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Autore: Xine    22/07/2022    7 recensioni
Hinata Hyuga avrebbe dovuto essere felice. Terribilmente, irrimediabilmente felice. Si odiava perchè era riuscita ad avere tutto e, nonostante ciò, si sentiva sola.
Sasuke Uchiha era stanco. Era stanco di quella vita che non gli apparteneva, di quel Villaggio opprimente, di quegli occhi verdi che chiedevano di più. Era stanco e voleva stare da solo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Hinata/Sasuke, Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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XII. 

 

Hinata osservò dinanzi a sè la natura incontaminata del parco di Konoha. Gli alberi iniziavano a tingersi di rosso e arancione, e i bambini, con le loro colorate giacchette dalle maniche lunghe, correvano in tutte le direzioni, dando vita a spirali arcobaleno. Un leggero venticello portò con sè un invitante odore di dango, proveniente, con tutta probabilità, dalla bancarella che costeggiava i cancelli d’ingresso. Normalmente, da rinomata golosa, non avrebbe resistito e si sarebbe concessa quel piccolo vezzo. Ma non quel giorno. Quel giorno qualsiasi cosa avrebbe avuto un retrogusto amaro.
Si era sempre ritenuta una kunoichi mediocre, certamente non alla pari delle sue coetanee. Sebbene fosse l’erede di uno dei più rinomati Clan del Villaggio, sebbene fosse portatrice di un letale kekkei genkai, per tutta la vita le era stato ricordato, da suo padre e dall’intera famiglia, di non essere abbastanza. Le persone che avevano sempre creduto in lei erano poche e si potevano contare sulla punta delle dita: i suoi compagni di squadra, Kurenai-sensei, e Naruto. 
Era a Naruto che doveva quella piccola spinta di sicurezza che l’aveva portata a sfidare l’odio di suo cugino Neji, senza arrendersi nemmeno davanti all’evidenza della sconfitta. Era a Naruto che doveva la sua riappacificazione con il cugino, il suo nindo. 
Lui, in qualche modo, l’aveva sempre vista. Come persona, come amica, come ninja. Poi, dopo anni di silenzio e cecità, finalmente come donna. 
Ora, però, tutto quello di cui era certa si stava lentamente sgretolando. Lui… non la vedeva più. E se prima aveva la fioca speranza di valere un po’ di più che come casalinga, dalla sera della sua partenza per l’ennesima missione diplomatica a Suna aveva perso anche quella.

 

“Sono così contento di rivedere Gaara!” 
Hinata scosse il capo divertita, contagiata dal suo entusiasmo, mentre piegava con maniacale cura gli indumenti da viaggio e li riponeva ordinatamente all’interno dello zaino.
“Verrà anche Shikamaru! - sghignazzò Naruto afferrando a casaccio calzini e boxer dal cassetto - Sembra proprio che non possa stare lontano dalla sua Temari!” 
Un sorriso le incurvò le labbra al pensiero di Shikamaru alle prese con la grintosa sorella del Kazekage. Kurenai-sensei le aveva confidato che, non appena ne aveva l’occasione, Shikamaru faceva in modo di prendere parte alle delegazioni inviate a Suna. Era un ragazzo discreto, ma la grandezza del suo sentimento era evidente agli occhi di tutti, specialmente nelle occasioni in cui al suo fianco compariva la kunoichi della Sabbia. Era felice per lui, per loro, la vita aveva tolto molto ad entrambi. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi invidiosa di come la lontananza e gli impegni non riuscissero ad incrinare il loro rapporto. Lei e Naruto vivevano nello stesso villaggio, sotto lo stesso tetto, e non avrebbero potuto essere più distanti.
Una volta le era capitato di sentir dire da un’anziana donna Hyuga che l’assenza attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva l’incendio*. Scosse il capo con rassegnazione. Avrebbe preferito non dover mai constatare la veridicità di quelle parole. Dentro di sé coltivava ancora la speranza che il loro non fosse un sentimento mediocre, ma soltanto un sentimento umano, soggetto alle fluttuazioni del tempo, della vita. Le cose sarebbero cambiate quando Naruto avrebbe assunto il ruolo di Hokage. Voleva crederci. Doveva crederci. 
“Finalmente un po’ di azione! Sono stanco di restare tutto il giorno seduto in ufficio!”  
Alzò lo sguardo verso di lui,  con consapevole amarezza.
Anche lei era stanca. Anche a lei mancava essere una kunoichi.  
Dal termine della guerra non aveva più preso parte ad alcuna missione, prima troppo occupata ad aiutare nella ricostruzione del Quartiere Hyuga, poi immersa nel volontariato tra l’ospedale e l’orfanotrofio. Quando il Villaggio aveva finalmente iniziato a rimettersi in sesto, Naruto l’aveva invitata ad uscire e ben presto suo padre, dopo un colloquio con Kakashi, le aveva suggerito, con ben poche alternative, di ritirarsi dalla vita ninja per evitare il pericolo che correva nella posizione di fidanzata dell’eroe della Grande Guerra, nonché futuro Hokage, e per assumere il ruolo di moglie e, un domani, madre.
Allora aveva accettato senza battere ciglio, così piena dell’amore di Naruto che nient’altro sembrava importare. Era certa che bastasse lui per essere felice. D’altronde non era fatta per essere una spietata assassina, odiava la violenza ed aveva ucciso il nemico solo quando strettamente necessario. Il più delle volte, per la verità, Shino o Kiba avevano terminato il lavoro per lei.  Ma le missioni di ricerca, o di scorta, persino le visite diplomatiche, beh quelle le piacevano. La facevano sentire utile, adeguata. E, in quel momento, ne aveva un bisogno disperato.
“Potrei riprendere a fare qualche missione” 
Nella stanza calò improvvisamente un silenzio teso.
Non avevano mai affrontato apertamente il discorso. Il suo abbandono delle vesti ninja era stato trattato come un fatto consolidato, che non richiedeva alcuna discussione. Fino a quel momento.
Dopo diversi istanti senza alcuna risposta da parte di Naruto, si decise a sollevare lo sguardo ed osservarlo. Si era fermato davanti all’armadio, il braccio fasciato teso a mezz’aria e le spalle rigide. Non riusciva a scorgerne il viso, ma era certa che se avesse potuto, avrebbe trovato quell’espressione seria che assumeva nelle cerimonie istituzionali.
“Hinata…”  
La sua voce carezzevole suonò come un primo campanello d’allarme. Ma aveva deciso. Non si sarebbe arresa, avrebbe lottato perchè aveva bisogno di fare qualcosa per sè stessa.
“Non farei niente di pericoloso! Le missioni di grado C vengono assegnate anche ai genin, cosa potrebbe mai succedere?” 
Il biondo sospirò rumorosamente, poi chiuse l’anta dell’armadio con disarmante lentezza e si voltò verso di lei. I suoi occhi azzurri erano velati di tristezza, man mano che le si faceva incontro poteva distinguere con maggior nitidezza la patina lucida che li adombrava. 
Sobbalzò leggermente quando le posò una mano sulla guancia e le fece un sorriso storto.  
“Hinata, so di chiederti molto-” 
“Starei attenta!” coprì la sua mano con la propria, stringendola piano in un gesto rassicurante.
“Non ne dubito, credimi…”  unì la fronte a quella di lei, chiudendo gli occhi in un’apparente riflessione.
“Io… ne ho bisogno, Naruto” 
Una fioca speranza aveva appena iniziato ad accendersi, quando Naruto si allontanò da lei, girandole le spalle. 
“Mi dispiace. Non posso permettertelo” scosse il capo.
“N-non puoi?!” lo guardò incredula.
“Non posso lasciartelo fare. Se ti capitasse qualcosa io…”  il biondo si passò una mano sugli occhi, come a voler cancellare una dolorosa immagine. 
“A Sakura lo avresti permesso” 
Non seppe nemmeno da dove fossero uscite quelle parole, ma certamente sembrarono colpirlo perché alzò la testa di scatto. Era ferito e sorpreso al contempo. Chiaramente non si aspettava un’osservazione così tagliente. Non da lei.
“Hinata...”
“Lo neghi?”
“Hinata-”
“Lo neghi si o no?!” 
Era la prima volta che alzava la voce con lui. Forse la prima volta che lo faceva nella sua vita, a dire il vero.
Naruto si zittì. Chinò la testa con aria colpevole e frappose tra loro un pesante silenzio.
"Perché a lei si?”
In mancanza di qualsiasi cenno di risposta, una vampata di rabbia le incendiò le viscere. Si avvicinò a lui a grandi falcate e lo afferrò per la maglia scuotendolo.
“Perchè a lei si?!” 
“Smettila” la pregò lui, cercando di calmarla e tirarla in un abbraccio.
“Rispondimi!” si dimenò nella sua presa.
“Hinata, basta! Calmati” 
“Voglio sapere perchè a lei lo avresti permesso!” urlò disperata, riuscendo a sciogliersi dal suo abbraccio.
“Perchè Sakura è diversa! Non ha bisogno di protezione!” sbottò esasperato.
Hinata si portò una mano al cuore, stringendo la stoffa leggera del vestito. Gli occhi pallidi si riempirono di dolorose lacrime, che, tuttavia, si impedì di piangere. Abbassò il capo con un sorriso spento, prima di voltargli le spalle e lasciare la stanza, incurante delle sue scuse sussurrate. 

 

Istintivamente la mano tornò al petto. 
Aveva sempre creduto - stupidamente - che il cuore si spezzasse con un suono deciso. Crac. Ma quel giorno scoprì che, invece, lo faceva in assoluto silenzio. Un silenzio così assordante da farti desiderare intensamente che un qualsiasi rumore ti distragga dal dolore. Un muto boato, così forte da far fischiare le orecchie e tremare il corpo.
Era ironico che a frantumarlo fosse stato proprio colui al quale lo aveva donato senza riserve, né timore.  
“Sei qui” 
Sobbalzò impreparata, voltandosi di scatto nella direzione da cui proveniva la voce. Sasuke, imponente e silenzioso, le riservò un'occhiata apparentemente distaccata. Una leggera ruga sulla fronte, tuttavia, ne tradiva l’irritazione. 
Aveva dimenticato che, come accadeva ormai ogni giorno, l’Uchiha sarebbe passato per l’ora del tè. Era un tipo abitudinario, si presentava sempre alla stessa ora - le diciassette - spaccando il secondo, e probabilmente la rottura di questa routine doveva averlo infastidito. 
“Mi dispiace, Uchiha-san” 
I suoi occhi ossidiana e viola la scrutarono intensamente, al punto tale da farle pensare che avessero il potere di scavare in profondità, troppo. Distolse lo sguardo, ricomponendosi sulla panchina e raccogliendo le mani in grembo. Con sua grande sorpresa, Sasuke prese posto accanto a lei. Non disse una parola, ma al suo cuore ferito il messaggio arrivò forte e chiaro: lui era lì.
C’era qualcosa tra loro, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Galleggiavano in una sorta di limbo tra l’essere meri conoscenti e l’essere amici. Troppo vicini per la prima ipotesi  e, al contempo, troppo distanti per la seconda. Era quasi come se fossero attratti uno all’altra dal desiderio di non essere soli nella propria solitudine, come se insieme potessero trovare un momento di pace in mezzo al caos calmo delle loro esistenze.
“Allora?” 
Hinata si voltò verso di lui lentamente. Sedeva composto, con lo sguardo fisso davanti a sé e l’unico braccio poggiato sullo schienale della panchina. 
“Cos’ha fatto stavolta?” 
Sakura è diversa! Non ha bisogno di protezione
Le mani si strinsero sulla stoffa dell’abito grigio, mentre il capo si abbassava per la vergogna e gli occhi riprendevano a pizzicare. Rimase in silenzio, mordendosi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare. Cercò di calmare il respiro, tentando di ricomporsi davanti a lui, volendo disperatamente evitare di risultare la patetica persona che tutti credevano che fosse, terrorizzata di deluderlo.
Non sembrò funzionare. Le lacrime le rigarono il viso e, prima di crollargli di fronte, prima di gravarlo di un altro dolore, un dolore non suo, scattò in piedi chinandosi in segno di saluto.
“P-perdonami Uchiha-san, h-ho scordato un im-impegno” 
Si allontanò da lui, dapprima a passo svelto, poi correndo, incurante di quello che la gente avrebbe mormorato. Voleva andare a casa, non aveva più la forza per tenere insieme i pezzi. 
Si mosse veloce e traballante tra le strade affollate del Villaggio, non agevolata dalla vista annebbiata dal pianto, ignorando la sincera preoccupazione di qualche ambulante. Arrivata a destinazione, aprì con mani tremanti il portone d’ingresso e fece per imboccare le scale, quando una presa decisa sul polso la trattenne. Non ebbe il tempo di sollevare lo sguardo e vedere in faccia l’autore di quel gesto. Nell’istante successivo si ritrovò premuta contro un petto solido, coperto da un leggero maglioncino nero che profumava di menta. 
Non servì altro per capire. 
“Uchiha-san” mormorò rigida, trattenendo il respiro e le lacrime.
Sasuke lasciò la presa sul polso, portando la mano all’altezza della sua nuca e facendo una lieve pressione per tirarla più vicino.
“Va bene, Hyuga. Piangi” 
E lei lo fece.
Un singhiozzo le scosse le spalle. Poi un'altro e un’altro ancora, fino a quando non rimase di lei che un pasticcio tremolante, saldamente aggrappato a lui come ad un'ancora di salvezza.
Così, in un pomeriggio di metà ottobre, l’abbraccio di Sasuke Uchiha impedì ad Hinta Hyuga di rompersi in mille pezzi.




*François de La Rochefoucauld


Carissime,
scusate l'assenza ma è stato davvero un periodo difficile per me. Cercherò di proseguire ma non so con che tempistiche, perdonatemi! Intanto vi ringrazio di cuore per le recensioni e la vostra fiducia. Siete meravigliose e vi sono immensamente grata del sostegno!
Vi abbraccio forte.

Xine
   
 
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