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Autore: Carme93    18/07/2022    0 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo diciottesimo
 


 
Propositi per il nuovo anno
 




«Mi raccomando, eh… Vedete di fare i compiti e di non giocare tutta la mattina».
«Stia tranquilla, signora» replicò con un sorriso enorme Teddy, immediatamente imitato da Laurence.
«Come no» sbuffò la signora. «Quando torno, mi farete vedere quello che avete fatto».
Laurence alzò gli occhi al cielo e Teddy gli diede una gomitata.
«Ci vediamo più tardi».
«Buona giornata, signora Landerson».
«Ciao, mammina».
«Ciao, mammina?» gli fece il verso Teddy appena furono soli.
«Che c’è?».
«Un manuale su come non farsi scoprire… ecco che cosa ti farà diventare ricco».
«Perché no? Potrei scrivere un manuale su come combinare guai a Hogwarts senza farsi beccare».
Teddy roteò gli occhi e decise di chiudere lì la questione.
«Ehi, conosci qualcuno migliore di me?».
«Mio zio George…».
«Ma lui è un genio, non conta».
«Il mio padrino».
«Lui è Harry Potter, la passava liscia solo per questo».
«I primi Malandrini».
«Loro si facevano beccare».
«La loro bravura è insindacabile».
«Sicuramente, su questo siamo d’accordo» convenne Laurence buttandosi sul divano e afferrando il joystick.
«Fermo lì».
«Oh, dai, non vorrai studiare veramente?».
«Dovremo fare qualcosa. Tua mamma manterrà la promessa» ribatté Teddy. «E comunque siamo qui per pianificare».
«Facciamo una partitina prima».
«Mi vergogno di te!» sbottò Teddy. «Da quando la play è più importante di dare una lezione ai Serpeverde?».
«Siamo in vacanza» si strinse nelle spalle il Grifondoro.
«Appunto, dobbiamo prepararci! Appena possibile incontreremo anche Charlie».
Laurence lo fissò con attenzione, passandosi il joystick tra le mani.
«Che c’è?». Teddy ricambiò lo sguardo, confuso per l’improvvisa serietà dell’amico.
Il Grifondoro sospirò: «Tu non sei così».
«Così come?».
«Così» insisté Laurence allargando le braccia. «Tu non pianifichi scherzi».
Teddy si strinse instintivamente nelle spalle. Forse Laurence aveva ragione: a settembre non l’avrebbe mai pensata in quel modo e non avrebbe cercato di trascinare l’amico in piani assurdi che avrebbero portato solo guai. Eppure sentiva di doverlo fare, che fosse giusto o sbagliato. Indipendentemente dalle minacce della professoressa McGranitt. Sedette sul divano accanto a Laurence e strinse le mani a pugno. «Comprendimi. Lo devo fare».
«Per quello che Dolohov ha detto sui tuoi genitori?».
«Ti pare poco?».
Laurence scosse la testa. «Non devi permettergli di avere tutto questo potere su di te».
«Questa te l’ha detta Diana».
«Non è vero! Ho una testa».
«Sì, certo».
«Beh, non ha importanza se l’ha detto Diana o se l’ho detto io. Cosa cambia?».
Teddy sollevò gli occhi al soffitto e si accasciò sul divano. Non faceva alcuna differenza: Dolohov stava condizionando la sua vita e questo non gli piaceva.
Laurence gli lanciò il secondo joystick. «Partita».
Questa volta il Tassorosso non si lamentò. I suoi piani di battaglia e i compiti potevano ancora aspettare, in fondo Laurence aveva ragione: erano in vacanza.
 
 
 
*
 
 
 
Mark strinse con forza il piumone colorato e si guardò intorno: per l’ennesima volta nel giro di pochi mesi era in un posto a lui sconosciuto. Questa volta, però, a differenza di Hogwarts, non comprendeva proprio se fosse positivo o meno. Dopo undici anni aveva conosciuto il nonno paterno ed era andato a vivere da lui per le vacanze. Il tutto dopo essere scappato di casa. Gli strinse lo stomaco al pensiero che da lì a una settimana avrebbe dovuto rivedere i suoi fratelli.
Sicuramente non poteva lamentarsi: suo nonno gli aveva comprato dei vestiti nuovi, materiale di cancelleria tutto suo, un calderone – Lumacorno avrebbe avuto un motivo in meno per rimproverarlo –, e, soprattutto, una bacchetta magica. Una bacchetta nuova. Tutta sua. Ancora non riusciva a crederci.
Eppure percepiva uno strano senso di vuoto al petto, probabilmente perché fino a qualche giorno prima aveva profondamente sperato che suo padre gli volesse bene. Un po’ come succedeva nei film o nei romanzi. Tutti trovavano una famiglia alla fine. E lui? A questo punto era particolarmente confuso. E, soprattutto, avrebbe preferito tornare a Hogwarts e trovarsi al sicuro nella sua stanza dai gialli patchwork.
«Mark, sei pronto? Sono arrivati gli ospiti».
Il ragazzino si voltò verso il nonno, che era un uomo alto e imponente. I suoi capelli erano corti, quasi rasati tanto da sembrare più un Auror in pensione che un magistrato.  
«Sì» mormorò. Non sapeva nemmeno come chiamarlo. Nonno? Lo conosceva solo da pochi giorni, molti dei quali li aveva trascorsi al San Mungo.
Il nonno lo osservò, anzi analizzò, come per assicurarsi che fosse in ordine. Non voleva fare cattiva figura con i suoi amici? Mark sarebbe rimasto volentieri in quella stanza, che non riusciva a sentire sua. Troppo poco tempo? In fondo vi aveva dormito solo per una notte, no? Eppure tutto sembrava così sfuggente e provvisorio. Quell’incertezza lo attanagliava.
«Questo cos’è?» chiese Barnabas Becker, prendendo tra due dita il vecchio libro di Storia della Magia che il nipote aveva appoggiato sul letto.
«Il mio manuale di Storia della Magia» rispose sommessamente Mark, timoroso di farlo arrabbiare in qualche modo.
Il nonno lo sfogliò criticamente – le pagine erano per lo più staccate o incollate malamente con lo scotch – e la sua espressione divenne sempre più disgustata.
«Tu vai a Scuola con questi libri?».
Mark strinse le mani tra loro e rispose a bassa voce: «Non tutti».
«Perché non me l’hai detto?». Era infastidito.
Il ragazzino evitò lo sguardo del più grande e borbottò una risposta: «Si leggono».
«Vieni giù» disse – sembrò quasi un ordine dal tono ˗ il nonno, probabilmente stabilendo che non avesse alcun senso insistere sull’argomento.
Mark lo seguì docilmente e per un attimo i suoi occhi caddero sul loro riflesso in un vecchio specchio sull’anta dell’armadio. Un ragazzino minuto dal volto pallido, vestito elegantemente, ammiccò verso di lui.
Chi era?
 
Al piano di sotto, in un fine salotto che fino a quel momento aveva solo sbirciato, sedevano alcuni signori ben vestiti. Mark si bloccò sulla soglia. Non sembravano cattivi, pochi secondi prima del loro arrivo stavano ridendo e conversando tranquillamente, ma vedendoli si erano zittiti e si erano voltati verso di loro.
Barnabas appoggiò un braccio sulle esili spalle del nipote e lo spinse delicatamente all’interno.
«Vi presento Mark».
Il ragazzino sorrise e strinse debolmente le mani di quei signori. Per quello che comprese i due uomini e una delle signore erano stati giudici del Wizengamot proprio come il nonno ed erano tutti ex Corvonero. Le altre due donne, mogli dei due giudici, gli ricordarono la fragilità e la delicatezza di Charis, ma avevano anche un che di maestoso nella loro compostezza.
Fortunatamente, dopo le presentazioni, l’attenzione degli adulti si spostò da lui e gliene fu profondamente grato. Giochicchiò con un cuscino finché Bay, l’elfo di casa, non servì loro l’aperitivo. Il suo sapeva di frutta e aveva un colore più intenso rispetto a quello degli adulti. Il gusto era molto buono. Osò osservare i presenti. Erano così tranquilli e sembravano conoscersi da sempre che non potevano essere semplici colleghi di lavoro. Suo padre non parlava mai dei suoi. Beh, lui non parlava nemmeno del suo lavoro, eppure presso la Divisione Bestie dovevano esserci missioni interessanti, almeno qualche volta, non solo scartoffie da firmare e compilare. Suo padre non aveva mai parlato nemmeno del nonno e il nonno non era mai andato a trovarli. Che cos’era successo tra loro? Forse al nonno non piaceva che il papà avesse sposato una babbana?
Le sue riflessioni furono interrotte da una nuova apparizione di Bay che invitò tutti a recarsi in sala per la cena. Un enorme tacchino torreggiava al centro della tavola rivestita da una tovaglia rossa. Mark quasi ebbe paura di sedersi con il rischio di rovesciare uno dei tanti calici di vetro. Sembrava quasi di essere in una fiaba.
Il tacchino era ripieno di salsa ai mirtilli, che suscitò non pochi ricordi ai presenti.
«Ricordi quando hai provato a cucinarla tu?» ridacchiò il signor Robert Knarl rivolto all’unica signora da sola, Lucretia Turings.
La donna storse la bocca, poco divertita dalle risatine degli altri. «Non ho mai preteso di avere alcuna capacità culinaria» replicò, portando alla bocca una forchettata di tacchino con incredibile eleganza.
Quella sera Mark si rese conto di non trovare altri aggettivi che si addicessero alla signora Lucretia. In lei sembrava tutto perfetto. Quasi una regina. Che fosse imparentata con la famiglia reale? Gli altri man mano che procedette la serata divennero più umani: il signor Robert e il signor Humbert ebbero diverse crisi di risatine, probabilmente a causa del vino. Persino il nonno aveva il viso arrossato!
Dopo cena, si spostarono nuovamente tutti in salotto dove Bay servì il Christmas Pudding. A Mark non piaceva, ma il nonno lo sollecitò a mangiarne almeno un po’. La signora Lucretia s’intromise e raccontò la storia delle monetine portafortuna.
«Con tuo nonno, però, non vale» intervenne il signor Hubert.
«Già, fa mettere a Bay tutti gli spiccioli che ci sono in casa» aggiunse il signor Robert.
«Non è spilorcio come te» borbottò la moglie di quest’ultimo ridacchiando con l’altra signora.
«A modo suo vorrebbe aiutare la fortuna» affermò con gravità la signora Lucretia.
Mark non capì se la signora lo considerasse qualcosa di buono o meno, così come ancor meno comprese lo sguardo che lei e il nonno si scambiarono. Comunque non impiegò molto a trovare la sua monetina e, con sua grande sorpresa, Bay gli servì un budino al cioccolato.
Si rigirò la monetina tra le mani, mentre il nonno e i suoi amici sedevano intorno a un piccolo tavolino rotondo e iniziavano a giocare a poker.
«Dovresti insegnare come si gioca a Mark».
Il ragazzino si mosse leggermente dalla sua posizione, quasi speranzoso, ma il nonno scosse la testa: «I bambini non giocano a poker».
Mark cercò di nascondere la delusione e si dedicò al suo budino.
Dopo un paio di partite, la signora Lucretia disse: «Forse ora dovremmo fare giochi per bambini, non è molto educato da parte nostra escludere Mark».
Barnabas annuì e indicò a Mark una delle ante in basso del mobile a muro. «Vedi lì sotto, Mark. Prendi un gioco che ti piace».
Il ragazzino sorpreso e titubante seguì le sue istruzioni, mentre Humbert esclamava: «Per le mutande di Merlino, non mi dire che ancora li conservi? Mia moglie ha fatto piazza pulita».
«Ai ragazzi di oggi non piacciono i giochi vecchi, ma quelle diavolerie babbane» borbottò la signora chiamata in causa. «E poi andiamo noi negli Stati Uniti a trovare i bambini».
A Mark interessavano ben poco quei commenti: quel mobile sembrava il paradiso! Era diviso in tre scomparti ed erano strapieni di giochi da tavola, magici e babbani. Non riusciva a crederci. SparaSchiocco, Carte Autorimescolanti, un sacchetto di gobbiglie, una bellissima scacchiera in legno, scarabeo, taboo, Once Upon a Time (non lo conosceva nemmeno, ma dalle spiegazioni sembrava fortissimo), e molti altri. Dopo un momento d’indecisione prese il mazzo di SparaSchiocco e un po’ trepidante raggiunse il tavolino attorno al quale si erano radunati gli adulti.
«Oh, è una vita che non ci gioco» esclamò il signor Robert, ma non appariva dispiaciuto.
Con grande sorpresa di Mark nessuno si lamentò della sua scelta e giocarono insieme fino a pochi minuti prima della mezzanotte, quando il nonno lo invitò a riporre le carte e Bay portò dei bicchieri per lo spumante. La signora Lucretia sedette sullo sgabello di un pianoforte, che Mark non aveva nemmeno notato. La osservò rapito mentre sollevava il coperchio e scopriva i tasti bianchi e neri, ma soprattutto lo colpì la danza delle sue dita lunghe e sottili sulla tastiera all’altro allo scoccare della mezzanotte.  Suonava senza aver bisogno dello spartito. Era bravissima.
Mark riconobbe la canzone, perché alla scuola babbana l’avevano cantata qualche volta, “Auld Lang Syne”.
Le voci dei presenti si levarono accompagnando quella fine e delicata della signora Lucretia.
Dopo il brindisi si divisero in piccoli gruppetti, e quest’ultima sedette accanto a Mark. «Ti è piaciuta il brano?».
«Sì, moltissimo».
«Sai che è stato tratto da un poema dello scrittore scozzese Robert Burns e che risale al 1788».
«No». Mark scosse la testa leggermente.
«É una specie d’inno all’unità, la riconciliazione e il coraggio di guardare al futuro».
 
Quella notte, quando andarono a letto, Mark non ebbe quasi difficoltà ad addormentarsi. Per la prima volta da giorni.
 
 
 
*
 
 
 
«Benji, hai capito?» ripeté per la millesima volta Michelle.
Enan li fissava nervosamente.
Il più piccolo sbuffò. «Sì, Mich! Devo controllare che nessuno dei grandi salga su».
«E se succede?».
«Vi avverto».
«Bravo» approvò Michelle.
«Dai, andiamo» la sollecitò Enan. Era il primo gennaio e forse finalmente avrebbe trovato una risposta alle sue domande.
Avevano pianificato tutto nel dettaglio nei giorni precedenti e avevano deciso che sarebbe stato meglio attuare il loro piano proprio quel giorno, perché i genitori di Michelle sarebbero stati impegnati a intrattenere gli amici invitati per festeggiare il nuovo anno.
Benjì trascinò alcuni cuscini vicino alla porta, che separava il salotto dal corridoio in cui si trovavano le scale che portano al piano superiore, e svuotò una scatola di costruzioni.
Enan e Michelle si scambiarono un’occhiata e si diressero al piano superiore. Qui regnava il silenzio, a eccezione di qualche eco di risate provenienti dal salone. Lo studio dello zio era in penombra a causa delle persiane socchiuse, ma era perfettamente in ordine come di consueto.
«La chiave dovrebbe essere in uno dei cassetti» sussurrò Michelle, avviandosi verso la scrivania. La bambina impiegò qualche secondo a rovistare, ma poi ne emerse con una chiave di ottone in mano. «Eccola».
Enan era sempre più nervoso e la osservò correre verso il mobile a muro di fronte a loro. Avrebbero trovato quello che desiderava? E poi? Stava sbagliando? Teddy gli aveva detto tante volte di parlarne con sua madre e suo nonno. Eppure lui aveva scelto di non accettare quei consigli e aveva persino deciso di scambiarsi con Thomas.
«Vieni o no?» lo chiamò Michelle.
Il ragazzino si riscosse e la raggiunse, mentre lei tirava fuori una serie di cartelle di carta. Ognuna di esse era etichettata con un nome di un membro della famiglia. Michelle appoggiò sul pavimento quella di Thomas. Enan lanciò uno sguardo alla porta, ma era ancora tutto silenzioso.
«Sei pronto?».
Enan avrebbe voluto negare: aveva veramente paura di scoprire la verità. Deglutì e annuì. Non poteva tornare indietro. S’inginocchiò accanto a lei e l’aiuto a distinguere il certificato di nascita tra gli altri documenti.
«Ecco dev’essere questo» disse fermando la cuginetta.
Entrambi chinarono la testa.
«Madre. Lilias McFusty» lesse Michelle. Era scritto nero su bianco sul certificato di nascita di Thomas.
Cercarono ancora, ma quello di Enan non c’era.
Thomas era suo fratello. Il suo gemello. Per qualche motivo, però, i Mulciber avevano deciso che solo Thomas doveva esistere.
Michelle gli disse qualcosa che Enan non comprese, allora la bambina rimise tutto in ordine e delicatamente lo prese per mano conducendolo via da lì.
«Per quello che vale, sei più simpatico di Thomas».
Enan non le rispose.
 
*
 
Charis sorrise alla vista di alcuni dei suoi amici riuniti nel suo salotto. Le dispiaceva per gli altri, ma suo zio era stato categorico sulla necessità di non invitare babbani a causa di vecchi artefatti magici disseminati per la villa.
«Comunque è fantastico» esclamò Charlie allungando le gambe sul tavolino di fronte. «In assenza di tuo zio, sei l’unica padrona qui. A casa mia c’è sempre qualcuno che mi ordina che cosa fare».
«Giusto. Potresti dare anche una super festa» aggiunse Zoey.
Charis sgranò gli occhi.
«Non credo» intervenne Shawn in suo aiuto. «Suo zio torna a casa prima o poi, non abita da sola qui».
«E immagino che se lei facesse una cosa del genere, non la lascerebbe più sola» soggiunse Teddy scuotendo la testa.
«Potremmo provare» ridacchiò Laurence.
«No» affermò Charis con voce più alta del solito.
«Stiamo scherzando» la rassicurò Charlie. «Per chi mi hai preso? Per Matilde Gould? Una festa, io? E magari impazzirei per vestirmi elegante? Per non essere vestita come le altre? Neanche per sogno».
Il discorso proruppe come un fiume in piena, segno che la ragazzina non fosse così estranea a quel mondo che descriveva con così tanto disgusto; purtroppo nell’enfasi non si accorse dell’espressione dispiaciuta che passò sul volto di Zoey nell’esatto momento in cui pronunciava quelle parole.
«Sicuramente siamo qui per altro» intervenne Laurence. «O io e Teddy non saremmo certo venuti a parlare di trucchi».
«Giusto. Ordine del giorno numero 1» riprese più calma Charlie. «Informazioni su Mark e la sua famiglia».
«Il mio padrino non vuole dire nulla. Dice che non sono affari nostri» borbottò Teddy ancora contrariato.
Charlie scosse la testa. «È diventato un adulto».
«Toccherà anche a noi» le ricordò Teddy roteando gli occhi.
«No se troverò un modo di evitarlo».
Tutta la fissarono, ma considerarono meno pericoloso non indagare in merito.
«Shawn?». Charis si rivolse speranzosa all’amico, ma il Grifondoro scosse la testa dispiaciuto.
«Mi dispiace, appena i miei genitori hanno scoperto perché chiedessi queste informazioni si sono rifiutati di rispondermi».
«Che scemo» commentò Charlie.
«Non è colpa sua» cercò di difenderlo Charis.
«Non si dice mai la verità agli adulti» intervenne Zoey, felice di essere nuovamente d’accordo con Charlie. «È una regola base».
«Nessuno ha scoperto qualcosa?» chiese Teddy per evitare la discussione che sicuramente sarebbe scoppiata.
Tutti negarono. Charlie e Zoey lanciarono un’occhiata sprezzante a Shawn, che le ignorò.
«Secondo ordine del giorno: pianificazione scherzi. Materiali?».
«Mio zio George mi ha regalato uno dei suoi kit».
Charlie sgranò gli occhi.
«Ti prego non sbavare» borbottò Teddy.
La ragazzina lo ignorò e si gettò sullo scatolone che il compagno aveva posto sul tappeto. «Pasticetti svenevoli, fondenti febbricitanti, pasticche vomitose, torroni sanguinolenti».
«Sembri zio Paperone in mezzo alle sue monete» ridacchiò Laurence, ma, fu costretto a spiegare la citazione a Charis e a Charlie.
«Non vedo l’ora di usarli a Scuola».
«Chi ti dice che te li darò?».
«Non oseresti» sibilò Charlie.
Teddy sollevò un sopracciglio.
«Non puoi farci la morale, Teddy» intervenne Zoey. «Anche tu vuoi continuare la guerra contro i Serpeverde nonostante gli ordini della McGranitt».
Un silenzio teso seguì quelle parole.
«Siete sicuri di volerlo fare?» mormorò Shawn.
«Che c’è? I Grifondoro non sono coraggiosi di solito?» lo provocò Charlie.
«Essere coraggiosi non significa essere stupidi» ribatté Shawn.
«Noi saremmo stupidi?!» saltò su Charlie subito imitata da Zoey.
«Smettetela» le richiamò Laurence annoiato. «Perché dovete fare sempre scena? Siamo tutti qui, no? Ce l’abbiamo tutti con i Serpeverde».
«Ragazzi, seriamente, non dovete sfidare la McGranitt» insisté Shawn.
Charlie roteò gli occhi. «Di che hai paura?».
«Io niente. Lo dico per voi» replicò Shawn. «Dopo la guerra la politica è stata quella di promuovere la solidarietà tra le Case. Né la Preside né gli altri professori vi permetteranno di continuare la vostra guerra. Finirete in guai seri».
«Ma per favore» sbottò Charlie, «e perché nessuno fa nulla per McBridge? Bullizza gli studenti e non mi sembra che qualcuno gli abbia tolto il posto e lo stipendio. Noi facciamo solo giustizia».
Charis era sempre più pallida e si fissava le dite delle mani. Laurence e Teddy avevano assunto un’espressione dura. Zoey annuì alle parole dell’amica.
«Davvero, Shawn, è solo giustizia» affermò convinto Teddy.
Il Grifondoro più grande scosse la testa. «Siete dei ragazzini, la colpa ricadrà su di voi».
«Vattene» sibilò Charlie. «Non sei il benvenuto».
«Charlie!» sbottò Charis alzandosi in piedi. «Non è vero!».
Nessuno degli altri la sostenne.
Shawn sbuffò. «Non ti preoccupare, Charis. Ci vediamo domani». Poi aggiunse rivolto agli altri: «Io vi ho avvertito».
Charis lo seguì all’ingresso e si scusò più volte.
«Non ti fare trascinare» mormorò Shawn. «McBridge è insopportabile è vero, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciarlo. Quelli con cui se la prende hanno troppa paura. Sono veramente figli o nipoti di Mangiamorte e pensano che debbano vantarsi di questo o che sia una colpa da espiare».
«Ma non è giusto! Siamo solo ragazzi».
«Già, ma sono eredità pesanti».
Charis distolse lo sguardo, perché gli occhi le si erano riempiti di lacrime. «Io non voglio avere voti alti perché mio padre era un Auror e…».
«Hai ragione» concordò Shawn. «Non è giusto, ma non è attaccando i Serpeverde che risolverete il problema, anzi».
Charis annuì distrattamente e chiese: «Dovremmo attaccare direttamente McBridge?».
Shawn sgranò gli occhi. «Sei pazza? È pur sempre un professore!».
«E allora? Dobbiamo subire in silenzio?» insisté asciugandosi una lacrima che le era colata lungo la guancia.
«No» sbottò Shawn dispiaciuto dalla piega che aveva preso quella conversazione. «Io… Penso che dovremmo parlarne con il professor Paciock».
«Il direttore di Grifondoro?».
Shawn si strinse nelle spalle. «Beh, non so se Vitious capirebbe».
Charis non ne aveva la minima idea. «Perché è vecchio?».
«Non lo so» borbottò il ragazzo. «Di solito Paciock ci ascolta».
La Tassorosso non seppe che cosa replicare e i due si salutarono.
Charis sospirò e appoggiò le spalle alla porta d’ingresso. Chi aveva ragione? Shawn o Charlie?
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
Zoey si specchiò e approvò la sua immagine. «Sono pronta» disse rivolta a Charlie, che si era stravaccata sul letto dell’amica con l’intenzione di capire come funzionasse il Nintendo.
«Un attimo».
«Charlie!».
«Ma questi Pokémon…».
Zoey sollevò gli occhi al cielo. «Più tardi».
«È assurdo che non si possano usare questi aggeggi a Hogwarts» borbottò Charlie appoggiando il Nintendo sulla scrivania. «Dove andiamo?».
«Al centro commerciale. Chris ha detto che si sarebbero viste tutte lì oggi pomeriggio. È una nostra tradizione: il primo giro dell’anno con gli sconti».
«Capito» replicò Charlie. «Hai una passaporta?».
Zoey si accigliò e poi le sorrise in modo malandrino. «Prenderemo l’autobus naturalmente».
«Mmm come il Nottetempo?».
«Cos’è il Nottetempo?» ribatté Zoey, mentre si stringeva al petto il cappotto bordeaux per proteggersi dal freddo di gennaio.
Charlie glielo spiegò brevemente.
«Una specie, solo meno spettacolare» replicò allora Zoey.
Le due ragazze percorsero il breve tratto che le separava dalla fermata. Non attesero molto l’autobus per Londra.
Zoey tentò di descrivere all’amica tutte le zone che attraversarono prima di raggiungere il Westfield Stratford City.
«È uno dei più grandi d’Europa, ci credi?».
Charlie si guardò intorno smarrita: si sentiva un puntino. Era difficile trovare posti così grandi nel mondo dei maghi. Al massimo uno stadio da Quidditch, ma nemmeno lì aveva mai provato la stessa sensazione.
Zoey per conto suo era troppo eccitata all’idea di poter condividere con l’amica quel posto, probabilmente ancor di più che per la vendetta pianificata ai danni delle ex amiche.
«L’appuntamento è da Prada». Se avesse detto qualsiasi altro nome per Charlie sarebbe stato lo stesso, non per nulla la ragazzina si limitò ad annuire. «Siamo arrivate in anticipo. Sicuramente loro saranno accompagnate dalla madre di Sam, che adora lo shopping».
«Non mi avevi detto che ci sarebbe stata la madre».
«Non ci sarà. Le lascerà all’ingresso e andrà con le sue amiche».
«Mmm ok».
Zoey la prese per mano e quasi la trascinò da Prada. Avrebbe tanto voluto che anche Charlie si entusiasmasse di fronte a tanta bellezza, ma la ragazzina sembrava più che altro sconvolta dalla folla e da tante novità.
«Ma a quanti galeoni corrispondono duecento sterline?» chiese Charlie fissando criticamente il cartellino attaccato a una borsa.
«Boh. Non toccare, però, la commessa ci guarda male».
«Ma tu compri qui di solito?».
«Qualche volta».
Charlie si accigliò ma non commentò.
«Non possiamo fare lo scherzo qui, lo sai, vero?».
«Non sono stupida» replicò Charlie.
«Eccole». Zoey sgranò gli occhi e tirò l’amica dietro una serie di manichini particolarmente eleganti. Una stretta di nostalgia le strinse lo stomaco e tentò vanamente di scacciarla. Nonostante provasse questa strana sensazione, lei e Charlie seguirono le altre ragazzine in vari negozi.
«Anche i Babbani sono ricchi, eh» borbottò Charlie dopo che Sam e le altre comprarono diversi capi da Abercrombie.
«Ci sono gli sconti».
«Costano un sacco… se non ho sbagliato i calcoli».
Zoey sollevò le spalle. «I soldi sono dei nostri genitori».
«È una risposta degna di Matilde Gould» buttò lì Charlie.
Zoey ne rimase ferita, ma non ribatté.
Il loro pedinamento terminò soltanto quando giunsero al McDonald’s.
Avevano vagliato diverse possibili vendette, la più divertente prevedeva offrire alle traditrici delle mou mollelingua, ma sarebbe stato pericoloso. Alla fine avevano optato per qualcosa di molto più banale.
Charlie e Zoey presero da un tavolo due bottigliette, una di ketchup e una di senape, e si avvicinarono alle altre. Chris appena le vide impallidì e si allontanò. Le altre impiegarono qualche secondo a comprendere. Sam fu la prima a riprendersi.
«Che cazzo fai?» sbottò.
«Mi avete voltato le spalle, nonostante io abbia provato a dirvi la verità» quasi strillò Zoey. Il loro abbandono l’aveva ferita terribilmente. «Siete delle stronze e non avrei mai dovuto donarvi la mia amicizia! Sono andata in collegio? Sì. Ho provato a spiegarvi come stavano le cose e voi mi avete voltato le spalle! Pensate che io sia stata contenta di andarmene a chilometri di distanza all’improvviso? Vi ho pensato un sacco! Vi odio!». Fece una pausa quasi sperando che loro si scusassero.
«Sei solo una bugiarda» proruppe Sam.
Zoey tirò fuori il ketchup, che aveva nascosto dietro la schiena, e spruzzò Sam per prima; Charlie fece lo stesso con la senape colpendo Dalila. Dopo un momento di sorpresa Sam si riprese e fu la prima a partire al contrattacco.
La baraonda durò probabilmente cinque minuti o ancora di meno. Furono divisi dagli addetti del fast food, che le scortarono fuori quasi di peso intimando loro di non farsi rivedere.
Zoey seppe che quella era la fine della loro amicizia.
Charlie le diede una pacca sulle spalle con la mano sporca di maionese e le sorrise incoraggiante.
   
 
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