29
CAPITOLO “MARIPOSAS”
Mentre
Nairobi torna con la mente ai vecchi ricordi, Santiago Lopez girovaga
all’ultimo piano della gigantesca villa di famiglia.
Scruta
nei dettagli ogni angolo di stanze rimaste chiuse per decenni. Da
quando sua
madre è morta, si è accontentato di abitare in un
appartamento al settimo piano
di una palazzina in una periferia.
Donna
Leticia seppure solare e accogliente, tanto da trattare le sue
cameriere al
pari di nipoti di sangue, era piuttosto discreta per quanto riguardava
il
passato, quindi a suo figlio tocca ora recuperare tracce lontane nel
tempo.
Bogotà
però non sa bene dove la defunta madre custodisce i segreti
del suo cuore
ferito, il cuore di una donna che si innamorò, che si
sposò convinta di essere
ricambiata, che diede alla luce un figlio cercato e voluto, ma
cresciuto con le
sue sole forze, e che fu abbandonata da chi le promise
fedeltà e amore per
tutta la vita.
Perquisire
le stanze è il primo tentativo di ricerca. Raggiunge la
camera dove alla parete
spicca un dipinto, coperto da un velo scuro che il quarantaduenne
solleva
immediatamente…l’ennesimo quadro di Leticia.
La
villa ne è piena.
Aveva
dimenticato dell’esistenza di quel capolavoro.
Stavolta
è ritratta giovanissima, nella bellezza dei suoi diciotto
anni, con gli occhi
colmi di speranza per il futuro e il sorriso di chi ancora non
è chiamata a
soffrire.
Da
bravo ispettore, Santiago sceglie di studiare i dettagli di ogni minimo
oggetto
presente tra quelle quattro pareti. Dopotutto,
il mestiere gli insegna che dietro
le cose più impensabili, di solito, si nascondono risposte
ai misteri.
Così
solleva il quadro sganciandolo dal muro, convinto di trovarvi qualche
cassaforte o buchi alla parete. Ma niente. Il dipinto è
stato adagiato lì solo
per estetica.
A
colpirlo è invece un dettaglio, scritto con un pennellino
nero, dietro la tela.
“Da
C.G. alla farfalla più bella” – legge,
spiazzato dall’appellativo utilizzato.
Oggi come oggi quell’insetto riesce a collegarlo solo e
inevitabilmente alle
vicende del Mariposas.
Magari,
chissà, è un modo per definire la donna. In fondo
si sa, le farfalle sono note
per essere meravigliose per natura.
“C.G.”
– ripete ad alta voce, come a cercare risposte
all’identità di tale persona –
“Chi sarà mai?” – piuttosto
che il nome Farfalla, sono tali iniziali a
insospettirlo.
Per
scoprirne di più, comincia a rovistare in alcuni cassetti,
la maggior parte
difettati dal trascorrere degli anni o altri purtroppo vuoti.
Sedutosi
sul letto, torna a fissare il dipinto.
E
un dettaglio gli viene alla mente – “Cazzo, anche
lui dipingeva! Non può che
essere mio padre quel tale C.G.! probabilmente le ha realizzato il
quadro negli
anni di fidanzamento…e poi l’appellativo
farfalla… il Mariposas…ecco, tutto
torna! Forse Nairobi non ha frainteso nulla, non mente, non
è confusa…ha
semplicemente detto il vero” – scatta in piedi come
un fulmine e solo allora
avverte uno scricchiolio strano.
Abbassa
lo sguardo constatando che un paio di mattonelle sono leggermente
sollevate
rispetto all’intero pavimento.
“Bingo!”
– esclama, certo di aver trovato qualcosa che forse era stato
volutamente
celato.
Con
il cuore in gola, per l’ansia di quanto verrà a
scoprire, e per le aspettative elevate,
Santiago solleva le due piastrelle e nota una piccola scatola nera,
paragonabile
ad un piccolo portagioie in termini di dimensioni.
Probabilmente
la grandezza e il colore non sono casuali, pensa l’ispettore.
Chi l’ha nascosto
lì non voleva che saltasse all’occhio e il nero
è utile a questo scopo.
Accuratamente
la apre, dopo un bel respiro profondo.
“Lettere?!”
– esclama, non sapendo quale emozione provare di fronte a
pezzi di carta. Ne
tira fuori un mucchio messe tutte assieme, l’una
sull’altra, come fossero un
pacchettino, unite da un nastro di quelli che Leticia usava per i
capelli, di
colore rosa confetto.
Ed
è così, in questo modo, che Santiago Lopez si
accinge a leggere e svelare come
tutto ebbe inizio.
--------------------------------------------------
“Che
bel dipinto, complimenti”
“Grazie, ammetto di aver sempre amato
l’arte”
“Beh,
una creatura così bella e raffinata non poteva non amare
altrettanta
magnificenza” – un affascinante vent’enne
si avvicina alla giovanissima Leticia
Lopez, figlia unica di una famiglia benestante madrilena.
Spinta
dal padre, la ragazza ha realizzato una mostra per esporre i suoi
lavori
migliori.
È
quel giorno, il 13 marzo del 1979 che viene scritta la storia.
“Sono
un appassionato anch’io, sai?”
“Davvero?
Mi piacerebbe osservare i suoi lavori” – confessa
la biondina.
“Io
sono un appassionato di pittori come Dalì. Soprattutto
quando si tratta di
quadri di farfalle”
“Credo
di non averne mai visti. Come mai proprio le farfalle?”
“Io
amo la natura e le farfalle sono sempre state la mia ossessione. Le
farfalle
per Dalì io le interpreto così: secondo me lui le
collega al desiderio carnale,
a…alla seduzione… e rappresentano una
metamorfosi…ognuno di noi è, in fondo,
una farfalla”
“Caspita,
come è informato, signore”
“Siamo
coetanei, suppongo. Diamoci del tu”
Imbarazzata
dal temperamento del giovane, da sempre timida e chiusa nella sua teca
di
vetro, Leticia si lascia andare e approfondisce la conoscenza.
Durante
le ore seguenti, che vedono il ragazzo raccontare ogni piccola
curiosità su
Dalì e la sua arte, di cui è al corrente per via
della passione e dello studio
sui libri, i due non badano alla cosa primaria…
“E’
ora di andare! È stato bello conoscerti”
“Anche
per me. Adesso tocca a te realizzare una mostra”
“Solo se avrò il piacere di averti tra gli
invitati” – la lusinga, con un
leggero e delicato baciamano.
Negli
anni ’80 era alquanto raro trovare ventenni tanto educati da
compiere ancora
quei gesti tradizionalisti.
“A
proposito” – dice lui, prima di allontanarsi con un
uomo sulla quarantina che
sembra essere una sorta di guardia del corpo –“Non
conosco neanche il tuo nome”
“Leticia….Leticia Lopez”
“Bene,
Leticia Lopez piacere mio. Io sono Carlos Grigoryan”
I
due si perdono di vista per alcuni mesi, fino a quando, il fato mischia
nuovamente le carte.
Ed
è una mattina di inizio estate quando, a colazione, la
diciottenne nota sul
quotidiano di suo padre la notizia dell’imminente mostra di
Salvador Dalì in
città.
“Andiamoci,
ti prego, papà!” – lo supplica una
giornata intera, e riesce ad abbattere i No
del genitore solo accettando di recarvisi accompagnata.
Ciò
che accade è l’incontro, o meglio il rincontro,
tra due giovani, invaghitisi
l’uno dell’altra.
Leticia,
all’epoca, sapeva, in cuor suo, che Carlos sarebbe andato
alla Mostra essendo
così fanatico del pittore spagnolo. Disposta a vederlo e
potergli nuovamente
parlare, opta per parteciparvi.
E
così si ritrova faccia a faccia con il ventenne dai capelli
castani e la strana
ma adorabile voglia sulla guancia sinistra.
Quella
stessa voglia che con il passare del tempo verrà in qualche
modo camuffata da
una folta barba che la stessa Leticia imparerà ad amare.
È
prossimo il Natale quando i due si scambiano il loro primo bacio.
“Perché
Grigoryan? Sei straniero?” – domanda lei.
“Mio
padre è armeno. Mia madre spagnola. Ecco perché
solo il mio nome è iberico” –
le spiega quando l’accompagna davanti casa, una villa enorme
che lo lascia di
sasso.
Certo,
sapeva quanto fosse benestante la Lopez, ma immaginare che vivesse in
tale
sfarzo non lo credeva possibile.
Trascorsa
qualche settimana, dopo baci e uscite, coccole e sentimentalismi,
Carlos fa un
passo decisamente scioccante: le chiede la mano.
La
famiglia di lei è incredula. Come mai tutta quella fretta?
Alcuni temono sia
dovuto a una gravidanza inattesa. Ma Leticia rassicura. È
una giovane donna
responsabile che mai avrebbe permesso che capitassero cose che
avrebbero potuto
mettere in cattiva luce i suoi genitori in società. Mette da
parte i suoi
desideri per il bene di chi l’ha messa al mondo.
Beh…tanta
urgenza nel promettersi SI sull’altare ha, in
realtà, un motivo di fondo…
qualcosa di molto distante dall’amore.
Leticia
e Carlos si uniscono in matrimonio nel gennaio del 1980.
Una
festa degna di un re e una regina. I Grigoryan sembrano apprezzare quel
lusso e
goderne a pieno. È come se avessero combinato tutto alla
perfezione pur di
accasare il loro unigenito con una donna ricca.
Ed
è effettivamente ciò che accade.
Ma
si sa, le forzature spesso creano effetti contrari.
Carlos
si sente imprigionato in delle nozze mai seriamente volute. Per di
più si rende
conto che ad accomunarlo a Leticia è solo l’amore
per l’arte e la pittura.
Anche
fare l’amore con lei diventa un peso.
Ha
vent’anni quando scopre che da lì a qualche mese
sarebbe diventato addirittura
papà.
Tutto
troppo per un giovane come lui.
Nasce
Santiago e solo un anno dopo il suo arrivo, il piccino diventa orfano
di padre.
Colui
che avrebbe dovuto crescerlo assieme alla consorte, fa le valigie e
abbandona la
sua famiglia.
Lo
scandalo per i Lopez è tale da costringere i Grigoryan ad
annullare ogni tipo
di vincolo con loro.
Per
evitare denunce, avvocati, assegni di mantenimento o altro, si opta per
cancellare definitivamente dalla vita del bambino ogni traccia di
Carlos.
A
Leticia non resta che un cuore in mille pezzi, tanti sogni bruciati, e
un
figlio da crescere…da sola!
C’è
da domandarsi il perché di quelle lettere nascoste.
Beh…
la signora Lopez, il cui cognome sarà quello che
contraddistinguerà anche
Santiago, negli anni scriveva lettere al suo amore perduto. Lettere mai
spedite, sulle quali raccontava di quanto dolore gli avesse recato, di
come il
loro Santi stesse crescendo, dei suoi cambiamenti, delle sue
paroline…una
raccolta custodita gelosamente.
In
quella stessa raccolta emerge che Leticia negli ultimi quindici anni
era stata
ricattata e le venne imposto un pagamento molto alto.
Soldi
che dovette cedere a chissà chi per evitare danni al
compagno scomparso, nonché
al suo adorato figlio.
---------------------------------------------
“La
ricattavano per salvare il culo a quello stronzo!”
– esclama Bogotà, stringendo
con forza una delle ultime lettere rimaste –
“Chissà che razza di malfattore è!
Maledetto”
Ma
è il tassello mancante alle sue indagini quello che trova in
fondo alla
scatola.
Una
piccola cornice nella quale è fotografata la coppia con in
braccio il loro
neonato di poche settimane.
“Cazzo”
– esclama Santiago, riconoscendosi in quel giovane di fianco
alla madre.
“Nairobi
aveva ragione…porca puttana, allora è mio
padre!” – grida sconvolto.
È
in tale istante che Agata, agitata per la scoperta fatta in autonomia,
si fa
ben udire mentre
parla ad alta voce con
Tokyo e Rio, in mezzo ai corridoi del primo piano.
“Cosa
conti di fare ora, amica mia?” – chiede Silene alla
gitana.
Santiago
origlia, ancora decisamente scioccato dalla novità.
“Vorrei
che Bogotà sapesse. Vorrei sapesse chi è il
Signor Dalì, chi è il Cliente 13”
“Lo
so già” – commenta
l’ispettore, scendendo a passo lento le scale per riunirsi
ai tre.
Poi
si rivolge alla sua compagna e la prende per mano –
“Perdonami per prima. Certo
che ti credo. Mi fido di te. E adesso ho la prova decisiva. Guarda tu
stessa”
Le
porge la cornice.
Dal
viso di Nairobi, impallidito, e quello agitato di Santiago, la Olivera
e Cortes
intuiscono che parte del mistero è stato risolto.
“Quel
figlio di puttana che ti ha messo le mani addosso è lo
stesso che ha usato mia
madre per arricchirsi. Non ho dubbi, lui ha costruito il suo impero con
il
denaro che le ha strappato”
“Sei sicuro? Tutto questo l’hai dedotto da una
fotografia?” – domanda Tokyo,
quasi burlandosi di lui.
“Era
tutto studiato a tavolino, sin dal principio. E ci sono delle lettere
che ne danno
prova. C.G. queste sono le sue iniziali”
“Aspetta,
com’è possibile? Diceva di chiamarsi
Lopez” – ricorda Nairobi.
“Ha
usato il cognome di mia madre come copertura. L’ha sposata
per soldi. Poi l’ha
abbandonata. Non so come sia arrivato al Mariposas né come
ha fatto ad
impossessarsene. State pur certi che lo scoprirò. Ho una
voglia matta di
sbattere in galera la persona che ha calpestato il cuore e i sentimenti
di mia
madre…la persona che ha osato distruggere la donna che amo.
Non la passerà
liscia. Fosse l’ultima cosa che farò in vita
mia…lo voglio dietro le sbarre!!”