Nei giardini che nessuno sa
1. Paradiso
perduto
Kuchel era distesa su un fianco, la testa riposava sul
braccio. Stava guardando Noam, supino accanto lei. Aveva gli occhi chiusi e
sembrava dormire, ma lei sapeva che non era così.
Era innamorata di quel giovane nobile. Le aveva rubato il cuore fin da subito.
Nonostante il padre e la madre fossero due persone molto sgradevoli, Noam era
diverso.
Dopo che i suoi genitori erano stati assassinati in circostanze misteriose e
Kenny era sparito, si era ritrovata a dover lavorare. Purtroppo nella città
sotterranea, dove gli Ackerman erano stati costretti a rintanarsi per la
persecuzione che subivano da secoli, non c’erano grosse opportunità di impiego.
Kuchel però era stata fortunata: i Lobov(1) stavano
cercando manovalanza nel ghetto. Era piuttosto frequente che i nobili,
andassero nella città sotterranea a cercare forza lavoro, e le persone che
andavano a servizio da loro ottenevano un permesso per potersi spostare in
superficie. I Lobov volevano qualcuno che facesse tutte quelle faccende ingrate
che neppure la servitù si degnava di eseguire. Naturalmente, lei aveva
accettato subito.
Kuchel non era molto alta ed era molto magra, sembrava uno scricciolino, ma era
una Ackerman. Sebbene lei non conoscesse il segreto taciuto del suo lignaggio,
ne custodiva in sé la forza fisica e mentale. Era una ragazza determinata e
molto risoluta, oltre che dolce e ottimista.
I primi tempi erano stati duri. I Lobov erano davvero incontentabili. Sembrava
provassero gusto a tormentare le persone che lavoravano per loro, ma lei non se
ne preoccupava, cercava di farsi scivolare tutto addosso. Quel lavoro era
troppo importante. All’epoca aveva diciassette anni e aveva tutto l’entusiasmo
e la speranza che si può avere a quell’età. Era pronta a mangiarsi il mondo, ma
non poteva sapere che, invece, il mondo, si sarebbe mangiato lei.
Un giorno che era stata pesantemente redarguita dalla signora e si era pure
presa un sonoro ceffone, mentre era nelle stalle per ripulirle dallo sterco di
cavallo, si lasciò andare ad un pianto sommesso. Pensava di essere sola. Invece,
poco distante, insieme al suo destriero, c’era anche Noam. Il ragazzo le si
avvicinò gentile, le porse un fazzoletto per asciugarsi gli occhi e si scusò da
parte di sua madre, lasciandola senza parole.
Era l’unico figlio maschio dei Lobov, l’erede della casata. Nonostante fosse
ricco e molto attraente era un ragazzo piuttosto introverso. Non amava la vita
frivola dei suoi coetanei: anzi, a dire il vero ne disertava proprio la
compagnia, e per questo era la disperazione del padre.
L’amore tra Kuchel e Noam sbocciò come una fioritura in primavera. Erano giovanissimi:
lei appena diciassette anni, lui diciannove.
Vivevano di incontri fugaci, baci rubati, mani che si cercavano in segreto. I
loro erano sogni tanto belli, quanto impossibili, custoditi in segreto dietro
notti stellate.
Proprio come quella sera, che si erano ritrovati dietro le scuderie, distesi
sull’erba profumata d’estate. I grilli cantavano e le lucciole apparivano e
scomparivano, rendendo magico il manto scuro della sera.
«Kuchel» disse Noam girando la testa verso la ragazza
e indagandola con quegli occhi nocciola, così grandi e così intensi.
«Voglio sposarti» e le sorrise, illuminando quella giovane notte appena
iniziata.
Quel momento sarebbe rimasto per sempre impresso nella mente e nel cuore di
Kuchel, come uno tra i ricordi più belli e ricorrenti della sua triste storia.
Un momento che sarebbe potuto tramutarsi in una vita meravigliosamente normale,
ma che invece era destinato ad essere solo la sanguinante nostalgia di un miraggio
audace.
*
Kenny ci aveva messo un po’ di tempo a rintracciare sua
sorella.
Improvvisamente un giorno era sparita senza dire una sola parola.
Non che i due fossero molto vicini, tra loro c’erano state delle incomprensioni, come le definiva lui, ma
non poteva tollerare che si fosse dissolta come inghiottita dal nulla,
sfuggendo al suo controllo. Questo lo aveva indotto a vestire i panni del
fratello maggiore per prenderla e riportarla a casa, soprattutto perché si
occupasse del nonno. Lui di certo non voleva farlo.
Fu il caso a farli incontrare per le strade della città sotterranea. Era
mattina, anche se in quel posto umido e buio che sapeva di muffa, ogni ora era
caratterizzata dalla solita penombra, a meno che non ci si trovasse vicino ad
un’apertura di quella immensa grotta, che si trovava direttamente sotto la
capitale Mitras.
Kuchel non si accorse subito del fratello, lui sì. La vide avanzare. Era più formosa
di come la rammentava. Indossava un abito lungo con un corpetto che ne
enfatizzava il seno, che sembrava improvvisamente prosperoso. I capelli erano
ancora più lunghi dell’ultima volta che si erano visti: corvini e lucenti. Il
viso appariva stanco, gli occhi cerulei infossati. Poi si accorse del ventre arrotondato.
Kuchel non era mai stata così in carne, proprio per questo quell’addome prominente
catturò la sua attenzione.
«Ti sto cercando da un sacco di tempo, dove ti eri
rintanata?» le chiese adirato, rivelandosi.
«A fare la mia vita. Lontano da te» gli rispose criptica, dopo un primo momento
di sorpresa per esserselo ritrovato davanti senza preavviso. «Hai abbandonato
il nonno!» le disse cercando di far leva sul suo senso di colpa.
«Se il nonno è ancora vivo è grazie a me. Ogni mese gli mando abbastanza soldi
per curarsi e per vivere in modo più che dignitoso» gli rispose asciutta.
«Cos’è quella?» le chiese indicando la sua pancia.
Kuchel istintivamente incrociò le braccia sopra quel ventre di circa venti settimane.
«Cosa vuoi, Kenny?» gli domandò evitando di rispondere.
«Devi tornare a casa e, soprattutto, devi smetterla di fare la cagna
in calore. Questi sono i risultati» le vomitò
addosso indicando proprio la sua pancia.
Kuchel non si scompose. Ormai la vita l’aveva messa di fronte a situazioni ben
più terribili delle parole volgari di quell’essere infame che era suo fratello.
«Ti ho visto quella sera» gli disse puntandolo dritto negli occhi. Il suo
sguardo era affilato come la lama di un coltello.
«C’ero anche io con Noam. Mi ero nascosta perché credevo fosse suo padre»
proseguì.
Lo sguardo freddo e beffardo di Kenny fu attraversato da un lampo di stupore,
che stava blaterando?
«Sei ubriaca?» le chiese annoiato.
«Tu l’hai ucciso!» gli urlò contro, con la voce ferita dal dolore di quel
ricordo tremendo. «Hai ucciso lui, me e nostro figlio! Tu sei il demonio,
Kenny!» gli disse tremando di rabbia.
«Sei pazza!» le rispose infastidito. Eppure il dolore della sorella sembrava
così vivo, poteva quasi sentirselo addosso, sebbene gli desse solo un senso di
fastidio, senza quasi toccarlo.
«Vuoi negarlo? Bene, non mi interessa. Ora lasciami passare e vattene»
«Kuchel credimi io non conosco questo Noam» si ritrovò a dirle. Era uno
che non si giustificava mai. In realtà Kenny era un sociopatico. Un uomo concentrato
su stesso, preda della sua smania di potere e della sua voglia di togliere
vite, per aumentare il suo malsano senso di onnipotenza. Non era empatico, né
sapeva cosa fosse la pietà, ma Kuchel aveva il suo stesso sangue, e benché, a
volte, uccidesse anche solo per il semplice gusto di farlo, non voleva che lei
gli attribuisse quella colpa, che gli
pareva proprio di non avere.
«Hai ucciso talmente tante persone che neanche ti
ricordi più delle tue vittime» gli disse con disprezzo «Era il figlio dei Lobov, gli hai tagliato la gola assalendolo da dietro, nelle
scuderie della loro casa. Lo hai placidamente guardato morire dissanguato. Hai
pulito il coltello e poi, fischiettando, te ne sei andato via!».
Cazzo! Pensò Kenny, ora ricordava
tutto. Aveva fatto fuori quel moccioso, dietro un lauto compenso. I Lobov stavano
acquistando molto potere, troppo per qualcuno, e così quella era stata la loro
punizione, un modo per rimetterli al loro posto.
«Ora ricordo» ammise «Niente di personale, era solo
lavoro. Non potevo sapere che avessi una cotta per lui» minimizzò come se fosse
una cosa da niente.
Kuchel lo guardò con ancora più disprezzo: «Io lo amavo e aspettavo suo figlio.
Dopo averlo visto morire ho perso il bambino» e si interruppe un attimo.
Ricordava ancora le fitte al ventre, come stilettate. Quella vita appena sbocciata,
si era seccata come un germoglio su cui era stato versato del veleno. Dopo una
notte di spasmi dolorosi, il frutto di quell’amore acerbo si era sciolto in un
lago di sangue. Fu una sofferenza così forte che le strappò qualcosa dentro e
anche una parte di lei se ne era andata per sempre, morendo intossicata da quel
dolore.
«Sei il male Kenny, e ora vattene, non cercarmi mai più!».
Quel dispiacere era così forte e così potente, che riviverlo, ogni volta, le strappava
l’anima. Voleva solo dimenticarlo e non pensarci più.
«Vedo che ti sei rifatta, però» le disse beffardo indicando nuovamente la
pancia.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, ma sapeva che era inutile. Se ne avesse avuto
il coraggio avrebbe dovuto ucciderlo.
«Chi è il padre? Un altro nobile? Punti in alto eh?» la canzonò. Kenny era
così. Incapace totalmente di immedesimarsi negli altri.
«No. Non so chi è il padre. Faccio la puttana» gli rispose sferzandolo con
parole simili a frustate.
«Stai scherzando, vero?» le chiese accigliato, colpito da quella risposta così
oscenamente semplice.
«Assolutamente no, ed è tutto merito tuo, caro
fratello».
«Senti smettila! Ora ti riporto a casa, dal nonno, poi ci occuperemo di
liberarci di quel problema che hai nella
pancia. Non vorrai mica tenerlo?».
Kuchel aveva voluto gettargli in faccia la verità sperando di colpirlo e magari
di suscitare qualcosa in lui, ma era stato tempo perso.
Strinse ancora di più le braccia a protezione del suo ventre.
Poi guardò Kenny con serena determinazione.
«Non tornerò mai più a casa. Io non ho più una casa e tu non sei più niente per
me. Questa creatura sarà la mia unica famiglia. Stai tranquillo, continuerò a
mandare i soldi al nonno.
Ora mi chiamo Olympia: Olympia e basta. Quindi mi lascerai in pace, e se non lo
farai ti andrò a denunciare direttamente ai Lobov. Uno come te non può certo
capire, non sei neanche in grado di immaginare che cosa possa fare un genitore
a cui è stato portato via un figlio. E anche se sei: Kenny lo squartatore, ti troveranno e te la faranno pagare».
«Credi di farmi paura, ragazzina?» le ringhiò contro.
«No, ma neanche tu me ne fai. Ora me ne torno al mio bordello. Puoi scegliere
che cosa fare: lasciarmi andare, o tagliarmi la gola a tradimento, aggredendomi
alle spalle. Qualunque sia la tua scelta io sarò libera da te e dal male che
semini in questo mondo».
Kenny ebbe qualcosa di simile ad uno scrupolo e si arrese lasciando Kuchel
libera di vivere la sua vita.
Del resto, se era una stupida e voleva tenersi un bastardo, vivendo in un
bordello, che si fottesse, a lui non importava niente. O quasi.
Quindi si fece da parte e con un gesto di scherno, simile ad una riverenza,
come si riserva ai nobili, la fece passare.
«Prego, Olympia, vai pure e goditi la
tua bella vita» le disse sorridendo
sarcastico.
Kuchel passò oltre, senza neppure degnarlo di uno sguardo e senza voltarsi
indietro.
Lui era il passato.
Ora andava verso il futuro.
E quella fu l’ultima volta che lo vide.
NOTE
- (1) I Lobov sono proprio riferiti al Nicholas Lobov (in questo caso
ho immaginato fosse il padre di Noam) che appare in “A Choice with no regrets”
capitolo 0,5B dell’anime. In questo mio missing moment, mi è piaciuto creare
questo punto di contatto con l’opera originale, in cui ho immaginato che
Nicholas Lobov prenda Kuchel al suo servizio, mentre anni dopo, senza saperlo,
ne ingaggerà il figlio, sempre nella città sotterranea.
- Il titolo: “Nei giardini che nessuno sa” è anche il titolo di una bellissima canzone
del grande Renato Zero ed è © their respective owners
LE NOTE DELL’AUTRICE
Questa storia è sbocciata nella mia testa tempo fa, all’entrata di un casello
autostradale. Un fulmine mi attraversò la mente e mi venne questa idea che poi
ho sviluppato e ho tradotto in parole, che ora condivido con voi.
Ho cercato di non essere troppo pesante (e spero di esserci riuscita), dato che
già di per sé, nel canon, non è che la storia di Kuchel sia esattamente rose e
fiori. Ho preso le pochissime info che ci sono su di lei e ci ho costruito
sopra la mia personale versione dei fatti, sperando che risulti gradita anche a
voi.
Ringrazio fin da ora chi leggerà e mi piacerebbe conoscere anche le vostre impressioni,
per me lo scambio in un fandom è la cosa più bella!
Si accetta tutto, critiche comprese, soprattutto se costruttive 😊
Aggiornerò una volta a settimana ma non un giorno specifico.
See you soon folks!