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Autore: Mercurionos    01/08/2022    0 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 30 – Episode of Mirk, Parte 1 – Anno 2, ??? Vendemmiaio/Brumaio
 
“Quanto vuoi per queste?”
“Quelle? Centosessanta crediti.”
“Facciamo centocinquanta, dai.”
“Facciamo centosessanta e non ti sparo un buco in testa, dolcezza.”
Mirk mostrò i denti mentre appoggiava i crediti sul bancone, ma si affrettò: afferrò il cesto pieno di frutti e tornò sulla strada polverosa, svanendo nella folla. I colori terrei di quella città non avevano nulla a che vedere con la bianca opulenza della Capitale di Neo Freezer, che ora, nella sua memoria, sembrava ancor di più un mucchio di edifici morti e senz’anima. L’odore, lì, su quel pianeta, era diverso: l’acre profumo della sabbia, i pungenti aromi che provenivano dalle bancarelle sparse qua e là per la strada, di spezie e fritti, e poi l’odore del vento, con la salsedine che veniva dal mare non troppo lontano.
 
Mirk si infilò in fretta in una stradina secondaria. C’era meno gente, certo, ma il baccano non era diminuito: uomini al lavoro sui fianchi dei palazzi con i loro attrezzi; commercianti che gridavano arrogandosi ciascuno il titolo di più conveniente fruttivendolo del quartiere; anche dei bambini, gli unici che giravano per la città senza un cappuccio di tela in testa, con i loro schiamazzi quasi spensierati. Uno di quei mocciosi le finì addosso, a tutta forza, come se non l’avesse vista. Lei non sobbalzò e lui, così piccolo, alzò il capo e le sorrise come avrebbe sorriso un angelo.
Mirk gli diede un calcione senza risparmiarsi e lo spinse al lato della strada, mandandolo a sbattere contro un muro. Quello non gridò, anzi si rialzò tutto frenetico e la guardò in cagnesco, poi scappò in un vicolo strettissimo, seguito dagli altri bambini con cui apparentemente stava giocando. Mirk tastò le tasche dei pantaloni con una mano: aveva fatto in tempo, e non le era stato sottratto nulla. Nei primi giorni su Carioph alcuni randagi come quelli le avevano già sottratto una considerevole somma di denaro.
 
Azzannò uno degli agrumi appena comprati. Si era già abituata alla durezza della scorza, già convinta che avesse un buon sapore. Non poteva permettersi di sprecare tutta quella parte del frutto, che quindi mandò giù con pochi avidi morsi, senza pensare troppo al gusto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma si mangiava meglio nella fornita mensa del N.I.S.B.A., nonostante la generale tirchieria dei cuochi e l’aspetto raccapricciante dei pasti.
 
Uscì dal vicolo in una strada più aperta, con poche persone. Il rumore delle vie vicine veniva ovattato dai palazzi bruni, e si sentiva soltanto il chiacchiericcio di qualche gruppo di signore di ritorno dal mercato. Mirk adocchiò un cartello dal lato opposto della strada: il sigillo dell’esercito imperiale. Nelle città di Carioph erano presenti molteplici avamposti, piccole caserme e comandi locali dell’esercito; fuori dalle città, invece, era difficile contare i centri di reclutamento, le basi militari e i campi di addestramento dei soldati. La ragazza passò piano di fronte alla centrale, nascondendo il volto tra le ciocche arruffate e impolverate. Avrebbe potuto volare, ma qualcuno, vedendola, si sarebbe di certo messo sulle sue tracce: gli abitanti di Carioph non sapevano volare, e non voleva certo giustificare la propria diserzione dall’esercito a un qualsiasi soldatino di provincia. Inoltre, nascondere un cadavere le avrebbe rubato fin troppo tempo.
 
Raggiunse il limitare della città. Mura antiche e malridotte, segnate da un conflitto chissà quanto antico, delimitavano il confine con la campagna, una brulla distesa di campi malmessi. Ma, nonostante la qualità della terra, nonostante il sole cocente, i campi erano sempre in fermento. Contadini, braccianti, qualche allevatore con il proprio bestiame: quelli che non erano stati reclutati a forza nell’esercito di Freezer dovevano mantenere la società, quel poco che restava della struttura di Carioph. Certo, lavorare la terra che un decennio prima era stata bruciata dalle fiamme di un ordigno nucleare non era lavoro facile, ma sul volto di alcuni, quando questi potevano finalmente tenere in mano il frutto del proprio operato, ogni tanto spuntava il sorriso.
 
Mirk passeggiò lungo i campi per qualche chilometro, contraccambiando ai saluti di coloro che la vedevano, talvolta riuscì pure a sentirli pronunciare quel nome, fin quando non fu sufficientemente lontana dalla Capitale. Ingoiò l’ultimo boccone di frutta, sputò i semi per terra, e si circondò di energia vermiglia, poi spiccò il volo, verso sud, verso il mare, verso le terre montuose che si vedevano all’orizzonte. La Capitale di Carioph sorgeva su un ampio promontorio, separato dal resto del continente da due insenature, una a nord e una a sud. Mirk impiegò pochi istanti per superare il golfo e raggiunse presto i lidi sabbiosi della regione meridionale, cosparsi a perdita d’occhio di campi arati; raramente superava un gruppetto di case, oppure una brulla radura boscosa. Poi cominciarono le foreste, e più in là i monti.
 
Anche oggi non ho trovato nessuno.
Sospirò. Infilò una mano nel collo della camicia, tirò fuori un telecomando squadrato e premette uno dei suoi pulsanti, poi aspettò, galleggiando in mezzo al cielo.
Ma non accadde nulla.
Ma che…
Premette nuovamente il pulsante. Ora con più forza.
E, di nuovo, non accadde nulla.
“Ma porc… – Clic! Clic! Clic! – Perché cavolo non funziona?!?”
Si guardò intorno. Le montagne erano l’una identica all’altra: alte, grigio-marroni, a punta, fatte di sassi, con un alto contenuto di carbonio, montagniformi. E, da qualche parte, tra un monte e l’altro, Mirk aveva abbandonato la propria capsula spaziale. Svolazzò qua e là per un paio di minuti, ma niente.
 
“Quando sono uscita… c’era tipo dell’erba, no? Quella verde? E… c’era il sole, e un sasso… e un altro sasso… Ah! Ed ero davanti a una monta…”
Guardò verso il basso, occhi vuoti. Aveva perso la sfera d’assalto. Prese nuovamente in mano il telecomando, e vi premette una, due, trentasei volte. Il sole ormai stava per calare. Clic, niente. Clic, niente, di nuovo. Clic, qualcuno gridò. Mirk si risvegliò dal demoralizzato torpore e si guardò intorno, certa di aver udito le grida di qualcuno. Premette nuovamente il pulsante, più volte. Le urla si moltiplicarono, abbastanza forti da essere individuate in mezzo ai monti. La ragazza si precipitò verso il basso, oltre una vetta vicina. Eccola!
 
Atterrò. Quattro figure vestite di lino, non dissimili dai contadini che vivevano vicino alla capitale, saltarono all’ indietro, spaventate: due caddero a terra, le altre due alzarono delle pistole. La capsula di Mirk era stata legata con delle catene, ma uno degli ancoraggi doveva aver ceduto quando Mirk aveva richiamato la sfera.
“Ohi! Cosa volevate farci, eh? – Li minacciò Mirk. Voleva far loro impressione, ma non tanta da scacciarli – Questa è mia.” Indicò la sfera d’assalto.
Uno dei pastorelli con l’arma alzata fece un passo indietro, inciampando in un gradino nel terreno. L’altro, spaventato, fece fuoco: un fascio di energia partì in direzione di Mirk e la colpì in pieno petto. Lei, ovviamente, non accusò il colpo: “Ehi! Stai attento con quella roba!”
 
I quattro sconosciuti la guardarono terrorizzati. Solitamente, quando sparavano a qualcuno, questi aveva la decenza di riversarsi morente in terra.
“Tu sei un’imperiale?” Le chiese una delle figure a voce alta.
Mirk si voltò verso di lei: era una ragazza, anzi, quasi ancora una bambina, e sotto al sacco che usava come vestito stava palesemente nascondendo un fucile che, con la sua altezza, non avrebbe ancora potuto imbracciare.
“No, non sono un soldato.” Rispose Mirk.
“Ma indossi la tuta dell’esercito.” Disse un altro.
“A dire la verità…”
“E hai una capsula.” Aggiunse un altro ancora.
“Ho disertato.”
 
Non replicarono subito, si scambiarono soltanto qualche sguardo confuso. Poi, finalmente, abbassarono le armi. “Si può fare?” chiese uno di quelli. Mirk fece spallucce: “Ah, boh. Io l’ho fatto.”
“E cosa vuoi? Qui non c’è niente.” Il ragazzo che sembrava essere il capo del gruppetto la incalzò. Mirk si perse per un istante negli occhi del giovane: in mezzo alle pupille tremanti per la paura, divampava una luminosa scintilla, vivace e irreprimibile.
“Chi siete voi?” gli chiese la disertrice.
“Cosa t’importa?”
“Magari m’importa. Cosa fate?”
“Non sono affari tuoi.”
“Rubate rottami e li rivendete, giusto?”
Nessuno rispose. Per Mirk fu una risposta più che sufficiente.
“Siete vestiti da contadini. I vostri genitori lavorano…”
“Noi non abbiamo genitori.”
Mirk ragionò per un istante. Forse poteva scucirgli qualche informazione, forse quei mocciosi erano i soggetti giusti: “Per chi lavorate? Sono qui da dieci giorni, ho capito come funziona. Voi rubate i pezzi, li rivendete, e date i soldi ai vostri protettori. I bastardi sfruttano in questo modo i bambini, su questo pianeta.”
 
“Noi non ci si sfrutta!” La bambina, che ancora nascondeva maldestramente il fucile, fece un passo in avanti. Mirk si lasciò sfuggire un sorriso, all’angolo delle labbra.
“Stai zitta, Tissa!” ringhiò il capetto.
“Ma parla male di…”
“Stai zitta!”
Mirk si fece avanti: “Parlo male di Silene?”
Quelli si congelarono, e alzarono nuovamente le armi. Mirk sorrise e non lo nascose.
“Cosa ne sai tu di Silene?” l’altro ragazzo del gruppo, sempre troppo giovane da girare per le montagne con un’arma in mano, si avvicinò alla disertrice.
“Ho capito che è quello che comanda, qui in giro. Le persone in città ogni tanto si lasciano sfuggire il suo nome, ma con me non vogliono saperne di parlare.”
 
Note dell’autore:
Finalmente si torna a pubblicare, e con un bel capitolone incentrato su Mirk. Questo capitolo è “pura fanfiction”, nel senso che non c’è mezzo personaggio che non sia originale. Spero che la scelta non vi confonda troppo, e che comunque vi possa interessare.
 
Non ho ancora finito di scrivere il capitolo 30, ma spero di riuscirci entro breve. Si prospetta essere bello lunghetto, proprio come il 31. Grazie per la pazienza, e per essere tornati a leggermi. Alla settimana prossima!
   
 
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