Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: BlueBell9    03/08/2022    1 recensioni
In un universo in cui Evan Rosier sopravvive allo scontro con Alastor Moody, ogni famiglia deve fare i conti con la posizione presa durante la guerra.
E i Rosier non fanno eccezioni.
«Di che parli?» replica prudente, senza mostrare preoccupazione o spavento per quello scatto repentino d’umore.
«Lo sai» attacca lei, aggressiva, gli occhi scuri baluginanti di furia.
«Ne avremo altri» sputa fuori, ripetendo parola per parola quella frase che gli ha sentito dire a Julian in salotto, tempo prima.
«Lo penso davvero» assicura Evan, senza esitazione, guardandola dritta in faccia e strappandola da quelle riflessioni tetre. Inspira, scuotendo appena la testa. «
Liebchen, abbiamo avuto un periodo complesso: la caduta dell'Oscuro Signore, il processo, la quasi condanna di Julian, le continue ispezioni degli Auror… eri spaventata ma un aborto non preclude la possibilità di avere un'altra occasione» sostiene con cieca sicurezza, allungando un braccio per accarezzarle la guancia con le punta delle dita.
Suo malgrado, Emmeline si appoggia contro quella mano come se fosse un’ancora di salvezza da tutto quel dolore che la scuote da dentro.

(Ipotetico post Condannati)
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmeline Vance, Evan Rosier, Famiglia Rosier
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Come starebbe stato giusto che finisse


Alla mia Cincillà
dalle mani piccole,
spero che apprezzerai
questo pensierino <3
Ps: è il regalo anche di Natale!





Come sarebbe stato giusto che finisse






Emmeline, affacciata al balcone, osserva senza davvero vederlo il panorama dello Yorkshire. Quelle colline di un verde intenso e chiaro sono ancora seminascoste dal buio della notte che, piano piano, sta cedendo terreno alla luce del sole.
Ha sempre trovato affascinante The Dales, quello spazio di natura incontaminata che sembra rappresentare un piccolo angolo di Paradiso in cui rifugiarsi quando il resto del mondo crolla. Forse le piace per riflesso, perché quelle valli hanno lo stesso colore degli occhi della persona che ha amato con tutta la testardaggine e genuinità fin da bambina.
Eppure ora, quell'affetto e quel clima di pace che hanno sempre caratterizzato il luogo in cui sorge Rosier Castle la lasciano quasi indifferente.
Nonostante l'aria fredda di inizio aprile
da cui  cerca di difendersi con un pesante scialle appoggiato sopra le spalle –, si sente bruciare.
E il motivo di quelle fiamme che le ardono nel petto, riducendole cuore e le sue speranze in cenere, la sta ossessionando da quasi tre mesi.



«Avevi bisogno di quel bambino» osserva Julian, lapidario, le labbra serrate in una smorfia contrariata, seduto alla solita poltrona nel salotto che sono soliti usare quando non ci sono ospiti.
Evan, in piedi davanti alle fiamme, ha la spalla appoggiata contro la mensola del camino. Vede le lingue di fuoco illuminargli il viso serio in una sfumatura rossastra che però non riesce ad addolcire il gelo dei suoi occhi.
«Ne avremo altri» mormora piano, in un sussurro a malapena udibile.
L'altro inarca le sopracciglia scettico, prima di versarsi due dita di whisky nel bicchiere.
«Lo spero» afferma asciutto, assaporando con calma il liquido ambrato e lanciando al nipote un'occhiata eloquente. «Perché un matrimonio senza figli è completamente inutile» fa notare inclemente. 



«Anche oggi sei mattiniera».
Emmeline sussulta quando quella voce le giunge alle orecchie, strappandola da quel ricordo sanguinante e ributtandola in un presente che vorrebbe fare a pezzi.
Volta appena il viso all'indietroe si chiede se sia riuscita a nascondere la sofferenza che le incupisce i lineamenti – nel momento in cui quelle braccia le circondano la vita.
Sospira tesa, cercando di reprimere la tentazione di scrollarsele di dosso.
Evan le sorride, le iridi verdi baluginanti di dolcezza.
«Non ho nulla da ridire su questa tua nuova abitudine» continua amabile. «Ma non mi piace risvegliarmi in un letto vuoto» ammette lieve, scoccandole un bacio tra i capelli corvini.
Emmeline si volta di scatto, il volto fremente di rabbia.
«Per quanto continuerai a fare finta di niente?» domanda imperiosa, retrocedendo di un passo così da mettere un minimo di distanza tra loro e sciogliendo quell’abbraccio che rischiava di soffocarla.
Lui socchiude le palpebre, perplesso.
«Di che parli?» replica prudente, senza mostrare preoccupazione o spavento per quello scatto repentino d’umore.
«Lo sai» attacca lei, aggressiva, gli occhi scuri baluginanti di furia. «Ne avremo altri» sputa fuori, ripetendo parola per parola quella frase che gli ha sentito dire a Julian in salotto, tempo prima.
Non dovrebbe, lo sa, eppure quelle semplici tre parole sembrano dilaniarle il petto con la forza di mille coltellate. Forse perché è la prima nel rendersi conto che, per quanto crudeli, dicano solo la verità.
«Lo penso davvero» assicura Evan, senza esitazione, guardandola dritta in faccia e strappandola da quelle riflessioni tetre. Inspira, scuotendo appena la testa. «Liebchen, abbiamo avuto un periodo complesso: la caduta dell'Oscuro Signore, il processo, la quasi condanna di Julian, le continue ispezioni degli Auror… eri spaventata ma un aborto non preclude la possibilità di avere un'altra occasione» sostiene con cieca sicurezza, allungando un braccio per accarezzarle la guancia con le punta delle dita.
Suo malgrado, Emmeline si appoggia contro quella mano come se fosse un’ancora di salvezza da tutto quel dolore che la scuote da dentro.
«E allora perché non mi hai più toccata?» chiede in un mormorio appena udibile, afflitta, dando voce a quella paura che ha cominciato ad ossessionarla.
Forse è sciocco ma finché l’altro non prova le sue stesse angosce, significa che c’è ancora una speranza. E può aggrapparsi a questa per cercare di non affogare. 
«Perché non vuoi» svela lui, morbido, con due iridi verdi che non esprimono colpa o biasimo. «Va bene così, possiamo aspettare» assicura, lasciandosi persino sfuggire un sorriso lieve e sincero. «Liebchen, io ti amo» confessa a bassa voce, scaldandole il petto e togliendole un peso dal cuore, perché a volte la dolcezza è in grado di fare miracoli. «E continuerei a farlo anche se rimanessimo solo noi due» conclude risoluto.
Emmeline punta lo sguardo in basso, cercando di trattenere le lacrime che minacciano già di inumidirle gli occhi. 
«Volevo davvero quel bambino» confessa spezzata, un nodo che le serra la gola per quelle parole che sono pregne di tutto. 
Delusione, rammarico, senso di colpa.
Evan le alza il mento con due dita, così da incrociare il suo sguardo.
E non ci mette molto a comprendere quello che prova.
«Lo so» garantisce piano, il viso che esprime un tormento simile al suo. L’attrae a sé, stringendola al petto in una stretta rassicurante che fa sciogliere quelle barriere che ha sempre utilizzato per arginare il dolore. Singhiozza contro il suo petto, le mani che stringono la camicia linda dell’altro. «Anch'io» mormora rammaricato, appoggiando la guancia contro il suo capo. 


*


«Ho sentito che i Tiger aspettano un bambino».
«Pettegolezzi infondati» decreta Rosamund, secca, mescolando con un cucchiaino d’argento il proprio tè, prima di portarsi la tazzina di porcellana alla bocca. «Lei è sterile» aggiunge indelicata.
Emmeline, seduta su una poltrona del salotto principale di Rosier Castle, fa del suo meglio per impassibile. 
Gran parte delle parole di sua suocera sono delle stilettate rivolte nella sua direzione, soprattutto da quando il suo ventre è rimasto piatto.
«Ho sentito qualcosa di simile riguardo ai Nott» si inserisce Druella, pettegola, addentando un pasticcino alla crema e chiudendo un istante le palpebre per gustarselo. «Speriamo solo che sia un maschio, le femmine sono inutili» ammette insofferente, storcendo il viso in una smorfia dolorosa, forse perché pensa di riflesso a quel compito che non è riuscita a svolgere.
«Sempre meglio di non aver figli» conviene Rosamund, indirizzandole un’occhiata obliqua e tagliente. «Vero, Emmeline?» sprona significativa.
Lei si sforza di stamparsi sulle labbra un sorriso falso.
«I Tiger potrebbero avere davvero un figlio» riprende Alecto, pensierosa, stringendo tra le dita tozze il terzo tè del pomeriggio. «A volte ci si mette anni per procreare» continua assorta.
Rosamund sbuffa, prima di riprendere a sorseggiare la sua bevanda.
«Sciocchezze!» decreta, infine, dura, appoggiando la tazzina sul piattino, sopra al tavolo intorno al quale loro cinque si sono riunite per consumare uno spuntino in attesa delle ore che le separano dalla cena.
«Davvero?» sottolinea zia Joanne, asciutta, seduta accanto alla sorella e inarcando le sopracciglia con eloquenza. «Tu ci hai messo parecchio tempo prima di rimanere incinta di Evan, o sbaglio?» sottolinea stoica, facendo serrare con fastidio gli occhi chiari dell’altra. «Emmeline, ho bisogno di sgranchirmi le gambe. Fai una passeggiata con me?» chiede sollecita.
Dopo essersi allontanate dal camino e posto una certa distanza dalle altre commensali, fingendo di avvicinarsi alla finestra per poter scrutare il cielo del pomeriggio, Emmeline si permette di lasciarsi sfuggire un sospiro esausto.
«Grazie» dice con gratitudine, accennando anche a un piccolo sorriso. 
«Di nulla» replica la zia, laconica, appoggiandosi meglio al braccio che le offre. Da qualche mese ha cominciato a soffrire di dolori alle ginocchia e, sebbene i Guaritori non facciano altre che assicurarle che è un fastidio che svanirà con il tempo e qualche pozione, camminare senza il supporto di qualcuno le risulta difficile. «Rosamund ha il brutto vizio di godere della sofferenza altrui. Non mostrarle nemmeno un briciolo del tuo dolore: sarebbe la tua fine» l’avverte dura.
Lei fa una smorfia amareggiata.
«Credo che sia inutile» sostiene sfiancata, «Si è accorta del mio malessere» constata infastidita a morte per quella debolezza che non riesce a celare.
L’anziana strega finge di osservare il parco del castello al di là della finestra, le iridi fisse davanti a sé.
«Non demoralizzarti» la incoraggia stringata. «Avrai presto un figlio» mormora certa.
«Lo dice anche Evan».
«Ti mette pressione?» indaga Joanne, attenta, tornando a guardarla.
Emmeline scuote il capo, malinconica.
«No, è comprensivo» rivela lieve, le labbra che si spiegano con dolcezza in un sorriso spontaneo. Poi torna a mostrare un’espressione cupa. «Solo che… mi irrita quando mi tratta come se fossi fatta di cristallo» ammette irritata, serrando la mandibola con irritazione. 
L’altra si lascia sfuggire un piccolo sbuffo che probabilmente vuole camuffare una risata. 
«È il suo peggior difetto da sempre» dichiara saputa, senza però quell’aria di arroganza. «Diventa iperprotettivo quando sa che qualcosa ti ferisce. Soprattutto perché è qualcosa che non può controllare» osserva oculata, poi sposta quel braccio che aveva appoggiato sul suo, così da liberarsi da quel sostegno e, consapevole che le altre donne non possono vedere il suo gesto, le prende una mano, stringendogliela in una morsa rassicurante. «Siete giovani, avete tutto il tempo per riprovarci. L’importante è che non diventi un’ossessione: ho visto tanti matrimoni naufragare per questo» racconta, inchiodandola con un’occhiata significativa.


*


«Sei ancora sveglia».
«Ti stavo aspettando».
Emmeline lo osserva scivolare all'interno della camera da letto che condividono a Rosier Castle, togliersi la giacca e abbandonarla sulla prima poltrona disponibile.
Seduta sul bordo del letto e con indosso una candida veste da notte lunga fino ai polpacci, si lascia sfuggire un sorriso benevolo.
«Com’è andata la giornata?» domanda amabile.
Evan le getta una lunga e valutativa occhiata prima di iniziare a slacciarsi la camicia.
«Moody continua ad assillare il Wizengamot, sostiene che combattessi per il Signore Oscuro di mia spontanea volontà» risponde piatto, storcendo il viso in una smorfia di fastidio per quell’ipotesi tanto sensata quanto vera. E mai come in questo momento, hanno bisogno di allontanare anche il minimo sospetto. «Un giorno, quando tutto sarà dimenticato, mi sfuggirà un Crucio» aggiunge svagato, piegando le labbra in un sorriso intrigato da quella prospettiva. «A parte questo, non è facile ricostruire la nostra influenza. Fortuna che buona parte delle famiglie Purosangue erano tra i Mangiamorte, il che ci assicura la loro lealtà. Almeno per il momento» conclude oculato, la fronte contratta in un cipiglio pensieroso, togliendosi l'indumento e rimanendo a torso nudo. «Com’è stata la tua?» chiede interessato, cambiando argomento.
Lei scrolla le spalle, noncurante.
«Noiosa» ammette schietta. Soprattutto perché, negli ultimi tempi, non si vedono spesso. Dopo la caduta di Voldemort, tutte le loro energie sono state impiegate per evitare all’altro e a Julian Azkaban, oltre che a scansare la bancarotta. È stato il denaro della sua dote che gli ha salvati, pagando sanzioni e Magiavvocati. Se Emmeline ha dovuto muoversi tra i salotti, esibendo un sorriso e una tranquillità che era ben lungi dal provare, Evan ha cercato di tessere nuove alleanze con le Sacre Ventotto, partecipando a incontri che lo hanno tenuto lontano da Rosier Castle e da lei. «Ho preso un tè con tua madre, zia Joanne e qualche parente. Almeno smetteranno di circolare voci su quanto io sia deperita e depressa» spiega cercando di camuffare l'irritazione dietro l'ironia, alzandosi in piedi e avvicinandosi alle sue labbra. 
La snerva sapere che dopo il suo aborto, chiacchiere meschine non abbiano fatto altro che serpeggiare sul suo conto e sulla sua apparentemente incapacità di generare un bambino.
E sa benissimo che è stata Rosamund a far partire i pettegolezzi.
«Non vedo come sia possibile» la riscuote Evan, leggero, dopo che si sono scambiati un lieve bacio, facendole alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi e dissipando quelle pieghe che erano comparse sulla sua fronte. «Sei più bella e desiderabile che mai» sostiene a bassa voce, genuino.
Emmeline sorride radiosa, colma di riconoscenza.
«Meglio così» bisbiglia, prima di riprendere a baciarlo.
Lo fa con calma, assaporando la bocca dell’altro e quelle mani che sono scese a circondarle quasi con naturalezza la vita. Poi, quando sente il desiderio accendersi nelle vene, si allontana quanto basta per fare un piccolo sorriso, prima di tornare ad appropriarsi di quelle labbra.
Mentre gli sfiora la lingua in una carezza languida, le dita le scivolano in basso, sulla pelle liscia dell’altro, sentendola fremere sotto i polpastrelli, fino a raggiungere il bordo dei pantaloni dell’altro e la cerniera. 
«Non è una buona idea» sussurra lui, basso, il respiro più rapido e con una luce di bramosia che contrasta con quelle parole. «Sono mezzo ubriaco e tu sei-»
«Più bella e desiderabile che mai?» ripete lei, scherzosa, interrompendolo divertita. «Allora dovrebbe essere un'impresa pressoché impossibile resistermi» fa notare allegra.
«Lo è» concorda Evan, amabile, accennando un sorriso invitante. «Per questo dovremmo fermarci» conviene ragionevole.
«Ma non voglio» ribatte Emmeline, di slancio, le mani appoggiate ai lati del collo dell’altro. «Sono pronta. E non lo faccio perché voglio un bambino ma perché mi manca fare l'amore con te» confessa spontanea, sostenendo senza problemi quell’occhiata verde e penetrante che le viene rivolta, e facendogli capire di non lanciare un incantesimo contraccetivo.
Lui sospira, continuando ad osservarla per avere la certezza che non menta, prima di sporgere il capo in avanti e tornare a baciarla. La spinge verso il letto, le mani sempre all’altezza della vita.
Lei ubbidisce docile quando la invita a sedersi a cavalcioni sopra, la camicia da notte che si alza fino alla vita, rivelando le gambe su cui le dita di Evan lasciano una scia di carezze leggere, su e giù, che fanno tremare entrambi. Ma non quanto la i pantaloni di lui premuti sull’inguine, contro la sua biancheria intima, che incendia loro le vene e che fa pensare di riflesso alla prospettiva di un piacere nemmeno lontanamente paragonabile a quello che stanno già provando.
Quando allontana il viso, a corto di ossigeno, Emmeline vede chiaramente gli occhi verdi di lui incupiti dalla brama, dal desiderio di voler altro. Alza le braccia verso l’alto, così da aiutarlo a toglierle la camicia di dosso e non oppone resistenza quando lui la trascina sul materasso, sovrastandola e completamente alla sua mercé.
Abbassa le palpebre per riflesso nel momento in cui sente quella bocca baciarle la pelle, per poi muoversi verso il seno, leccando e mordicchiando il capezzolo destro, mentre una mano è scesa a sfiorarle l’interno coscia, accarezzandolo con movimenti lenti e concentrici.
Lei trema, respirando aria che le sembra rovente mentre assapora tutte quelle sensazioni di un calore liquido che sembrano scorrerle nel sangue.
«Guardami» le sussurra lui, contro il suo petto, con una dolcezza che cozza con l’ordine con cui è intrisa quell’unica parola.
Si ritrova ad alzare le ciglia, riaprendo gli occhi e, puntellandosi sui gomiti, a sollevare la parte superiore della schiena. Quando incontra quel viso, un fiotto di pura bramosia sembra irradiarsi nel basso ventre, portandola a sfregarsi con impazienza le gambe.
Eppure le apre senza nessuna reticenza nel momento in cui lo vede abbassarsi, sempre senza smettere un momento di fissarla finché non inizia a baciarla lì in mezzo.
Emmeline si lascia cadere sul materasso, il volto che si storce in un’espressione di appagamento in cui sente quella lingua umida toccarla, costringendola a stringerli i capelli con un mano avida, accogliendo quelle ondate di piacere.
Solo quando si allontana, lasciandola stremata sul letto e con il respiro corto, lo guarda mentre incamera ossigeno. E continua a farlo anche quando Evan torna a sovrastarla, posizionandosi tra le sue gambe e facendosi strada in lei.
Lo vede piegare per un momento il capo, sostenendosi a quel braccio che le ha appoggiato all’altezza dell’orecchio, abbassando le ciglia e lasciandosi scappare un gemito. E un altro, ancora più forte e di pura sorpresa, sgranando anche gli occhi quando Emmeline lo stringe tra le cosce, così da averlo ancor più vicino.
«Ich liebe dich» mormora flebile, facendolo sorridere prima che ricomincino a baciarsi e lui inizi a spingere sempre più profondamente nella sua carne, annullando ogni cosa.


*


«Bevi» dice zia Joanne, allungandole un bicchiere d’acqua.
Emmeline lo accetta subito e, dopo essersi pulita le tracce di vomito, trangugia il liquido in un unico sorso. Sente ancora in bocca un sapore sgradevole, che la porta a fare una smorfia per il disgusto.
Si rimette in piedi, all’interno del bagno nel quale si è rifugiata, appoggiandosi al water di ceramica a causa delle forze che sembrano averla improvvisamente abbandonata. Le capita spesso, negli ultimi tempi, insieme anche a capogiri improvvisi.
Si lascia ricondurre mollemente verso il salottino privato, quello che sono soliti utilizzare quando non hanno ospiti e possono trattenersi in un ambiente più intimo e familiare, per poi abbandonarsi sopra il divano.
L’altra chiama un Elfo per chiedere del tè, il prima possibile. Infine, si accomoda sulla poltrona, scrutandole il viso con attenzione.  
«Mi sembri stanca» afferma allusiva.
Lei si lascia sfuggire un sorriso.
«Lo so a che cosa stai pensando» assicura previdente, accettando una tazza di tè con ben tre zollette. Ne beve un lungo sorso, apprezzando il calore della bevanda che si dirama nel corpo, riscaldandola e facendola sentire un po’ meglio. «Ma non credo di essere incinta. Abbiamo ripreso a essere intimi solo da qualche settimana e-»
«Sono certa che tu sia abbastanza informata sul sesso da sapere che basta una volta sola per concepire» la interrompe zia Joanne, scontrosa, prendendo posto sul comodino. «Avete usato contraccettivi?» si informa attenta. Quando la vede scuotere il capo, gli occhi bassi verso il pavimento, sbuffa con quella sembra pure esasperazione. «Devi prendere la pozione» stabilisce risoluta. «Almeno saprai subito il risultato. Che c’è?» chiede quando nota la sua espressione ansiosa.
Emmeline prende un grosso sospiro, appoggiando la tazzina sul tavolino per evitare che le scivoli via dalle dita. 
«Ho un po’ paura» confessa in un mormorio preoccupato, gli occhi tormentati. «Se dovesse succedere di nuovo…» si blocca, la bocca improvvisamente secca. 
«Non accadrà» la rassicura la donna ferrea.
Lei le punta iridi sulla all’altra, spaurita.
«Non puoi saperlo» sostiene dolente.
«No, ma farò in modo che non succeda» promette quella, semplicemente, guardandola con una tale sicurezza che le dà forza. «Bevi il tuo tè e poi faremo il test» ordina più morbida.


*


«Ti disturbo?» domanda Emmeline, dopo aver bussato e aperto la porta abbastanza da intrufolarci il viso.
Evan, appoggiato di sedere alla scrivania e con il corpo rivolto verso la finestra aperta, volta il capo all’indietro così da poterla guardare. Piega le labbra in un sorriso caloroso e le fa cenno di avvicinarsi.
Lei scivola all’interno dello studio di Rosier Castle, ambiente nel quale ogni capofamiglia si è sempre ritirato per valutare gli affari e l’andamento delle varie proprietà. Sa che all’altro piace quel luogo e che, dopo la morte di Edric, Julian ha eliminato tutte le tracce che erano rimaste del precedente proprietario.
E, per una volta, non se la sente di discutere una decisione dell’uomo. 
«Ci sono problemi?» domanda incuriosita, quando circumnaviga la scrivania così da essere al suo fianco, riferendosi a quei documenti che gli vede in mano.
L’altro scrolla le spalle con noncuranza. 
«Ci stiamo riprendendo» dichiara morbido, appoggiando i fogli sul tavolo e alludendo alla loro situazione finanziaria. «A molte delle nostre proprietà, dopo essere state perquisite, sono stati rimossi i sigilli» rivela piatto, storcendo appena il naso per quell’impiccio rappresentato da Auror e dall’insistenza di Moody. «Perché hai in mano quel libro?» indaga attento, socchiudendo appena le palpebre e indicandolo con un cenno del mento.
Emmeline sorride, abbassando lo sguardo su quel vecchio e consunto tomo che ha tra le dita.
«Ti ricordi quando lo leggevamo?» replica amabile, il viso che si illumina di gioia al ricordo di quando trascorrevano i pomeriggi a scoprire più informazioni possibili sulla storia di Anne e Dickon. «Ti piaceva molto» continua radiosa.
Evan annuisce, allungando una mano per accarezzarle il viso.
«Piaceva a entrambi» corregge piano, sereno.
Lei arrossisce, puntando per un momento le iridi sul libro prima di sollevarle.
«Stavo pensando che dovremmo procurarcene un altro, magari più semplice» esordisce leggera, la voce ridotta a sussurro soffice. «Non è proprio la lettura adatta a un bambino» conclude spensierata, cercando di mascherare il nervosismo, arricciando anche il naso in una smorfia scherzosa.
Il volto di lui si irrigidisce di colpo e gli occhi, di riflesso, si puntano in basso, verso il suo ventre, prima di tornare a posarsi su di lei, formulando una muta domanda. Si stacca dalla scrivania, palesemente guardingo.
Emmeline annuisce, raggiante di gioia.
«Sì» conferma, ridacchiando del suo stupore. «È ancora presto per stabilire se sarà un maschio m-»
Viene interrotta quando le labbra di Evan si posano contro le sue, baciandola con una vorace dolcezza, assaporando ogni istante di quel contatto. Le tiene il viso tra le mani, allontanandosi di poco solo per sorridere in un modo che lo rende bello oltre ogni dire.
«Non mi importa» biascica in un soffio, gli occhi verdi splendenti. «L'amerò anche se sarà una femmina» afferma genuino, senza riuscire a smettere di sorridere. Poi un’ipotesi gli incupisce i lineamenti. «Te la senti di affrontare la gravidanza?» azzarda esitante.
«Il peggio è ormai passato» conviene lei, limpida, per nulla intimorita da quel futuro che si prospetta davanti a loro e appoggiando il libro,che ha rischiato di caderle quando è stata travolta da quella gioia selvaggia, sulla scrivania. Ora lo vede chiaramente e senza quelle tinte cupe che la tormentavano. «Solo… possiamo aspettare prima di annunciarlo?» chiese impacciata, desiderosa di attendere qualche tempo prima di rivelarlo anche al mondo. Solo per essere sicura che il suo corpo riesca a sostenere quel compito e che non rifiuti una nuova vita.
Evan le fa un cenno d’assenso, le labbra sempre piegate in quel sorriso amabile che la riporta all’infanzia, un periodo in cui non esistevano problemi e nulla minacciava la loro serenità. 
«Saremo felici, liebchen» dichiara convinto, facendo scivolare per la prima volta una mano verso il suo ventre ancora piatto e pronunciando quella frase con una sicurezza che sa tanto di promessa.
E lui è sempre determinato a mantenerle, quasi ne andasse della sua vita.


*


«Congratulazioni» commenta Julian, laconico, dopo l’annuncio della gravidanza.
Emmeline non riesce proprio a trattenere un sorriso radioso, seduta al suo posto nella sala da pranzo, mentre stringe la mano di Evan, a capotavola, e l’altra le scivola quasi con naturalezza alla pancia, verso quella nuova vita che sta crescendo a poco a poco.
Hanno atteso qualche settimana e consultato dei Guaritori prima rivelarlo alla famiglia. Zia Joanne è stata di parola: non ha detto a nessuno il lieto evento, aspettando che fossero loro a diffondere la notizia,
E se Julian appare lieto, probabilmente compiaciuto di quel nuovo discendente, anche se la sua espressione è stoica come sempre, chi non lo sembra affatto è Rosamund, la quale ha rischiato di far cadere la forchetta sul piatto quando ha scoperto che presto diventerà nonna.
«Speriamo solo che non si riveli un altro fallimento» è quello che riesce a dire, affilata come un rasoio.
«Non succederà» taglia corto Evan, piatto, inchiodandola con uno sguardo raggelante e stringendo di più quella morsa, così da suggerire a Emmeline di non ribattere.
Stranamente non coglie quell’occasione per iniziare un feroce litigio, anche se una piccola parte di sé ne avrebbe voglia.
«E che non sia una femmina» continua l’altra, imperterrita nel provocare e contrariata di non aver avuto la soddisfazione di una reazione che avrebbe fatto scatenare una guerra violenta.
Lei si sforza di mantenere un’espressione impassibile, anche se gli occhi scuri dardeggiano per la rabbia.
«Giacché siamo in tema di cambiamenti» riprende Julian, apatico, dall’altra parte della tavolata, interrompendosi dal mangiare e appoggiando la schiena alla sedia. «Direi che è il caso che io ritorni in Cornovaglia» conviene asciutto.
Emmeline inarca le sopracciglia, presa alla sprovvista, ma la sua sorpresa è nulla se paragonata a quella di Evan, che nonostante il solito controllo, ha gli occhi che manifestano tutto il suo sgomento.
«Perché?» domanda questo, piano, corrugando la fronte.
«Sono rimasto a Rosier Castle perché era necessario far fronte comune contro il Ministero» spiega l’uomo, spiccio. «Ma abbiamo vinto: anche se ci sono stati dei sospetti, nessuno ci ha condannato ad Azkaban. È arrivato il momento di ricominciare» sentenzia pratico, senza esitazione. «E dovresti farlo anche tu, Rosamund» aggiunge, rivolgendo un’occhiata alla donna seduta alla sua destra. 
Quella mostra vera confusione. 
«Che cosa intendi?» si informa frastornata. 
«I ragazzi hanno bisogno di intimità» spiega lui, infastidito di dover illustrare un concetto tanto naturale. «Puoi venire in Cornovaglia con me» elargisce magnanimo, quasi le stesse facendo un favore.
Emmeline vede Rosamund aggrottare la fronte con irritazione, irrigidendo la mascella per la rabbia.
«Perché dovrei?» rilancia brusca. «Questa è casa mia» dichiara ferrea. 
«Era casa tua» la corregge l’altro, secco, per nulla intenzionato a usare delicatezza. Sorseggia un po’ del vino nel suo calice, prima di riprendere a parlare. «Ora è di tuo figlio e di sua moglie. E sappiamo entrambi che può esserci solo una padrona» sottolinea eloquente. «È la soluzione migliore, ora che non siamo più in pericolo» conviene razionale.
Nel silenzio cupo che è calato nella sala da pranzo, dove c’è chi è impegnato a squadrare con rancore, chi a incassare una brutta notizia cercando di non mostrare quanto lo addolori, chi nel sfoggiare la solita indifferenza, Emmeline si ritrova a prendere una decisione d’istinto.
«Ma lo saremo sempre» obietta pacata, attirando gli sguardi di tutti i presenti e trovandosi al centro dell’attenzione. «Moody non si arrenderà, non dopo che Evan lo ha sfigurato. Cercherà un modo per aggirare le regole e provare la vostra colpa» continua convinta, sicura che non basterà il denaro o la giusta influenza, quella che resta, sul Ministero per chiudere definitivamente quel capitolo della loro vita. «Siamo più forti quando restiamo uniti. E a Rosier Castle c’è abbastanza spazio per tutti» commenta eloquente, guardando prima Evan e poi Julian.
Curioso come, anche se abbiano lo stesso colore degli occhi, quelli del primo siano completamente diversi da quello che una volta era quanto di più simile a un nemico.
Però nella vita si cresce e si può cambiare idea, se la situazione lo necessità.


*


«Credevo non mi volessi tra i piedi» osserva Julian, monocorde, una volta terminato il pranzo, quando lei si è ritirata nel suo studio privato. Lo ha visto entrare una mezz’ora dopo, avanzando nella stanza e prendendo silenziosamente posto alla poltrona. L’ha fissata per una manciata di minuti, facendo calare un clima inquietante, prima di aprir bocca.
Emmeline distoglie l’attenzione dalla corrispondenza che ha ricevuto quella mattina, posando le buste e le pergamene sullo scrittorio di legno scuro e drizzando la schiena così da assumere una postura dignitosa.
«Poco importa quello che voglio» replica concreta, infilando di nuovo la piuma al suo posto accanto al calamaio. «L’obiettivo è rimanere vivi e, se possibile, fuori da una cella umida» dichiara risoluta. Poi prende un profondo respiro, così da espellere quelle parole che sono difficili da pronunciare. «E ho bisogno che resti. Tu trovi sempre un modo per vincere una battaglia» butta fuori accorta.
Lui rimane impassibile, prima di piegare le labbra.
«Ora riesco quasi a capire quello che Evan vede in te» svela a bassa voce, più morbido. Fa pressione sui braccioli della poltrona, così da rimettersi in piedi. «Come vuoi, Emmeline. Ma se hai intenzione di avermi come alleato, dovresti sapere che non mi faccio scrupoli a ottenere quello che voglio. Non importa chi dovrò calpestare» la mette in guardia, secco, alzando le sopracciglia con chiara allusione.
«Lo so» assicura lei, seria. Abbassa per un momento lo sguardo, inumidendosi le labbra e scacciando quei pochi scrupoli di coscienza che le sono rimasti, prima di tornare a incrociare le iridi chiare e gelide dell’altro. «E non ti fermerò» promette schietta.


*


Con le dita appoggiate alla tiepida ringhiera di marmo del balcone della sua camera da letto, si riempie i polmoni con l’aria primaverile e frizzante del The Dales.
Non crede che esista un panorama più meraviglioso di quella sconfinata valle dai colori brillanti, composta da così tante gradazioni di verde, che tanto le dona una totale sensazione di pace. 
Soprattutto quando c’è il tramonto, come in quel momento, dove tutto assume una sfumatura rossastra, tanto simile a quella del cielo.
Sussulta appena quando due braccia le circondano la vita ma il sorriso le spunta per riflesso, perché sa già di chi sia anche senza voltarsi.
«Amo questo momento della giornata» confida Evan, piano, con il solito tono di voce basso, appoggiando la guancia contro il suo capo. «Forse per il silenzio» termina genuino.
Lei sospira, deliziata.
«Piace anche a me» concorda morbida, girando appena la testa così da guardarlo con la coda dell’occhio.
Rimangono per una manciata di secondi in silenzio, contemplando il panorama che si presenta di fronte.
«Mi hai sorpreso con Julian» riprende lui, amabile, la mano destra che le sfiora quasi per casualità il ventre piatto. Prova un brivido di trepidazione quando quelle dita la toccano, forse perché le sembra un gesto così pieno di sottintesi. «Lui non ti piace» sostiene acuto.
Emmeline annuisce, scrollando appena le spalle con noncuranza.
«Ma a te sì» ribatte consapevole, voltandosi completamente così da appoggiargli le mani sul petto e guardarlo dritto in faccia. «Posso provare ad apprezzarlo per te» ammette con una punta di fatica, perché non è facile cercare di mettere da parte un’antipatia così radica anche se ora non è più una bambina. «E poi penso davvero quello che ho detto a pranzo. Non credo che il pericolo sia passato» conviene a fatica, tesa, un’ombra di preoccupazione a incupirle i lineamenti.
Evan le alza il viso con una mano, così da incrociare il suo sguardo. 
«Non ci accadrà nulla» promette sicuro, totalmente fiducioso per quello che li aspetta. 
Lei sorride radiosa, rincuorata per quella sicurezza che è ben lungi dal provare.
«Sai a cosa stavo pensando prima, mentre osservavo il panorama?» domanda lieve, arrossendo appena sulle guance a causa di quella riflessione che è nata spontaneamente nella sua testa. «Dici che è troppo presto per iniziare a sistemare la nursery?» domanda incerta, socchiudendo le palpebre. 
Lui abbassa le ciglia, nascondendo per un momento le iridi verdi. Però quando le rialza, sono più limpide che mai e le sue labbra sono incurvate in una linea dolce.
«Dopo che me lo hai detto, ho guardato l’albero genealogico» ammette morbido, sorprendendola e gonfiandole il petto per quel fiotto di commozione bollente. «Stavo cercando un nome» continua, poi, sommesso.
«Ti dico già che non sono dell’idea di dargli uno dei nostri» lo mette in guardia, svagata, arricciando scherzosamente il naso. «Di Emmeline ce ne sono state fin troppe… quanto a Evan» afferma sottovoce, affettuosa, alzando una mano per accarezzargli la guancia. «A me piace che tu sia l’unico» sussurra calorosa.
«Scarterei anche Rosamund» replica Evan, basso.
«E anche Joanne» riflette Emmeline, accorta, prima di far scivolare quella mano sulla spalla dell’altro. «Ci ucciderebbe se osassimo farle questo» osserva concreta, gli occhi persi nel vuoto nel tentativo di immaginare la reazione della zia e inarcando le sopracciglia con eloquenza quando si rende conto che non sarebbe delle più felici.
«A me Julian non dispiace» afferma lui, tenue, attirando immediatamente tutta la sua attenzione. «Ma non te lo propongo nemmeno» commenta sicuro, scrollando la testa con disimpegno. 
«Non è male» si costringe a dire lei, a fatica, ignorando l’espressione scettica dell’uomo che ama. «Sempre meglio di Edmund» sottolinea eloquente, lasciandosi sfuggire una smorfia amareggiata al pensiero di tutto quello che ha fatto suo padre per dividerli. «Hai mesi per farmi cambiare idea, signor Rosier, nel caso non trovassimo nessun nome che ci metta d’accordo» butta lì, divertita.
Evan ridacchia, scuotendo il capo per il divertimento. Ha il viso illuminato da una dolcezza che lo rendono più bello di qualsiasi tramonto. Le sorride, prima di abbassare il viso e baciarla.
Emmeline ricambia d’istinto, lasciandosi andare contro quelle labbra e sentendo il cuore gonfiarsi di una gioia selvaggia.
Non c’è motivo di temere il futuro, non se lui è al suo fianco.






... non riuscirono mai a passare del tempo insieme,
come tanto avevano desiderato e meritato.
E come da allora io ho…
come da allora io ho sempre sentito di aver impedito.
Ma quale senso di speranza o di soddisfazione
avrebbe avuto un lettore da un finale del genere?
[...] Mi piace pensare che non sia stata debolezza o evasione,
ma un atto finale di gentilezza.
Io ho restituito loro la giusta felicità.”
Espiazione







Spero che vi sia piaciuto, perché a me ha spezzato il cuore. Forse perché immaginare quello che sarebbe potuto essere è stata una botta assurda che mi ha lasciata distrutta. Però anche se difficile, ho pensato che sarebbe stato un bel regalo per qualcuno che ama questa coppia.
E nonostante io sia una di quelle che cerca sempre di seguire il canon della Rowling, questa volta l’ho bellamente ignorato. E poi penso che sia anche giusto così: a volte è bello cambiare le carte in tavola.
Se proprio vogliamo tenere Condannati come punto di riferimento, questo what if si colloca dopo il sesto capitolo (che ho quasi finito e che speravo di pubblicare prima di questa storia). 
Il titolo, se mi perdonate la sfacciataggine, penso che sia perfetto per riassumere quello che vorrei raccontare. 
Inoltre vorrei farti notare, mia piccola Maqry, che, sullo stato della storia, non c’è la dicitura conclusa. Eh sì, è folle ma ho preso questa decisione.
E non provare a dire che sei innocente! 
Infine vorrei ringraziare Vale, che è sempre paziente con me e mi sostiene ogni singola volta. <3
Un abbraccio e a presto,
Blue

 

The Dales: purtroppo non l'ho mai visto ma, sfruttando il potere di Google, posso dire che mi sembra un posto magnifico? E visto che i Rosier, nel mio universo, hanno la casa di famiglia nello Yorkshire, mi è sembrato giusto che godessero della vista e presenza di una natura fantastica.
Ich liebe dich: sempre seguendo il mio headcanon, i Rosier hanno origini tedesche. Emmeline parla questa perché immagino che conoscere altre, oltre all'inglese, fosse uno dei punti cardini dell'educazione Purosangue. Significa ti amo. 







   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: BlueBell9