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Autore: VaniaMajor    12/07/2022    3 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 27
 
ECHI DELLA MEMORIA
 
Anna aprì gli occhi, passando dal sonno alla veglia in un istante. Si chiese se qualcosa avesse fatto scattare l’allarme in lei, ma sembrava non stesse accadendo nulla. Il sole stava sorgendo in un’atmosfera di quiete, gli uccelli cantavano e l’aria fresca le accarezzava il volto. Si tirò a sedere, rilassandosi. Non aveva avuto intenzione di dormire tutta la notte, ma Sesshomaru non l’aveva svegliata per vigilare con lui e la stanchezza di quei giorni aveva preso il sopravvento. Il sonno ininterrotto le aveva fatto bene: si sentiva più forte, quasi rinata. Ormai le sue ferite erano leggeri segni rossi sulle sue braccia e sui fianchi. Kagura doveva essere ancora nei paraggi, ma per il momento si teneva a distanza.
Si guardò attorno, cercando l’Imperatore di En. Non lo vide subito, ma avvertiva il suo odore e la sua presenza, quindi non poteva essere lontano. Avevano fatto sosta in una zona rocciosa e scoscesa, non lontano da un torrente. Erano di nuovo nel fitto di un bosco, ma la sera prima Sesshomaru le aveva indicato una zona brulla e piena di gole e anfratti, la loro meta ormai vicina.
“Come mai si è allontanato?” si chiese, perplessa e un po’ preoccupata. Non le piaceva essere in allarme non appena lo perdeva di vista, ma in quei giorni aveva scoperto che la sua presenza la tranquillizzava. Ironico, visto che i primi giorni l’aveva trattata come un peso, l’aveva costretta a una marcia a tappe forzate ed era stato sgradevole quanto più possibile! Eppure, dopo la visita al vecchio Totosai e soprattutto allo scontro con Kagura, le cose erano cambiate. Chiunque, dall’esterno, avrebbe giudicato il loro rapporto gelido come l’inverno, ma Anna si era accorta di un sottile cambiamento e questo, col passare dei giorni, aveva modificato anche il suo comportamento.
Era salita di qualche gradino nella considerazione dell’Imperatore di En. Lo scontro con Kagura e lo stoicismo con cui aveva sopportato le difficoltà le avevano conquistato un minimo di rispetto da parte sua. Le aveva perfino chiesto qualcosa della sua vita, anche se le confidenze non si erano ripetute né erano state ricambiate. Il silenzio che circondava Sesshomaru era diventato, da barriera ostile, semplice espressione di quell’imperscrutabile yokai che teneva la propria anima chiusa da qualche parte in profondità. Anna si era stupita di sentirsi a suo agio in quel tipo di silenzio, di trovarvi una sorta di consolazione. Stava finalmente venendo a patti con ciò che le era successo e con il compito che l’attendeva. Lui, a sua volta, sembrava apprezzare il fatto che lei non cercasse di turbare con chiacchiere o domande i suoi pensieri. Senza parole, stavano riuscendo a capirsi molto meglio e ad accettarsi.
«Dov’è finito?» si chiese ancora Anna, avvertendo un altro odore oltre a quello di Sesshomaru. Seguendo il naso e allontanandosi dal torrente, presto udì qualcuno parlare.
«…non so quanto potrà durare, Sesshomaru-sama.»
Alla frase seguì una pausa tesa, che spinse Anna ad affrettare il passo. Era successo qualcosa, un guaio. C’entrava il gruppo di Kagome? Stavano tutti bene? Quando finalmente vide Sesshomaru e il suo interlocutore, un giovane inu-yokai, non si stupì di vedere gli occhi rossi dell’Imperatore di En. Qualunque notizia avesse portato quel latore, aveva riacceso le fiamme dell’ira nell’animo di Sesshomaru.
«Hai i tuoi ordini. Non farti domande, agisci. – fu l’aspra replica di Sesshomaru – I traditori del loro sangue avranno la fine che meritano, a tempo debito. Intanto, ristabilite il confine a qualsiasi costo.»
Il giovane inu-yokai abbassò il capo, accettando l’ordine, poi si voltò e corse via, non prima di aver lanciato ad Anna un’occhiata sospettosa.
«È accaduto qualcosa?» chiese lei, avvicinandosi. Sesshomaru impiegò un istante per decidersi a rispondere.
«Naraku ha sfondato il confine nord. Le sue armate sono in En.» disse. I suoi occhi tornarono del solito color ambra, nascondendo il suo tumulto interiore, ma Anna impallidì.
«Com’è successo?» chiese.
«La Grande Famiglia.»
Lei capì subito. Le era rimasto impresso lo sguardo del vecchio che aveva sfidato Sesshomaru, il suo ossequio venato da una palpabile disapprovazione. Lo yokai lesse queste considerazioni nei suoi occhi e, nonostante fosse profondamente irato, si trovò ad apprezzare di nuovo le qualità di quella ragazza. Era arrivata al punto facendogli niente più che un paio di domande, giusto l’essenziale. Sapeva osservare e tirare le sue conclusioni senza essere imbeccata. Era intelligente, oltre che indomita. Sesshomaru riconosceva di rado le doti altrui, ma quelle della donna erano in tale risonanza con le sue aspettative che non poteva ignorarle.
“Rin ha scelto con cura.” si trovò a pensare, ma questo lo irritò ancora più in profondità e riaprì una ferita.
«Era mai capitato prima che vi fossero tradimenti?» chiese Anna, preoccupata. Chissà se quel fatto avrebbe messo in pericolo Kagome e gli altri?
«Temevano e rispettavano mio padre.» rispose Sesshomaru, lapidario, e Anna lo guardò in viso, avendo intuito cosa si celava dietro quella frase.
«Oh, temono anche voi…forse troppo.» sussurrò, con un lampo di disprezzo per la loro viltà ad accenderle d’oro lo sguardo per un attimo. Sesshomaru decise di lasciar cadere l’argomento. L’avrebbe fatta pagare alla Grande Famiglia per quel tradimento sconsiderato e non voleva permettere a quella donna di vedergli dentro più di così. Il suo intuito poteva tornare utile, ma andava indirizzato altrove.
«Andiamo. Non abbiamo tempo da perdere.» disse, brusco. Lei lo seguì senza protestare.
Giunsero alla montagna brulla e scoscesa della Grotta degli Echi nel pomeriggio. Saltarono sulle rocce, due figure agili i cui capelli d’argento e d’oro brillavano al sole. Quando Sesshomaru si fermò di fronte a un’apertura scura e irregolare, da cui usciva un’aria fredda e umida, Anna gli si affiancò in silenzio. Avvertiva un nodo allo stomaco, un’ansia senza nome. Non sapeva che, a modo suo, Sesshomaru provava la stessa cosa. Voleva entrare e sapere, ma al contempo ne avrebbe fatto volentieri a meno.
«Cosa ci attende là dentro?» chiese Anna in un sussurro.
«Non sono mai entrato prima.» rispose lui, quasi sviando la domanda. Accorgendosene, si incupì. «La Grotta mette in evidenza le memorie, dentro e fuori dalla mente di colui che l’attraversa. Può consentire una visione più chiara del passato e del presente. Le anime deboli rischiano di rimanere imprigionate nel rimpianto o nel rimorso.»
La vide piegare le labbra in un sorriso amaro e capì che quanto le aveva detto non la spaventava. In qualche modo, la ragazza aveva già combattuto con quel tipo di fantasmi e ne era venuta a capo.
Entrarono senza scambiare altre parole, Sesshomaru in testa e Anna qualche passo indietro. La ragazza lanciò un’occhiata cupa alle loro spalle prima di varcare la soglia. Kagura non si era più vista, ma lei era convinta che stesse ancora alle loro calcagna. Sperava solo che non tentasse qualche stupidaggine in un momento così delicato.
“C’è Sesshomaru presente…non farà nulla, stai tranquilla.” si disse, avvertendo una fitta sgradevole che si premurò di soffocare.
La grotta saliva con una pendenza lieve in un tunnel buio, ma un vaghissimo chiarore brillava in cima, come a far loro da guida, e i due camminarono tra le anguste pareti di roccia senza alcuna difficoltà. Quando giunsero in cima, davanti ai loro occhi si aprì uno spettacolo che fece spalancare gli occhi ad Anna per la sorpresa e l’ammirazione. Il tunnel si apriva in una sala di pietra gigantesca, su più terrazzamenti levigati e plasmati in forme quasi organiche dall’azione dell’acqua, che stillava dal soffitto e si raccoglieva in polle più o meno grandi. Le pareti della grotta erano disseminate di quarzi azzurri e viola che emanavano il lucore soffuso avvistato in fondo al tunnel. Tutto sommato, là dentro ci si vedeva come se fosse stata la prima ora dopo il tramonto. La sala gigantesca, più avanti, si restringeva di nuovo, segno che la grotta proseguiva dentro la montagna.
Sesshomaru non parve minimamente impressionato da ciò che vedeva. Iniziò a scendere senza aspettarla e Anna, dopo un istante, si affrettò a seguirlo. Dopo pochi passi, fu attraversata da una sorta di brivido e si chiese cosa lo avesse scatenato. Non si sentiva, infatti, diversa dal solito. Se i poteri della grotta erano già in azione, non sembravano agire su di lei.
“In fondo, è Sesshomaru che deve trovare risposte.” si disse, pur avvertendo una certa delusione. Non poteva negare di essere stata curiosa riguardo alle proprietà di quella grotta! Allora, perché quel brivido, la sensazione progressiva di solitudine e smarrimento che le stava crescendo dentro. Alzò lo sguardo sulla schiena di Sesshomaru, che le camminava davanti, e capì: l’Imperatore di En si stava allontanando a una velocità superiore a quella del suo passo. La Grotta lo stava trascinando lontano e la sua presenza veniva dimenticata, accantonata in un presente che aveva sempre meno presa su di lui. Ecco spiegata la sensazione crescente di solitudine.
“Speriamo almeno che serva a qualcosa.” pensò Anna, trattenendo un sospiro. Lo avrebbe seguito comunque per vedere come sarebbe andata. Non pensava che gli sarebbe servito aiuto, ma non si poteva mai dire…Fu in quel momento che la sala di roccia si trasformò per lei in una gigantesca finestra nelle memorie di Sesshomaru. Si fermò di botto, trattenendo il fiato, quando iniziò a udire le voci del suo passato, a veder passare immagini sulla superficie dell’acqua, rimandate sulle pareti dalle innumerevoli gocce stillanti dalle stalattiti. Era un Sesshomaru bambino, memorie di un’infanzia che pareva incongrua col gelido Imperatore davanti a lei. Anna non sapeva se Sesshomaru si accorgeva di lasciare echi della propria memoria dietro di sé, ma al momento sembrava o ignaro o indifferente alla cosa. Era come vedere un film e allo stesso tempo esservi dentro. Accelerò il passo fino a portarsi quasi a fianco a lui, in modo da poterlo guardare in viso. Lui non parve nemmeno accorgersi della sua presenza e il suo passo rimase immutato.
“Non lo sa.” decretò infine la giovane donna, notando come Sesshomaru proseguisse verso le parti più buie della grotta, come il suo volto fosse assorto, pensieroso, quasi assente. Anna decise di non farsi troppi scrupoli né domande. Meglio approfittare di quanto accadeva per cercare di capire meglio l’imperscrutabile yokai a cui Junan l’aveva legata.
Ciò che vide la turbò in modo crescente. Nella prima sala vide scorci dell’infanzia di Sesshomaru, un bambino yokai la cui figura materna era un fantasma confuso, che sparì presto e non si ripresentò più, facendole ipotizzare che fosse morta. Si trovò a stringere le labbra nell’indovinare la sua solitudine, tra le immagini di un padre grande e magnifico ma sempre lontano, sempre remoto, capace solo di chiedere risultati che dimostrassero la validità dell’erede e di impartirgli lezioni sulle Hoshisaki. Non c’era da stupirsi che Sesshomaru fosse cresciuto anaffettivo. Assistette a una prova di forza, una specie di rito di iniziazione alla presenza di quella stessa Grande Famiglia che le aveva lasciato l’amaro in bocca qualche notte prima e che adesso pareva essersi votata al tradimento. Avvertì un senso di vuoto allo stomaco, una nausea forte e improvvisa nel guardare quel ricordo in una delle polle d’acqua. Un Sesshomaru appena adolescente, efebico, ricoperto di sangue proprio e altrui, lasciato solo ad affrontare i demoni di Gake per sopravvivere o morire, per dimostrare di essere degno o soccombere.
Distolse lo sguardo, sentendo montare una voglia indescrivibile di strangolare tutti quegli inu-yokai, compreso il vecchio imperatore di En. Anna si sentiva travolta da un turbine di emozioni che non avrebbe voluto provare. Aveva sempre combattuto le ingiustizie e non era necessario essere più empatici del normale per rendersi conto che a Sesshomaru era stata strappata qualsiasi parvenza d’infanzia.
“Riconosciamo la tua forza. Sei il nuovo Erede di En.” disse una voce sgradevolmente amara, forse quello stesso Tashiki che aveva riconosciuto con tanto livore il potere imperiale. C’erano dunque stati altri pretendenti? Per questo il precedente Imperatore aveva spinto il figlio a simili sacrifici?
Guardò Sesshomaru e lo vide già piuttosto lontano da lei. Stava salendo i gradini di roccia che portavano a quel buio restringimento in fondo alla sala, probabilmente un passaggio verso una diversa parte della grotta. Rimaneva distante e svagato, ma non sembrava affatto turbato. Come le aveva detto, la grotta era pericolosa per chi aveva rimpianti e rimorsi. Probabilmente lo yokai non si rendeva nemmeno conto di non aver avuto un’infanzia normale.
“Per forza è cresciuto così…” pensò Anna, cupa, quasi correndogli dietro. Il buio inghiottì la figura di Sesshomaru e Anna vi si inoltrò dappresso. Davanti a loro, in lontananza, c’era un lucore bluastro, a indicare una nuova sala. Sbucarono in una caverna ancora più vasta e articolata, ma più buia. I suoi meandri erano avvolti nelle ombre, mentre cristalli azzurri e blu sprigionavano un lucore appena sufficiente a illuminare la via. Ad Anna sembrò la luce misteriosa di alghe e batteri fluorescenti. La cosa stupefacente era che persino quel debole chiarore permetteva di vedere con chiarezza immagini formarsi nelle polle d’acqua e nelle gocce che brillavano sul soffitto e sulle pareti.
“Sesshomaru, questa è la nuova imperatrice, la mia consorte.”
“Una debole donna umana?!”
“Taci, figlio! Una persona non si giudica dal potere che possiede ma dalla qualità del suo cuore.”
“Non è ciò che mi hai insegnato, padre.”
Questo scambio aspro le ferì le orecchie, poi i suoi occhi vennero attratti dalla figura di una splendida donna dai lunghi capelli neri, dal volto dolce e sereno. Al contempo, la vide attraverso il filtro della mente di Sesshomaru: un essere debole, incapace di difendersi, una nuova responsabilità che rischiava di cadere sulle sue spalle. Avvertì la sua indignazione e il suo rifiuto crescere quando il padre aggiunse: “Presto avrai un fratello minore. Sarà il punto di contatto tra il popolo degli yokai e quello dei ningen.”
Anna inspirò in un sibilo e avvampò, ricordando la propria domanda di qualche sera prima: “Siete mai stato la seconda scelta di qualcuno?”. Lui non aveva detto una parola, ma ora lei capiva. Capiva anche troppo. Le prime immagini di Inuyasha bambino, coccolato da entrambi i genitori, le diedero la risposta.
Quel momento sembrò aprire una diga. Le fasi più significative della vita di Sesshomaru esplosero a catena nella sala buia, sommergendo Anna di ricordi non suoi.
***
Sesshomaru attraversava gli anni turbolenti della propria vita come se stesse camminando nell’acqua. Quasi non respirava e non si accorgeva di essere entrato in una sorta di trance. Non ricordava più di essere accompagnato, né il motivo della sua visita. Non pensava a Junan, o all’uso di Tenseiga, o alla guerra in corso. La Grotta lo aveva afferrato e lo stava conducendo dove desiderava. I ricordi si affastellavano nella sua mente, si dipanavano e poi sembravano abbandonarlo e morire alle sue spalle. Niente lo toccava in modo particolare. Non la nascita del fratellino tanto invidiato, non le diatribe col padre, non la sua morte invendicata, non l’eredità tanto odiata né gli scontri con Inuyasha, che per tanto tempo non aveva visto come parte sopravvissuta della sua famiglia ma come detestato fardello…Tutte queste cose erano state metabolizzate, lasciando dentro di lui un dolore sordo che riusciva a gestire e che non avrebbe più potuto trascinarlo a fondo.
Lui era Imperatore di En. Inuyasha era il suo Erede. La Grande Famiglia aveva cercato di negare quel diritto di successione un’altra volta ma Inuyasha, come già aveva fatto lui, aveva dimostrato la forza del sangue che gli scorreva nelle vene superando ogni prova. Entrambi i fratelli avevano stentato per anni a rapportarsi con le proprie spade. Poi, il cuore umano di Inuyasha era entrato in risonanza con Tessaiga, grazie al suo desiderio di proteggere i sudditi ningen dell’Impero, i soldati che combattevano ai suoi ordini. E Tenseiga? Era rimasta muta, fino a quando…
Sesshomaru entrò davvero nell’acqua, immergendo i piedi in una delle polle più vaste e proseguendo fino ad essere sommerso a livello del petto. Lì si fermò, mentre i ricordi in cui meno amava indulgere lo assalivano.
Tenseiga aveva infranto per un attimo il suo muro di silenzio quando aveva trovato Rin, unica superstite di un villaggio di frontiera assalito e distrutto dai demoni di Gake. Vi era capitato per caso, durante un giro di perlustrazione in compagnia del solo Jaken. C'era stata battaglia, il giorno prima, su un lungo fronte. Inuyasha era più a est e gli scontri erano cessati ormai da ore. Sesshomaru aveva incrociato quel villaggio e aveva camminato per le sue vie disseminate di cadaveri, le case di legno crollate, giurando a se stesso che Naraku avrebbe pagato per quell'ulteriore danno a En. Poi, Jaken aveva cacciato uno strillo e si era nascosto dietro la sua gamba, gridando: «Qualcuno...qualcosa...là sotto!» e indicando un tetto crollato e un mucchio di assi che si erano appena spostate.
«Stai calmo, Jaken.» lo aveva rimproverato con freddezza, camminando verso il punto indicatogli. Non avvertiva la presenza di yokai, il puzzo dei cadaveri copriva tutto ma non riteneva di sbagliare. Con tutta probabilità, si trattava di un fortunato superstite. Fu nel momento in cui scagliava lontano le assi spezzate con una mano che Tenseiga vibrò al suo fianco, un istante prima che potesse posare gli occhi sul viso stanco e sporco, segnato dalle lacrime, di una bambina che teneva tra le mani come un talismano protettivo una piccola gemma, viola come la luna di En.
Quello era stato il suo primo incontro con Rin, Portatrice di Junan. Aveva portato via la bambina, la cui famiglia era morta sotto le macerie. La piccola non parlava, era sotto shock, e non lasciava mai andare la sua Hoshisaki. Si limitava a guardare Sesshomaru come se fosse un'apparizione divina, a mangiare quello che le veniva offerto e a seguirli ovunque come un pulcino. Inizialmente, il fatto che Junan fosse legata a una mocciosa umana bisognosa di tutto lo aveva esacerbato. Inuyasha ne aveva riso fino alle lacrime e la dea Kiokuchi non aveva potuto o voluto aiutarlo, se non consigliandogli di averne la massima cura.
Erano stati il passare del tempo e il cuore luminoso di Rin a cambiare le cose, a poco a poco. La bambina lo sommergeva di attenzioni. Gli porgeva il boccone migliore, condivideva ogni piccola meraviglia, gli regalava fiori. Gli sorrideva ogni volta che lo vedeva, come se per lei fosse sorto il sole. Pian piano, aveva ripreso a parlare e da quel momento era stato un “Sesshomaru-sama!” continuo, martellante...e delizioso. Per Rin, lui era l'astro a cui dedicare l'esistenza. Veniva prima di ogni altra cosa, di ogni altra persona. Per Sesshomaru, tornare a casa ed essere accolto dal suo abbraccio sincero e dalla sua risata era diventato un rito a cui anelava. Rin gli aveva aperto gli occhi sulle cose belle della vita, sui piccoli piaceri, sulle emozioni umane che si era sempre negato.
Era la sua piccola gemma, la creatura che più di ogni altro desiderava proteggere, Junan o meno. Si era sentito ferito nel vederla crescere, cambiare, avviarsi verso la sua forma di donna. Per questo, si era un po' allontanato da lei, non desiderando che il loro rapporto cambiasse.
Quanto si era rimproverato per questo, dopo? Quante volte si era detto che quella notte avrebbe potuto essere al castello, che non c'era necessità di assenza tanto prolungate...quelle assenze che avevano dato agio a Naraku di far scattare la sua trappola e strappare Rin alla vita? A cosa serviva essere Imperatore di En se non si sapeva nemmeno proteggere la persona più cara? I pensieri riguardanti le Hoshisaki perdute erano giunti dopo, quando ormai il gelo era di nuovo calato su di lui. Per molto tempo, non aveva sofferto che per la sua nuova solitudine. Nemmeno Inuyasha poteva condividere quel dolore: come Rin, lo aveva lasciato, rinchiuso in un sonno che prometteva di essere eterno.
A cosa serviva provare emozioni se conducevano solo al dolore? A cosa serviva combattere se non si faceva altro che perdere ciò che era più importante? Aveva proseguito, giorno per giorno, tornando a chiudersi nel gelo, al solo scopo di vendicarsi di Naraku. Non c'era futuro oltre a quello. Non aveva una visione, una speranza, nulla...solo oscurità.
Vi cadde dentro e attraverso, incapacitato a muoversi come se il gelo dentro di lui alla fine avesse preso il sopravvento, artigliandogli le membra in una morsa impossibile da spezzare. Il respiro si fermò e iniziò a soffocare, ma non combatté la sensazione. L'immagine di Rin, non più sorridente e con una corona di fiori tra i capelli scuri ma bianca e immobile nel suo catafalco di morte, gli si era impressa nella mente e obnubilava ogni altra sensazione. Non si accorse delle braccia che lo afferrarono e lo riportarono in superficie, del difficoltoso trasporto del suo corpo che non collaborava fuori dall'acqua. Non voleva essere distratto e arrivò a combattere le mani che tentavano di scrollarlo e gli slacciavano febbrilmente l’armatura per facilitargli il respiro, la voce che gli gridava qualcosa nelle orecchie. Con vera sofferenza, assistette allo sbiadirsi della sua ultima immagine di Rin. Ancora immobile, prigioniero del proprio gelo, iniziò a rendersi conto di cosa stava accadendo. Si sentiva fradicio, scosso da brividi. Qualcosa gli premeva sul diaframma e rigurgitò dell’acqua dal forte sapore minerale, poi riprese a respirare con sibili rauchi e incerti. Mani fredde e ferme ora gli asciugavano le guance e le labbra, gli tiravano via i capelli gocciolanti dalla faccia. Quelle stesse mani lo afferrarono per le spalle e lo scossero, poi lo sollevarono alla nuca e lo strinsero a un corpo che tremava non meno del suo.
«Sesshomaru-sama! Sesshomaru-sama, vi prego...avanti, respirate! Respira, maledizione, sforzati! Ecco, così, bravo... - diceva, per poi spostargli la testa in modo che l'angolazione gli rendesse più facile prendere ossigeno – Sesshomaru, lascia andare. So cos'hai visto, ma devi lasciare andare. Lei non avrebbe voluto che il suo ricordo ti facesse del male...»
La voglia di aggredire la persona che cercava di salvarlo e sottrarlo al suo tormento lo spinse ad aprire gli occhi di scatto. Vide su di sé il volto di Anna, lo splendore di Junan sulla sua fronte e la sua rabbia sfumò quando scorse la sua bocca tremare nell'incrociare il suo sguardo, le lacrime che le velavano gli occhi. Era...preoccupata per lui? Capì che, in qualche modo, gli aveva appena salvato la vita. Lo stava tenendo in grembo e ora gli accarezzò di nuovo il volto come se avesse a che fare con un bambino, accertandosi che la vedesse, che si stesse riprendendo. Il suo tocco era gentile, gli trasmise la sincera preoccupazione di lei. Anna si voltò, gli prese una mano, gli chiese di stringerla a sua volta per verificare che il corpo gli rispondesse, ma per il momento lui non era in grado di muoversi. L'immagine di Rin recedeva, ma molto lentamente...Sesshomaru si rese conto che, se fosse andato solo, la Grotta avrebbe potuto ucciderlo grazie alla profondità dei suoi rimpianti.
«Starai bene tra poco, in caso contrario ti porterò fuori di qui sulla schiena. - mormorò la giovane donna, pratica, strofinandosi poi gli occhi per cancellare ogni traccia di lacrime – Non è successo niente. Erano solo ricordi. Solo ricordi. Questo è il presente, tu sei l'Imperatore di En e hai  le sei Hoshisaki e...e tutti ti aiuteranno a vendicarti, Sesshomaru, non hai bisogno di farti del male più di così. Hai affrontato tutto questo una volta in più del dovuto. Adesso basta. Adesso basta.»
La sua voce era decisa, ottimista, ferma, in contrasto con il corpo che continuava a tremare insieme al suo. Si rese conto di averla spaventata a morte e che la Grotta le aveva concesso di vedere nei suoi ricordi. Era così sconvolta e desiderosa di farlo emergere dal buio che non si era resa conto di avergli parlato con confidenza, gettando da parte i titoli onorifici. La cosa lo irritò ma al contempo si rese conto che diversamente non avrebbe creduto alle sue parole. Così, invece, esse si stavano facendo strada dentro di lui, lo stavano guarendo. La donna non aveva forse ragione? Doveva dire basta a quel tormento. Doveva proseguire, come Rin stessa avrebbe voluto. Non gliel'aveva trasmesso con chiarezza mandandogli una nuova Portatrice di Junan?
Incrociò lo sguardo di lei, fissando le iridi ambrate in quelle azzurre, nell'arcana luce blu della grotta. Anna strinse le labbra, forse aspettandosi un rifiuto o una resa al dolore, ma lui si limitò a creare un contatto e lei, sorpresa, riuscì a capire che lui le stava dando la sua approvazione. Un sospiro le sfuggì dalle labbra e chiuse per un attimo le palpebre, come sopraffatta, poi gli sorrise con una dolcezza che sembrò riscaldare Sesshomaru dall'interno.
«Andrà tutto bene. Te lo prometto, farò di tutto per aiutarti. - mormorò lei, scostandogli la frangia dagli occhi con dita gentili – Riposa, riprenditi. Rin veglia su entrambi e le daremo pace. Te lo giuro.»
Lo disse con tale, granitica certezza, mostrandogli una forza di volontà non comune, che le credette. Lei lo avrebbe aiutato con tutte le forze a sua disposizione, profezia o meno. Lo avrebbe aiutato perché aveva capito. Non aveva giudicato i suoi ricordi, le sue scelte: li aveva compresi e accolti dentro di sé. Sesshomaru chiuse gli occhi per nasconderle quel pensiero e la sensazione calda e gentile che lo stava pervadendo, guarendolo.  
Attesero qualche minuto, poi Anna decise di caricarselo sulle spalle e di portarlo fuori dalla grotta. Sesshomaru non aveva ancora voce per protestare e Anna parve decidere di ignorare la smorfia indignata che gli solcò i lineamenti. Non fece fatica: le forze yokai erano più che sufficienti per consentirle quello sforzo. Sesshomaru si trovò sistemato su quella schiena sottile, avvertendone il calore e la forma aggraziata, femminile.
“È stato un viaggio inutile e dannoso. – pensò, amaro – Non ho avuto risposte, di alcun genere. Solo altro dolore.”
Il suo pensiero venne interrotto da voci irate e addolorate, una cacofonia di lutto che lo scosse e lo spinse a tornare a guardare la grotta. Anna continuò a camminare come se niente fosse, come se quelle voci non stessero piangendo una morte.
“Le sue memorie?” indovinò Sesshomaru. Guardò attorno a sé con occhi rapaci, aguzzò le orecchie per discernere le parole. Se lei aveva avuto accesso alle memorie di lui, gli sembrava il minimo approfittare il più possibile di quelle di lei per ripristinare l’equilibrio. Sì, erano voci di lutto. Era morto un bambino, forse il fratello maggiore di cui lei gli aveva parlato qualche sera prima. La prima immagine si palesò nelle gocce stillanti, alla fioca luce azzurra: una bambina molto piccola, dai capelli chiari, seduta sola con l’immagine di un ragazzino biondo stretta al petto, mentre gli adulti litigavano e piangevano alle sue spalle, ignorandola del tutto.
“Anna non ha talenti. Non ha nemmeno un grammo della grandezza di suo fratello. Cosa me ne faccio di lei?” gridò una voce femminile con isteria.
Al di sotto, nella polla, la stessa bambina poco più grande si versava del latte e si preparava qualcosa da mangiare. Tutto attorno a lei comunicava vuoto, mancanza. Nessuno sembrava occuparsi di lei. Gli oggetti e gli abiti di quel mondo erano estranei al Signore di En, ma la situazione era palese ai suoi occhi senza bisogno che gli venisse spiegata. Totale abbandono. Quella bambina doveva imparare a vivere con le sue forze o soccombere. Non era stata ritenuta degna.
Il loro viaggio verso l’uscita fu speculare a quello d’entrata. Questa volta fu Anna a perdersi dentro se stessa, ma continuò a camminare come un automa, senza mutare espressione in viso, dedita alla sua missione di portarlo in salvo.
Sesshomaru guardò, ascoltò, imparò di lei tutto quello che poteva con un interesse che lo stupì ma che si spiegò con le relative somiglianze nella loro infanzia. I genitori morti, il rifiuto da parte dei parenti. Una bambina trascurata che prendeva a frequentare un tempio nel vicinato e faceva amicizia con la famiglia che se ne occupava, legando soprattutto con la bimbetta che portava Shinsetsu. Poi l’adozione di fatto, la nuova vita in quella famiglia che l’aveva accolta ma che non era sua, non davvero. Vide l’amicizia con Kagome crescere e diventare un legame fortissimo, giorni di studio in classi dove ogni tanto veniva chiamata hanyo e provocata per il fatto di avere occhi e capelli chiari. La vide allenarsi fino allo sfinimento nelle arti marziali, cercando pace nello sforzo fisico. La vide sopportare tutto, con un sorriso gentile che svaniva nella solitudine. La sentì decantare il significato dei fiori, trattenere una commozione angosciosa alla vista dei petali di ciliegio, annunciare che avrebbe lavorato e sarebbe diventata indipendente. Quando sbucarono nella sala più vicina all’uscita, la prima immagine che vide fu un’Anna umana ma adulta, seduta alla finestra di una stanza che conteneva solo tre scatole ancora chiuse, mentre guardava una luna piccola e bianca, molto diversa da quella di En. La voce di lei riempì la sala con una canzone dolce e malinconica che lo stupì, sia per la bellezza del suo canto che per l’immagine precisa e potente che restituiva del suo vero sentire, della sua profonda solitudine.
Mentre l’orrore che Naraku le aveva fatto subire si dipanava davanti ai suoi occhi e le forze tornavano a riempirgli il corpo, liberandolo dal gelo dei propri rimpianti, Sesshomaru capì che la Grotta gli stava dando almeno una risposta. Ora sapeva perché Rin aveva scelto quella giovane donna, sapeva perché Tenseiga aveva vibrato per lei e perché Junan le rispondeva con tanta prontezza. Quella donna era sempre stata sola, come lui. Sempre obbligata a dimostrare di essere degna. Come lui aveva avuto Rin quale unica luce, Anna aveva utilizzato Kagome e la sua famiglia come faro. Entrambi, però, portavano la notte dentro di sé. Potevano capirsi. Potevano toccarsi a una profondità che, forse, poteva diventare persino pericolosa.
Ecco la sua risposta. Quel contatto, quella somiglianza, potevano riaprire il suo mondo alle emozioni e fornirgli la chiave per l’uso di Tenseiga. La domanda era: ne sarebbe stato capace? Avrebbe, di nuovo, osato mettere in gioco così tanto di se stesso?
Quando Sesshomaru, poco prima del tunnel d’uscita, recuperò abbastanza forze da scivolare dalla presa di Anna e rimettere i piedi a terra, lei non se ne accorse. Attorno a loro si dipanava l’ordalia della fuga di lei, in forma di neko-yokai. Poi, l’ultima immagine: lui stesso che la rifiutava con parole che pesavano come un anatema. Sesshomaru vi si riconobbe, pur con il filtro delle memorie di lei, e per la prima volta nella sua vita non si piacque affatto.
Anna si fermò, barcollò come per un colpo ricevuto, cadde in ginocchio. Sesshomaru si chinò, le passò un braccio attorno alle spalle e la sollevò contro il suo fianco. Camminarono insieme verso l’uscita, in silenzio, e nella grotta ogni suono o immagine svanì, senza conservare traccia del loro passato.
   
 
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