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Autore: Soul of Paper    17/07/2022    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 73 - Inquilini


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Sì, sì, sono sicura, sì, una cosa semplice, anche se a quanto pare la stupisce molto. Ma a questi prezzi, francamente, più che fiori e piante decorative giusto quelle di cannabis poteva vendermi, mi scusi.”

 

Si godette per un attimo la reazione scandalizzata della fioraia: già i prezzi erano una rapina abitualmente, anche se Calogiuri sulle rose rosse ogni tanto non lesinava - nonostante la fine tragica che facevano di solito nelle loro mani - ma per un matrimonio tutto pareva almeno due volte più caro.

 

Che almeno al funerale non vedi quanto spendi, al matrimonio invece ti ci devono fare arrivare con la gastrite.

 

Quasi ad averla invocata, percepì un poco di acidità in gola, ma avere a che fare con i fornitori le faceva quell’effetto, tanto che compatì improvvisamente un poco chiunque avesse un’attività in proprio. Sempre se poi gli scontrini li faceva e teneva tutto in regola, ovviamente.

 

La vibrazione del telefono la riportò alla realtà e si chiese se fosse magari il gioielliere - anzi l’orafo - per le fedi, che quelle doveva sceglierle per forza con Calogiuri ma doveva prima conciliare gli impegni di tutti.

 

Valentina

 

Sono in zona e, se sei a casa, verrei lì. Dimmi se è ok che in cinque minuti ci sono.

 

Più che una richiesta era praticamente un ordine. Una delle cose che Valentina aveva preso da lei e non da suo padre.

 

E che mai avrebbe potuto dirle?

 

Ti aspetto.

 

Sperava vivamente non fosse successo un altro casino, visto che era raro che Valentina la andasse a trovare così spontaneamente, in settimana per di più ed in orario di lezione.

 

Ecco, mo non farle l’interrogatorio su come va l’università, Imma, che ti conosco!

 

Diana, onnipresente nella sua mente insieme alla Moliterni. Ma, se la seconda sperava di riuscire a scansarla il più a lungo possibile almeno in carne ed ossa, Diana era nella assai breve lista di persone che avrebbe dovuto contattare assolutamente per la cerimonia.

 

Soprattutto per l’abito, che quello al mercato in offerta purtroppo ancora non si trovava.

 

E poi Calogiuri per il suo primo e si sperava unico matrimonio, meritava un certo impegno da parte sua. Lo voleva lasciare senza parole.

 

Per come ti conci di solito, Imma, non ne dubito!

 

Eccallà, la Moliterni, puntuale come il mal di denti, anzi di stomaco: doveva proprio prendere un antiacido.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ma piange sempre?”

 

“No, ma qualcuno che scampanella delicatamente mentre fa il pisolino chissà perché non aiuta.”

 

“Chissà da chi avrò imparato, che quando arrivi tu alla porta sembra sempre che la vuoi sfondare e che sia arrivata la Digos per fare irruzione.”

 

Sospirò: stava cercando di tranquillizzare Francesco, che Valentina aveva spaventato con la sua scampanellata sobria, come avrebbe detto Vitali.

 

E si era pure addormentato da manco un’ora, mannaggia a lei.

 

“La prossima volta bussa, Valentì, che tanto il cancello di sotto sempre aperto sta.”

 

“E va bene…” sbuffò sua figlia, per poi chiederle, con curiosità, “ho saputo che… che Melita si sta riprendendo, giusto?”

 

La notizia era arrivata ai giornalisti, purtroppo, ma era prevedibile.


“Sì, sì.”

 

“E quindi… come farete con lui?”

 

“Eh… se i servizi sociali e i medici la reputeranno in grado di occuparsene, tornerà da lei, com’è giusto che sia.”

 

“Non so se essere stupita o preoccupata del fatto che, nonostante urli peggio di te-”

 

“E di te-”

 

“Insomma lo vedo che ti spiacerà molto.”

 

“Almeno qualcuna sarà contenta,” ironizzò per deflettere, rivolgendo uno sguardo ad Ottavia che era accoccolata su Valentina, con le orecchie pigiate sulla sua pancia, come a volerle tappare, “forse anche tu, no?”

 

“A me basta che tu e il maresciallo siete sereni, che non fate più casini e possibilmente non finite più sui giornali.”

 

“Dei casini lo spero, dei giornali non te lo posso promettere, lo sai.”

 

Valentina annuì e poi l’occhio le cadde sulla lista di cose da fare per il matrimonio, che avrebbe dovuto nascondere prima del ritorno di Calogiuri.

 

“Ma allora… ma allora è-?”

 

E sì, aveva letto anche la data.

 

“Dobbiamo ancora far partire gli inviti e fino al momento delle pubblicazioni sto facendo una sorpresa a Calogiuri. Non sa niente di niente: gli ho solo detto di procurarsi un abito adatto per l’estate. Quindi, se provi a farti scappare qualcosa-”

 

“Solo se mi prometti che posso accompagnarti a scegliere l’abito, che una scena del genere non me la voglio perdere e… e per il resto… mi farà strano vederti all’altare.”

 

“Nessun altare, Valentì: cerimonia civile, che col divorzio ormai sono una peccatrice irredimibile.”

 

Valentina rise ma poi si fece più seria e aggiunse, “a proposito… ma come pensi di fare con… con gli invitati di Calogiuri, specie alcuni? Sempre se li invitate e… e poi c’è il problema di-”

 

“Lo so, Valentì, lo so,” la interruppe, perché lo sapeva benissimo anche lei che il vestito, le bomboniere, i fiori e le rapine multiple a cui si stava sottoponendo erano solo una piccola parte del problema.

 

Ma non poteva farci nulla e non voleva peggiorare ulteriormente l’acidità di stomaco. Quindi virò rapidamente su un, “ma invece, a proposito di problemi, come mai tutta questa urgenza di vedermi? E non dirmi che all’improvviso sentivi la mancanza di quella scassapalle di tua madre.”

 

Valentina ammutolì, poi guardò verso Francesco, che nel frattempo si era calmato e la stava fissando, studiandosela per bene.

 

“Valentì, guarda che tra un po’ qua rientra Calogiuri e-”

 

“Come hai fatto a perdonare Calogiuri?”

 

Non era la domanda che si aspettava, tanto che rispose, “guarda che, se hai ancora dubbi su Calogiuri e sulla sua fedeltà, non mi ha mai tradita e-”

 

“Sì, ma quando ancora pensavi che lo avesse fatto, come hai fatto a perdonarlo?”

 

Sospirò, perché non era una critica ma proprio una domanda e la verità… la verità era che…

 

“Diciamo che… che quando l’ho perdonato è stato perché ho capito che non mi aveva tradita, gli ho creduto, anche se non c’erano prove ma… ma ho capito che era sincero. E poi era messo malissimo e… e cercare di aiutarlo è venuto prima dell’orgoglio.”
 

“Ma… ma se ti avesse tradita o se… se mentre non eravate insieme fosse stato con qualcuna, tipo che ne so… la Regina Elisabetta dei poveri, lo avresti perdonato lo stesso?”

 

Una fitta al pensiero della gattamorta davanti alla camera dello squallido hotel dove era rimasto praticamente murato vivo Calogiuri.

 

“Non lo so, Valentì. Cioè… se avesse… ceduto mentre non stavamo insieme… considerato anche com’era messo… credo e spero che sarei riuscita a capire, anche se… se mi ci sarei dovuta trovare nella situazione. Se mi avesse tradito veramente, prima che lo lasciassi, con tutti i progetti che avevamo in cantiere, non credo che sarei mai riuscita a passarci sopra.”

 

Valentina annuì ma sembrò ancora più pensierosa, più turbata.

 

“Ma che c’è? Perché ti interessa tanto questo argomento mo?”

 

Un sospiro e Valentina fu occhi negli occhi con lei. La vide esitare per un attimo e poi buttare fuori, tutto insieme, “è che… è che ho fatto un casino, ma anche Penelope ha fatto un casino e non so cosa fare. Però, se te lo racconto, non devi dirlo neanche a Calogiuri, chiaro? E, al primo giudizio, me ne vado.”

 

“Valentì, che ti posso dire… lo avevo notato che qualcosa non andava, che Penelope non c’era a pasqua. Ma chi sono io per giudicare i casini sentimentali degli altri? Finché non avete fatto niente di illegale e, si spera, tu non sia incinta, che ti posso dire all’età che c’hai?”

 

Sua figlia, per tutta risposta, si morse il labbro, le mani che si davano il tormento. E, anche in quello, le ricordava molto se stessa.

 

Proprio per quello, che fosse venuta lì per confidarsi era un evento storico. E doveva essere qualcosa che, per qualche motivo, non si era sentita di dire a Pietro, che di solito era il confidente primario, se non esclusivo, di Valentina.

 

“Allora… qualche mese fa… mi è venuto un dubbio perché… mi sono trovata attratta da un amico. Sì, maschio-”

 

Alzò le mani come per dire non ho detto niente e poi le fece segno di andare avanti.

 

“E niente, lui era bello, gentile, dolce, intelligente… ma anche coraggioso quando serve. Cioè, lo è ancora, mica è morto.”

 

Mi ricorda qualcuno - pensò, perché dalla descrizione pareva proprio Calogiuri.

 

“E insomma… eravamo amici da un po’, però una sera eravamo da soli e ci siamo trovati a ballare e… e ho capito che ne ero anche attratta. E allora non sapevo come fare e-”

 

Ma Imma non stava più udendo nulla perché alla descrizione, più il ballo, più l’amicizia…

 

“Ma il figlio di Vitali?!” domandò, prima di riuscire a trattenersi, mentre una visione orribile di cenoni di natale con Vitali e famiglia - per non parlare di casa di Valentina infestata da Pulcinella e corni portafortuna - le si parò davanti agli occhi.

 

Siamo tutti una grande famiglia, dottoressa!

 

L’acidità peggiorò ulteriormente, una colata proprio, tanto che le girò un attimo la testa e pure Francesco se ne accorse perché fece come un urlettino e la guardò interrogativo.

 

“E menomale che non giudicavi!”

 

“Valentì, non è che è un giudizio. Il figlio di Vitali - Carlo, giusto? - mi sembra pure un bravissimo ragazzo, da come me ne hai parlato, e per carità, se piace a te… Penelope mi sta simpatica ma è la tua vita, mica la mia. Ma… in famiglia ci deve essere sempre il destino di suoceri tremendi? Che poi… altro che le storie sulla pastiera di Salvo, che Vitali quello è fissato proprio!”

 

Valentina rise - almeno una cosa positiva ancora c’era - ma scosse il capo con un “tranquilla, mà: alla fine ho capito che Carlo mi piace, sì, ma sono innamorata di Penelope. Quindi non è successo niente di serio con lui e-”

 

“E non voglio sapere i dettagli, anche se credo che sia io che Vitali ci rallegriamo molto della parentela mancata. Ma… ma in che senso non è successo niente di serio? E Penelope? Cioè… l’hai-?”

 

“No, mà, no, dopo aver visto quello che è successo con te e papà…” esordì, e all’acidità si unì il senso di colpa, “insomma… ho parlato chiaro con Carlo perché non pensavo fosse giusto vederci più, ma ne ho parlato anche con Penelope perché… lei era sempre distante, le cose non andavano bene e… e non sapevo che fare. E Penelope ha detto che… che mi lasciava libera di… di esplorare la cosa con Carlo e che mi avrebbe aspettata fino alla laurea. Io non ero convinta, ma lei ha una mentalità diversa, a volte non la capisco ma… ma alla fine ho accettato anche perché avevo una confusione in testa e volevo chiarirmi le idee.”

 

Dire che fosse senza parole era dir poco. Non sapeva come facesse Penelope ad essere così zen e così matura, probabilmente le era toccata la parte di pacatezza e pazienza di cui lei e Valentina non erano state munite alla nascita.

 

“Ma e quindi tu hai… esplorato?”

 

“Sì, ma appunto non sono riuscita a… insomma… capisci, no?”

 

“Sì, Valentì, sì, capisco e di nuovo non servono i dettagli,” sospirò, e sì, lei e Valentina erano simili anche in quello.

 

“Però… non osavo tornare da Penelope dopo tutto quello che avevo fatto ma… ma ho aspettato troppo e… ho visto delle foto di lei con un’altra. Allora sono andata a Milano e… e le ho viste che si baciavano e… e insomma Penelope mi ha detto che è solo un’avventura, che per lei non significa niente e che per lei il sesso e l’amore sono due cose diverse. Che ormai non pensava più di vedermi ma che lei resta innamorata di me e vuole darmi una possibilità. Ma… ma io non so se riesco a levarmi dalla testa il fatto che lei e questa ragazza… invece le esplorazioni le hanno fatte eccome! E… ed è stupido ma-”

 

Alzò la mano, da sempre l’unico modo per fermare non solo i sottoposti troppo chiacchieroni ma anche Valentina.

 

“Valentì, ho capito, ho capito. Ma io che posso dirti?”

 

“Eh… è che… papà ti avrebbe perdonato mille volte: lui è troppo buono e… e non mi può capire. Tu invece che sei… diciamo parecchio gelosa… volevo capire se… insomma tu che faresti? Come si fa a non pensarci più? Perché io amo Penelope ma l’immagine di loro due…”

 

Sospirò perché, più che con lei, sua figlia probabilmente con Calogiuri avrebbe dovuto parlare. Non poteva rivelarle fatti troppo personali di Calogiuri, ma… ma forse, come Valentina era stata onesta, doveva provare ad esserlo pure lei.

 

“Ascolta, Valentì. Io e Calogiuri negli anni abbiamo avuto delle pause, lo sai bene e… una volta un casino lo ha fatto lui ma io non potevo recriminargli niente perché lo avevo allontanato io, pensavamo entrambi definitivamente. E un’altra volta… un’altra volta. quando ero delusissima da lui, il casino l’ho quasi fatto io, cioè non sono arrivata fino in fondo ma stavo per farlo, e risparmiamoci i dettagli pure mo, che sono sicura che lo preferisci pure tu.”

 

“Ma il tuo capo?” domandò lo stesso Valentina, perché più curiosa di lei era quando ci si metteva, ma Imma non rispose e si limitò a proseguire col discorso che voleva fare.


“E insomma… Calogiuri stava come stai tu mo. Non stavamo insieme e non era stato un tradimento ma… ma c’aveva ste maledette immagini pure lui. E per un po’ ho davvero temuto, abbiamo davvero temuto, che non saremmo riusciti a superarla. Ma alla fine… non è che ci sta una soluzione magica ma… gli ho fatto capire quanto tenessi a lui e a lui soltanto. E credo che quello e un poco di tempo gli abbiano fatto capire che davvero non significava niente, anzi, che a tornare indietro non l’avrei rifatto. Ma Calogiuri è Calogiuri, tu sei tu, io sono io e siamo tutti meno aperti mentalmente di Penelope. Quindi dirti che farei io… non lo so, perché la razionalità in certi casi va a farsi benedire ma… ma se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che l’orgoglio è utile, è prezioso quando ci permette di allontanarci da situazione che ci fanno solo del male. Ma se è l’orgoglio a farci del male e a impedirci di essere felici e se l’altra persona non ha volutamente tradito la nostra fiducia se… se non si è mancato di rispetto in concreto… gli errori possono succedere. Però devi capire se riusciresti ancora a fidarti di Penelope e, soprattutto, come risolvere il problema della distanza, che se no state di nuovo punto e a capo, se già le cose non andavano bene.”

 

Valentina per una volta non l’aveva interrotta e anzi, sembrava immersa nei pensieri.

 

Ma poi, d’improvviso, fece come uno scatto e si ritrovò con due braccia intorno al collo, Valentina incollata al fianco in un abbraccio di lato, mentre Francesco, tra loro due, iniziava a protestare.

 

“Un po’ per uno, piccoletto,” esclamò Valentina, facendola ridere, ma Francesco, forse perché il tono di Valentina era simile al suo, si limitò a stringerle più forte la maglia e a gorgogliare, mentre si godeva quel momento così raro e prezioso con quella che una volta era la sua bambina ma ormai era veramente una donna.

 

Con tutti i casini che ciò comportava.

 

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“Sei sicura di sentirtela?”

 

“Se non siete sicuri possiamo rimandare, anche se dobbiamo fissare un nuovo appuntamento.”

 

Sospirò, mentre finiva di vestire Francesco con un camicino ed una cuffietta sterili forniti dall’ospedale, lui che si dimenava tutto in quella roba verde orrenda.

 

E come dargli torto?

 

L’assistente sociale, una moretta minuta dall’aria meno truce di quanto si sarebbe aspettata, forse anzi fin troppo sorridente, che da sorridere non ci stava proprio niente, era stata di nuovo gentile ad offrirsi di rimandare.

 

Ma, prima di tutto, non amava far perdere tempo agli altri, specie sul lavoro e, in seconda battuta… prima o poi quel passo andava fatto e, più aspettavano, e peggio era a livello psicologico, lo sapeva.

 

Quindi fece un cenno affermativo col capo, si infilò meglio la mascherina e così fece anche Calogiuri, dopo un ultimo sguardo di quelli che faceva per darle forza, e si prese in braccio il piccolo strillatore.

 

E poi lui la guardò e cominciò a ridere, probabilmente perché tra mascherina e cuffia doveva essere conciata proprio in modo buffo.

 

“Almeno l’abbigliamento ospedaliero non pare traumatizzarlo,” commentò l’assistente sociale, e sì, in effetti era un sollievo, “io rimarrò fuori per vedere cosa succede. Se avete bisogno, chiamate.”

 

In realtà avrebbe preferito evitare la sua presenza a quell’incontro, ma era stata necessaria per avere l’autorizzazione di portare un bimbo così piccolo in terapia intensiva.

 

E poi… e poi lo sapeva bene anche lei che l’affido, anche solo temporaneo, di Francesco dipendeva da quello, e che prima o poi comunque ci sarebbero dovuti passare.

 

“Mi pare evidente che il bambino si sia affezionato tantissimo a lei, dottoressa,”  proseguì poi, prima di lasciarli andare, e almeno per quello le fu grata, “e la madre biologica, oltre ad essere stata assente per gran parte della vita del bambino, presenta ferite ancora visibili. Quindi, anche se ritengo che un bimbo così piccolo non abbia ancora gli strumenti per comprendere cosa significhino quelle ferite, o per averne paura, è invece probabile che non ricordi nulla della madre biologica, e che la sua presenza possa non essergli gradita. In caso fosse, a mio avviso, necessario interrompere l’incontro, vi farò sapere tramite l’interfono.”

 

C’era una parte di lei, una parte egoista ed oscura, di cui si vergognava molto, che quasi un poco ci sperava. Sperava che Francesco continuasse a volere lei e solo lei e di avere la scusa molto comoda del parere dell’assistente sociale per tenerlo con sé.

 

Ma per Melita sarebbe stata la botta definitiva e ne aveva già passate tante. Lei e Calogiuri erano più forti, avevano tante cose per le quali vivere, mentre Melita non aveva nulla, se non quello scricciolo che valeva il mondo intero.

 

Quello che è giusto non è facile, ma ciò non lo rende meno giusto - si ripeté come un mantra, scacciando i pensieri egoistici e facendo segno alla dottoressa Tulli di aprire la porta.

 

Il calore di Calogiuri alle sue spalle ed una mano sulla schiena le diedero la forza necessaria per entrare di nuovo in quella stanza.

 

L’odore di disinfettante, il suono dei macchinari che monitoravano la situazione, il metallo onnipresente.

 

Ma stavolta Melita era già vigile, cosciente, e la vide voltare il capo di scatto verso Francesco e poi scoppiare in un singhiozzo, le lacrime che le rigavano il viso, bagnando quel sorriso ancora tirato dagli ultimi punti.

 

Fu una fitta al cuore, a maggior ragione quando Francesco rispose al singhiozzo con un urletto stupito e poi si strinse più a lei e la guardò, come per cercare conforto.

 

Se lo strinse più che poteva, mentre con un, “shhh, va tutto bene, tranquillo,” molto, ma molto arrochito, cercava di rassicurare lui e forse anche se stessa. La mano di Calogiuri si fece più forte sulla sua spalla e lo vide fare una breve carezza guantata a Francesco ed un paio di facce buffe sopra la mascherina, che scatenarono un sorrisone sdentato che fu il colpo di grazia.

 

Ma dovevano andare avanti, dovevano farcela.


“Ha… ha paura di me? Sono messa… proprio male.”

 

Era stata Melita a parlare: la voce ancora molto roca e debole ma che almeno suonava finalmente più umana. Alcuni punti erano spariti e, in generale, rispetto alla visita precedente, si vedevano i progressi fatti, nonostante i tiranti ancora presenti ed il fatto che fosse quindi immobile a letto.

 

“Ma no… è che… lui come sente un rumore che non sono le sue urla deve commentare, vero Francé?” si sforzò di minimizzare, guadagnandosi anche lei un risolino dal bimbo, che il suo tono lo amava sempre tantissimo.

 

Un altro colpo al cuore.


“Francé…” si sforzò poi di proseguire, girando piano piano il bimbo verso Melita, “questa è Melita, è… è la tua mamma.”

 

Forse solo Calogiuri poteva comprendere lo sforzo che le erano costate quelle ultime parole.

 

Melita, ora un po’ preoccupata oltre che commossa, lo guardò e Francesco ricambiò per un attimo ma poi tornò a voltarsi verso di lei, come confuso, per la serie perché questa mi guarda così?

 

Vide chiaramente la delusione nel volto di Melita e no, anche lei capiva benissimo come si sentisse lei in quel momento, ma al contrario.

 

E quindi, ignorando tutte le proteste egoistiche del suo dannato istinto materno, che proprio mo doveva risbucare fuori, si avvicinò piano piano al letto, continuando a rassicurare Francesco e lo stesso fece Calogiuri, finché furono accanto a Melita, parlando normalmente.

 

“Tu eri piccolo piccolo ma è lei che ti ha allattato, che ti ha fatto nascere, che si è sopportata le tue urla per i primi mesi. Vediamo se così ti ricordi, anche se con tutti sti disinfettanti l’odore sarà un po’ diverso,” spiegò, più per calmarlo con la sua voce che per altro, perché difficilmente Francesco poteva intuire cose diverse dagli stati d’animo ma, come suggerito dalla psicologa, piano piano, delicatamente lo appoggiò in grembo a Melita, nell’unica zona lasciata libera da tiranti e flebo.

 

L’olfatto era forse l’imprinting più potente, insieme al calore, anche se appunto purtroppo quello non era di certo il posto migliore dove sperimentarlo.

 

Francesco parve stupito, poi sollevò gli occhi verso Melita e la studiò ancora un attimo, dopo di che si voltò verso di lei come a dirle ma perché mi molli in braccio a questa? Guarda che io tra poco urlo!

 

“Prova a parlargli,” suggerì, di fretta, perché riconosceva benissimo i segnali di impazienza di Francesco e sapeva bene che, da lì a poco, sarebbero iniziati i mini ruggiti, poi gli urletti e infine ululati e pianto.

 

“Francè… non… non ti ricordi proprio di… di me?” chiese Melita ed il dolore che c’era in ogni sillaba pesava una tonnellata.

 

Francesco, per tutta risposta, la guardò per qualche secondo ma poi si voltò verso Imma e cominciò ad urlare, e poi a piangere.

 

“Francè, calmo, che non succede niente,” provò a rassicurarlo, accarezzandogli il viso e la pancia, anche se la plastica di certo non aiutava.

 

“Forse è meglio che usciate ora.”

 

La voce dell’assistente sociale, che veniva dall’interfono, fu insieme sollievo - più per la parte egoistica - ed una fitta di senso di colpa. Perché Melita, a quelle parole, aveva l’espressione di qualcuno a cui stava crollando il mondo addosso.

 

“Melì, magari ci vuole un po’ di tempo, una cosa graduale, non ti devi abbattere,” la spronò, mentre cercava di prendere in braccio Francesco senza farle male.

 

“Ti prego… aspetta…” la implorò in un modo, con quegli occhi scuri pieni di lacrime, che la fecero sentire una merda, una ladra e la bloccarono prima di sollevarlo del tutto.

 

Si guardarono per qualche istante, mentre l’assistente sociale ripeteva un, “la dottoressa ha ragione, riproveremo più avanti un altro avvicinamento e-”

 

Melita fece un altro singhiozzo disperato ed Imma alzò una mano, nel gesto che da sempre zittiva tutti, pure l’assistente sociale, a quanto pareva.


Del resto, di solito, nella gerarchia del mestiere i PM avevano l’autorità e forse anche quello aiutò l’automatismo insito nella moretta.

 

“Melì, tranquilla, non succede niente e possiamo riprovare quante volte vuoi. Lo prendo solo per calmarlo ma… non hai un qualcosa che possa aiutarlo a ricordare? Qualcosa di vostro, non lo so… magari un soprannome che gli davi, o-”

 

“Jerusalema!”

 

Nonostante fosse ancora roca, la voce di Melita era decisa come non mai, anche se non capiva che caspita c’entrasse la capitale israelo-palestinese in tutto quello.

 

Persino Francesco fu preso in contropiede, tanto che smise di piangere e guardò Melita, come incuriosito.

 

E, senza bene ancora capire che stesse succedendo, Melita cominciò prima a mugugnare una melodia e poi a canticchiare qualcosa di cui capiva solo Jerusalema ripetuto ottocento volte, più parole in presumeva spagnolo che non capiva.

 

Si guardò con Calogiuri, che parve stupito quanto lei, ma le sussurrò, “era un tormentone estivo…” chiarendo solo in parte la sua confusione.

 

Ma, ora che ci pensava, mentre Melita cantava, qualcun altro non ululava, anzi.

 

Riportò gli occhi sul piccoletto e lo vide che spalancava la bocca e gli occhi, come se dallo stupore avesse quasi smesso di funzionare.


Per un attimo si preoccupò che si stesse sentendo male, ma poi un risolino.

 

Quel risolino che segnò insieme una fine ed un nuovo inizio.

 

Perché Francesco rise, rise sempre di più e batté le mani, felicissimo, mentre osservava Melita come ipnotizzato. Melita che, con voce rotta, sia dalla fatica che dalle lacrime - presumibilmente di felicità e sollievo - che le stavano uscendo, continuava a cantare.

 

Solo che, ad un certo punto, scoppiò in un colpo di tosse e sentirono un’altra voce, quella della dottoressa Tulli, che dall’interfono raccomandava a Melita di smetterla per ora di cantare e di non sforzarsi, non da compromettere i punti rimanenti.

 

Ma Francesco si era tranquillizzato ed ancora sorrideva, battendo le mani.

 

“Era… era la sua ninnananna… non so perché… gli piaceva quando la passavano e allora… allora gliela cantavo.”

 

E stavolta fu il suo turno di non riuscire a dire niente: era senza voce. Sentiva anche lei il bruciore delle lacrime e nel petto: c’era un infinito amore ed un’infinita amarezza al tempo stesso.

 

Ma era giusto così.

 

La mano di Calogiuri tornò a stringerla, più forte, in un mezzo abbraccio, e non le fregò niente dell’assistente sociale o della dottoressa, lo ricambiò, perché ne aveva bisogno.

 

Ma poi un gorgoglio riportò l’attenzione su Francesco, che stava di nuovo guardando lei e non Melita ed agitava le braccina per farsi prendere in braccio.

 

“Credo per oggi sia abbastanza. Un primo risultato c’è stato. Dottoressa, dopo i saluti uscite.”

 

Il sorriso di Melita sparì, sostituito da un dolore lancinante quanto il suo, per motivi identici ed opposti al tempo stesso.

 

E quindi le poggiò di nuovo la mano sulla parte libera del braccio, mentre con l’altra accarezzava Francesco e, cercando di far uscire un poco di voce, la rassicurò, “Melì, tranquilla. Francesco ti riconosce, è evidente: è solo questione di tempo.”

 

Melita annuì, anche se a fatica, ed Imma lo prese come un assenso per, piano piano, riprenderlo in braccio.

 

Francesco le strinse il collo in un modo così forte che quasi le mancò il fiato, riempiendole il collo di bacetti.

 

E forse quei baci facevano più male di tutto il resto perché… perché chissà ancora per quanto se li sarebbe potuti godere.

 

Ma lo avrebbe fatto: gli accarezzò la schiena mentre lo cullava un attimo, e anche Calogiuri gli faceva una carezza.

 

“Sta… sta bene con voi. Forse… forse starebbe meglio con voi che con me.”

 

Melita, piena di lacrime, che li guardava in un modo che non si sarebbe mai scordata.

 

“Melì, non ricominciamo con questo discorso. Noi… noi per Francesco ci saremo sempre e quindi anche per te,” pronunciò, anche se le costava tantissimo, “mo devi sbrigarti a stare meglio e ad uscire da qua, perché lui non ti ha dimenticata e quindi… e quindi vi meritate una seconda possibilità, anche se ci vorranno tempo e pazienza, e ti capisco, perché io la pazienza non ce l’ho avuta mai, ma proprio mai.”

 

Melita fece un mezzo sorriso ma poi aggiunse, “però io… non ho più soldi… non ho un lavoro… ho… ho quelli che… e poi chi mai la vorrà una come me a lavorare? O… o pure per altro.”

 

“A quello ci pensiamo, Melì, non c’è problema. Per il lavoro, qualche cosa si trova e… per il resto… sei sempre bellissima e qualsiasi uomo non da niente lo noterà, e noterà pure tutto il resto.”

 

Melita scoppiò in lacrime e singhiozzi, tanto che le venne spontaneo passare un attimo il piccoletto a Calogiuri per cercare di consolarla come poteva, anche se un abbraccio era impossibile, ma la lasciò piangere e sfogarsi con la testa appoggiata alla sua spalla.

 

In quei momenti si rendeva conto di quanto, in fondo, non fosse molto più grande di Valentina.

 

E la cosa le stringeva ancora di più il cuore.

 

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“Irene!”

 

Si bloccò e per poco non le cadde di mano il bicchiere con il tè appena preso al bar.

 

Maledizione! Perché le faceva sempre quell’effetto?

 

Si voltò e sì, non c’erano dubbi: era Ranieri, lì in procura, davanti a lei, in mezzo al corridoio che portava dalla scala agli uffici dei magistrati.

 

Per precisione, era vicino all’ufficio di Giorgio, al lato destro rispetto alla scala. Il suo invece stava al sinistro. Ecco perché non l’aveva notato e gli era passata praticamente accanto, concentrata sul tè e sui tanti pensieri che aveva riguardo a Bianca.

 

Bianca.

 

Una fitta al cuore perché… perché ancora non poteva quasi credere di essere davvero la sua mamma. Forse non agli occhi della legge, ma a quelli che contavano di più sì, ed erano quelli di sua figlia.

 

E perché… perché il soggetto che aveva davanti di problemi con Bianca gliene aveva già causati abbastanza. Eppure il suo cuore batteva ancora a tradimento più veloce, solo a sentire il suo nome pronunciato da lui.

 

Era sempre stato il suo tallone d’Achille e forse non avrebbe mai smesso di esserlo.

 

Ma, proprio per quello, doveva tenerlo lontano.

 

“Sei qua per vedere Giorgio?” domandò, cercando di usare il tono più freddo che aveva.

 

“No, sono qua per vedere te ma… aspettarti davanti al tuo ufficio non mi sembrava il caso e-”

 

“E invece fare l’agguato dall’altra parte del corridoio sì?” gli domandò, a voce bassa, senza perdere un colpo.

 

“Irene… dobbiamo parlare, ci sono tante cose che ti devo spiegare.”

 

“Pensavo ti fosse chiaro dopo il disastro che hai fatto che… che ci devi stare lontano,” sussurrò, guardandosi in giro, perché nessuno poteva sapere di Bianca.

 

Vide la ex cancelliera di Santoro che, in attesa di sostituti, aveva ben poco da fare, guardarli incuriosita.

 

Sospirò: non potevano parlare lì, neanche per cacciarlo via.

 

E quindi fece segno di seguirla, aprì la porta del suo ufficio e lo fece entrare, dicendogli, “e allora, che cosa mi dovresti spiegare? Ti concedo cinque minuti che ho da fare, non uno di più.”

 

“Irene…” sospirò a sua volta lui, pronunciando il suo nome in quel modo che sì, le causava sempre una fitta che non avrebbe dovuto provocarle, “non… non è come pensi. Ma non posso parlartene qua e nemmeno in cinque minuti. Ci eravamo promessi una cena, no?”

 

“Visto quello che è successo con Bianca, la cena al massimo te la potrei tirare in testa!”

 

Non poteva credere che ancora insistesse, che fosse così sfrontato, dopo tutto quello che era successo.

 

“Sono cambiate tantissime cose nella mia vita, e se sono qua è per restarci. Che tu ci creda o meno. Il resto non posso spiegartelo qui.”

 

Quelle parole furono come una coltellata, perché, per un attimo, le diedero una speranza che non doveva avere: non se la poteva permettere.

 

“Non… non dire più cazzate, per favore,” esalò, stanca di tutto, stanca di quella conversazione, “lo sai benissimo anche tu che non è possibile, che… che lei non te lo permetterebbe mai. A meno che vi trasferiate tutti qua, e spero non mi faresti anche questo, visto quanto è successo in passato con lei.”

 

Non voleva nemmeno nominarla la moglie di lui perché… sapeva benissimo che aveva avuto tutte le ragioni per avercela con lei, anche se avrebbe dovuto avercela di più con lui. Ma la piazzata che le aveva fatto un giorno davanti alla procura a Milano le era bastata, per non parlare della volta che si era presentata sotto casa sua quando Lorenzo, per un breve periodo, aveva vissuto con lei. Una sceneggiata che non si sarebbe mai scordata, e manco i vicini di allora, che ancora si vergognava al solo pensarci.

 

Per la signora, mica per se stessa.

 

Ma adesso c’era Bianca e non voleva problemi, né voleva sradicarla da Roma proprio ora che sembrava cominciare a esplorare il mondo.

 

“Non sono cazzate, Irene. E non… non voglio creare problemi né a te, né a Bianca. Piuttosto mi farei ammazzare e-”


“E allora comincia a prenotare il loculo, con tutti quelli che ci hai già dato.”

 

“Sai cosa intendo. Non… non ti devi preoccupare per Nicoletta. Non deve nemmeno provare ad avvicinarsi a voi e non lo permetterei mai, qualsiasi cosa succeda. A costo di andare per vie legali. Però, a proposito di questo, mi devi lasciar spiegare, perchè ci sono tantissime cose che non sai, che sono successe in questi anni. Una cena, ti chiedo solo quello, poi se, dopo averti spiegato tutto quello che c’è da spiegare, non cambierai idea, ti prometto che sparirò dalla tua vita.”

 

“Che è quello che sai fare meglio, quindi non mi pare una gran promessa…” sospirò, dura, perché non voleva mostrare cedimenti anche se… anche se una parte di lei era curiosa di sapere cosa volesse dirle, cosa potesse essere mai successo, o forse a che punto poteva arrivare Lorenzo con le sue storie, prima di cacciarlo definitivamente.

 

O forse, una parte di lei, semplicemente, irrazionalmente, ed in modo un po’ masochista, desiderava quell’ultima cena, prima dell’addio.

 

Devo aver passato troppo tempo con Calogiuri!

 

“Una cena, una sola, presto, orario milanese, una cosa veloce, che Bianca poi si addormenta e non voglio spiegarle dove vado e con chi. E vengo con la mia auto che, in qualsiasi momento, se qualcosa non mi sta bene me ne vado. Dimmi luogo e ora.”

 

Per tutta risposta, Ranieri le fece un sorriso fin troppo bello, neanche gli avesse appena concesso la promozione a generale - ma, del resto, era normale che fosse soddisfatto, visto che alla fine, per l’ennesima volta, aveva ottenuto quello che voleva da lei.

 

E poi lo vide andare verso la sua scrivania, prendere una penna - come si permetteva? - e scrivere qualcosa sul primo post it in cima al blocchetto, rimettere a posto la penna e salutarla con un “grazie, grazie davvero della possibilità. Non te ne pentirai. A presto allora.”

 

“So già che lo farò,” mormorò, mentre lui liberava il suo ufficio dalla sua presenza, lasciando però dietro quel profumo che le faceva sempre male, ancor di più dei ricordi che le portava alla mente.

 

E quindi spalancò le finestre, prese il post it, tentata di stracciarlo in mille pezzi.

 

Ma non lo fece, perché lei di parola ne aveva una ed una soltanto.

 

E, se lui di palle ne aveva raccontate tante, non sarebbe mai scesa allo stesso livello.

 

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“E le altre aggravanti, oltre ai motivi abietti o futili, sono l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, o per garantirsi il prodotto, il profitto, il prezzo o l’immunità da un altro reato. Poi c’è, in caso di fatti colposi, l’aver agito nonostante l’evento fattispecie di reato fosse prevedibile come occorrenza. Poi le sevizie, o la crudeltà, poi-”

 

Un rumore flebile, quasi un ronzio, che non era né il respiro né le fusa di Ottavia, che se ne stava accoccolata ai loro piedi con l’aria di perché guardi me?, né di Francesco che dormiva beatamente in mezzo a loro - una manina aggrappata ai pantaloni del suo pigiama ed una all’orlo della camicia da notte di Imma.

 

Imma…

 

Quella sensazione di calore al petto che gli provocava sempre e solo lei, nel trovarla con il capo ripiegato da un lato, verso di lui, ma penzolante a mezz’aria, la bocca aperta, gli occhi chiusi. Quel lievissimo russare che, come aveva appreso durante i viaggi insieme, le veniva a volte quando dormiva in quella posizione, quando non era appoggiata bene a lui, col collo più dritto, e allora non volava una mosca.

 

Tra tenere tutto il giorno Francesco, sti benedetti preparativi del matrimonio, che nemmeno la CIA avrebbe tenuto così segreti - anche se, da un lato, non aveva alcuna intenzione di rovinarsi la sorpresa, anzi - e poi aiutarlo a studiare la sera, si stava decisamente stancando troppo.

 

Piano piano, quatto quatto, cercò di levarle il tomo di diritto penale dalle mani, ma Imma fece uno scatto improvviso, un profondo respiro, si rimise dritta e lo guardò, confusa.

 

“Calogiuri?”

 

“Ti sei addormentata, dottoressa, mo è meglio che lasciamo stare col ripasso e che ci riposiamo un po’. Tanto le aggravanti me le ricordo, se vuoi te le dico domattina quando ci svegliamo,” ironizzò, anche se da un lato era serissimo, prendendosi il libro, nonostante le proteste di lei.

 

“Ma quanto ho dormito? E comunque possiamo almeno finire questa domanda, dai.”

 

“No, dottoressa. Ora è l’ora di dormire per tutti. E comunque pochi minuti, ma non è da te, quindi è un segnale che devi riposare.”

 

Imma sospirò, in un modo che non capì. Per un attimo gli sembrò come preoccupata.

 

“Che c’è?” le domandò, preoccupato a sua volta, perché quello che impensieriva Imma inevitabilmente faceva lo stesso con lui, “guarda che l’esame, se andiamo avanti così, lo passo eccome, nonostante il ritardo e-”

 

Si interruppe perché Imma aveva fatto un’espressione ancora peggiore.

 

“Che c’è?”

 

“Niente, Calogiù, niente… è che… è un periodo pieno di tante cose e lo sai. Però la tua carriera mo deve stare al primo posto, prima di tutto il resto, quindi, pure se questa piccola vuvuzela vivente mi stanca di più di dodici ore filate in procura, non pensare di sfuggire allo studio serale. Domani recuperiamo questo ed anche il resto.”

 

Sorrise e sospirò insieme: Imma non cambiava mai. E per fortuna.


“Va bene, ma adesso si dorme, è un ordine, dottoressa.”

 

“Che non sono tenuta a rispettare, ma per stavolta te lo concedo, maresciallo. E non pensare che, quando sarai capitano, ne avrai molte di più di queste concessioni!”

 

“Vedremo, dottoressa, vedremo,” la sfidò, perché sapeva che a lei piaceva, guadagnandosi infatti un sorriso soddisfatto ed un bacio sulle labbra, prima di scivolare entrambi sui cuscini  - Francesco che si rigirava leggermente per ritrovare un appiglio - e poi, ancora mano nella mano, in un sonno profondo.

 

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Guardò per l’ennesima volta l’orologio.

 

L’appuntamento era alle 11 ed erano già le 11.02.

 

Si sentiva un fascio di nervi, i piedi che non ne volevano sapere di non battere ritmicamente sul pavimento, nonostante l’occhiataccia di un’altra paziente in attesa.

 

E dire che la sera prima pensava di non chiudere occhio, e invece si era pure addormentata durante il ripasso, una roba a dir poco imbarazzante. Ma forse era stato perché le notti precedenti aveva dormito poco e male, a dispetto della spossatezza. E, alla fine, poté più quella dei nervi.

 

Non aveva detto niente a Calogiuri, perché altrimenti avrebbe insistito per accompagnarla, e non voleva che perdesse altre lezioni, non poteva proprio permetterselo.

 

E poi… e poi voleva avere il tempo di metabolizzare il responso, che già intuiva, da sola, prima di dover dare anche a lui la conferma della definitiva ed infausta fine produzione delle sue ovaie.

 

Solo che erano già le 11.03 mo, la dottoressa ancora non si vedeva e-

 

“Tataranni?”

 

Riconobbe la voce, ancor prima del sorriso familiare dell’amica di Irene, che era comparsa dalla cornice della porta dello studio.

 

Si alzò un po’ a fatica, le gambe molli come di solito solo Calogiuri riusciva a ridurgliele, ma lì per altri motivi, qua era la fifa.

 

Impose loro di fermarsi, però, e camminò al suo solito passo deciso, forse solo un poco meno calcato del solito, fino a raggiungere la ginecologa.


“Imma, che bello rivederti!”


“Eh… per me un po’ meno, niente di personale, eh…” rispose, perché non poteva evitarlo: per lei quello probabilmente sarebbe stato un giorno di lutto, ‘na bellezza proprio stava!

 

“Lo so ma… prima di fasciarci la testa, facciamo un po’ di test, va bene?” proclamò la dottoressa, facendola passare e poi indirizzandola verso la sedia di fronte alla scrivania, dove si accomodò, cominciando a scrivere al pc, “allora, mi hai detto che le mestruazioni hanno già saltato due mesi, giusto?”

 

“Sì e… e sicuramente salterà pure questo, me lo sento, anzi non me le sento.”

 

“Vedremo. Sintomi? Che cosa ti senti, allora?”


“Niente di particolare. A parte… a parte che sono stanca ma… abbiamo un bimbo di pochi mesi in affido. Ma solo temporaneo. Purtroppo per noi, e per fortuna sua, tornerà dalla sua madre biologica, appena sarà in condizioni di occuparsene,” spiegò, perché alla fine la dottoressa aveva il segreto professionale, e lo sguardo di congratulazioni che aveva fatto all’annuncio preferiva spegnerlo sul nascere.


“Capisco…” rispose semplicemente, senza aggiungere altro, e forse era meglio così, “altro?”

 

“No, no… forse un poco di acidità negli ultimi giorni, ma… mi sto anche occupando di organizzare un matrimonio, quindi devo litigare tutti i giorni con i fornitori.”

 

Lì la dottoressa sorrise di nuovo e non aveva niente da contestarle, perché l’idea di sposarsi con Calogiuri riempiva di gioia anche lei, e molto.

 

“Bene! Quando?”

 

“In realtà… è una sorpresa, però diciamo quest’estate.”

 

“Allora ormai manca poco: sarai davvero piena di impegni. Altro? Non so… variazioni dell’umore ad esempio?”

 

“No, no, niente in particolare… a parte… diciamo che, prima che arrivasse il bimbo e che quindi… insomma, mo le occasioni un po’ scarseggiano, ma prima… sarà anche che siamo stati un po’ lontani, ma io e Calogiuri avevamo una voglia di… recuperare quasi instancabile. Soprattutto io, come ai primi tempi, se non peggio. Ma credo sia normale, no?”

 

La dottoressa non disse niente. mentre continuava ad annotare cose, in questo caso cose sulla sua vita sessuale, che sperava vivamente non uscissero mai di lì.

 

“Altro? Come va con il mangiare? Sensazioni di caldo o freddo improvvise?”

 

“No, cioè, se mi capita che mi scaldo c’è un motivo, e pure viceversa,” ironizzò, la sua arma di difesa di elezione, “sul mangiare, a parte quando ho l’acidità, in effetti ho più fame negli ultimi mesi, ma appunto, per vari motivi, ho fatto molto più movimento del solito.”

 

“Capisco… direi che ci facciamo un bel prelievo, per avere un quadro d’insieme.Ma prima, anzi, intanto che lo facciamo, penso sia meglio fare anche un’ecografia e una visita generale, dato che è da un po’ di mesi che non ci vediamo.”

 

Sospirò: sperava di potersi evitare almeno quel fastidio, ma un poco se lo aspettava.

 

E poi, appunto, arrivati lì, fatto trenta era meglio fare pure trentuno e levarsi ogni dubbio - e speranza.

 

Quindi si spogliò, nel rituale ormai consolidato quando la visita dalla ginecologa era stato un appuntamento assai frequente - oltre che purtroppo inutile - e si piazzò sullo scomodissimo lettino.

 

Cercò di stare tranquilla e rilassata, anche se in quelle circostanze era veramente impossibile farlo, il cuore che le batteva all’impazzata, mentre un’immagine apparì sullo schermo e la dottoressa la torturava per vedere meglio.

 

La sentì prendere un profondo respiro e notò che si era fermata in un punto preciso, dove c’era una macchia bianca, come una specie di palla, sulla parete dell’utero, in mezzo al vuoto che la circondava.

 

E la dottoressa indicò col dito proprio quella.

Sapeva che non era normale, per niente, perché ormai il suo utero l’aveva visto in quasi tutte le salse, giusto qualche mese prima.

 

“Che… che cos’è? Mi dica la verità, dottoressa. Una massa? Un… un…”

 

La parola tumore non voleva saperne di uscire, anche perché sapeva benissimo che la dottoressa le avrebbe detto le solite frasi fatte: che bisognava fare altre analisi, prelevare delle cellule e-

 

Qualcosa che le si poggiava sulla pancia, lo scatto secco di un bottone di plastica che veniva premuto e poi un rumore forte, assordante quasi, che correva, galoppava, no, batteva all’impazzata, pure più forte del suo cuore.

 

Le scappò un gemito e si trovò a non vedere più niente, se non le lacrime che cercava di asciugarsi mentre continuava a tremare per i singhiozzi e non riusciva a fermarsi, nonostante il dolore della sonda, nonostante volesse solo rivedere quell’immagine ancora e ancora, nonostante si sentisse scema e incredula e miracolata e cretina e felice come non lo era forse stata mai.

 

Un tocco ruvido sulle mani e distinse un telo di carta - di quelli che di solito servivano per asciugare il gel - che le venne piazzato in mano e, tremante come una foglia, si asciugò gli occhi e ci si soffiò il naso, letteralmente in una valle di lacrime.

 

E poi finalmente tornò a vedere quel punto, che ora aveva tutto un altro significato anche se… ancora non capiva come fosse possibile… e poi la dottoressa, che le sorrideva, aveva pure lei gli occhi un po’ lucidi e che annuiva, davanti alla sua incredulità.

 

“Sì, Imma, sei incinta.”

 

Quattro parole, sei sillabe, che le piovvero addosso con un’altra ondata di lacrime e di risate.

 

Non ci poteva credere… non ci poteva credere! Quanto aveva sognato e sperato di sentirsele dire quelle parole! E proprio mo, mo che non ci sperava più, ma proprio più, eccole lì, ad annunciarle che la sua vita sarebbe cambiata per sempre, da lì a qualche mese.

 

“Di… di quanto?” le sfuggì, e la voce ancora un po’ era peggio di quella di Melita, ma non poteva farci niente.

 

“Circa undici settimane, con altre analisi potrò essere più precisa anche sul giorno esatto. Le ultime mestruazioni ovviamente le hai saltate perché… c’era e c’è un ottimo motivo.”

 

Le venne da ridere, mentre si asciugava le ultime lacrime, ancora mezza incredula, tanto che si pizzicò un braccio temendo di stare sognando - come se non avesse già abbastanza fastidio. Ma tutto passava in secondo piano rispetto a quel rumore, a quel punto che ora si muoveva leggermente e… e la dottoressa spostò la sonda e divenne come una specie di fagiolino, ma con già delle piccole manine, i piedini, un nasino e pure una boccuccia che, forse era solo la sua immaginazione, ma si era aperta e poi richiusa. Ed eccallà la terza ondata di lacrime, mentre pensava che fosse la cosa più bella che avesse mai visto, anche se sapeva che oggettivamente era pochi centimetri - forse neanche lungo come un suo dito - un abbozzo di quello che poi sarebbe stato un bambino vero.

 

Ma la razionalità in quel momento poteva andarsene a quel posto dove a lei ce la mandavano assai spesso.

 

“Ma… ma com’è possibile?” le uscì, come una scema, tanto che, giustamente, la dottoressa rise e la prese bonariamente in giro con un, “cos’è, devo partire dalla storia dell’ape e dei fiori? A quanto capisco l’attività necessaria non è mancata no?”

 

Si sentì le guance un po’ più calde, il riso che le faceva male ma rideva lo stesso, di gusto, di pancia, come solo con Calogiuri riusciva a fare.

 

“Ma… lo sai cosa intendo, no? Dopo tutti quei tentativi, e le cure e-”

 

“E lo stress, e la tensione. Le cure evidentemente hanno fatto effetto e stanno ancora facendo effetto, anche se ora dovrò prescrivertene altre. Tu avevi altro a cui pensare, probabilmente ti sei rilassata, ed ecco qua il risultato. Il corpo è fondamentale, ma la testa fa tantissimo in casi come questo.”

 

Undici settimane… dove stava undici settimane prima?

 

Fece il conto indietro con la mente e col calendario appeso alla parete e gli occhi le si spalancarono, ma non vedeva altro che le stradine di Matera, i Sassi ed una famosa gita a cavallo.

 

Per carità, poteva essere successo anche a casa di sua madre buonanima, ma… ma una parte di lei si sentiva che doveva essere stato lì, perché non si era mai sentita leggera e rilassata come in quel momento. Chissà se le analisi ulteriori lo avrebbero confermato o meno.

 

E brava Sabrina! E pure bravo Calogiuri, che altro che conta, dopo tutti quei mesi di pausa!

 

In ogni caso, era destino che quella piccola creatura fosse materana nel DNA e nell’anima, proprio come lei.

 

“Comunque, da quello che vedo, tutto sta procedendo bene. Ovviamente, per via dell’età, la tua gravidanza è considerata a rischio e da monitorare attentamente. Dovrai evitare sforzi particolari, pesi, salti, poi ti farò un elenco delle attività fisiche che sono sconsigliate in casi come questo e-”

 

“Ma… ma e l’alcol? E il mangiare? Perché io… io in questi mesi… cioè non è che mi sono mai ubriacata ma… ma non pensavo di…” balbettò, mentre le girò la testa, un senso di colpa che le torceva il cuore al pensiero del vinello dei colli, e di quello di Pietro e-

 

“Dobbiamo attendere le analisi per sapere come vanno i valori, la glicemia e tutto il resto. Ma per ora lo sviluppo del feto è normale. Ci vorrà l’amniocentesi, verso la diciottesima settimana, e lì, se vuoi, possiamo scoprire anche il sesso del bambino.”

 

Il sesso… le sembrava tutto così surreale… ma la mente le andò subito a Calogiuri e al fatto che quella, e tante, tante altre cose, avrebbero dovuto deciderle insieme. Le venne un groppo in gola che non andava né su né giù, e di nuovo quel calore al petto, nonostante il freddo di essere mezza nuda e spalmata di gel peggio di un paninaro degli anni ‘80.

 

“Per il resto, ti prescrivo una dieta, degli integratori da prendere e ti scrivo un elenco di cosa puoi assumere e cosa meno, e di quali attività fare o meno. In generale, meglio evitare di stare in piedi in modo prolungato, ma è comunque importante passeggiare e non stare immobili, l’importante è che sia un’attività dolce. Ora ti stampo tutte le indicazioni. E devi evitare tutte le fonti di stress.”

 

“Eh, fosse facile, la mia vita è lo stress!”

 

“Lo so, ma so anche che al momento sei in pausa, no? E quindi ti puoi e ti devi riposare e-”

 

“Sì ma ho un bimbo di pochi mesi a casa, che vuole starmi sempre in braccio, e poi un matrimonio da organizzare e-”

 

“E, in caso, non so cosa avessi in mente, ma consiglio una cerimonia rapida, possibilmente in un locale con aria condizionata, ma non troppo forte, se sarà in estate. Non devi stare troppo in piedi, te l’ho già detto. E con il bambino ti devi fare aiutare: se siete entrambi seduti, in braccio può stare quanto vuole, basta che fate attenzione alla zona dell’addome, specie quando il feto comincerà a crescere di più. Però sollevare pesi non è proprio il caso.”

 

“Ma Calogiuri, pure se è premurosissimo, è impegnato tutto il giorno con un corso e…”

 

“Ed esistono anche le babysitter, Imma, e-”

 

“E questo è un caso molto particolare, ma… ma cercherò di non esagerare e di stare ferma, per quanto posso.”

 

“Mi raccomando e, nel dubbio, finché non arrivano i risultati delle analisi del sangue e dell’amniocentesi, ti consiglio proprio di cogliere ogni momento che puoi per stare a riposo. Anzi, ora facciamo il prelievo.”

 

Mentre osservava il sangue riempire svariate provette - uno dei vantaggi di avere a che fare con i cadaveri quasi tutti i giorni, quello di non aver paura del sangue - la sua mente andava a Calogiuri, a come dargli la notizia e, nell’immaginarselo, la prese una botta di ormoni pazzesca. Ed in testa si formò LA domanda.


“Ma… ma tra le attività da evitare… non c’è anche un certo tipo di attività, vero?” chiese, perché va bene che con Francesco poco potevano fare, ma sarebbe stata una tortura per entrambi.

 

“Fino all’amniocentesi consiglierei di andarci piano, non troppo frequentemente, con modalità tranquille e poi valutiamo.”

 

Tranquille era una parola per lei e Calogiuri ma… ma almeno non ci sarebbe stata la carestia totale.

 

E, prima di preoccuparsi di un certo tipo di evoluzioni, c’era da pensare come annunciare ad un certo maresciallo quello che le stesse evoluzioni avevano prodotto.

 

Mannaggia a lui! - pensò, i muscoli del viso che quasi le dolevano a furia di sorridere come una scema.

 

Ma non riusciva proprio a smettere: non vedeva l’ora che arrivasse quella sera, che qualcuno tornasse a casa e di godersi il suo di sorriso, che era il più bello che avesse mai visto al mondo.

 

Prendi tutto da lui, mi raccomando! - pensò, osservando per un’ultima volta quella boccuccia che si apriva, quasi come se volesse farsi sentire, prima che la dottoressa spegnesse definitivamente il monitor.

 

Ma quel battito, quel battito le rimase nelle orecchie e nel cuore, senza volersene andare, per molto ma molto di più.

 

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“Sono a casa!”

 

Era già tutto buio e la cosa non lo stupì, perché avevano fatto più tardi del previsto per un’esercitazione pratica: aveva anche dovuto mangiare fuori. Mollò le scarpe all’ingresso, come facevano da quando avevano un piccoletto che sul pavimento ci gattonava felicemente, anche se preferiva sempre restare attaccato ad Imma - e mica scemo! - e si avviò verso il corridoio, dove vide una lama di luce da sotto la porta della camera da letto.

 

La aprì e ci trovò Imma circondata da libri e faldoni, con in braccio Francesco che ciucciava avidamente dal biberon per lo spuntino prima di dormire.

 

“Scusami per l’orario, ma-”

 

“Ma almeno hai avvisato, Calogiù, e poi, come vedi, anche qualcun altro ti ha aspettato sveglio.”

 

“Solo perché così ha più tempo per averti tutta per sé, che poi quando ci sono pure io può anche dormire, vero, piccoletto?” scherzò e Francesco smise per un attimo di ciucciare, si staccò dal biberon e fece un risolino furbo che gli ricordava sempre tantissimo Imma.

 

Proprio vero che la genetica valeva ben poco.

 

Guardò Imma, aspettandosi un sorriso, o una risata, o una di quelle espressioni da ma che devo fare con voi? ma invece sembrava sull’orlo del pianto.

 

Tornò quel peso sul petto, perché non sopportava di vederla soffrire, mai, neanche per qualcosa di risolvibile, figuriamoci per una cosa così. Lo sapeva quanto amava Francesco e quanto le era difficile l’idea di separarsi da lui, oltre a quello stupidissimo senso di colpa che aveva nei suoi confronti.

 

Per lui l’unica cosa che contava era stare con lei e vederla felice. Se con un figlio bene, se no… avrebbe avuto comunque lei, che era l’unica persona che gli serviva per stare bene con se stesso e con il mondo.

 

“Vai a farti una doccia, maresciallo, che qua ne avremo ancora per un po’.”

 

Sapeva che non poteva avvicinarsi troppo al bimbo, conciato com’era, che ancora il suo sistema immunitario era fragile, e quindi annuì, prese maglietta e boxer puliti e si avviò rapidamente verso il bagno. Ci trovò Ottavia che si stava probabilmente prendendo un timeout dall’avere a che fare con la loro delizia e la sua croce.

 

Come al solito, neanche il tempo di spogliarsi, ed Ottavia già era fuggita. Ogni tanto era peggio della buoncostume o di sua madre.

 

Fece più in fretta che poteva, tanto che il getto era più freddo che caldo, si vestì rapidamente e tornò in camera, dove Imma stava ancora dando da mangiare a Francesco, che se la prendeva proprio comoda, godendosi il momento.

 

“Posso… posso darti il cambio per un po’?” le chiese, anche per farle riposare le braccia. Imma annuì e gli passò prima Francesco e poi il biberon.

 

Un po’ di proteste ma il latte fece il miracolo e Francesco poppava felice e tranquillo, stringendogli il mignolo e la maglia con le manine, che erano non solo lunghe ma anche belle forti.

 

Sentì come uno squittio e si voltò verso Imma, due lacrime che le scendevano sul viso.

 

Un moto di panico e non sapeva bene come rassicurarla.

 

“Lo so… però… non dobbiamo ridarlo subito a Melita, no?” esordì, e lei fece una faccia strana, che non capì, tanto che si affrettò ad aggiungere, “e poi… e poi alla fine… tra il corso, il matrimonio, il trasferimento, tutto sommato sarà meglio non avere anche l’impegno fisso di un bambino, no? E poi, quando avremo sistemato tutto, possiamo pensarci ed organizzarci con più calma.”

 

Imma spalancò gli occhi e fece un’altra espressione che non comprese perché, invece di essere rassicurata, sembrò sorpresa e poi ancora più disperata.

 

Sta zitto, Calogiuri, zitto! - gli ricordò la voce di lei, in quella che ormai era non una, ma almeno due o tre vite precedenti.

 

Ma aveva ragione: a volte parlava troppo e non c’era niente che potesse dirle per rendere la separazione da Francesco meno dolorosa. E non solo per lei.

 

Tanto che, quando ebbe finito il biberon e Francesco, miracolosamente, per una volta si addormentò sul suo petto, senza dover essere per forza in braccio ad Imma e le chiese, “allora, anche se è tardissimo immagino tu voglia fare il ripasso?” lei fece un’altra espressione strana ed incomprensibile, ma la vide togliere ogni testo dal letto e con un, “meglio di no, sono ancora troppo stanca da ieri!” si mise in posizione per dormire e chiuse gli occhi, senza dire nient’altro.

 

Mannaggia a me e alla mia bocca! - pensò, mentre però si rassegnava a cercare di poggiare piano piano il principe della casa tra di loro, e a trovare una posizione per dormire senza schiacciare né lui né Ottavia, che già stava di nuovo ai loro piedi.

 

Allungò una mano verso la spalla di Imma, per mantenere un contatto, come facevano sempre, ma lei, per tutta risposta, dopo qualche istante si allontanò leggermente con un, “ho bisogno di domire…” e quindi ritirò la mano, chiedendosi dove avesse sbagliato e come potesse rimediare.

 

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Aspettò che la porta si richiudesse alle spalle di Calogiuri, vestito di tutto punto per un altro giorno di esercitazioni pratiche.

 

Guardò la colazione che aveva a malapena toccato, nonostante lui continuasse a chiederle se non stava bene, se poteva fare qualcosa, se poteva cucinarle qualcos’altro, ma lei aveva infilato un no dopo l’altro. E non per ripicca, o per le famose nausee, delle quali, miracolosamente, a parte un poco di acidità, ancora non soffriva. Ma perché lo stomaco si era chiuso e non voleva saperne di aprirsi.

 

Sapeva che doveva mangiare per il piccolo scroccone che cresceva piano piano nella sua pancia, e di cui aveva scoperto l’esistenza soltanto il giorno precedente.

 

Ma… ma se invece di un miracolo fosse stato un peso per Calogiuri?

 

Se, con l’impegno non da poco rappresentato dall’ululatore seriale che, dopo il latte del mattino, dormicchiava nel suo ovetto, avesse capito di non essere ancora pronto a fare il padre? Almeno non come impegno permanente?

 

Calogiuri era giovane, aveva una brillante carriera davanti e… e non voleva incastrarlo in qualcosa che non si sentiva di fare, quando aveva mille priorità davanti a sé, e giustamente.

 

Non ci aveva chiuso occhio e mo… e mo non sapeva proprio come fare.

 

Imma Tataranni che non sa che pesci pigliare? Che novità! E, con il tuo caratteraccio, è chiaro che non hai nessuno con cui parlare.

 

La Moliterni, come al solito, o lei o-

 

Diana.

 

Non era mai stata una che amasse confidarsi, anzi, di solito non ce la faceva proprio, se non con Calogiuri e, rarissimamente, con Diana e Sabrina.

 

Ma mo… mo Calogiuri era parte del problema; Sabrina, beata lei, se ne stava bella bella coi suoi cavalli - che forse avrebbe dovuto anche lei darsi, letteralmente, all’ippica - e su figli e gravidanze, per sua fortuna, non aveva esperienza.

 

Ma Diana sì, anche di sentirsi pressata per un figlio, da quel cretino di Capozza, che però, tutto sommato, con lei sembrava davvero aver messo la testa a posto.

 

Prima di poter cambiare idea, aveva già il telefono in mano e stava selezionando quello che una volta era il contatto più frequente, dopo la famiglia e Calogiuri, e che mo sentiva troppo raramente e lo sapeva.

 

“Imma?”

 

Lo stupore di Diana confermò la rarità dell’occorrenza - e dire che doveva parlarle anche del matrimonio - e i rumori di sottofondo le fecero intuire che fosse, per fortuna, ancora in strada e non già in procura, dove manco i muri ma persino i frammenti degli affreschi tenevano orecchie e occhi.

 

“Diana. So che è presto, almeno per te,” esordì, per cercare di mantenere almeno un po’ quella familiarità tra loro e la posizione di dominanza, “ma ti volevo chiedere… ti volevo chiedere se un giorno di questi puoi venire un salto a Roma, magari questo fine settimana, se tu e Capozza non avete già altri impegni. Ma solo tu, Dià.”

 

“Ma perché? Che è successo mo? Ancora qualche disgrazia? Non dirmi che ci stanno problemi col processo?”

 

“No, Diana, no, per ora, fortunatamente, non più di quelli che tenevamo già prima, anzi, magari pure qualcuno in meno. Non… non si tratta di lavoro.”

 

“Calogiuri?” la sentì sospirare dall’altra parte della cornetta e poi, al suo silenzio, “ma come, Imma? Dopo tutto quello che avete passato? Che altro è successo mo?”

 

“Diana… che… che ti posso dire… è… è complicato e non riesco a parlartene per telefono.”

 

“Imma, ascolta, ma… se è successo qualcosa con Calogiuri, ma perché non vieni tu a Matera questo fine settimana? Così c’hai la scusa buona per startene un po’ per conto tuo e possiamo parlare tranquillamente. Poi magari ce ne andiamo in qualche posto rilassante, che ne so, tipo una SPA, che la Guarini me ne ha consigliata una stupenda, sotterranea, e-”

 

“E al momento non è il caso, Dià, né la SPA, né la Marozzi.”

 

Che, con tutte quelle buche e quelle sospensioni tremende… altro che assoluto riposo!

 

Un rumore sordo, come un tonfo, per poco non le perforò un timpano e, o era cascata Diana, o, si sperava, era cascato soltanto il telefono.

 

“Pronto, Diana, mi senti?!” la chiamò, non ottenendo risposta, “mi senti? Non dirmi che c’hai pure il cellulare rotto mo! Che se è rotto manco puoi dirmelo e-”

 

“Ma sei incinta?!”

 

Le scappò uno strano misto tra un riso ed un singhiozzo, mentre le urla di felicità di Diana l’assordavano definitivamente.

 

“Mannaggia a te! Che non te ne volevo parlare per telefono!” riuscì alla fine ad esclamare, tra una lacrima e l’altra e sì, forse erano i maledetti ormoni che la rendevano così sensibile.

 

“Ma allora… ma allora che cos’è successo con Calogiuri? Che già me lo vedo, che sarà felicissimo, e-”

 

“E menomale che te lo vedi tu, Dià, perché io non ne sono più così sicura.”

 

“Ma di che cosa? Di volere un figlio? Ma che non stai bene?”

 

La preoccupazione di Diana era ancora più commovente della felicità.

 

“Per ora io e… l’inquilino qua stiamo bene, credo: mi devono ancora arrivare i risultati degli esami del sangue, ma dovrebbe essere tutto a posto. Ma diciamo che… che Calogiuri ieri sera mi ha fatto capire che… tra il corso, il matrimonio, il trasferimento, mo già Francesco è un impegno e che… insomma… temo che non sia pronto per tutto questo.”


“Cioè, tu gli hai detto che sei incinta e quel bastardo ti ha detto che-”

 

“Frena, Diana, frena! Non gli ho detto niente,” la bloccò, prima che a bastardo si unissero chissà che sfilza di epiteti, perché che qualcuno insultasse Calogiuri lei comunque non lo poteva sopportare, manco se si trattava di Diana e se era per difendere a lei.

 

“Ma allora come siete venuti in argomento, scusa?”

 

“Lo diceva per via di Francesco, del fatto che non potrà stare con noi, se non presumibilmente per poco, e che forse era meglio così che-”
 

La risata di Diana la fece zittire: che c’aveva da ridere mo?

 

“Imma! Certo che sarai stata la migliore tra le ragazze della A e sarai pure la persona più intelligente che conosco, ma a volte, scusa se te lo dico, ma sei propr’ stùd’ch!”

 

“Diana!” esclamò, offesa, perché sentirsi dare dell’imbecille in dialetto materano, con tutto il bene per le radici, ma…

 

“Ma che Diana e Diana! Ma che non lo capisci che se quel povero ragazzo - che gli ho pure dato del bastardo, che la Madonna della Bruna mi perdoni! - se ti dice quelle cose è perché non ti vuole far sentire in colpa, o come se vi mancasse qualche cosa. Che non vuole che stai male? Ma di Francesco si sta prendendo cura, no?”

 

“E certo! Quando è a casa mi aiuta più che può, anche se ci mancherebbe altro e-”
 

“E appunto! Se è così con un bambino che non è nemmeno il suo, anzi, è di quella che per poco non lo faceva finire in galera, vuoi che non impazzirebbe di gioia a sapere che aspettate un figlio vostro? Già me lo vedo, guarda, proprio come in un quadro, con quel sorriso ebete, restarsene incantato per ore alla notizia e-”

 

“E Calogiuri non è ebete! Calogiuri è… è… tenero,” sbottò, perché sta storia del bello e scemo o ingenuo le aveva pure rotto i cabasisi, come diceva il famoso, anzi famigerato commissario dell’attore che per suo sommo dolore, proprio, si era persa alla cena della procura. Se Diana avesse saputo che aveva avuto occasione di avere il suo autografo e non glielo aveva procurato, ‘na capa tanta le avrebbe fatto.

 

“Ah, l’amore!” la sfottè Diana, prima di aggiungere, con tono cospiratorio, “anche se per carità, eh, tenero è tenero e pure bello, pace all’anima sua, che qua tutte te lo invidiano: sapessi all’ultima cena di classe com’erano tutte curiose. Pure quella che fa l’attrice, quella che è stata con Raoul Bova!”

 

“Ecco, si tenesse quello di sguardo ebete e stesse lontana da quello di Calogiuri, grazie! Che, poi, se mo Bova ha preso i voti, pure solamente per fiction, magari lei ha contribuito, no?”


Diana rise di gusto ma smise improvvisamente - tanto che Imma pensò che fosse arrivata in procura, o che stesse passando qualcuno - fece uno di quegli squittii che preannunciavano disgrazie e aggiunse, “Imma! Mi manchi lo sai?”

 

Mannaggia santissima a lei!

 

Altro che commossa mo: c’aveva la vista appannata e il viso pieno di lacrime, mannaggia a Diana, agli ormoni e a chi aveva deciso che le donne per fare una creatura - spesso poi oltretutto ingrata - dovessero esserne imbottite, che manco i cavalli alle corse clandestine.

 

“Dià, non fare così, dai,” provò a dire, anche se la voce non era proprio messa bene.

 

“Ma è che… è che sei come una sorella per me, lo sai?”

 

“Lo so, Dià, lo so,” rispose, perché non riusciva a dirle che pure per lei, era la cosa più vicina alla sorellanza che avesse mai sperimentato.

 

Ma… ma quel pensiero la portò a Chiara Latronico, al matrimonio e al fatto che, probabilmente, le sarebbe toccato avvertire pure lei. Anzi pure loro.

 

Per non parlare della famiglia di Calogiuri che, anche se la gravidanza fosse andata a buon fine, chissà se l’avrebbero mai conosciuta sta creatura.

 

E poi Pietro, che ne sarebbe stato lo zio acquisito, per non farsi mancare nulla.

 

E infine, ma prima degli altri, a Valentina che… la presenza di Francesco tutto sommato non l’aveva poi presa così male, ma pensava che fosse temporanea, e invece… un fratello o una sorella di sangue, chissà come avrebbe reagito.

 

Che casino! Ma, prima di tutto, doveva dirlo a lui.

 

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Stava ancora cercando di parcheggiare l’auto, quando vide una figura molto familiare spuntare dal condominio dove, apparentemente, si trovava l’indirizzo che le aveva dato.

 

Sospirò: un conto era una cena, un conto era una cena in un appartamento da soli.

 

Scese dall’auto, già molto irritata, e lo fu ancora di più al sorriso di lui, che gli avrebbe levato volentieri con un ceffone, non fosse stato non solo terribilmente infantile ma pure totalmente inutile.

 

“Avevi detto a cena. Le cene si fanno ai ristoranti di solito.”

 

Ma lui non si scompose, né arretrò un millimetro, e rispose, come se stessero facendo una normalissima conversazione, “ti ho detto che dobbiamo parlare e non sono argomenti di cui possiamo discutere in pubblico. E comunque, come dici sempre anche tu, siamo grandi e vaccinati: sono stato tantissime ore a casa tua e non mi pare che sia mai successo niente, no?”

 

“A parte il disastro con Bianca? No, effettivamente non è successo niente, perché tanto con te è sempre la solita storia. Ma va bene, ti ascolterò. Ti concedo un’ora, non di più, che poi devo tornare da lei.”

 

“Almeno il tempo di finire le portate.”


“E che hai fatto? Una cena di nozze?”

 

Ranieri non disse altro e lo seguì, nonostante sapesse benissimo che fosse una pessima idea, fino all’ascensore.

 

Quasi si aspettava un tentativo di approccio, visto che la cena era molto probabilmente soltanto una scusa, e visto che in passato gli ascensori erano stati un luogo molto galeotto per loro. Ma, per fortuna, arrivarono semplicemente al quinto ed ultimo piano e le fece strada fino ad una porta, ad una delle estremità del corridoio, che aprì con una chiave appena estratta dalla tasca.

 

Entrò e si stupì: per essere un appartamento da soggiorni brevi era arredato con gusto, in modo semplice ma elegante. Niente pacchianate di pseudo design o cose fintamente tipiche romane per i turisti.

 

Almeno il gusto estetico a Lorenzo non era mai mancato. Peccato che mancassero altre cose più fondamentali, tipo gli attributi o la coerenza nella vita privata. Sul lavoro niente da dire: era sempre stato impeccabile sotto ogni punto di vista.

 

Si lasciò prendere lo spolverino leggero ed accompagnare fino a una tavola, anche quella apparecchiata semplicemente: due tovagliette eleganti, bei calici, piatti moderni e di gusto. Si chiese se avesse chiamato qualche catering o simili, se no doveva essere uno di quegli affittacamere di lusso, per avere tutta quell’attrezzatura, che non sembrava proprio di quelle che si trovavano nei negozi di mobilia da due soldi.

 

Quantomeno ci si era impegnato, doveva riconoscerglielo, ma non sarebbe cambiato niente, né se le avesse presentato uno chef stellato a domicilio, né se le avesse appioppato hamburger e patatine del fast food. Non era quello il punto della serata.

 

Però si accomodò sulla sedia che lui scostò, con la solita ma ora insopportabile cavalleria, e gli lasciò portare il vino e servire gli antipasti.


“Ma…” esclamò, incredula e completamente presa in contropiede: dall’aroma e dall’aspetto sembravano proprio i-

 

“Mondeghili, come ai vecchi tempi.”

 

Da un lato fu un colpo al cuore che se ne fosse ricordato: erano le tipiche polpette di carne da antipasto milanese povero. Una ricetta nata per sfruttare gli avanzi. Non aveva mai amato molto la cucina tipica meneghina, troppo pesante, ma quelle gliele preparava sua nonna, la mamma di sua mamma, ed era uno di quei gusti che ti porti dietro dall’infanzia e che non ti scordi più.

 

Le avevano mangiate insieme diverse volte, ad un chioschetto vicino alla procura, quando erano ancora soltanto la dottoressa Ferrari ed un ex carabiniere dei reparti speciali, che le era stato assegnato per le delicate inchieste che stava seguendo sulla criminalità organizzata.

 

Sapeva che lui non aveva molto denaro, tra la famiglia numerosa e lo stipendio da carabiniere che, anche per gli ufficiali, non è che fosse così generoso, e quindi erano state le uniche occasioni in cui gli aveva permesso di offrire. E ci era andata pure un po’ più spesso di quanto la dieta consentisse, proprio perché consapevole che i locali che frequentava lei gli avrebbero prosciugato presto il portafogli. E Ranieri era più grande di lei, non voleva farlo sentire un sottoposto, anche perché aveva avuto molta più esperienza di lei all’epoca.

 

E poi, quando erano invece ormai solo Lorenzo ed Irene, ed erano andati a vivere insieme a casa sua… gliele aveva preparate un paio di volte, con la ricetta di sua nonna, non che cucinasse spesso, ma quelle erano abbastanza veloci da fare.

 

“Rischi, lo sai;” disse, essendosi ripresa dallo stupore, “su questo piatto sono molto esigente.”

 

“E assaggia,” la sfidò lui, sedendosi a tavola davanti a lei, con un sorriso che di nuovo, gli avrebbe levato volentieri e non solo a schiaffi, purtroppo.

 

Prese una polpetta, ancora calda, la divise in due, ci soffiò per accertarsi di non ustionarsi le papille gustative, ancor prima di poter dire esattamente cosa ne pensasse, ed assaggiò.

 

Un groppo in gola e non era la polpetta, che era pure morbidissima, proprio come la faceva sua nonna.

 

Ma era quello il problema: era praticamente identica a quel dannato gusto dell’infanzia.


“Ma… ma come?”

 

“Una volta ti ho aiutato a prepararne qualcuna, ti ricordi? E mi ero segnato la ricetta, anche se ad occhio. Avrei voluto preparartele un giorno come sorpresa, ma-”

 

Tossì, perché mo sì che la polpetta per poco non le era andata di traverso.

 

Perché, da un lato, era commossa dal pensiero e dal fatto che lui si ricordasse così bene quella stupida ricetta, dopo tutti quegli anni, dall’altro… dall’altro le ricordava per l’ennesima volta che no, non c’era stata nessunissima sorpresa, anzi, c’era stata. Cioè non trovarlo più a casa una sera, rientrando dal lavoro, al suo posto solo un biglietto in cui annunciava il ritorno dalla moglie e che si sarebbe allontanato per un po’.

 

Un po’ durato giusto qualche annetto, più di un lustro, proprio niente, insomma.

 

“Certo che… che se volevi prendermi con la nostalgia… bel tentativo ma… ma appunto c’è stato un ma. E-”

 

“Lo so, lo so che… Irene,” esordì, in un modo esitante, ma che divenne deciso quando ripetè di nuovo, “Irene, ho… ho tantissima nostalgia dei momenti belli e ce ne sono stati tanti, ma non di quelli brutti, o meglio, di… del male che ti ho fatto, perché tu non me ne hai fatto mai. Anche la rabbia degli ultimi tempi, il fatto che non ti fidi più di me, almeno nel privato, lo capisco e hai tutte le ragioni, visto come mi sono comportato, come ti ho lasciato, come… come un vigliacco. Ma la verità è che… non ci sarei mai riuscito a lasciarti, guardandoti negli occhi e quindi…”

 

“E quindi hai scelto la via più facile, ovviamente.”

 

“No, non è stato facile, per niente, ma-”

 

“Ma se hai fatto tutto tu: lasciare lei, riempirmi di promesse da marinaio - che ti saresti dovuto arruolare in Marina, per quanto eri bravo - e poi mollarmi e tornare da lei!”

 

“So cosa ho fatto e me ne prendo tutte le responsabilità, perché nessuno mi ha puntato una pistola alla tempia ma… ma non è stata una scelta semplice, per niente. Più che una scelta è stata un ricatto a cui stupidamente ho ceduto. E di questo la colpa è solo mia.”

 

“Un ricatto?” gli chiese, sorpresa, perché di tutte le storie che si poteva aspettare quella non l’aveva tenuta in conto.

 

Anche perché Lorenzo non era uno da usare un termine del genere di sproposito.

 

“Ma… ma loro?” gli chiese: quelli che avevano ucciso la madre di Bianca non erano nuovi a cose del genere.


Ma Lorenzo non era neanche tipo da farsi ricattare, a meno che… a meno che gli toccassero i figli. Ma… ma poi aveva comunque proseguito a fare il carabiniere, era di nuovo tornato in prima linea con lei, per lei, com’era possibile se-

 

“No. Diciamo che c’entra una famiglia sì, ma non quel genere di famiglia, per fortuna da un lato, non che avrei mai ceduto ad un loro ricatto. Ma… ma quando io e te già convivevamo, mia moglie, anzi la mia ex moglie-”

 

“Come ex moglie?” lo bloccò subito, perché quell’ex poteva significare tutto o niente, ma le aveva fatto mancare un battito.

 

“Un attimo, ti spiegherò tutto ma lasciami raccontare questa storia dall’inizio, se no ho paura di perdere i pezzi e di non riuscire a spiegarmi.”

 

“Ti ricordo che sono già passati venti minuti e ne hai solo quaranta, spero saranno sufficienti,” ribattè, perché, se sul fare melina anche lei era bravissima, in casi come quello non lo sopportava lo stesso.


“La mia ex moglie è venuta un’altra volta sotto casa nostra, cioè casa tua.”

 

“Un’altra volta?”

 

“Sì, non quando c’eri anche tu. Venne anche un sabato che tu eri via per quel convegno a Pavia, non so se ti ricordi.”

 

“Più o meno, ma che sarebbe successo?”

 

“Ha cominciato a chiamarmi e a suonare all’impazzata, i vicini si sono lamentati, e quindi sono sceso e le ho detto di andarsene, che se no l’avrei denunciata, che non poteva continuare a comportarsi così. Che capivo ce l’avesse con me, ma doveva lasciarci in pace, che non l’amavo più e tu non c’entravi, che il nostro matrimonio era già in crisi da tanto, che era da tanto che ci trascinavamo per abitudine, per i figli e lo sapeva. E lì, lì lei mi ha detto che allora ci saremmo dovuti trascinare ancora per un po’, perché era incinta ed il bimbo era mio.”

 

“Sì, peccato che a me invece avevi detto che ormai tra voi non c’erano più rapporti da mesi, prima che decidessimo di uscire allo scoperto e di andare a convivere. Almeno la storiella che si racconta alle amanti ingenue me la potevi risparmiare, no?”

 

“Ma noi veramente non avevamo avuto rapporti da mesi, ma-”

 

“E cos’è? Il bimbo è frutto dello spirito santo?”

 

“No, no, ma… un paio di settimane prima di lasciarla definitivamente, quando… quando avevo già cominciato piano piano a portar via le mie cose di nascosto, ero andato a bere con i colleghi per festeggiare la risoluzione del caso Guicciardi, quel caso di tangenti che era finito in omicidio, ti ricordi?”

 

“Sì, mi ricordo del caso Guicciardi, ma non dirmi che adesso mi vuoi dire che ti sei ubriacato, che sei tornato a casa e sei stato con tua moglie, o la tua ex moglie, o come la vuoi chiamare, perché veramente è il peggiore dei cliché degli uomini che si stanno separando."
 

“Hai ragione ma… ma ero molto, ma molto ubriaco e… e stavamo dormendo e lei ha cominciato e… ed è successo tutto quasi in automatico. Lo so che è comunque anche colpa mia, ma… ma erano mesi che non succedeva nulla tra di noi e… e l’avevo visto come un suo estremo tentativo di salvare il matrimonio, di riaccendere la passione. Ma, ovviamente, una volta che sono tornato sobrio me ne sono subito pentito. Non te l’ho detto perché… perché per me non aveva significato niente, non volevo farti male inutilmente, e poi mi avevi detto che certi dettagli non li volevi.”

 

Sospirò, perché aveva capito ormai benissimo dove stesse andando a finire quella storia e non sapeva se avrebbe voluto strozzare più lui o lei.

 

“E quindi l’ho lasciata, mi sono trasferito da te e per qualche mese ho davvero sperato che quella sarebbe stata la mia, la nostra nuova vita. Ma poi… ma poi mi è arrivata questa notizia, tra capo e collo, e la mia ex moglie mi ha dato un ultimatum: o ti lasciavo, tornavamo a Bari e non ti vedevo più, oppure se ne sarebbe andata lei a Bari con i nostri figli, e non mi avrebbe mai fatto conoscere il bambino che doveva nascere. Mi ha detto che avrebbe fatto una battaglia legale per avere l’affido esclusivo, oltre che l’addebito, che con il fatto che io già stavo con te avrebbe vinto di sicuro. Voleva fare uno scandalo e ci avrebbe trascinato dentro anche te e tutta la procura. E… e io mio figlio lo volevo conoscere e… e non volevo che nascesse in mezzo ad una guerra, né coinvolgere te e tutti gli altri nei problemi miei e suoi e quindi-”

 

“E quindi avresti potuto pensarci prima se non mi volevi coinvolgere nei vostri problemi! Accettando di vivere con te lo sapevo che avrei dovuto affrontare la tua ex, lo scandalo e tante altre cose, ma lo avrei fatto. E lo capisco che volevi conoscere tuo figlio, lo so che padre sei, ma… ma avresti potuto lottare, avere almeno un affido congiunto. Non sarebbe stato facile, ma non era impossibile, e lo sai anche tu.”

 

“Sì… e per questo dico che è anche colpa mia. Che… che ho ceduto al ricatto, che non ho lottato di più. Ma… ma temevo davvero non solo di non vedere più i miei figli, ma… ma che Nicoletta avrebbe potuto fare qualche gesto estremo. Sembrava molto instabile, ma-”

 

“Ma?”

 

“Ma poi, anche se… anche se veder crescere nostro figlio è stato bello, ed è stata l’unica cosa positiva che è venuta da quella scelta, mi sono resa conto che sì, Nicoletta aveva dei problemi, ma che le piazzate e tutto il resto… erano state anche un po’ una recita, un’esagerazione. Perché, da quando sono tornato con lei in Puglia, col passare delle settimane, mi sono reso conto che non era… insomma, per fortuna, da un lato, non era messa male come credessi, anzi. Insomma… col senno di poi ho iniziato a pensare che forse l’avesse fatto apposta, che avesse intuito che la volevo lasciare e… e mi vergognavo di pensarlo. E me l’ha fatta pagare cara, me le ha fatte scontare tutte. Sono stati anni in cui mi ha fatto malissimo e si è fatta malissimo, ho resistito solo per il piccoletto, ma poi… poi non ce l’ho fatta più, anche perché stavamo tutti male, era evidente, era una lite continua. Non lo dico per farti pietà, o per giustificarmi ma… ho capito che ho fatto solo peggio e che… se avessi lottato, forse alla fine i miei figli sarebbero stati meglio, anche con noi separati. Ma col senno di poi è più facile comprendere queste cose.”

 

Deglutì e sospirò, perché non sapeva cosa dire. Sembrava un racconto quasi da Guerra dei Roses e, a differenza di lui, per il poco che aveva conosciuto la sua signora, non aveva dubbio che magari non proprio la gravidanza, ma che sul resto sì, avesse mangiato la foglia ed avesse fatto apposta a fare le piazzate, per farlo preoccupare e spingerlo ad un riavvicinamento per i figli. O, almeno, sperava che lei non fosse realmente sempre così, anche se, a quanto aveva capito, di urla ne dovevano aver sentite parecchie in quella casa.

 

“E quindi adesso ti saresti separato? Ti vorresti separare? D’accordo che i tuoi figli sono più grandi, ma lei rimane sempre la stessa e-”

 

“No, no, cioè… ho aspettato che il più piccolo fosse almeno dell’età di poter cominciare a capire, anche se… troppo piccolo restava, ma… ma sapevo che avrebbe cercato in ogni modo di mettermeli contro, e volevo almeno che riuscisse ad esprimersi. Un giorno ho radunato le mie cose, sono andato a prenderli a scuola e all’asilo, ho detto a loro che volevo loro bene, ma che ormai io e mamma non andavamo più d’accordo. Ho spiegato che mi sarei trasferito in un’altra casa ma che, se tutto andava bene, li avrei visti più spesso che potevo… e pensa che uno, mentre spiegavo, mi ha chiesto ma perché urlate sempre? E non me lo scorderò mai.”

 

“E tutto questo quando è successo?”

 

“Un… un mese prima di quando mi hai chiamato per la figlia di Imma. Ero già a casa mia, da solo, quindi, come puoi immaginare, non mi è stato così difficile accorrere a Matera. Vedere i miei figli invece è stato molto più complicato, ma per fortuna ormai ero conosciuto a Bari e… gli assistenti sociali, e anche il giudice, hanno capito che le accuse che mi faceva Nicoletta erano esagerate, che i nostri figli, se non pressati da lei, che li faceva sentire in colpa, mi volevano vedere. E così l’hanno costretta all’affido congiunto: io il weekend, lei in settimana, con un assistente sociale mandato dal tribunale, che veniva ad accertarsi che riuscissi a prendere i bambini e a portarli con me.”

 

“Ma… ma perché non mi hai mai detto niente? Con tutte le volte che ci siamo sentiti per il processo, e non solo in questi ultimi mesi? Non… non dico che ti avrei perdonato o che mo ti ho perdonato ma… ma perché tutto questo segreto?”

 

“Perché? Perché la mia vita era un casino e… e non mi sembrava giusto scaricartelo addosso - che già ti eri presa fin troppi problemi ed avevi tutta la storia con Bianca. Quando… quando ho saputo quello che le era successo… non hai idea di come mi sono sentito al pensiero che… se solo ci fossi stato… e invece…”

 

Aveva voglia di piangere e di sbattergli due pugni al petto, perché non contava nemmeno più le volte in cui lei aveva avuto lo stesso pensiero, in cui aveva incolpato prima lui, poi se stessa, per non aver saputo mantenere il loro rapporto in una sfera professionale prima, e per poi essersi lasciata andare all’autocommiserazione. Per non essere stata all’altezza delle promesse che aveva fatto alla madre di Bianca, di proteggerle entrambe.

 

“E poi… e poi sapevo che probabilmente ormai ogni possibilità con te me l’ero giocata. E che avevi ragione. Ma… ma in questi ultimi mesi, ci siamo avvicinati di nuovo, come non speravo ormai più sarebbe mai successo e… e ho capito che… che ti amo ancora, esattamente come a Milano, anzi, di più, perché… perché sono un poco meno scemo di allora. E che forse… che forse anche tu qualcosa per me ancora la provi, oltre al rancore. E… e poi Bianca è meravigliosa e… e stare con lei, con Francesco e con te… è stato come vivere la vita che sognavo qualche anno fa, e mi sono reso conto che la sogno ancora.”

 

“Sì, ma poi dai sogni ci si sveglia e ci resta la realtà. E la tua ex moglie? E i tuoi figli? E l’affidamento congiunto?”

 

“Se sono tornato a Roma è proprio per questo. Ormai i più grandi sono grandi, appunto, e… e pensa che il primo, quando ha saputo che volevo trasferirmi a Roma-”

 

“Come trasferirti a Roma?!”

 

Non poteva credere alle sue orecchie, le sembrava tutto così surreale, come se di un film avesse visto l’inizio, si fosse persa tutta la parte centrale, e fosse arrivata ormai alle battute finali e ai titoli di coda.

 

“Te l’ho detto che sono qua per restare. Se… se tu mi vuoi qua, intendo, e non solo nella tua vita ma… ma anche per lavorarci. Anche perché Calogiuri, presumibilmente, presto se ne andrà e pure Imma, ci sarà da sostituire lui e due PM e quindi-”

 

“Ma tu sei un capitano, eri nei reparti speciali, gestivi una caserma giù, mica puoi stare in PG.”

 

“Magari non in PG che… ci sarebbero pure casini per noi se… insomma se succedesse magari un giorno quello che spero. Però, per intanto, sono in aspettativa per qualche mese. E, se tu mi vuoi qua, ci sono ottime possibilità per un posto in una caserma qua vicino, e poi… e poi vediamo, se magari tra Giorgio, Brian e De Luca posso occuparmi di altro. Sempre se tu non hai niente in contrario.”

 

“Ma a parte me… non mi hai risposto… e i tuoi figli, e la tua… ex moglie? Se devi essere a Bari per l’affidamento congiunto…”

 

“Come ti dicevo, ne ho già parlato con loro, ho detto che stavo valutando di trasferirmi qui se… se ne avevo la possibilità. Il più grande mi ha detto che vorrebbe venire qua a studiare all’università, tra un paio di anni. E gli altri… ho detto a loro che in ogni caso tornerei comunque ogni due weekend - tanto Roma Bari in un’ora di volo si fa - e che se vogliono qua il posto c’è ma… ma voglio lasciarli liberi di decidere come e con chi stare. Con Nicoletta… finalmente è finita la battaglia legale, che tra l’altro per fortuna ho vinto, o meglio, non le hanno concesso l’addebito. E, per l’appunto, continueremo a gestire in questo modo le visite ai figli, con l’aiuto del tribunale, finché saranno maggiorenni. Anche se mi auguro che lei si rifaccia magari una vita nel frattempo, o che almeno trovi un po’ di serenità. E… ed è da una settimana che sono ufficialmente un uomo libero, anzi divorziato.”

 

Ringraziò il cielo di essere seduta, perché un poco le girò la testa a quella parola, e non era il sorso di vino che aveva bevuto.

 

“Insomma… ho cercato di sistemare le cose il più possibile per… per non darti e non darvi problemi e per dimostrarti che… che quando dico che voglio stare con te, se tu mi vorrai, e che vorrei esserci nella vita di Bianca, se lei non ce l’ha troppo con me, dico sul serio. Questa è casa mia: l’ho presa in affitto per un anno, l’ultima volta che sono stato qua a Roma. L’ho arredata come sono riuscito e… e ho cercato di farlo in un modo che spero… insomma… se tu un giorno volessi venirci con Bianca… è un ambiente tranquillo, senza troppi stimoli che la possano spaventare.”

 

Le partì un singhiozzo assolutamente involontario, notando che sì, a parte il caldo del legno, era quasi tutto bianco. Forse era per quello che le era piaciuto l’appartamento, che ci si sentiva a suo agio.

 

“Ma… ma da quanto è che progetti tutta questa cosa?”

 

“Eh… da qualche mese, te l’ho detto, no, che dovevamo parlare?”

 

“Ma… ma questa casa e… e i tuoi figli… e… e, se io adesso io ti dicessi che non ti voglio tra i piedi qua a Roma, tu che fai?”

 

“Immagino che dovrei trovarmi un’altra caserma, magari nel Lazio, finchè c’è il maxi processo, e poi vedrò dove stare. Ma… ma comunque credo che sia meglio per tutti che io e Nicoletta teniamo un po’ di distanza, anche geografica. Credo che ci aiuterà ad andare avanti, o almeno lo spero. Insomma… io comunque dovrò farmi la mia vita, è chiaro, ma… ma mi piacerebbe tantissimo che in questa vita ci foste tu e spero un giorno anche Bianca. M,a se non fosse possibile… lo capisco e, a parte per le cose di lavoro che ti toccherà vedermi fino alla fine del maxiprocesso, come ti ho promesso, in caso, mi farò da parte e non ti disturberò più.”

 

Afferrò il calice di vino e se lo tracannò in un sorso, perché sì, aveva bisogno della mente lucida, ma in quel momento era come un groviglio confuso di pensieri, pure senza alcol, e quindi sperava che magari quello le desse non una risposta, ma almeno un po’ di coraggio per cercarla.

 

“E… e tu vuoi una risposta adesso?” gli chiese, prendendo tempo: fare melina era proprio la cosa che riusciva meglio ad entrambi.

 

“Hai tutto il tempo che vuoi per pensarci… io posso starmene qui. Quando te la senti mi chiami e… e mi dici che cos’hai deciso. Ovviamente, io ci spero, ma-”

 

“E che cosa speri? Di vivere con me e Bianca - che adesso è pure molto ma molto incazzata con te - e fare la famiglia del Mulino Bianco?”

 

“Beh… di bianco ce ne sarà molto,” scherzò, strappandole, nonostante tutto, una risata, “e… e per il resto lo so che Bianca, anche in caso le cose andassero tra noi, avrà bisogno dei suoi tempi e che… mi dovrò riconquistare la sua fiducia ma, se me ne darai la possibilità, farò di tutto per te e per lei. E… lo so che non sarà semplice, ma… ma se siamo sopravvissuti a tutte quelle notti insonni, possiamo farcela, no? In confronto Bianca, sì, ha il suo caratterino ma-”

 

“Ah, non credere! Non hai visto come l’ha tirato fuori nelle ultime settimane. Altro che i pianti di Francesco! Qua c’è di peggio: c’è la preadolescenza che si avvicina.”

 

“E io un po’ di adolescenti li ho già visti, anche se maschi… e poi dopo c’è pure l’età più bella, no? Se non mi cacci via prima.”

 

Aveva quel sorriso, quel maledetto sorriso, perché stava ancora sorridendo anche lei, e lui la conosceva molto bene: sapeva che non era più furiosa con lui, come a inizio serata.

 

Ma poteva davvero fidarsi di quella specie di scenario da fiaba che le prospettava e dargli e darsi seriamente un’altra possibilità? Non solo a loro due ma anche con Bianca, che era la cosa più importante e delicata?

 

*********************************************************************************************************

 

Aprì la porta ed era buio, ancor più della sera precedente, perché aveva fatto ancora più tardi.

 

Aveva mangiato giusto un tramezzino al volo, teneva una fame tremenda, ma voleva accertarsi di come stesse Imma, se fosse ancora arrabbiata con lui.

 

Mollò le scarpe e, quatto quatto, arrivò fino alla stanza da letto, dalla quale però non proveniva nessun rumore, giusto la luce che filtrava dai bordi.


“Imma,” chiamò, per non farla spaventare, prima di aprire la porta: la trovò al centro del letto, circondata dai tomi per il corso.


Stavolta però il piccoletto dormiva già, aggrappato alla camicia da notte di lei.


Era stupenda, una visione, e si sentiva così fortunato a poter tornare a casa ogni sera e trovarla così.

 

Cercò di studiare il suo sguardo, per capire se ce l’avesse ancora con lui, ma non ne comprese molto.

 

“Vatti a fare la doccia, che stasera dobbiamo recuperare lo studio di due giorni. Se hai fame, ci sono vari formaggi e salumi in frigo.”


“Ma tu hai mangiato?” le chiese e lei annuì, “magari mi puoi fare compagnia… che ne so… un calice di vino, due stuzzichini mentre studiamo.”

 

Imma fece un’espressione che, di nuovo, non capì e scosse il capo, “no, grazie, ho già mangiato fin troppo. Se ti sbrighi, che qua già troppo tempo abbiamo perso.”

 

Sospirò: Imma non sarebbe mai cambiata - non che desiderasse che lo facesse, anzi - prese la maglietta ed i boxer per la notte, ed andò a buttarsi sotto la doccia tiepida, facendo più in fretta che poteva.

 

Si fece giusto un panino al volo - con i formaggi ed i salumi tipici materani - e se lo mangiò in fretta in cucina, per evitare di sporcare il letto per niente.

 

Preparò però due camomille: una per sé ed una per Imma, che sì che dovevano studiare, ma magari così si sarebbe tranquillizzata un poco. Lui forse avrebbe avuto bisogno più della caffeina, ma tant’era.

 

Entrò in camera reggendo un vassoio con le tazze ancora fumanti e qualche biscotto, che forse almeno quelli Imma li gradiva e, nonostante il suo sguardo da ma come devo fare con te? poggiò tutto sul comodino, vicino a lei, prima di infilarsi a letto.


“Dai, Calogiuri, intanto che le camomille diventano un poco meno ustionanti, cerchiamo di proseguire. Partiamo dal caso pratico, che ancora lo dobbiamo terminare?”

 

Annuì, che forse era meglio: con lo studio dei casi faticava molto meno, perché era il lavoro a cui era già abituato. E poi non gli costava così tanto sforzo di memoria, essendo anche in gran parte ragionamento e capacità deduttiva, oltre che organizzativa.


Prese il taccuino per gli appunti, lo aprì ed afferrò il faldone di documenti che Imma gli stava passando, con le prove raccolte per il caso, che era un vero caso di cronaca, reso però in forma anonima. Non famoso, ovviamente, se no sarebbe stato troppo facile.

 

Cominciò ad analizzare i reperti e a prendere appunti, mentre Imma si limitava ad osservarlo in modo neutro, perché non poteva aiutarlo nelle deduzioni, dirgli se fossero giuste o meno: sarebbe stato di nuovo troppo semplice poi, oltre che inutile per lui.

 

“Dunque… le impronte sono un quarantuno. O una donna, presumibilmente alta, o un uomo, presumibilmente di altezza inferiore alla media. Scarpa da ginnastica, unisex, quindi questo non ci aiuta a confermare il sesso dell’assassino.”

 

Imma si limitò ad ascoltare, ma la vide concentrarsi di più quando passò alla cartellina successiva, che conteneva dei referti medici, tra i quali l’autopsia della vittima e quella che sembrava un’ecografia, il cui risultato però non veniva citato nell’autopsia.

 

Bisognava capire se fosse pre o post mortem.

 

All’inizio pensò che si potesse trattare del cranio ma no, alzando l’ecografia notò come ci fosse un buco in mezzo ad una specie di membrana, che non era però la scatola cranica. Non se ne intendeva molto ma, dall’assenza di altri organi, pareva forse…


“Ma è un eco addome?” si chiese e le chiese, mentre Imma aveva un’espressione strana, ma fece spallucce.

 

Si chiese se si fosse sbagliato, ma no, quello gli ricordava: le ecografie che aveva fatto Imma per la ginecologa, ad esempio, o sua sorella, quando aspettava Noemi, anche se lì sembrava che lo spazio vuoto fosse più ampio.

 

E poi… e poi c’era come una strana palla appena sotto, come se si fosse incastrata su quella barriera.

 

“Questa… questa massa… potrebbe essere un tumore? Ma nel referto si diceva che la vittima era in buona salute e poi… e poi è strano… con questa forma… ma le hanno sparato? Però non sembra un oggetto di metallo, ed è molto tondo per essere un proiettile, e poi, ecco qua, sempre dall’autopsia, non è scritto da nessuna parte che la vittima sia stata colpita con una pistola.”

 

Vide Imma mordersi il labbro, deglutire e pronunciare con tono strano un, “no, da una pistola no. Magari da una freccia…”

 

Guardò meglio l’ecografia, confuso, perché quello non aveva nemmeno l’aspetto di una punta di una freccia, ma poi improvvisamente capì. Anche perché, guardandolo più da vicino, il proiettile aveva una forma da fagiolo quasi, ma un’estremità più grande e tonda, e dall’altra parte delle piccole protuberanze che forse erano manine e piedini.

 

“Ah, la freccia sì!” esclamò, da un lato divertito, ma dall’altro spiando l’espressione di lei: temeva che per Imma parlare di gravidanze - oltretutto evidentemente finite malissimo, considerando la sorte toccata alla vittima - fosse un nervo scoperto, anche se si trattava di lavoro.

 

“Ma… ma sull’autopsia non c’è scritto nemmeno che la vittima era incinta… né che avesse i segni di un aborto recente. Perché includerla, allora?” si domandò, cercando di leggere meglio i dettagli stampati all’angolo dell’ecografia.

 

C’erano alcune sigle che non capiva, ma c’era la data, ed era… del giorno prima?

 

“Ma questa è di ieri? Ma com’è possibile? Che si sono sbaglia-?”

 

TU-TUM

 

Il cuore, il cuore aveva mancato un battito e mo correva all’impazzata, la testa che iniziava a girargli, gli occhi che scattarono verso Imma e quel sorriso, quel sorriso. Non se lo sarebbe scordato mai quel sorriso. E gli occhi lucidi di Imma, i suoi che gli si appannarono mentre balbettava un, “ma sei… ma sei…?”

 

“Sì.”

 

Una sillaba, una sola, con la voce più roca e più bella del mondo, e gli venne da ridere, da piangere, e caldo, e freddo, tutto insieme e-

 

Buio, tanto buio, la sensazione di cadere.

 

E poi non sentì più niente.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ti rendi conto che non ti meriti niente, che sei fuori tempo massimo e che non avresti alcun diritto di farmi questi discorsi, dopo tutti questi anni, oltretutto? Di pensare che bastino per farti perdonare?”

 

Il sorriso scomparve dal volto di Lorenzo.

 

“Hai… hai ragione, ma… ma ci dovevo almeno provare. Non ti disturberò più, come ti ho promesso, e-”

 

Gli fece segno di fare silenzio e proseguì, con l’espressione più neutra che riusciva a mantenere, “ma… anche se non te lo meriti, per niente, sei… sei l’unica persona che ho amato veramente. Ed è inutile negare che, anche adesso, provo ancora qualcosa per te, un qualcosa che ci lega e che non si spezza, nonostante tutto.”

 

Il sorriso tornò, ancora più bello di prima. Lorenzo divenne tutto rosso e chiese, “ma allora…?”

 

“Ma allora adesso ci andiamo piano, vediamo come va, con calma, con molta calma, soprattutto con Bianca, meglio andare per gradi. E ti avviso: se ci riprovi anche solo una volta a farmi soffrire, o a farla soffrire, non avrai mai più il problema di paternità future indesiderate, perché te lo risolvo io, alla radice.”

 

E, nonostante gli avesse fatto il segno della forbice, Lorenzo rise. Sentì il rumore di una sedia che veniva scostata e si trovò trascinata in piedi, in un bacio che le diede i brividi e che la fece tremare esattamente come tanti anni prima, o forse anche di più.

 

Tanto che si aggrappò a lui, che però non sembrava messo molto meglio di lei, anzi, per poco non cadevano. Un po’ alla cieca, un po’ ad istinto, finirono sul divano, lui sotto di lei, a baciarsi, accarezzarsi, esplorare. Le mani le finirono sotto la camicia di lui, toccando quel corpo che era cambiato un po’ in tutto quel tempo, ma che era anche così familiare, come il suo sapore, nonostante le polpette.

 

Cominciò a sbottonargli la camicia, a partire dal colletto, sentendo le mani di lui che le sollevavano leggermente l’orlo della gonna e poi lui le chiese, tra il serio e il divertito, “ma… ma non dovevamo andare con calma?”

 

“Ah, se vuoi smetto subito. Ma diciamo che, almeno su questo, abbiamo un po’ di arretrati da recuperare e poi, prima anche solo di pensare di prendermi il pacchetto completo, devo capire se ancora riesci a starmi dietro o no. Perchè lo sai che sono molto esigente.”

 

Per tutta risposta, si trovò prima in grembo a lui, che si era messo a sedere, e poi schiacciata sul divano, in un perfetto ribaltamento dei ruoli, la sensazione della pelle nuda sul suo petto che le diede un altro brivido, soprattutto dopo che lui le levò la maglia e le sollevò del tutto la gonna.

 

Era come tornare a casa, dopo tanto tempo, pensò, spingendolo per riprendersi la posizione di dominio, che aveva qualche nuovo trucco da mostrargli. Ma lui… altro che starle dietro, non si arrendeva!

 

E mentre, a furia di lottare, finirono sul tappeto, i vestiti scomparsi, si rese conto di essere di nuovo fregata, completamente.

 

Ma, finalmente, dopo tanti anni, si sentiva di nuovo viva, viva davvero, nuda davvero davanti a qualcuno, senza protezioni, senza barriere.

 

La paura era forte, ma il sollievo lo era ancora di più.

 

*********************************************************************************************************

 

“Calogiù, Calogiù!”

 

Per fortuna era scivolato sul materasso senza picchiare la testa.

 

Gli diede prima un colpetto su una guancia, poi sull’altra, Francesco che piangeva accanto a loro, mentre lei, con la mano libera, cercava di tranquillizzarlo, e Ottavia che, dopo averli osservati per un po’, si era avvicinata, aveva iniziato a dare testatine ed a leccare una guancia di Calogiuri.

 

Quando stava per usare le zampe, nel timore che tirasse fuori un poco di artiglio, le fece da barriera, le sussurrò, “lascia fare a me, Ottà!” e diede un terzo ed ultimo schiaffetto, ripetendo “Calogiuri, Calogiù!”

 

“I- Imma?”

 

Un sospiro di sollievo nel sentire quella voce e nel vedere due iridi azzurre spuntare sotto le palpebre, le pupille che si dilatavano, come gli succedeva spesso quando la guardava. Non che per lei non fosse lo stesso, anzi.

 

“Tutto bene, Calogiù?”

 

“S-sì, sì, tutto bene, ma…” fece una pausa, spalancando ancora di più gli occhi e domandandole, in un modo tremante da denuncia, “ma sei… ma sei…?”

 

“Sì, sono incinta,” proclamò, la voce che le si spezzò sull’ultima parola perché ancora faticava a crederci e… e dirlo a Calogiuri lo rendeva così reale da farle girare la testa, “mo però non mi svenire di nuovo e tiriamoci su, che qua già c’abbiamo una creatura piangente da calmare. Giusto per darti un assaggio di quello in cui ti sei infilato, maresciall-”

 

Le mancò il fiato perché si trovò trascinata sul suo petto, in un abbraccio fortissimo, che però durò poco, perché Calogiuri la lasciò andare e la sollevò leggermente, balbettando un, “scusami, scusami! Non è che fa male al bambino?”

 

“Ma che ti sei già rinscimunito, Calogiù? Manco si vede ancora, manco sporge: è un esserino sepolto sotto ad un sacco di strati protettivi e-”

 

L’unico modo in cui accettava di essere azzittita: un bacio, e poi un altro, e un altro ancora, ognuno più tenero e dolce del precedente. Calogiuri la guardava come se fosse la Madonna con in grembo il bambinello e le sorrideva come soltanto lui sapeva fare, in quel modo che pareva si illuminasse tutta la stanza, mentre un paio di lacrime gli rigavano il viso.

 

E così cominciarono a ridere a piangere insieme, stringendosi forte forte, come due cretini, ma almeno non erano solamente i maledetti ormoni a ridurla così. O non solo a lei.

 

“Ti amo… vi amo… io… io… non ci capisco più niente!” si sentì sussurrare nell’orecchio.

 

“Ho notato, Calogiù, ho notato,” ironizzò, prima di staccarsi, perché qualcuno continuava ad ululare.

 

Fece per prenderlo in braccio ma Calogiuri la precedette, stringendoselo al petto, facendolo saltellare e cullandolo finché non si calmò un poco, per poi rivolgere la sua attenzione a lei, serissimo.

 

“Che c’è, Calogiuri?”

 

“Che cosa ti ha detto la ginecologa? Come sta il bambino - o è una bambina? Il sesso lo sai? Di quanto sei? E-”

 

“E calma! Va bene che gli interrogatori hai imparato da me a farli, ma una domanda alla volta,” sospirò, perché sì, Calogiuri era bello bello che andato, “allora, il bambino o bambina sta bene, almeno dalle prime analisi, se non me lo assordi tu mo. Aspetto il risultato delle analisi del sangue, tra un po’ faremo l’amniocentesi e lì scopriremo anche il sesso di questo piccolo inquilino. E sono di undici settimane. Ti ricorda qualche cosa, per caso? Il giorno preciso ancora non lo so, ma più o meno.”

 

Lo vide farsi due conti mentalmente e poi col cellulare e le sorrise, commossissimo ed incredulo, le labbra ormai lavate di lacrime, mentre chiedeva, “Matera?”

 

Annuì e si trovò trascinata in un altro bacio umido, nonostante le proteste di Francesco, Calogiuri che esclamava, “è proprio destino: Matera ci porta fortuna. Ci dovremmo tornare e- e a proposito, che ti ha detto la ginecologa sul movimento, il riposo, la dieta? Per questo non hai voluto il vino, i salumi ed i formaggi?”

 

“Eh sì, Calogiù. Per un po’ purtroppo mi perderò un bel po’ delle cose migliori della cucina italiana, ma poi recupererò con gli interessi. Ho già una dieta e mi ha detto semplicemente di non fare troppi sforzi e-”

 

“E allora a Francesco da mo ci penso io. Tu meglio che lo prendi in braccio il meno possibile, se non da seduta: niente pesi. E i lavori in casa li faccio tutti io: la spesa, le pulizie, cucino pure io. Tu te ne stai tranquilla e a riposo.”

 

“Calogiù, la dottoressa mi ha detto di non esagerare, non di non muovere un dito, che pure stare sempre fermi non fa bene al bambino.”

 

“Ma il problema è che per te il moto normale è già esagerare. E poi… e poi qualche tempo fa sei stata tu a tenermi tranquilla e a riposo, mo tocca a me con te.”

 

“Insomma, me la vuoi fare pagare,” lo sfotté, guadagnandosi una risata, “e poi tu c’hai il corso e l’esame e-”
 

“Ma non ancora per molto e per studiare… possiamo farlo anche a letto. E poi… e poi a questo punto dobbiamo capire dove vogliamo andare ma… con te incinta e poi con un bimbo piccolo, vorrei non essere troppo lontano sia da Rosa che dalla tua famiglia. Alla fine tua figlia è a Roma e mo pure Pietro, per correre appresso a mia sorella, è quasi più qua che a Matera.”

 

“Vediamo… tanto avrò la maternità, nel frattempo valutiamo e-”

 

“E potremmo tornare a Matera, dottoressa: Vitali ce l’ha già detto tante volte, lì conosciamo tanta gente e-”

 

“Appunto! E di quella tanta gente sai quanti se ne salvano? E poi… e poi non potremmo lavorare insieme e dovresti startene fuori Matera come incarico. E, in ogni caso, con la maternità di mezzo, non voglio assumermi un ruolo mo e poi non farmi vedere per un anno, non è da me. Vediamo dove hai migliori prospettive di carriera tu e mi troverò qualcosa lì vicino. Abbiamo fino alla fine del corso per pensarci.”


“Il matrimonio!”

 

A quella parola, il cuore cominciò ad accelerare, annuì con un sorriso e gli confermò, “sì, quest’estate.”

 

“Eh no!” esclamò lui, in un modo che quasi le fece fare un salto, “non mi pare proprio il caso: non puoi stressarti per i preparativi e se mo sei già di undici settimane, sarai incinta di un po’ di mesi e-”

 

“Ma sarebbe comunque il secondo trimestre, il più tranquillo e-”

 

“E non voglio dovermi preoccupare che ti senti male o altro - con il caldo che farà poi! Possiamo sposarci dopo che nascerà l’inquilino, come lo chiami tu, quando vuoi.”

 

Dire che fosse stupita era dire poco e pure dispiaciuta.

 

“Ma se eri tu che insistevi tanto, che bastava che ci sposassimo, che mo hai cambiato idea?”

 

“No, no, anzi, io ti sposerei pure domani, dottoressa, ma la priorità adesso è non solo la salute dell'inquilino, ma anche e soprattutto la tua. E, se dovesse succedere qualcosa, se ci fosse da decidere tra te e il bambino… non voglio che tu ti senta in colpa o che anche solo pensi di farmi strani scherzi, è chiaro? Per me la tua salute viene prima di tutto!"

 

“Calogiuri…” sospirò, abbracciandolo di lato e dandogli un altro bacio, commossa, mentre Francesco, di nuovo, protestava.

 

“Dai, ci penso io ad addormentarlo. Tu la camomilla la puoi bere?” le chiese, cullando di nuovo Francesco mentre lo baciava sul viso in un modo che fu l’ennesima conferma di quanto sarebbe stato meraviglioso come padre. Era dolce, ma anche deciso, e stava imparando piano piano a farsi rispettare da Francesco, che si stava evidentemente affezionando a lui.

 

“In dosi moderate sì, e poi… dopo tutto quello che ho mangiato e bevuto fino a mo. E comunque, una volta che il piccoletto dorme… potremmo festeggiare… che ne so… in bagno o sul divano…” gli sussurrò, soffiandogli nell’orecchio e godendosi la pelle d’oca sul collo arrossato.

 

“Ma non sarà pericoloso per il bambino? Che ti ha detto la dottoressa?”

 

Le venne da alzare gli occhi al soffitto: Calogiuri le avrebbe fatto una capa tanta per tutti i restanti mesi, sarebbe stata una gravidanza infinita, già lo sapeva.


“Mi ha detto che devo evitare posizioni pericolose, quindi magari la lavatrice ed il risparmio energetico classico dobbiamo accantonarli per un po’, ma per il resto con moderazione si può fare, almeno fino all’amniocentesi, poi potremmo anche essere più liberi e-”

 

“E allora non è meglio non rischiare? Quanto manca all’amniocentesi?”

 

“Sette settimane, Calogiù, sette settimane. Altro che nove settimane e mezzo!”

 

Lo vide prendere un grande respiro e poi sorriderle, “facciamo così: per stasera ci riposiamo, dottoressa, poi… vedo di studiare qualcosa che non provochi niente al bambino, va bene?”

 

“Basta che provochi qualcosa a meEEE” provò a prenderlo in giro, ma si trovò travolta da un assalto di solletico sulle braccia e sulle gambe - niente alla pancia, ovviamente, mannaggia a lui! - mentre Francesco, aggrappato alla schiena di Calogiuri, rideva divertito, quasi quanto lei.

 

La sua, anzi la loro famiglia.

 

Ed erano soltanto all’inizio.




 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qua non solo alla fine di questo capitolo, ma anche al punto che so essere stato tanto atteso da molti di voi. Scriverlo non è stato affatto semplice, perché dopo tutte le aspettative mi è venuta un po’ di ansia da prestazione, quasi peggio di Mancini con Mariani nel capitolo scorso, e spero sia stato almeno in parte all’altezza della lunga, lunga attesa. Ovviamente la storia non è finita qua, non solo perché dobbiamo vedere come andrà questa gravidanza ma perché ci aspettano ancora diversi colpi di scena, la fine della parte gialla oltre che di quella rosa. Voglio inoltre rassicurare chi non amasse molto i bimbi, le storie su pargoli o su gravidanze, che questa fanfiction da qua alla fine non si trasformerà in una succursale di un corso di ostetricia o ginecologia. Insomma, l’argomento verrà trattato, ma ci sarà molto, molto altro e ne sarà solo una componente, per quanto indubbiamente avrà un ruolo nella narrazione e delle conseguenze negli sviluppi di trama.

Detto questo, spero appunto che la storia continui a piacervi e ad appassionarvi, vi ringrazio tantissimo per averla ed avermi seguita fin qui, per i messaggi di supporto, per le vostre domande, sì anche per le famose “minacce” ;), sperando di non fare la fine dell’autore di Misery :D.

Un grazie enorme a chi mi ha lasciato una recensione e vi ringrazio tantissimo fin da ora se vorrete farmi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e di come prosegue la narrazione.

Un grazie particolare anche a chi ha messo questa storia nelle preferite o nelle seguite.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 31 luglio, in caso di ritardi vi farò sapere sulla pagina autore.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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