Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Nuage_Rose    07/07/2022    2 recensioni
Allerta Spoiler! Non continuare la lettura se non si ha concluso di leggere il manga.
In questa FF, mi sono chiesta cosa potrebbe succedere a Mikasa dopo aver perso il suo amato Eren. Si chiuderà nel dolore, restando per sempre a vegliare sulla tomba del ragazzo o deciderà di sfruttare al meglio la libertà che Eren le ha donato? Riuscirà ad amare nuovamente?
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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4. Shock

Tell the world that I was here
That I had been that I had lived

So even
When my bones have turned to ashes
And blow in the wind
I'll live

I hear them call
My friends that fall
Like they're trampled flowers
And they are why we cannot die
We must go on
We feel the weight upon our backs
But we'll remain strong”


 

Shock- from Attack on titan, English version


 

Il porto della capitale dell’Oriente ha uno strano odore. Questo è il primo pensiero di Mikasa, appena sbarcano nella capitale.
Ma è un profumo a lei familiare, sente di averlo già sentito e crede siano delle spezie particolari orientali: probabilmente qualcuna la usava sua madre per cucinare.
Fatica a ricordare, ma si sente particolarmente attratta dal trambusto del porto: ci sono bancarelle ovunque, pesci dalle forme e dai colori strani che ancora si dimenano, spezie in polvere dai mille colori e profumi, uomini e donne che si aggirano per le strade tranquillamente. Tutti con gli occhi a mandorla.
Gli edifici sono ancora più impressionanti, molto diversi da quelli che ha visto fino a quel momento: per la maggior parte sono in legno, semplici, dai tetti spioventi e con le punte arricciate.
Jean intanto parla con l’ambasciatore asiatico, cercando di farsi capire nonostante abbia studiato poco la lingua locale. Mikasa riconosce qualche parola, quei suoni non le sono del tutto estranei, ma allo stesso tempo molte cose le sono totalmente sconosciute. Ti sarebbe piaciuto tanto qui, Eren.
Salgono su una specie di auto strana insieme all’ambasciatore, diretti all’albergo che li ospiterà durante la loro permanenza diplomatica. L’uomo che li ha accolti ha circa sessant’anni, porta una lunga barba bianca con dei baffi esili e anche lui ha gli occhi a mandorla. Tutti li hanno e per Mikasa è una novità, essendo sempre stata abituata ad essere l’unica. Ora è Jean quello anomalo tra la folla, con i suoi capelli chiari e gli occhi da occidentale.
La ragazza guarda fuori dal finestrino, ancora incuriosita dalla grande città e nota quelli che crede essere segni di scrittura su vari edifici, domandandosi incuriosita se qualcuno potrebbe insegnarle a leggere e scrivere questa lingua, quella dei suoi antenati.
Jean richiama la sua attenzione: “Mikasa, la festa in nostro onore si terrà questa sera. Il signor Fushimoto mi ha appena detto che ha fatto preparare per entrambi abiti tradizionali dell’Oriente, delle cameriere ci aiuteranno ad indossarli.”
La mora sobbalza, chiedendosi già come si dovrà comportare per un tale evento.
Jean sembra così tranquillo e professionale, mentre parla di affari politici, come alleanze militari ed economiche. Si sente fuori posto durante quei discorsi, negli anni dopo la morte di Eren si è interessata poco alla politica e al resto del mondo: c’era spazio solo per quel lutto che le aveva tolto tanto, praticamente tutto.
Abbassa lo sguardo, sentendosi nuovamente in colpa per aver abbandonato Eren. Eppure… guardando le strade e la gente che le popola, tutte con i suoi stessi occhi, sente che la sua scelta è stata giusta: è giusto che lei sia lì, in Oriente.

Le porte bianche in tela sono scorrevoli e, aprendole, Mikasa si ritrova in una stanza con uno strano letto senza nulla a tenerlo sollevato, è completamente sul pavimento in legno.
Una giovane ragazza mora la raggiunge poco dopo, parlando velocemente nella sua lingua e Mikasa non ha nemmeno il tempo di spiegarle che non la capisce.
La donna avrà qualche anno in meno di lei, indossa uno strano vestito che la avvolge tutta in queste fasce bianche e marroni e porta tra le braccia un pacchetto ben chiuso e dall’aspetto morbido.
Le fa capire che deve spogliarsi, indicandole i vestiti e una sedia dove può appoggiare le sue vesti.
Esegue senza fare domande e poco dopo si ritrova avvolta in strati di seta colorati. Le si illuminano gli occhi quando capisce che sta indossando un kimono, è anche più bello di come lo aveva immaginato.
Il tessuto è scarlatto, fine e lucido, sopra ci sono cuciti a mano dei fiori in eleganti arabeschi e una specie di cintura nera e larga alla vita, legata dietro da un fiocco particolare.
Ma la giovane cameriera le fa cenno di sedersi sullo strano letto ed inizia ad acconciarle i lunghi capelli neri, legandoli in una elegante crocchia con degli strani bastoncini decorati da pendenti luccicanti a tema floreale. Poi inizia a truccarla e Mikasa vorrebbe protestare, ma si limita a restare ferma.
La cameriera dai corti capelli corvini le sorride compiaciuta del suo lavoro e le porge un piccolo specchio ovale.
L’immagine di sé stessa che Mikasa vede è sorprendente, non le sembra nemmeno di essere lei. Non si è mai vista così truccata, femminile e curata … arrossisce appena.
La giovane le rivolge un profondo inchino e Mikasa ha appena il tempo di ringraziarla prima che se ne vada, chiudendo la porta scorrevole.

Mi sento ridicolo. Non riesce a pensare ad altro Jean, sistemandosi convulsivante i corti capelli chiari mentre cammina verso la stanza di Mikasa.
Scommetto che appena mi vedrà conciato così scoppierà a ridere… Ah, dovevo immaginarlo che questa non poteva essere una buona idea, ma ormai non posso farci nulla.
Si ferma davanti alla porta di tela, chiedendosi come si dovrebbe bussare. Alla fine si limita a dire, con la voce un po’ più alta del normale: “Mikasa, sono Jean. Sei pronta?”
La porta scorre e si ritrova davanti una bellissima ragazza dal volto candido e le labbra scarlatte, i lunghi capelli legati le liberano il viso e non indossa più la sua tipica sciarpa rossa. Jean incespica, è rimasto senza fiato da quella visione.
Il kimono di Mikasa le sta d’incanto, mentre su di lui ha uno strano effetto stonato, nonostante sia molto più semplice e di un colore blu scuro. La bocca di Jean si spalanca e dimentica ciò che dovrebbe dire.
“Mi-Mikasa…” biascica, cercando di calmarsi, mentre lei lo guarda incuriosita studiando il vestito di lui. I suoi occhi scuri a mandorla sembrano ancora più belli con quel trucco e Jean non può fare a meno di arrossire come un ragazzino. “Do-dobbiamo andare a presenziare alla festa, quindi io… ecco, dovremmo…”
Si sente un completo idiota, non può continuare a essere sempre così nervoso in sua presenza. Mikasa annuisce, uscendo dalla sua stanza. Ringrazia in cuor suo di avere addosso solo delle ballerine nere e non quegli strani sandali che rendono il passo di Jean così insicuro ed impacciato. Eppure il kimono dona molto anche a lui.
Una ciocca corvina sfugge dalla sua acconciatura e con un dito la aggroviglia, cercando di calmarsi mentre va alla festa organizzata in loro onore.

La sala dal pavimento in parquet è colma di ospiti dagli abiti variopinti e su un palco ballano delle donne orientali con in mano dei ventagli dipinti. La musica è soave, gli strumenti esotici ed ipnotici. Su lunghi tavoli in mogano sono posti vassoi in argento con svariati piatti, principalmente di pesce, tutti estranei ai due rappresentati di Paradise.
Mikasa si distrae osservando dei rotoli di riso avvolti in pesce arancione, quando Jean viene convocato da un uomo con baffi lunghi e neri, anche lui vestito con abiti tipici. La ragazza ne approfitta e, furtivamente, prende uno di quegli strani ma invitanti piccoli rotoli: non si aspettava che fossero così buoni, così particolari.
A Paradise la cucina di pesce è ancora una novità, mentre in Oriente è molto più diffusa di quella di carne. Non che sull’Isola Mikasa abbia mangiato più di tanto carne, specie di bovino.
Un sorriso amaro si dipinge sul volto della ragazza, pensando soprattutto alla sua amica Sasha: avrebbe finito per divorare tutto il banchetto senza battere ciglio, nessuna forza armata sarebbe stata in grado di fermarla. Ma lei non c’è più, come anche Eren. Mentre lei, Mikasa, è rimasta.
Il suo umore torna ad essere cupo, finché Jean non la chiama a sé, presentandole i nobili dell’Oriente che, a quanto pare, hanno un sacco di storie da raccontare sul clan della famiglia materna di Mikasa. La ragazza ascolta, ma distrattamente.
Il pensiero di Eren, dei suoi amici caduti ed i sensi di colpa difficilmente la abbandonano. Ci era quasi riuscita, con tutte quelle abbaglianti novità della terra d’origine di sua madre.
Improvvisamente gli strumenti dai suoni leggiadri lasciano spazio a qualcosa che è molto più famigliare ai due ragazzi di Paradise: dei violini suonano un valzer, in onore dei loro ospiti d’oltre mare. Jean resta solo con Mikasa, la guarda di sottecchi cercando di decidersi ad invitarla a ballare. Alla fine, decide di porgerle semplicemente la mano, senza dire nulla.
La candida pelle di Mikasa gli procura una piccola scossa quando si appoggia sul suo palmo, ma Jean sa che è solo una sua sensazione e cerca di mettere da parte tutte le insicurezze. Ormai ha imparato a ballare, quindi è lui a condurre Mikasa, che si muove impacciata cercando di seguire i suoi passi.
Le fa tenerezza quasi, il pensiero che lei sia una delle donne più forti e micidiali che conosca cozza con la sua incapacità di danzare, ma alla fine la ragazza impara in fretta.
I loro occhi si incontrano e Jean sobbalza quasi. Non può smettere di pensare che sia bellissima. Non può smettere di sentirsi inadatto a lei.
Ma al diavolo, prima lei era innamorata di… quel cretino suicida! Io non sono da meno, certo che no, io… io potrei renderla felice?
Con la mano appoggiata al fianco della ragazza, la avvicina a sé, in modo quasi sconveniente per la situazione in cui si trovano. Ma sentiva che, se non lo avesse fatto, sarebbe impazzito dal desiderio di sentire il suo profumo ed il calore del suo corpo: non poteva lasciarsi sfuggire una occasione così rara.
Mikasa è incantevole con quel kimono. Non avrebbe mai potuto resisterle. La ragazza non gli dice nulla, per tutto il tempo. Lo studia, cerca di capire come comportarsi al meglio. Per tanti anni, aveva solcato solo i campi di battaglia e conosciuto la sua isola. Quello è tutto un mondo nuovo. Vede tutto un mondo nuovo negli occhi chiari e gentili di Jean.
Vede il suo riflesso: una ragazza, dalle labbra rosso fuoco e gli occhi lucenti. Non più la guerriera dal sangue freddo ed il viso quasi sempre inespressivo. Si chiede se le braccia di Jean siano sempre state così rassicuranti.
La musica improvvisamente cessa e Jean vorrebbe tanto uccidere chiunque l’abbia fatta smettere. Ma si limita a sospirare e ad applaudire insieme al resto degli invitati, mentre gli Azumabito salgono sul palco di legno. Il silenzio cala sulla stanza. Un uomo anziano inizia a parlare: “Grazie a tutti voi per essere qui. Vorrei fare un ringraziamento speciale ai nostri ospiti da Paradise, Jean-sama e Mikasa-sama. Vi siamo eternamente riconoscenti, voi avete aiutato a salvare questo mondo permettendo ad Armin Arlet di eliminare Eren Jaeger. Senza di voi, il nostro mondo sarebbe stato governato dal terrore e dalla paura di un mostro, un demonio. Invece oggi possiamo festeggiare e lavorare insieme, per costruire un mondo di pace.”
Alza il suo bicchiere, contenente uno strano liquido alcolico trasparente. Tutti gli invitati fanno altrettanto, tranne Jean e Mikasa.
Il ragazzo la guarda, preoccupato: Mikasa ha gli occhi sbarrati, le mascelle serrate e sembra sul punto di scoppiare ad urlare o a piangere.
Le appoggia una mano sulla spalla, notando che trema. Mikasa non è più in quella stanza, non sente nemmeno più la musica ripartire e neanche la mano di Jean: sente solo il peso della testa di Eren tra le sue braccia ed il caldo del suo sangue che la sporca.
“Mikasa! Mikasa!” la richiama Jean, che è costretto a scuoterla prendendola per le spalle.
Gli occhi di Mikasa tornano alla realtà. Jean la guarda allarmato, non sapendo cosa fare o cosa dire. La prende per mano: “Andiamo. Per questa sera, basta così.”
Mikasa non replica, non riesce a sentire l’aria entrarle nei polmoni. La mano di Jean è l’unica cosa che la tiene ancorata alla realtà. I due oltrepassano la stanza, qualche nobile orientale li ferma e Jean si limita a dire che Mikasa non si sente molto bene: “Abbiamo fatto un viaggio impegnativo, una notte di riposo sarà d’aiuto ad entrambi. Vi ringraziamo molto per l’ospitalità.”
La accompagna fino in camera di lei e la fa sedere sul futon. Gli occhi a mandorla di Mikasa si stanno riempiendo pericolosamente di lacrime. Eppure sul suo viso non c’è tristezza, non c’è niente.
Jean sospira, domandandosi se davvero sia stata una buona idea portarla via dall’isola. Ma ormai sono lì e lui è l’unico volto amico per lei.
Sospira, cercando di calmarsi: lui ormai è abituato a quella storiella che Armin ha raccontato a tutti su come lui ed i suoi amici abbiano fermato Eren. Mikasa invece no.
Le appoggia una mano sul viso, non riuscendo a schiaffeggiarla. Le palpebre di lei si aprono e chiudono velocemente, lo mette a fuoco. Jean allora le parla: “Mi dispiace. Temo sia possibile che sentirai ancora questo… genere di cose. Ci acclamano, siamo degli eroi per averlo fermato. Se hai cambiato idea, lo capisco. Ma questo è il mondo in cui viviamo, questo è il presente. Non nasconderti, ti prego. Non sarà sempre così doloroso, farà meno male col tempo. Te lo prometto.”
Mikasa annuisce: “Lo so. Ma io non voglio che faccia meno male. Mi sentirei in colpa. Io ho amato Eren. Non posso dimenticarlo, anche se lui è morto.”
“Nessuno ti chiede di dimenticarlo. Ti sto solo chiedendo di non dimenticarti di vivere, del presente.”
Lei sospira, ribattendo: “Cosa dovrei dire a coloro che mi vedono come una eroina per… aver aiutato a fermarlo? Con che coraggio dovrei fingere di essere orgogliosa di averlo fatto, sollevata che lui non ci sia più e fiera di ciò che ho fatto? So bene che era ciò che dovevo fare. Che doveva essere fermato. Ma questo non significa che sia stato facile. O che ne vada fiera.”
Jean scrolla le spalle: “Non rispondere. Non dire nulla. Limitati ad annuire. Lascia che siamo noi, i tizi subdoli, senza coscienza e bravi con le parole come me e Armin a inventarsi balle e a tenerle in piedi. Nessuno di noi ti biasimerà.”
Annuisce, anche se poco convinta. Ma si sente sollevata. Non vuole portare anche il peso di mentire sulla morte di Eren, sarebbe troppo orribile. La sola idea le fa venire i conati di vomito.
Jean sospira e le domanda: “Vuoi restare qui per il resto della serata? Posso sempre dire che sei… indisposta o che hai il mal di testa, come dicono spesso le ragazze, giusto?”
Ridacchia, Mikasa non è come le altre ragazze. Ma è una cosa che gli piace di lei. Le strappa perfino un mezzo sorriso, anche se appena accennato.
Scuote la testa: “No, non è necessario. Dirò che avevo solo bisogno di un po' di aria. O del bagno. Ma sono venuta qui per imparare, non per avere un altro posto dove nascondermi.”
Jean annuisce, felice: sarebbe stato spiacevole restare solo con tutti quegli uomini politici asiatici senza un volto amico.
Certo, raccontati quest’altra balla per non ammettere nemmeno a te stesso che la vuoi vicino, che vorresti rimetterti a ballare con lei.

   
 
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