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Autore: _Atlas_    14/08/2022    1 recensioni
1997.
Axel, Jake e Jenna vivono i loro vent’anni nella periferia di Mismar, ubriacandosi di concerti, risate e notti al sapore di Lucky Strikes. Ma la loro felicità è destinata a sgretolarsi il giorno in cui Jake viene trovato morto, spingendo gli altri nell’abisso di un’età adulta che non avrebbero mai voluto vivere.
Diciotto anni dopo, Axel è un affermato scrittore di graphic novel che fa ancora i conti col passato e con una storia di cui non riesce a scrivere la fine.
Ma come Dark Sirio ha bisogno del suo epilogo, così anche il passato richiede di essere risolto.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XV

 
 
 
 
 

 
Nonostante gli anni trascorsi, le labbra di Axel si incurvarono in un sorriso nell’osservare i corridoi della C.A.M. e realizzare quanto ancora quelle pareti trasmettessero un senso di fiducia e tranquillità. A parte qualche giustificata eccezione, i muri erano costellati di disegni e opere degli studenti, murales o pagine intere di fumetti racchiuse in cornici, dipinti e collage di fotografie.
Quell’esplosione di colori e di idee dissomiglianti aveva messo a tacere il senso di inadeguatezza che aveva vissuto per anni: tra quelle mura aveva provato l’emozione inattesa di non sentirsi solo – anche se mai fino in fondo – e di potersi concedere un pizzico di fiducia ogni volta che provava a scarabocchiare una vignetta su un pezzo di carta.
Attraversare di nuovo quei corridoi aveva adesso un sapore diverso, intenso, carico di tutte quelle sensazioni che aveva deciso di ignorare e che puntualmente riportavano a galla ricordi lontani.
Aveva perso il conto dei pomeriggi con Jake passati a limare i dettagli del suo fumetto mentre lui rincorreva mentalmente i riff nati dalla sua Fender Stratocaster o si chiudeva in silenzi improvvisi e pesanti come macigni.
Spesso li alternava a battute di scherno e a momenti di iperattività che lo distraevano e lo rendevano ai suoi occhi una persona fin troppo seria, ma era stato proprio in una di quelle occasioni che Jake gli aveva detto apertamente quanto tenesse a lui.
«Sei forte Axel, e non solo perché sei una specie genio del fumetto. Sei anche il mio unico amico.»
Axel ricordava di essersi spaventato per quella sua improvvisa serietà, e si era preso il suo tempo per prepararsi a una possibile battutaccia a seguire, ma Jake era rimasto zitto e lui si era come sempre ritrovato a corto di parole.
«Tranquillo, non devi per forza rispondere» gli era andato in contro lui senza preoccuparsi di smorzare la tensione. Si era poi messo le cuffie alle orecchie e aveva avviato il suo walkman.
Fu in una di quelle occasioni che Axel conobbe Bradley Hall, studente dell’ultimo anno, un metro e ottanta di altezza e una chioma di capelli biondi che gli arrivava alle spalle, e Cody Harris, suo compagno di corso, dall’aria meno appariscente ma più irrequieto e con lo sguardo penetrante.
«Mi devi dei soldi, Steamons» gli aveva detto un pomeriggio, scontrandolo all’uscita di una lezione.
«Ti ho detto che…» Jake aveva provato a rispondere, ma quello era già sparito tra la folla insieme all’amico, ignorandolo del tutto.
Bastava avere un po’ di intuito per capire che ci fosse qualcosa in sospeso tra loro, ma il silenzio in cui si era chiuso Jake non gli aveva dato modo di indagare sulla cosa.
«Cosa voleva?»
«Niente, lascia perdere.»
 
Con quel ricordo vivido nei suoi pensieri, Axel bussò alla porta del professor Lyton.
«Voleva vedermi?»
«Sì, vieni Axel. Siediti» gli disse indicando un posto di fronte alla sua cattedra. Axel si accomodò e improvvisamente si sentì di nuovo quello studente sconvolto e impacciato che aveva appena vinto un concorso e perso il suo migliore amico. Il piede iniziò a battere nervosamente sul pavimento.
«È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sei entrato qui dentro.»
«Già.»
Il professore lo guardò per qualche secondo senza dire nulla, squadrandolo come aveva fatto tante volte in passato. «Come vanno le cose?» gli chiese infine.
Axel abbassò d’stinto lo sguardo nella speranza di trovare il prima possibile una risposta che potesse ritenere normale. Alla fine si arrese, sperando che sviare l’argomento potesse mettere a tacere i dubbi dell’uomo.
«Uhm, di cosa voleva parlarmi esattamente?»
Il professore sospirò e nonostante tutto gli sembrò che fosse sul punto di assecondarlo.
«Volevo congratularmi con te,» disse infatti «di come stanno andando le tue conferenze e in generale del tuo successo. Non ho mai avuto modo di dirtelo di persona.»
«La ringrazio» mormorò Axel.
«I ragazzi ti seguono volentieri, direi quasi che potresti avere un corso tutto tuo e gestirtelo come preferisci.»
Alle sue parole seguì un momento di silenzio teso, spezzato solo dalle lancette dell’orologio appeso alla parete.
«Sto scherzando, Axel» disse infine il professore, interpretando l’espressione che doveva avere in volto «non arriverei mai a chiedertelo, so come la pensi al riguardo.»
Come la penso al riguardo? Chiese a sé stesso, prima che le sue sinapsi generassero un’altra domanda.
«Non dovevate chiudere prima di settembre?»
«In che senso?»
«Intendo la scuola. Avevo capito che questo – spiegò indicando sé stesso – fosse il gran finale» concluse con una punta di sarcasmo. Improvvisamente fu assalito dal dubbio che Loraine potesse essersi inventata tutto e che tutta la storia sulla chiusura dell’accademia fosse solo una trovata per pilotare la sua carriera. Per fortuna il professor Layton mise a freno la sua rabbia prima che potesse arrivargli allo stomaco.
«Ci stiamo pensando, sì» ammise con rammarico «le iscrizioni sono sempre più in calo, mancano i fondi e mancano i professori. Prima la C.A.M. era l’unica sul territorio, adesso scuole come questa sono ovunque e il loro prestigio non è neanche paragonabile a quello che offriamo qui. Mismar è piccola e ai giovani non offre nulla. Non lo ha mai fatto.»
Axel soppesò le sue parole e sebbene fino a quel momento l’idea che la C.A.M. chiudesse non lo aveva sconvolto più di tanto, adesso che si trovava fisicamente tra le sue mura la cosa iniziava a turbarlo.
«Non ci sono proprio alternative?» chiese.
L’uomo scosse la testa e incrociò le braccia sul petto.
«Al momento no.»
«Capisco.»
«Ho dei bei ricordi qui, tutto sommato è stato un bel cammino» aggiunse il professore poco dopo «pensare che tu abbia mosso i primi passi qua dentro mi rende orgoglioso, nonostante quello che hai dovuto passare.»
Axel si irrigidì a quelle parole e un moto di rabbia stavolta lo attraversò dalla testa alla punta dei piedi.
«Non avrei dovuto partecipare a quel concorso» disse duramente e quasi senza rendersene conto.
L’uomo si inclinò appena verso di lui rivolgendogli uno sguardo che lo fece ritrarre.
«Non è stata colpa tua, Axel» gli disse perentorio.
«Invece sì» replicò, mantenendo il contatto visivo con lui.
Trattenne il fiato fin quando il professore non si ritrasse, e anche allora continuò a mantenere il suo lo sguardo.
«Ero il presidente della commissione,» disse poi l’uomo «ho stabilito io chi dovesse vincere quel concorso, questo fa di me un colpevole?»
«No, questo non l’ho mai pensato.»
«Io l’ho pensato invece. Mi sono detto che se avessi fatto vincere lui forse si sarebbe potuto salvare. O forse no, forse si sarebbe ucciso lo stesso. Ma chi può dirlo questo? Il mio compito era quello di valutare le vostre storie, e la tua era la migliore.»
«Appunto. Ho scelto io di partecipare al concorso, come può non essere mia la colpa?»
«Le colpe sono altre, Axel. Vuoi sapere qual è la mia?»
Axel trattenne di nuovo il fiato, teso, riconoscendo il familiare pizzicore al petto che gli faceva visita in quei momenti.
«La mia colpa è quella di non aver capito la gravità di quello che stava attraversando Jake. Se fossi stato più attento, se avessi ascoltato meglio i suoi segnali, se lo avessi seguito meglio…Ho passato anni a ripetermi che in fondo sono solo un professore di disegno, che il mio compito era quello di istruirvi su come rendere originale una storia e su come rendere un personaggio interessante a livello narrativo. Nessuno mi ha mai detto che avrei dovuto fare attenzione anche allo stato d’animo dei miei studenti, l’ho imparato a mie spese troppo tardi. Adesso non faccio altro che cercare segnali ogni volta che mi rivolgono la parola o li sento parlare tra di loro; sembro pazzo, ma è un modo per far tacere la coscienza e per assicurarmi che non ricapiti più quello che è successo a Jake.»
Axel ascoltò le sue parole senza trovare il coraggio di replicare, un po’ perché il peso al petto glielo stava impedendo, un po’ perché l’uomo aveva appena espresso a parole gran parte dei tormenti che si portava dentro senza avere il coraggio di esprimerli. Non riusciva a credere che, sebbene da punti di vista diversi, i sensi di colpa che provavano erano gli stessi. Certo, il professor Layton non aveva conosciuto Jake come lo aveva fatto lui, ma anche se c’erano migliaia di sfumature di cui non era a conoscenza, il peso che portavano era comunque il solito. Non se lo aspettava, ma sapere di non essere il solo a provare quel malessere aveva reso più sopportabile quel macigno che gli era piombato sul petto.
«Mi spiace essere finiti a parlare di questo, giuro che non era nelle mie intenzioni» si scusò infine l’uomo, riprendendo la sua compostezza «Non mi era mai capitato di parlarne così apertamente, tutto sommato credo che mi abbia fatto bene.»
«Nessun problema,» rispose Axel «ma non penso che riuscirò a fare lo stesso.»
«Lo so. Per te è diverso. Ti ringrazio comunque per avermi ascoltato. Puoi andare se vuoi, non voglio trattenerti ancora.»
Axel annuì, ma rimase ancora qualche secondo seduto, lasciando vagare lo sguardo tra i libri e le migliaia di cianfrusaglie presenti nello studio. L’occhio gli cadde poi su una pila di volumi posti su uno scaffale, 12 libri di cui conosceva a memoria ogni parola e ogni singola linea disegnata. Il suo nome spiccava appena luminoso sotto il titolo in caratteri dorati dell’ultimo volume di Dark Sirio. Per la prima volta la rabbia rimase assopita dentro di sé, lasciando il posto a una lacrima che gli inumidì lo sguardo.
 

 

*

 


Al Lenox Blues si respirava un’atmosfera particolarmente tesa, quella sera, complice anche l’assenza di clienti.
Axel ne stava prendendo atto mentre cercava di sistemare una mensola rimasta in bilico dietro al bancone e che poco prima aveva fatto rovinare a terra due bottiglie di liquore. Darryl lo aveva aiutato a ripulire mentre Richie faceva avanti e indietro dalla cucina sfornando frittelle di mele e crostate al cioccolato; c’era anche Jenna, appollaiata a un tavolo del bancone mentre cercava di raccapezzarsi tra centinaia di dati e cifre sulle spese delle ultime settimane.
«E anche questo mese non andremo in fallimento, evviva!» esclamò con scarso entusiasmo rimettendo i documenti in una cartellina. Axel intercettò il suo sguardo, riuscendo a malapena a sorridere.
«Oh, questa sì che è una grande notizia» rispose allegro Darryl, spazzando un angolo del locale e alzando di qualche tacca il volume dello stereo. «Dobbiamo assolutamente festeggiare» disse improvvisando un balletto sulle note di un successo di Katy Perry.
Nel momento in cui Richie face accidentalmente cadere a terra una teglia di pasticcini, qualcuno entrò nel locale sbattendo la porta con una particolare veemenza. Era Lion, che con sguardo innervosito avanzava a passo rapido nella direzione di Jenna.
«Rivoglio il mio skateboard» le disse incrociando le braccia sul petto.
Axel, sentendosi chiamato in causa, tese l’orecchio per carpire cosa si dicessero mentre Darryl continuava a canticchiare Katy Perry.
«Come prego?» chiese Jenna, assottigliando lo sguardo.
«Rivoglio il mio skateboard! Tu non sei mia madre, non hai diritto di sequestrarmi le mie cose!»
«Ne abbiamo già parlato, Lion, te lo ricordi o devo farti un ripasso?»
«Ti ho già detto che non li ho rotti apposta quei bicchieri, è stato un errore!»
«Un errore causato dalla tua ennesima distrazione! Devi essere più responsabile!»
«E sequestrarmi lo skate mi renderà più responsabile? Guarda che non sono uno stupido, Jenna, ho capito che lo hai fatto per vendicarti.»
«Cosa?! Se avessi voluto vendicarmi il tuo skateboard avrebbe fatto la stessa fine dei bicchieri che hai rotto.»
Axel vide il ragazzo sbuffare e passarsi una mano tra i capelli con aria seccata. Darryl continuava imperterrito a seguire le note della canzone, ma era chiaro che stesse anche lui seguendo lo scontro con Jenna.
«Tu mi hai promesso che mi avresti aiutato» rincarò la dose Lion, trascinandolo nella discussione proprio come aveva temuto. Axel fu costretto a voltarsi e a raggiungerlo davanti al bancone.
«In che senso?» si intromise Jenna.
«Axel mi ha detto che avr-»
«…che mi sarei impegnato a farglielo riavere, sì» disse imbarazzato, non sapeva se più per il guaio in cui si era cacciato o se perché la prima occasione di parlare con Jenna si stava rivelando un autentico fiasco.
La vide aggrottare le sopracciglia cercando probabilmente di trovare un senso logico in quello che le stava dicendo.
«Tu lo aiuteresti a riavere il suo skateboard, ho capito bene?»
«Sì?» rispose incerto Axel, sentendo chiaramente Darryl sghignazzare dietro di lui, ora che aveva di nuovo abbassato il volume dello stereo.
«Perché questo desiderio di fare il paladino della giustizia?» gli domandò la giovane incrociando le braccia sotto al seno.
«Non ho…non….stavamo solo parlando, tutto qui. Volevo aiutarlo» si difese Axel, pensando solo adesso che forse aveva osato prendere un po’ troppo sottogamba la questione.
«No, è che lui ha capito che nascondermi lo skate è stata una cazzata» borbottò Lion con cipiglio arrogante.
«Ti conviene moderare i toni, Lion, intesi?» lo redarguì Jenna.
«Certo, tanto con te non si può mai parlare, sai solo arrabbiarti o prendertela con quello stupido skateboard. Tienitelo, visto che ci tieni tanto, non me ne importa più niente.»
Axel seguì con lo sguardo il ragazzo fino a quando non lo vide uscire dal locale con aria affranta e arrabbiata, poi lo posò su Jenna, che si era chiusa nel silenzio con gli occhi velati di lacrime. Darryl non sorrideva più, ma a sua volta osservava la giovane senza proferire parola e assumendo di tanto in tanto un’espressione triste.
Non aveva faticato troppo a comprendere la rabbia di Lion, ma quello che lo aveva turbato era stata la reazione di Jenna e tutte le sfumature che aveva colto dietro ai suoi rimproveri.
Decise di non dar loro troppo peso, ma non poté fare a meno di chiedersi come avesse vissuto quei diciotto anni, e se anche per lei fossero stati un inferno.

 
 
 

__________

 

NdA
Buona…notte!
Riesco finalmente a pubblicare il capitolo, che era in stand-by da qualche settimana, ovviamente a orari poco convenzionali.
Che dire, per Axel le cose iniziano a complicarsi e posso assicurarvi che da ora in poi sarà sempre peggio per lui :’) Io comunque sono felice, non perché adori far soffrire i personaggi – o forse un po’ sì -  ma perché finalmente ci troviamo in un punto di trama che adoro e che non vedo l’ora di sviluppare nei prossimi capitoli.
 
Momento di autocompiacimento a parte, grazie come sempre a chi si ferma a leggere e a chi mi ha sostenuto fin qui. Grazie grazie grazie <3
 
 
_Atlas_

   
 
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