattina di lezione, si limitò ad invitare le due ragazzine a prendere posto.
Quasi stentando a credere di aver scampato un rimprovero già alla prima lezione Tallulah e Priscilla non se lo fecero ripetere, e quasi schizzarono verso uno dei pochi banchi dove era rimasto un po’ di posto, occupato solo da una ragazzina dai lunghi e lisci capelli scuri, la frangetta e gli occhi a mandorla.
“Ciao.”
Quando le due Corvonero si infilarono rapide negli spazi liberi rimasti sulla panca Lilian, reggendosi la testa con una mano e il gomito piantato sul banco, si voltò verso di loro per osservarle con curiosità, guardandole tirare fuori in tutta fretta libri, piume e calamai mentre l’insegnante riprendeva a parlare.
“Ciao, io mi chiamo Tallulah. Di che Casa sei?”
“Grifondoro.”
Lilian picchiettò l’indice sullo stemma rosso e oro con il leone ricamato in alto a destra sulla sua divisa mentre i suoi occhi scuri scivolavano sulle divise delle due compagne per capire a quale Casa appartenessero.
“Noi siamo Corvonero.”
“Io sono Eden, ciao.”
Priscilla, seduta sull’estremità della panca, si sporse leggermente in avanti, oltre Tallulah, per poter guardare e rivolgere un timido sorriso a Lilian facendo attenzione a scostarsi i ricci dal viso e a sforzarsi di guardarla in faccia, come si era raccomandata di fare sua madre prima che partisse.
“Io mi chiamo Lily.”
“Che nome carino!”
“Grazie.”
Lilian accennò un sorriso piegando gli angoli delle labbra verso l’alto, grata di quel complimento. Era felice di trovarsi a scuola insieme a suo cugino, ma si era detta per mesi – e anche suo padre e i suoi zii l’avevano pensato, ne era sicura – che Shou, di gran lunga più estroverso e socievole di lei, avrebbe fatto molta meno fatica di lei a farsi degli amici. Però era solo la prima lezione e aveva già conosciuto due studentesse di un’altra Casa, non stava andando poi così male.
 
Poco meno di un’ora dopo, al termine della lezione, Lilian, Tallulah e Priscilla furono le ultime a lasciare l’aula, attendendo al loro banco che gli studenti più vicini alla porta uscissero per primi. Priscilla divenne nuovamente color cremisi quando Lumacorno si avvicinò alle tre raccomandando loro di non perdersi una seconda volta, e Tallulah faticò a celare l’amarezza e la delusione quando chiese all’insegnante se ci fossero delle mappe del castello e lui rispose con un diniego.
Alla fine, quando anche le tre lasciarono finalmente l’aula tornando ad immergersi nei corridoi bui, umidi e gelidi dei Sotterranei, Tallulah si sistemò le cinghie dello zaino di cuoio sulle spalle sbuffando piano:
“È ridicolo che non ci siano mappe di un posto così grande, come dovremmo fare a orientarci noi poverini del primo anno?!”
“Magari da qualche parte una ce n’è, ma nessuno vuole dircelo.”
“Sarà, ma sono sicura che ci perderemo almeno una volta al giorno per tutto il primo mese... Ehy, dove sono gli altri?!”
Appurando con orrore di aver perso di vista i loro compagni di classe, le tre – per nulla intenzionate a tardare anche a Trasfigurazione, anche se l’insegnante sembrava la donna più adorabile e gentile mai vista sulla faccia della Terra – affrettarono il passo e attraversarono quasi di corsa il lungo corridoio buio con gli zaini che dondolavano sulle loro spalle facendo sbatacchiare tutto ciò che contenevano, ritrovandosi a sospirare di sollievo quando udirono gli echi delle voci dei loro compagni di classe poco distanti.
Tranquillizzatasi per aver ritrovato il resto della classe, Lilian si infilò i pollici sotto le cinghie dello zaino e gettò un’occhiata amareggiata alle due compagne, quasi invidiando il fatto che loro fossero finite nella stessa Casa:
“Mi dispiace non essere Corvonero anche io, almeno condividerei la stanza con voi… Nella mia c’è una biondina antipaticissima che ieri sera ha monopolizzato il bagno per ore, e stamattina ha svegliato tutte con le sue 4 sveglie, la detesto!”
“Come si chiama?!”
Jessica Everett.”

 
*

 
Lilian e Shou avevano appuntamento nel Salone d’Ingresso dieci minuti prima dell’inizio della cena per poter parlare con calma, senza troppe persone attorno, e raccontarsi in breve come fossero andati i primissimi giorni di lezione.
Lilian naturalmente arrivò per prima – anche se la sua Sala Comune era molto più lontana rispetto a quella del cugino – e si mise ad aspettare vicino alle grandi clessidre che conteggiavano i punti delle rispettive Case finchè non vide finalmente Shou spuntare dalle scale di pietra che conducevano ai Sotterranei.
“Era ora! Ma non fa freddo, lì sotto?”
“Un pochino, ma non si sta male. Tu invece chissà quante scale avrai da fare ogni giorno, non ti invidio neanche un po’.”
“Non è così male. Allora, come va?”
“Bene. Oggi a lezione di Pozioni ho conosciuto un tipo simpaticissimo!”
Shou parlò con un gran sorriso allegro, felice di aver già fatto amicizia con qualcuno di un’altra Casa mentre Lilian, invece, sbuffava tenendo la braccia strette al petto:
“Beato te, io a Incantesimi sono finita vicino a uno insopportabile che non stava mai zitto! Ma almeno non ero dietro di lei, è così alto che non avrei visto niente della lezione.”
Quel particolare commento sembrò incuriosire il cugino, perché Shou improvvisamente la guardò inarcando le sopracciglia, dubbioso:
“Aspetta. Ha forse i capelli ricci?!”
“Sì. E il tipo che dici tu?!”
“Anche!”
“… Non dirmi che si chiama Malai!”
 
 
Due giorni dopo, a lezione di Erbologia, Lilian si ritrovò malauguratamente a lavorare allo stesso tavolo di suo cugino e del suo nuovo amico Malai, completamente stordita dalle loro chiacchiere e dalle loro battute idiote. Per fortuna con loro due c’era anche un amico di Malai dall’aria abbastanza normale, un Corvonero di nome Hiro che sembrava abituato alla parlantina senza sosta del suo amico, visto il perfetto aplomb che riusciva a mantenere intatto. Lo stesso però non si poteva dire di Lilian, che dopo trenta minuti senza un solo attimo di silenzio finì col sbottare agitando due vasi contro cugino e Tassorosso:
“Non vi sopporto più, se non state zitti subito vi infilo in questi vasetti, capito?!”
Profondamente indispettito ma allo stesso tempo molto perplesso a causa di quella strana minaccia, Malai fece per sollevare l’indice e far notare alla compagna che infilarli in dei vasetti minuscoli sarebbe stato assolutamente e fisicamente impossibile, ma Shou lo precedette scrollando le spalle e borbottando qualcosa, non abbastanza piano affinché Lilian non lo sentisse:
“Malai, non badare a Lilianator, sono io quello simpatico.”
“Non chiamarmi così Shou, o dico a tutti, incluso il Professor Paciock, che dormi con un pelouche a forma di…”
“NON DIRLO!”
“Voi quattro, smettetela di fare baccano!”
 
Alla fine della lezione, quando Lilian ricoprì il cugino di terra fertilizzata, a tutti e quattro venne assegnata una punizione e quella sera si ritrovarono, dopo cena, a lucidare manualmente l’intero contenuto della Sala dei Trofei. Hiro, pensando a tutti i compiti che avrebbe potuto fare portandosi avanti invece di perdere la serata lucidando coppe, sospirò rumorosamente per l’ennesima volta mentre strofinava la targa di un certo T.M.R. prima di mormorare qualcosa con tono mesto, seduto in un angolo della stanza mentre da qualche parte, in un angolo remoto, Lilian rimproverava Shou per il modo raffazzonato con cui stava pulendo i trofei e Malai li disponeva in ordine di altezza sugli scaffali:
Ma io che ho fatto per finire qui…”
 

 
*

 
Prima lezione di Volo
 
 
Lilian decise che avrebbe odiato quella materia fin dalla prima lezione: ci aveva messo più di cinque minuti a “chiamare” la sua scopa, mentre suo cugino ci era riuscito al primo tentativo, e ancor più tempo per librarsi in aria la prima volta. Priscilla era più o meno dello stesso avviso e anche Tallulah, che aveva rischiato di prendersi il manico della scopa in fronte, ma le tre ragazzine erano altrettanto d’accordo su un altro aspetto: a ciascuna di loro era comunque andata molto meglio che a Malai Johansson.
Le tre stavano in piedi, una accanto all’altra, e osservavano dubbiose il ragazzino schizzare maldestramente da una parte all’altra, le teste che si muovevano in sincro e seguivano i suoi movimenti quasi stessero assistendo ad una partita di tennis mentre Hiro, a qualche metro di distanza, si sbracciava verso l’amico cercando di dirgli come planare e tornare a terra.
“Demelz- Cioè, Professoressa, puoi andare… può andare a prenderlo?”
Hiro conosceva Demelza da tutta la vita e imparare a darle del Lei non sarebbe stato semplice, così come evitare di chiamarla per nome davanti a tutti gli altri studenti, ma aveva promesso solennemente a Malai di non dire a nessuno della loro parentela dopo esserselo fatto sfuggire con Priscilla al banchetto di inizio anno, così cercò di far finta di nulla mentre alcuni dei suoi compagni lo guardavano straniti.
Demelza che, in quel momento, stava osservando il figlio con la scopa sottobraccio e lo sguardo più rassegnato che Hiro avesse mai scorto sul volto di qualcuno.
Dopo tutto quello che ho sofferto questo è il risultato.. Bene, io vado a prenderlo. Che nessuno provi a volare mentre non ci sono, se non volete finire così.”
Mentre si metteva a cavalcioni della sua scopa Demelza accennò cupa in direzione del figlio, certa che se non altro la sua esperienza avrebbe funto da monito collettivo e che nessuno studente si sarebbe sognato di disobbedire.
 
 
“Ma’, non è colpa mia, la mia scopa era visibilmente posseduta!”
“E da chi sentiamo, dagli spiriti dei giocatori di Quidditch passati, presenti e futuri?! Lasciamo perdere, d’ora in poi alle mie lezioni ti darai malato, intesi?”
“Intesi.”
“Adesso muoviti, hai lezione di Trasfigurazione, non far aspettare Margi.”
“Ok, ciao.”
Demelza guardò Malai allontanarsi di qualche passo sul vialetto di ghiaia che lo avrebbe ricondotto all’interno del castello, ma dopo appena un paio di metri il ragazzino si fermò, voltandosi verso di lei prima di sfoggiare il suo sorriso migliore:
“Potrei avere la paghetta anticipata, questo mese?”
No. A che ti serve la paghetta, se sei qui?!”
“Ci sono i cataloghi, puoi prendere le cose via gufo!”
“… Davvero? Anche le maschere?! Beh, comunque no.”
 
Malai sbuffò e l’accusò di essere una madre cattiva e spilorcia, dopodiché girò sui tacchi e corse per raggiungere Hiro e andare a lezione insieme a lui sotto lo sguardo vagamente risentito della madre:
Spilorcia. Ti ho dato la vita e ancora avanzi pretese?! Ingrato.”


 
*

 
Malai Johansson aveva una particolare quanto potenzialmente disastrosa attitudine per la Trasfigurazione, i suoi compagni e futuri amici ebbero modo di appurarlo molto presto, già nel corso delle prime settimane di lezioni, quando il Tassorosso riuscì, nessuno seppe bene come, a trasformare una comunissima tazza in una testuggine gigante.
“Forse non era proprio questo quello che voleva Margi… Cioè volevo dire la Prof, vero?!”
Malai, appiattitosi contro la parete di pietra mentre la tartaruga calpestava i libri finiti sul pavimento e buona parte dei suoi compagni si dava alla fuga gridando istericamente fuori dall’aula. Mentre Margot, ancora in piedi accanto alla cattedra con la bacchetta in mano, studiava con grande interesse la tartaruga gigante mormorando qualcosa su quanto fossero curiose le abilità di Malai e non mostrandosi affatto preoccupata del panico collettivo, Lilian, Shou, Priscilla, Hiro e Tallulah, tutti in piedi contro la parete, si voltarono in successione verso il Tassorosso per fulminarlo con lo sguardo:
“Tu dici Malai?!”
“Non c’è bisogno di essere sarcastici Lilian, credo di aver capito che non era questo il compito!”
“Ma davvero, sei un genio! Adesso perché non fai sparire quel dinosauro e non torna la tazzina?!”
Malai avrebbe voluto far notare alla Grifondoro di non avere assolutamente idea su come ritrasformare la tartaruga in tazza, ma Hiro, che si voltò di scatto verso Lilian, lo precedette cacciando un grido sgomento e soffocato:
“NOOOO!”
“Che hai tu?!”
“Non devi… non dire mai… quella parola!”
“Quale?!”
Si dia il caso che le tartarughe siano distanti anni luce dai dinosauri. Certo sono entrambi rettili, ma è una generalizzazione insensata…”
Ecco perché!”
Mentre Lilian, Hiro e Malai discutevano di dinosauri Shou, in piedi vicino a Priscilla, gettò un’occhiata preoccupatissima al suo zaino, che ancora giaceva incolume vicino al suo banco malconcio: lì dentro c’erano alcuni numeri della sua rivista di Quidditch preferita – portati per non rischiare di annoiarsi troppo durante la lezione – e non aveva alcuna intenzione di vederli finire nello stomaco di una tartaruga, pertanto si voltò di scatto verso i compagni e pose fine al loro dibattito suggerendo di dover trovare un modo di levarsi da quella situazione e andarsene dall’aula.
“E come, la tartaruga ci sta fissando! Dite che ci vuole mangiare?!”
Priscilla, in piedi contro la parete tra Shou e Tallulah, deglutì a fatica e gettò un’occhiata preoccupata all’enorme rettile mentre la compagna di Casa, accanto a lei, scuoteva la testa liquidando le preoccupazioni dell’amica con un cenno della mano:
“Ma no, le tartarughe sono erbivore.”
“Io comunque non voglio finire calpestata da una tartaruga gigante. Ci serve un’esca per filarcela. Propongo Malai.”
“Perché io?!”
“Perché è colpa tua!”
“Shou, tua cugina è antipatica come la minestra con i pezzi giganti di verdura per cena.”
 
 
Fortunatamemte Malai non dovette fare da esca perché meno di cinque minuti dopo Margot aveva fatto sparire la tartaruga, rimesso in ordine l’aula e recuperato gli studenti in fuga che già stavano cercando di attraversare il Lago Nero a nuoto per tornarsene a casa, ma Malai stava ancora elencando tutte le differenze esistenti tra le tartarughe e i dinosauri per far capire a Lilian il suo errore, provocando un vistosissimo tic nervoso all’occhio sinistro della ragazzina.
“Pulcini state tranquilli, non è successo niente di grave. Malai? Malai, facciamo così, adesso mi dai la bacchetta e te la restituisco a fine lezione, ok?”
“Ok Margi… Cioè, Prof. Lilianator, cosa ti stavo dicendo sui rettili?!”
“Niente, e non provare a dirmi un’altra parola sull’argomento! Né oggi, né mai!”
 
Fu con sollievo che Lilian non sentì parlare di dinosauri per il resto della giornata, e anche se le sue speranze erano vane per il momento si godette, totalmente ignara, l’illusione di non dover mai più ascoltare una sola parola sull’argomento.




 
   
 
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