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Autore: J85    14/08/2022    0 recensioni
Ispirandomi alla tradizione tutta italiana della smorfia legata ai numeri, eccovi una storia in cui, a causa dello sciopero generale di tutte le squadre partecipanti alla NBA, a New York nascerà una squadra di basket formata da ben novanta personaggi, vi assicuro uno più assurdo dell'altro.
Riuscirà questa stramba combriccola, letteralmente creata dal caso, a far tornare il divertimento tra i tifosi delusi e dimostrate che, in fondo, davvero chiunque può essere un vincente, se lo vuole?
Genere: Commedia, Generale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

"L’adunanza”




“… Quello che tutti i grandi appassionati di sport temevano alla fine è successo: i giocatori dell’NBA entrano in sciopero!” tuonò il giornalista televisivo, mentre fissava con aria sgomenta la telecamera e, indirettamente, tutto il pubblico a casa.

Gli accordi tra le parti non sono stati raggiunti” proseguì con l’annuncio “e quindi tutte le varie franchigie della lega hanno deciso all’unanimità che non scenderanno in campo. Tale decisione è da considerarsi a tempo indeterminato”

Ormai questo non è più uno sport!” polemizzò uno degli opinionisti presenti nello studio televisivo “Ha comandare è sempre ed esclusivamente il dio denaro!”.

In un attimo, l’enorme schermo in HD si spense.

Un uomo sulla settantina, con un capello da cowboy di tessuto chiaro da cui spuntavano degli sparuti capelli bianchi, fissava pensieroso il vuoto del display scuro.

Si voltò di scatto, con il suo sguardo che andava oltre lo schienale della comoda poltrona che stava occupando.

Garçon” urlò, schioccando nel mentre le dita.

Un cameriere, vestito di tutto punto e con uno stile impeccabile, si fece avanti da una porta laterale nell’ampio salone.

Come le ho già ripetuto molte volte in passato, signore, quel termine si utilizza, per la maggior parte nei paesi francofoni, per richiamare al massimo un cameriere. Non certo un maggiordomo, come io sono”.

Giusto!” tagliò corto l’altro, scattando in piedi “Comunque, ho trovato il modo per lasciare un ricordo indimenticabile di noi nella storia di New York!”.

E come potrebbe, un uomo d'affari energico come lei, lasciare un’impronta indelebile nella storia della nostra città, signore?”.

Ci faremo una squadra!”.

Una squadra investigativa?”.

Ma no! Formeremo una squadra di basket e ricorderemo a quei palestrati viziati che chiunque può divertirsi giocando, cosa che di certo loro hanno dimenticato!”.

Concluse la declamazione con il pugno chiuso sbattuto sul tavolo in legno lì vicino. Il tonfo rimbombò in tutta la sala, adornata con mobili, soprammobili e quadri dei più variegati.


Detto fatto. Nel giro di una settimana, il filantropo e il maggiordomo stavano sorvolando la Grande Mela. A trasportali con la sua lenta eleganza, un dirigibile dal colore grigio metallizzato.

Signore, è certo che tutto ciò sia legale?” domandò preoccupato il maggiordomo, mentre portava l’ultimo scatolone vicino ad una grande apertura ovale, attualmente chiusa.

Tranquillo, a New York succede ben di peggio. Ricapitoliamo il tutto: appena aperto lo sportello, buttiamo giù tutte le maglie presenti in questi scatoloni!”.

Il maitre osservò ancora dubbioso uno dei cartoni.

Così lasciamo la composizione della rosa totalmente al caso!” proseguì il miliardario “In fondo, è come giocare alla roulette! Chissà chi il destino ci riserverà come cestista della nostra squadra!”.

Spiegato il piano, l’uomo si spostò alla parete vicino. Su di essa, troneggiava una leva diretta verso l’alto. Afferratala saldamente, fu abbassata con decisione.

Lo sportello presente sul pavimento della cabina del dirigibile, ben arginato con degli alti muretti, si spalancò.

l’imprenditore trotterellò rapido al suo posto e afferrò una scatola. Con lieve fatica, lo alzò per riporlo in bilico sul vuoto del cielo.

Pronto?”.

Con decisione nello sguardo, si voltò verso il maggiordomo.

Quest’ultimo, perplesso, aveva replicato l’azione del suo titolare “Ne è sicuro, signore?”.

Assolutamente sì! Buttiamo!”.

Tenendo strette le proprie dita sui margini in cartone del lato aperto, i due iniziarono a gettare il contenuto verso l’esterno del velivolo. Come tanti angeli in picchiata, le magliette, a cui erano state scocciati anche i pantaloncini e i calzettoni bianchi da gara, planavano con grazia verso la metropoli.

Nel giro di pochi minuti, tutti i contenitori furono svuotati.

Con un po’ di affanno, il servitore riprese a parlare “Perdoni la curiosità, signore, ma quanti capi d’abbigliamento abbiamo appeno buttato di sotto?”.

Esattamente novanta!”.

Come mai questo numero?”.

Non so, mi piaceva. Anzi, a dir la verità, dentro ce n’erano ottantotto…”.

Come mai, signore? Che fine hanno fatto le ultime due”.

Un ghigno beffardo si dipinse sul volto dell’imprenditore. Da sotto la sua giacca, tenuta ben nascosta dentro una tasca interna, tirò fuori una delle uniformi, aprendola davanti a sé.

Il colore principale era il bianco, con le rifiniture in azzurro. Azzurro era anche il numero di gara, che per l’uomo era il 31. sotto di esso vi era il viso stilizzato di un bambino che faceva la linguaccia, disegnato in stile simil manga.

Come mai il 31?”.

Ma è ovvio! È il numero dei miei anni…” rispose serio lui.

L’altro lo guardo con un viso da sfinge.

Scherzo! Beh, diciamo che mi ha sempre portato fortuna come numero” si rimirò compiaciuto la sua maglia “E lo sai come si chiamerà la squadra?”.

Volentieri”.

Il Face Team!” urlò più esaltato che mai.

Il maggiordomo rimase comunque impassibile “Quindi “Face” come faccia?”

No, “Face” come smorfia!” lo corresse, indicandogli nel contempo il disegno sotto il numero.

Un accenno di sorriso comparve sulla bocca del maitre.

Sa signore, le devo confessare una cosa…”.

Sentiamo”.

Mi sono permesso di tenermi una maglietta anche per me”.

Nel dire ciò, si abbassò e prelevò un’uniforme rimasta dentro uno scatolone. Quella con cucito il numero 83.

Una risata grassa e potente scaturì dal suo datore di lavoro.

Che mascalzone che sei!” si tolse il cappello e si lisciò i capelli, sempre ridendo.

Ah, a proposito!” interruppe di colpo la risata e si fece serio, con l’indice alzato della mano destra “Per tutelare la privacy di qualsiasi essere umano ci comparirà davanti, d’ora in poi ci rivolgeremo a tutti, quindi noi compresi, utilizzando esclusivamente il numero di maglia come nome. Questa regola l’ho scritta, fatta stampare e spillata insieme al resto dell’equipaggiamento. Sul quel foglio ho anche scritto l’indirizzo dove è fissato il ritrovo per tutti quanti, fra tre giorni”.

Lo trovo più che giusto, signore” acconsentì 83.

Infine, l’altra maglia che ho tenuto è invece per l’allenatore. Ho già in mente chi può essere perfetto per questo progetto…” scrutò da un oblò la spettacolare veduta aerea di Manhattan, mentre si apprestava ad accendersi un sigaro.


Riceve la palla, finta su piede perno, il difensore è a terra mentre si va con il tiro in sospensione da tre… ed entra! Ma aspettate un momento… il ginocchio ha ceduto!”.

Furono queste le parole enunciate dal telecronista mentre una giovane stella della pallacanestro si stava rapidamente spegnendo. Quella stessa stella sbiadita era ora seduta di fronte a 31, in uno degli uffici utilizzati da quest’ultimo.

Dunque è lei che mi ha fatto chiamare, signor…”.

Ehi! Ricordati: niente nomi, né date di nascita: solo numeri!” lo bloccò subito il suo interlocutore, che indossava bellamente la sua tenuta agonistica.

Come vuole. In ogni caso, non credo proprio di essere la persona più adatta per questo incarico, signor 31”.

E perché, figliolo? Perché ti manca l’esperienza?”.

Beh… sì” confermò sconsolato l’ospite, che si era presentato con i capelli neri spettinati e la barba lunga di tre giorni.

Fanculo l’esperienza! Non la vuoi una nuova opportunità?”.

C-Come?”.

Ma sì! Tu, come sono certo molti altri che si presenteranno fra tre giorni da noi, con questa opportunità avete la possibilità di una seconda chance!”.

L’altro lo osservava sempre più interessato.

Sappia tutti bene che la fortuna con te è di parecchio in debito!” gli allungò una nuova maglia bianca con numero azzurro “Se accetti questa maglia e la panchina della mia, anzi, della nostra squadra, intanto potrai iniziare a farti pagare quel debito salato”.

Il giovane afferrò la maglietta e la stese sulle sue gambe. Era la numero 68. dopo averci riflettuto un attimo, sorrise.

Direi che almeno ne vale la pena”.

Benvenuto tra noi, coach 68!”.

Il Face Team aveva ufficialmente il suo allenatore.


Ma torniamo al giorno prima, con le magliette bianche che planavano su New York.

Sotto di esse, un gruppo di undici giovani, provenienti dal continente asiatico e tutti vestiti con un completo rosso, era appena sbarcato sul suolo americano.

Cosa sono quelli?” urlò uno dei passanti, dirottando la loro attenzione verso ciò che scendeva dal cielo.

Uno di essi, con grandi incisivi che gli spuntano dal labbro superiore e fascia antisudore sulla fronte sotto ad una cesta di capelli lisci, scattò improvvisamente e, utilizzando il muro di un edificio come rampa di lancio, spiccò il volo e afferrò uno di quei rifornimenti. La maglia numero 57.

Con gli occhi che saettavano su ogni punto del foglio attaccato a quella tenuta, lesse in un lampo tutte le regole.

Ehi, gente! Prendetele anche voi!”.

Un gruppetto di teppisti, ne aveva appena raccolta una da terra.

Un altro del gruppo, con i lunghi capelli neri e un fisico ben allenato, gli si palesò davanti.

Che la voi, muso giallo?” lo sfidò il loro capo “Vieni a prendertela, mangia-riso!”.

Il nuovo arrivato non se lo fece ripetere due volte e colpì il suo sfidante con un calcio alto, esclamando “Colpo anti-stronzi!”.

Il resto degli sgherri si dileguò codardamente, lasciandogli la maglia numero 32.

Poco più in là, alcuni dei fuggitivi furono sfiorati da un pugnale, sputando magicamente dal nulla nelle mani di un altro degli orientali. Quest’ultimo osservava impassibile, con i suoi occhi gialli ambrati, il suo bersaglio: la maglia numero 41 che ora era conficcata saldamente al muro dalla lama.

Di nuovo vicino al palazzo, un altro di loro, con i lunghi neri raccolti in una coda bassa, imitò perfettamente la corsa in verticale eseguita in precedenza.

Cazzo! Non ci arrivo!” notò sgomento lui.

Come ultima risorsa per prendere al volo quel vestiario sportivo, tirò fuori dai suoi pantaloni niente meno che il suo notevole apparato riproduttivo, su cui si adagiò docilmente la maglia numero 88.

Uno di quei rifornimenti aerei era finito all’estremità più in alto di un lampione. Notando ciò uno dei ragazzi, con due grossi ricci ai lati della sua chioma, non si scompose minimamente.

TESTATA ATOMICA!” gridò, mentre si andava a schiantare con la propria testa contro quella struttura.

Nel giro di pochi secondi, il palo si piegò verso terra, portandosi dietro con sé la maglia numero 34.

Intanto, uno dei ragazzi seguiva quello che sembrava una facile presa, visto che la maglietta stava atterrando tranquillamente nel parco cittadino lì vicino.

Questa è mia!” esclamò fiero, mentre non si accorgeva di stare inciampando su di una radice di un albero.

Nell’ovvia caduta che ne conseguì, il tizio dai capelli corti e neri finì inoltre con il viso completamente nel fango, conseguenza delle piogge scese di recente. Stessa sorte capitò alla maglia numero 45.

Con ben più relax un altro di loro, caratterizzato da una cresta di capelli rossi, attese la consegna del pacco direttamente tra le sue mani. Era la maglia numero 35.

Per festeggiare si mise a canticchiare una canzone rockabilly sui cacciatori.

Tra questi undici visitatori, vi era una sola ragazza. Proprio lei si ritrovò, mentre seguiva una maglietta nel mezzo di un playground, durante lo svolgimento di una partita tre contro tre.

Attenta” la avvisò uno dei cestisti.

Lei, senza scomporsi minimamente, afferrò il pallone le stava finendo addosso, segnò con una schiacciata spettacolare e agguantò la maglia numero 49.

Di ben diversa struttura fisica era l’unico pelato tra loro. La persona visibilmente obesa fece fortunatamente solo qualche passo e afferrò la maglia numero 4.

Fame…” sussurrò mentre fissava il capo d'abbigliamento.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo, si mise a masticare la maglietta, fermato a stento dai presenti.

Tra questi, vi era anche il più piccolo della combriccola. Il ragazzino, riuscito appena in tempo a far desistere l’amico dal pasto inconsueto, finito con il sedere per terra, notò uno dei completi finito sopra un bidone della spazzatura.

Urca!” esultò sorpreso.

Con uno scatto lo raggiunse e si appropriò della maglia numero 11.

infine, il più possente del gruppo, vedendosi senza la sua ricompensa inaspettata, andò da un altro energumeno che invece aveva avuto quella fortuna insperata.

Dammela!” gli ordinò perentorio.

Vieni a prendertela!” replicò quell’altro.

I due si fissarono per qualche minuto in cagnesco. Finché il giapponese colpì in pieno viso l’avversario con un diretto destro. Il perdente collassò al suolo e gli concesse, sebbene incosciente, la maglia numero 5.


Riunitisi, tutti e undici stavano rimirando i loro nuovi completi sportivi, leggendo nel contempo le regole scritte allegate.

Non ci credo! Sei proprio tu?!”.

Tutti i presenti si voltarono, trovandosi davanti una donna dai capelli rossi e, cosa ben più che sorprendente, totalmente nuda.

La tipa si avvicinò saltellando, come i suoi seni, a 35.

Sapevo che ti avrei trovato qui a New York!” poi notò “Oh! Anche tu hai trovato uno di questi?”.

Nel dire ciò, fece ricadere l’attenzione su un completo simile che aveva pure lei in mano. In particolare, si trattava della maglietta numero 21.


Qualche giorno dopo si palesò, davanti ai due sbigottiti autori di quell’assurdo progetto e di fronte al loro quartier generale, una lunga limousine scura. Una volta davanti ai loro occhi, ne poterono ammirare l’elegante nero tirato a lucido, con il suo che ci si specchiava contro.

Sorprendentemente, non uscì nessuno dalla postazione di guida ma lo sportello posteriore che avevano di fronte si aprì direttamente verso di loro.

Non è possibile!” 31 era sbigottito “Non tu, brutto figlio di…”.

l’uomo che gli si era palesato innanzi, aveva quasi il suo stesso vestito da uomo d’affari, tranne che per la colorazione identica a quella sua vettura.

Ah ah!” gli fece no con l’indice destro “Non le sai le regole, bello mio?”.

Tirò via da dietro la schiena la sua mano sinistra, con afferrata l’uniforme del Face Team.

Io ora sono il numero 46!”.


Un’auto station wagon di colore grigio scuro sfrecciava sopra l’asfalto newyorkese. Al suo interno, una famiglia americana di sei persone dove ambo i sessi erano divisi in maniera perfettamente equa: due genitori, due figli maggiori e due figli minori.

Gente! Siamo finalmente giunti nella grande mela!” annunciò euforico il capofamiglia.

quest’ultimo aveva gli occhi castani, come i suoi capelli pettinati all’indietro e il paio di baffi sotto al naso.

Guardate quanti grattacieli!” indicava estasiata la madre, mentre passava l’altra mano sui suoi capelli biondi e mossi.

Non vedevo l’ora…” replicò seccato il figlio maggiore, con un’aria imbronciata dipinta sul volto sotto i suoi capelli neri e mossi.

Ma perché non te ne sei rimasto a casa, eh?” controbatté sarcastica la figlia maggiore, occhi e capelli scuri e un naso aquilino che puntava verso il suo bersaglio.

Dai non mettetevi a litigare anche qui, per favore!” li pregò la figlia minore, facendo ondeggiare i suoi capelli castani chiari.

Accanto a lei, in totale silenzio, vi era l’ultimo membro di quella rumorosa famiglia, quasi una riproduzione in miniatura del primogenito.

Ma possibile che avete sempre da…” il padre non concluse la sua frase, trovandosi parte della vista oscurata.

Direttamente dal cielo, un oggetto di forma rettangolare si era adagiato sulla parte sinistra del parabrezza, provocandone una frenata brusca da parte del veicolo.

Con in sottofondo gli immediati strombazzamenti di clacson da parte degli altri guidatori, l’uomo aprì lo sportello e scattò fuori. Con un gesto rapido, afferrò il pacchetto bianco e, una volta rimosso parte dello scotch presente, si trovò a rimirare una maglietta sportiva con stampato il numero 29 azzurro.

Caro…” gli si avvicinò la moglie “Che cos’è?”.

Ne arrivano altri!” la sorellina indicò su verso il cielo.

Come droni radiocomandati, altri cinque pacchetti scesero tra le mani dei restanti componenti familiari, ognuna con il suo proprio numero di gara. 52 per la mamma, 15 per il figlio maggiore, 78 per la figlia maggiore, 2 per la figlia minore e 9 per il figlio minore.

Che cazzata è questa?” domandò il primogenito, fissando schifato quella roba.

Niente nomi né cognomi?” la secondogenita si produsse in una rista stridula, mentre leggeva le istruzioni allegate.

Face Team… bello!” sussurrò appena l’ultimogenito.

Di colpo, il babbo alzò il capo dal foglietto di carta, serio “Famiglia! Dobbiamo ora prendere un importante decisione!”.

Il quintetto lo ascoltavano in silenzio.

Sebbene immagino si tratti soltanto di una semplice burla, ora noi dobbiamo decidere se dare credito a quanto scritto o, invece, proseguire con la nostra vacanza programmata?”.

I parenti stretti si scambiarono varie occhiate fra loro. Sulla bocca di tutti, chi più chi meno, comparve un sorriso.


Metropolitana di New York.

Erano ormai anni che vagava in quel luogo sempre così affollato. Eppure nessuno dei passanti pareva notarlo.

l’uomo, dall’apparenza molto eterea, era seduto per terra e fissava con grande intensità una lattina accartocciata, stesa anch’essa sul pavimento sporco. Con uno scatto del braccio destro, la colpì. O meglio, l’intento era quello, ma la sua mano passò letteralmente attraverso il suo obiettivo.

Fanculo!” imprecò con lo sguardo rivolto verso il soffitto.

Tornato a squadrare la lattina, tentò nuovamente di colpirla, più e più volte, arrivando anche ad alzarsi e a tentare con i piedi. Il risultato fu il medesimo di prima.

Non è possibile!” urlò infuriato, con la gente tutta attorno a lui ignara “Eppure in “Ghost” dicevano che bastava concentrarsi!”.

Sempre più alterato, tentò inutilmente di malmenare qualche passeggero appena uscito dal treno. Sbilanciato dalla troppa foga, cadde al suolo e, mentre si rialzava, notò alcuni pacchi di giornali da edicola.

Forse con i giornali funziona…” ragionò ad alta voce.

Si avvicinò a grandi falcate, si abbassò su una torre di essi e la smanacciò. Niente da fare, le sue dita attraversarono incorporee la carta.

Pensando inconsciamente che ci fosse qualcosa che non andava proprio in quei giornali, passò al monticello successivo. La sua natura di fantasma si confermò anche con essi.

Proseguendo con il successivo, notò invece che vi era qualcosa di singolare in quel nuovo pacchetto. In esso via era infatti una maglietta sportiva bianca, caratterizzata dal numero 48 azzurro, ben ripiegata e scocciata con altre cose al suo retro.

Come attratto da quel particolare ritrovamento, lo spirito allungò ipnotizzato la mano, quasi non rendendosi conto del tessuto che stava stringendo, mentre la sollevava davanti alla sua faccia.


Stessa metropolitana, un’altra fermata.

Dal buio del tunnel, un bagliore accecante fece sobbalzare molti dei presenti. Ipotizzando l’arrivo imminente di uno dei mezzi sotterranei, la gente attese, affacciandosi fin dove poteva verso l’enorme buco sul muro.

Con loro grande sorpresa, a comparire a fianco dei binari fu una persona a cavallo di un mustang dal pelo marrone. Egli aveva indosso il vestiario classico dei cowboy.

Che è successo?” il nuovo arrivato pareva decisamente spaesato e disorientato “Dove sono?”.

I vari passeggeri, una volta superata la sorpresa per quanto accaduto, si misero a riprendere il tizio a cavallo con i loro cellulari.

l’uomo, vedendo tutte queste persone con in mano oggetti puntati verso di lui, estrasse la propria di pistola dal cinturone che aveva alla vita e sparò in aria. Ora sì che ci fu un fuggi fuggi generale.

Non mi avrete!” urlò mentre, con il suo destriero, saliva sulla piattaforma e poi, una volta scrutatosi attorno, su per le scale verso la superficie.

Dopo un ultimo balzo, il cavallo atterrò con i suoi zoccoli sul marciapiede, impennandosi dopo che vide tutto quel caos. Allo stesso modo, il suo cavaliere rimase shockato da quel mondo futuristico che si trovò di fronte, sollevando la falda del suo cappello con la canna della pistola.

Vacca schifosa! Ma cos’è tutto questo? Alla fine, Cleef mi ha ucciso e sono finito all’inferno?”.

A discendere su di lui fu invece una specie di angelo fatto di carta. Il cowboy lo afferrò al volo, alzandosi sulla sella. Una volta notato il numero 10 azzurro su quella strana camicia, si mise a leggere, con gran fatica, il foglio di carta.

N-N-Nessun nome…”


A racchiudere tutto il caos colorato della gigantesca città di New York, vi è un’ampia zona boscosa dove molti cacciatori si ritrovano alla ricerca di nuovo prede per cui vantarsi con i colleghi. Uno di loro era da ore appostato tra i corti rami di un cespuglio.

Ad aiutarlo in quella missione, la classica tenuta da cacciatore: cappellino da baseball verde militare, gilet grigio dove tenere ben al sicuro le munizioni della propria arma da fuoco, pantaloni provvisti di svariate ed ampie tasche ed anfibi pennellati con vari schizzi di mota.

“… Tanto dovrai venir fuori, prima o poi…” bisbigliava tra sé e sé, mentre l’occhio destro era sempre attaccato al mirino di precisione sulla sommità del suo fucile.

Invece, per assurdo, la natura circostante pareva più quieta del solito. La gamba sinistra del nostro era sempre più vittima di un tic nervoso.

Sono ore che aspetto… a questo punto mi va bene anche una specie protetta, basta che posso sparare a qualcosa!”.

Come ad esaudire le sue preghiere violente, un quadrupede apparì dal nulla. Un cervo dal pelo fulvo sul dorso e bianco nel ventre. Ma soprattutto, delle corna ossee sulla testa con ramificazioni che parevano infinite.

Oh cazzo!” spalancò gli occhi “che sia quello spirito giapponese di cui ho sentito parlare: Narase!”.

Dopo qualche attimo di stupore, si rimise in modalità cecchino.

Vado per l’headshot…”.

Il polpastrello iniziò a sfiorare il grilletto. La testa dell’animale era nel centro esatto del mirino. Maggiore pressione sul grilletto finché, dall’unico occhio aperto, non vide totalmente bianco.

Che animale è?” sbraitò spaventato.

Il cervo voltò di scatto il muso, vide l’umano e si volatilizzò. Ma tanto l’attenzione del bipede era ora concentrata sul pacchetto bianco piombato dal cielo.

Cos’è questo affare?” si chiedeva, mentre osservava la maglia numero 61.


Sempre in periferia, oltre alla fauna selvatica, vi era anche un’altra particolare fauna, questa volta umana: come vengono definiti dagli stessi americani, gli hillbilly.

Uno di essi, tra l’altro l’esempio più classico con barba incolta, salopette sudicia e cappello di paglia sul capo.

In quel momento, era impegnato nella fase della giornata dedicata allo sfamare i vari animali nel giardino. Nello specifico, ora stava versando da una busta il mangime per le galline starnazzanti.

Buone cocche! Buone!” le redarguiva bonariamente.

Finito anche quel compito, il nostro ragazzone ora passava al recinto dei maiali. I suini erano invece impegnati, come nella maggior parte del tempo delle loro giornate, a rotolarsi sul fango fresco presente in un angolo della zona recintata. Tranne uno di loro, che stava già analizzando l’interno del lungo recipiente in legno dove andava il pasto.

Zozzone, che fai? Aspetta almeno che ti ci metta la pappa…” gli si avvicinò il contadino, con gli stivali che sprofondarono leggermente nel letame.

Nonostante il richiamo del padrone, l’animale proseguiva con dare delle musate contro qualcosa dentro il recipiente.

Cosa c’è?” si preoccupò il bracciante “Fammi vedere!”.

Con una delle sue grosse braccia, spinse via in malo modo il quadrupede. Adagiato sul legno, vi era un rettangolo bianco, ora sporcato dalle impronte di fango lasciate dal naso suino.

l’agricoltore se lo mise eccessivamente vicino agli occhi, come a scrutarne ogni minino dettaglio.

H-Ha il numero 71… ”


la stanza era totalmente oscurata con tende nere tirate. Come unica fonte di luce, delle semplici candele di cera. Inginocchiato sul pavimento in legno, vi era un giovane vestito completamente di nero. Neri erano anche i suoi capelli a caschetto e i suoi occhi. Questi ultimi erano fissi sul disegno presente sulle assi di legno: un pentacolo esoterico.

Dopo pochi secondi, la sua attenzione si spostò sulla bara in mogano che aveva di fronte a sé.

Ora è tutto pronto…” confermò a nessuno.

Con lentezza, fece scivolare un libro che aveva alla sua sinistra in prossimità del suo ginocchio. Con un movimento del pollice, lo aprì dove aveva piazzato in precedenza un segnalibro. Chiuse per qualche attimo le palpebre. Poi le riaprì.

Per le corna di Dytu-suse!” esclamò con le braccia alzate.

Come spinta da una forza invisibile, il coperchio della bara si spalancò, facendo sobbalzare lo stesso cerimoniere.

Io, Jobe Cunniven, vi invoco anime del purgatorio!”.

A quelle parole, un altro ragazzo sollevò il proprio busto dalla cassa da morto. Egli aveva i capelli neri e corti, come tirati su con il gel, e gli occhi altrettanto neri, appena aperti.

Nel contempo, una voragine scura e vorticante comparve magicamente nella camera. Jobe, in preda al panico, balbettò qualcosa di incomprensibile, mentre dal portale provenne un suono sinistro.

Come fossero tre dardi, tre esseri furono rigettati da quella dimensione oscura, giusto qualche attimo prima che il varco si richiuse. Una ragazza, appena atterrata sul pavimento, si defilò subito dalla stanza, spalancandone la porta d’ingresso. Un ragazzo, con i capelli di un rosso acceso, cadde malamente al suolo, rimanendo apparentemente esanime. Infine un terzo soggetto, con quelle che sembravano un paio di grandi ali nere, andò direttamente a sfondare l’unica finestra presente.

Questo avvenimento permise l’ingresso immediato dei raggi solari in quell’abitazione. Alcuni di essi colpirono il giovane nella bara, provocandone all’istante del fumo dalla parte illuminata.

Il sole no!” urlò disperato, sdraiandosi nuovamente nella tomba.

Oddio, aspetta!” si alzò maldestramente Cunniven, andando a sbattere anche con il piede contro il feretro.

Mentre cercava, pur stando in piedi, di massaggiarsi la parte offesa, dall’esterno planarono due pacchetti bianchi.

Il primo si adagiò sopra il tipo sofferente e sdraiato, che lo afferrò con le mani e con il numero 18 stampato si coprì il volto dalla luce diurna.

Il secondo invece precipitò sulla testa scarlatta dello svenuto che, con tale colpo, iniziò a ridestarsi.

Il padrone di casa riuscì alla bene e meglio a tappezzare la finestra sfondata, mentre l’essere sovrannaturale balzò via e, tramutando il suo corpo in un lupo grigio, si ritirò nell’angolo più oscuro vicino ad un letto.

Contemporaneamente, l’altro ancora a terra si strofinava i capelli rossi, esattamente dove era stato urtato dall’oggetto che aveva ora tra le mani.

Chi è stato ad evocarmi?” domandò ai presenti, mentre fissava una maglietta sportiva ripiegata, con il numero 85 in bella vista.


Proveniente direttamente dall’Oceano Atlantico, una figura tutta rossa e alata, per la precisione con ali di pipistrello, si stava avvicinando al porto della Grande Mela. Ulteriori inquietanti caratteristiche erano due corna ricurve sul capo e un paio di zoccoli caprini al posto dei piedi.

Già mi manca il mio caro Fabio Rossini di Foggia” sospirava rattristato questo losco figuro “però lui vuole seguire la sua carriera di ciclista… ”.

Giunto nella terra ferma, proseguiva con il suo volo a bassa quota. Ad alcuni curiosi era ben visibile il fatto che, non solo il soggetto fosse totalmente nudo ma soprattutto, nonostante l’evidente fisicità maschile, la totale mancanza di un apparato riproduttivo.

Però in questa città sento che è stato usato di recente un forte potere infernale”.

Mentre setacciava con lo sguardo i dintorni, notò il discendere di un rettangolo bianco verso di lui. Fu quello il motivo che lo indusse ad utilizzare un tridente scarlatto, comparso magicamente dal nulla, afferrato con la sua mano destra.

Con uno degli spuntoni, infilzò l’oggetto e se lo portò vicino. Mentre osservava il numero 77 azzurro stampato in grande, afferrò al volo un foglio di carta scritto che si era staccato e stava volando via.

A quanto sembra, mi toccherà anche a me avere a che fare con questa attività che gli umani chiamano sport”.


Al di sotto di quella diabolica creatura, a galleggiare pacificamente sulle chiare acque dell’Oceano Atlantico, vi era un peschereccio che di certo aveva conosciuto tempi migliori.

Che diavolo è quell’affare?” disse uno degli occupanti del natante.

Non battere la fiacca! Sarà sicuramente un gabbiano o qualcosa di simile” lo richiamò un suo collega lì vicino.

Dici?”.

Dai! Vieni a darmi una mano che tiriamo su le reti!”.

Con una fatica ben conosciuta da quei pescatori, le loro mani piene di salsedine tirarono su la rete di nylon, adagiandola in tutta la sua ampiezza sulla poppa della nave.

Dall’interno della cabina di pilotaggio, uscì un terzo membro.

Com’è andata?”.

Sotto le strette maglie, si vedevano vari esempi di fauna marina scuotersi con vigore.

Direi niente male!”.

Già!” confermò felice il secondo.

Tonni, merluzzi, salmone… ehi! Aspettate un attimo…”.

Cosa c’è?”.

Dopo aver spostato metri e metri di rete, il pescatore sollevò un rettangolo bianco di tessuto fradicio.

Che diavolo è, eh?” si avvicinò il più giovane.

Il marinaio osservava, con la fronte corrucciata, il numero 76 azzurro stampato su quello strano ritrovamento.

Secondo te, dovremo dirlo al capo?” domandò il pilota.

L’altro si girò con uno sguardo ammonitore dei suoi occhi scuri sotto il berrettino da baseball, reso bianco attorno dal tanto sudore passato “Così poi magari ci becchiamo una denuncia dal ministero dell’igiene ittica!”.

Sentendo della carta bagnata sui polpastrelli, voltò il pacchetto.

Di questa cosa me ne occuperò io…” sentenziò lui, mentre si grattava la barba lunga di quattro giorni.


Vada piano signorina, piano!”.

Il responsabile della scuola guida si aggrappava disperato al maniglione dello sportello, mentre il veicolo procedeva come senza controllo.

Ci sto provando!” disse la signorina accanto a lui, con i capelli ricci e biondi che svolazzavano senza gravità e gli occhi castani spalancati.

Piano!” urlò disperato.

È che non arrivo bene ai pedali…” tentava di giustificarsi lei, che a malapena vedeva dove stava dirigendosi.

Di fatti, appena svoltato l’angolo, parcheggiò l’auto con il muso contro un idrante, che iniziò a zampillare acqua pubblica come una fontana.

Le quattro persone presenti nell’abitacolo rimasero mute e immobili, come statue. L’esaminata alla fine si decise a parlare “”C-Come sono andata?.

Il suo esame si concluse con la donna seduta sul marciapiede bagnato.

È assurdo! Perché tutti dicono che è una cazzata prendere la patente e io, invece, sono ancora in questo stato?!”.

Sommersa dalla sua depressione, d’un tratto sentì un qualcosa di galleggiante spingere contro la sua gamba corta.

E questo cos’è? Un altro esame?” afferrò quel pacchetto e, una volta scosso per togliere un minimo di acqua da esso, vide un grosso numero 38 azzurro e, sebbene rovinato dal bagnato, un foglio scritto che si apprestò a leggere.

Io che sono alta un tappo e mezzo, dovrei giocare a pallacanestro? Ma stiamo scherzando?!” esclamò perplessa.


Ricordati del colloquio di lavoro di oggi pomeriggio!” urlato ciò, la signora afroamericana di mezza età si sbatté rumorosamente la porta alle spalle.

Sì ma’, buona giornata!” la salutò il figlio, sulla trentina.

Proprio in quel momento, stava fissando lo schermo del computer dove era visualizzato il promemoria dal centro per l’impiego.

Possibile che io sia così sfigato?” sbottò di colpo l’uomo “Mi basterebbe solo avere la giusta opportunità e poi gliela farei vedere a tutti quanti!”.

Poco convinto dalle sue stesse parole, fece roteare la sedia da studio per andare a rimirare un poster attaccato sulla parete della sua camera da letto. Su di esso, era stampata una foto del grande campione di basket Michael Jordan, in piena azione agonistica e con indosso la casacca rossa dei Chicago Bulls.

Dico bene, MJ?” gli fece un sorrisetto lui.

Dopo aver fissato lo sportivo per qualche altro secondo, scosse il capo con fare positivo, tornando a guardare lo schermo del pc. Nel fare ciò notò, dalla finestra, un oggetto volante che cadde nella stradina d’ingresso del suo giardino.

Preoccupato e allo stesso tempo incuriosito, si alzò di scatto dalla sedia e uscì dalla stanza. Sarà per la foga di quell’evento inaspettato ma, mentre procedeva con lo scendere le scale interne, mise il piede in fallo e ruzzolò giù fino al piano terra.

Sebbene dolorante in qualsiasi parte del corpo, riuscì a mettersi nuovamente in posizione eretta. Con passo claudicante, arrivò alla porta d’ingresso, la aprì e uscì all’esterno.

Con aria sofferta in volto, abbassò lo sguardo verso uno strano rettangolo bianco. Un lato era scritto. Una volta girato, rimase a bocca aperta dallo stupore.

Oh cazzo! È la numero 23!” improvvisamente, si tolse la mano da davanti la bocca e ci indicò la finestra di camera sua “Questo è per te, MJ! La mia vita finalmente cambierà!”.

Una voce rimbombò dal quartiere “Ma stai zitto, coglione!”.


A qualche isolato dalla precedente abitazione, sua madre si stava avviando, a passo svelto, nel luogo di lavoro che gli toccava quel giorno. Alla sua destra, reggeva per i manici una capiente borsa della spesa. Al suo interno, era piena di prodotti per la pulizia della casa: detersivi, spazzoloni, spugne e quant’altro.

Non sarà certo una cima, lo ammetto” ragionava in solitaria “però è mio figlio. E so che è un brava ragazzo… magari un po’ sfortunato, ecco tutto!”.

Sempre pensierosa e di corsa, si mise a scrutare il cielo, notando qualcosa di ambiguo.

Quello cosa è? Un uccello?”.

Con una certa grazia, lo fece insaccare dentro la sua borsa. Da cui lo ritirò immediatamente fuori, trovandosi davanti un grande numero 43 stampato in azzurro.


Zoo di New York.

Tantissima gente rimaneva estasiata a vedere tutti quegli svariati animali rinchiusi nelle loro gabbie. Tra loro vi era un giovane, capelli a caschetto neri (ma nulla a che vedere con il regista indy horror di prima) e occhi del medesimo colore che erano rapiti da tutta quella fauna che, ogni volta che lui si avvicinava, lo fissava mansueta. Anche le razze a regola più pericolose per gli umani.

Una farfalla, una delle poche creature non costretta tra le sbarre di ferro, gli si avvicinò all’orecchio destro.

Benvenuto”.

Ormai da parecchio il ragazzo si era abituato al suo dono particolare.

Buongiorno a te, amica mia”.

Cosa ci fai qui?” gli chiese mentalmente un orso.

Stavo cercando degli animali vip…”

Qualcuno bello come me?” aprì la sua coda multicolore un pavone.

sono un leone, una zebra, un ippopotamo e una giraffa…” spiegò l’umano.

Nessun elefante?” questionò un pachiderma.

No, mi dispiace”.

Ho sentito” esclamò un lemure, animale endemico proprio di quell’isola africana.

Ah cavolo… davvero? Mi dispiace”.

Amici, cos’è quella cosa su in cielo?” fece notare a tutti gli essere presenti un rinoceronte.

Anche l’umano guardò in alto.

Forse una colomba?” ipotizzò lui.

Negativo” dissentì un esemplare dell’animale appena citato.

Il visitatore si spostò di qualche metro e afferrò al volo il pacchetto bianco, iniziando a leggere le scritte impresse su di esso.

Cosa c’è scritto?” domandò curioso uno scimpanzé.

Sembrerebbe una specie di invito…” l’uomo voltò l’oggetto e vide un grande 13 azzurro “Cosa dovrei fare?”.

Accetta!” risposero all’unisono tutti i suoi amici animali.


Una piscina costruita sulla sommità di un grattacielo. Anche questo capita a New York.

Cosa ancora più particolare, tale impianto era provvisto pure di una torretta di guardia per bagnini. Su di essa, controllava la situazione una bella bionda, con addosso soltanto un costume rosso intero e aderente, il quale sosteneva alla perfezione il suo decisamente prosperoso seno.

A me sembra comunque una gran cavolata!” rifletteva lei, mentre osservava tutta la gente in costume attorno allo specchio d’acqua.

Che forza, bro!” esclamava esaltato uno degli invitati, rivolto al padrone di casa “Proprio come in “Baywatch”, cazzo!”.

Certo che sì! E hai visto che tette!” replicò l’altro.

Che coglioni” proseguiva nella sua riflessione l’interessata.

Improvvisamente, tutti iniziarono ad indicare verso l’alto. La pseudobagnina, usò il suo binocolo per osservare meglio, con i suoi begli occhi azzurri, cosa stava atterrando.

Un rettangolo bianco planava proprio verso la sua direzione. Lasciato cadere il cannocchiale, la donna alzò le braccia per prendere al volo il pacchetto. Come risultato, mancò totalmente la presa ma l’oggetto si adagiò docilmente sopra il suo davanzale.

Ma che cavolo è?” si chiese, mentre guardava il numero azzurro 28 poggiato sulle sue grandi mammelle.


Riuscire a trovare uno spazio personale, dove esibirsi, sui marciapiedi della Grande Mela era cosa assai rara. La vera magia dell’illusionista fu proprio quella.

Questo pensava lui mentre faceva scomparire una pallina di plastica tra le sue dita.

Grazie mille, signori!” s’inchinò al pubblico sparuto che aveva davanti.

Ed ora un classico gioco di carte!” annunciò, mentre già tirava fuori dalla tasca dell’elegante giacca nera un mazzo confezionato.

Si liberò rapidamente del sacchettino che le avvolgeva e le aprì a ventaglio.

Lei, signora o signorina. Prenda una carta a caso!”.

La donna indicata, seppur titubante, prese una delle carte da gioco dal mazzo.

Ora guardi che carta è senza mostrarla a me!”

Obbedì e vide il cinque di quadri.

Perfetto, ora la rimetta nel mazzo, gentilmente”.

Così fece l’altra. Appena eseguita tale azione, il mago, tutto bello pettinato con la brillantina tra i suoi capelli scuri, rimise in tasca il mazzo e si mise a trafficare con il suo piccolo tavolino pieghevole.

S-Scusi…” fece timida lei.

Lui sembrò cadere dalle nuvole “Oh, giusto! Guardi dentro la sua borsetta”.

La donna, stupita, fece come gli era stato consigliato. Dall’interno della sua borsa a tracolla beige estrasse fuori niente meno che il cinque di quadri.

Scroscio di applausi. Purtroppo, il tempo concessogli dal comune di New York era terminato e, ringraziando tutti i presenti, il prestigiatore iniziò a sbaraccare davvero la sua roba.

per terra, accanto alle gambe del tavolino, vi era un classico cilindro da frac. Quando il suo proprietario si chinò per recuperarlo, si bloccò stupefatto. Infilato vi era infatti un pacchetto bianco identificato da un numero 39 azzurro.


La questione è semplice: il nostro circo non ha più bisogno di voi!”.

l’aria sul volto del proprietario era estremamente seria, nonostante i due soggetti che aveva di fronte: un clown e un acrobata.

Vitaly, perché ci fai questo?” chiese quest’ultimo.

Già! Il pubblico ci adora!” proseguì l’altro.

Non è così”.

C-Come?” domandarono i due all’unisono.

Semplice: voi non piacete al pubblico”.

Non è vero!” replicò l’uomo in calzamaglia “I ragazzini si esaltano quando vedono i miei salti mortali!”.

A conferma di ciò, si mise ad eseguire le suddette acrobazie lì nella stanza. Molto probabilmente per non aver perso bene le misure, nell’ultima rotazione andò a sbattere con i piedi su una mensola attaccata alla parete, buttandola giù.

Ah! I miei piedi!” si disperava dal dolore lo sfortunato.

Per coprire il collega, il pagliaccio richiamò l’attenzione di Vitaly.

E poi la gente si sbellica dalle risate quando ci sono io in pista!”.

Detto ciò, tirò fuori da chissà dove un martellone di gomma, sbattendoselo ripetutamente sulla sua parrucca arancione e provocandone così lo squittio. Non contento, si mise ad annusare il fiore che aveva all’occhiello della giacca variopinta. Di colpo, tale fiore si mise a schizzare un getto d’acqua che, malauguratamente, andò a colpire in pieno il volto del datore di lavoro, i cui capelli, baffi e barba lunghi erano ora fradici.

O-Ops…” emise terrorizzato l’uomo truccato.

La faccia del titolare si colorò di rosso peperone.

Fuori di qui, immediatamente! Siete entrambi licenziati!”.

I due non se lo fecero ripetere due volte e scapparono via dal quel camper.

E ora che si fa?” chiese disperato il funambolo, ancora claudicante.

Oh tranquillo, due come noi di sicuro troveranno di meglio…” lo rincuorò il clown, mentre ciabattava con il suo paio di scarpe esageratamente lunghe.

Mentre proseguivano nella loro camminata, due consegne insperate atterrarono direttamente dall’aria, le maglie numero 20 e 69.


La penetrazione andò perfettamente. Lui godeva e lei ansimava rumorosamente.

Stop!” urlò il regista.

Che c’è ora?” questionò l’attore.

C’è qualcosa che non va?” chiese l’attrice.

No è che… questa cosa dell'interrazziale funziona, però vorrei far emozionare di più, comunicare qualcosa agli spettatori” l’aria dell’artista non pareva convinto.

Cazzo, amico! Stai solo girando un porno!” lo criticò apertamente l’uomo, pelle color ebano e capo totalmente liscio. Ovviamente nudo.

In più non può fermarci ogni vola che arriviamo al dunque! Sai quanto mi ci vuoi ogni volta a tornare vicina al dunque?” ribatté la donna, occhi castani e capelli biondi. Ovviamente nuda.

Non so… ci devo pensare…”.

Pausa per tutti!” sentenziò uno della crew.

I due protagonisti, una volta rivestiti, uscirono in terrazzo per prendesi una meritata boccata d’aria.

È questo che succede a lavorare in questo campo con gli incompetenti!” ancora polemizzava lui.

Davvero? Io non so che dire perché, praticamente, sono al mio esordio” confessò lei.

Tranquilla, te la sei cavata bene”.

Sul serio? Mi fa piacere!”.

A chi lo dici!”.

E ancora non hai visto nulla, bello mio…”.

A proposito, fammi un attimo controllare il “copione”… ”.

Ci sono dei copioni?”.

Il porno attore afferrò un rettangolo bianco su di un tavolo “Sì sono que… ”.

La porno attrice lo raggiunse “Cosa sono quelli?”.

La coppia si mise ad osservare i due pacchetti, uno con il numero 7 e l’altro con il numero 27, insieme ai fogli di carta scritti.

Interessante…” osservava interessato lui.

Per oggi niente sesso anale mi sa…” sentenziò lei.


“La legge di Murphy: Era un tecnico aeronautico che un giorno pronunciò una frase che passò alla storia. « Se qualcosa può andar male, lo farà” rifletteva il passante, mentre finiva con la scarpa sinistra su una colata di cemento fresco.

“Ma porca!”.

Con gran fatica, riuscì a liberare il suo piede, mentre la scarpa rimase saldamente attaccata al marciapiede. Saltellando su un piede solo, finì con il freno di una bicicletta infilato diritto nel deretano.

“Ah!” emise un urlo belluino.

Liberatosi a stappo di quell’intruso, lo sfortunato si mise a camminare a scatti, tipo robot, con la bocca spalancata a O. Mentre era ancora in crisi intima, notò un un uomo completamente immobile, comprese le palpebre, che fissava sbigottito un rettangolo di stoffa bianca con, stampato su di esso, il numero 72 azzurro. Un ignoto, di sicuro goliardicamente, si era permesso pure di colorargli i capelli di blu.

“Ma che le è successo?” tentò l’approccio con quella specie di statua umana.

Un salaryman, chiaramente indaffarato, gli passò accanto e , non volendo, gli pestò il piede scalzo.

“Il piede!” imprecò furioso.

“Guardate su in cielo!” indicò una donna tuta impellicciata, mentre con l’altra mano si schermava gli occhi dal sole “Che cos’è?”.

Pure lo sfigato rimirò verso quello strano oggetto volante bianco. La sua attenzione era talmente impegnata da non notare il mattone che, staccatosi dal sottotetto di una casa, lo centrò in piena fronte sotto i suoi capelli brizzolati.

Dopo quel trauma, collassò all’istante. Peccato perché non poté festeggiare per la maglia numero 17 che gli si era adagiata sulla pancetta.


La sua camera da letto era diventata esattamente come l’aveva desiderata: Un originale orologio a dondolo del ‘700 che scandiva le ore della giornata. Il suo enorme letto matrimoniale adornato da fiocchi di seta blu e onde di velluto sulle coperte. Le pareti viola erano riempite da quadri di qualsiasi misura. Librerie in noce con lunghi scaffali occupati da enormi quantità di libri. Sulla sua scrivania vi si potevano trovare particolari soprammobili come teschi di cristallo, uno splendido esemplare di topazio, calamaio con penna d’anatra appartenente il suo personal computer, che aveva utilizzato proprio per acquistare quei particolari utensili. Tutto questo scenario era pervaso da un denso odore di rose.

“Splendido! Questa deve essere la camera di un vero dandy moderno!”.

L’uomo sorrideva estasiato mentre, con i pugni poggiati sui fianchi, rimirava fiero quel particolare arredamento. Il suo corpo era particolarmente slanciato, i capelli castani portati oltre le spalle, gli occhi verdi e il vestiario ricordava decisamente nello stile il fine ’800 europeo.

Con rapidità, tirò fuori dall’ampia tasca un cellulare e ne rimirò contento il display “Tutto per lei, maestro!”.

Sullo schermo luminoso compariva una foto in azione di un supereroe mutante britannico: Jack Lincon, il Soggetto N. 2 degli Humana.

Il suo sguardo comunicava un misto tra ammirazione e lussuria. Tutto svanì quando udì suonare la melodiosa campana del citofono.

Aperto il lucido portone in mogano, si trovò davanti la sua vicina di casa, una tranquilla vecchina, alle volte anche troppo impicciona.

“Scusi se la disturbo, giovanotto…”.

“Ma le pare signora, cosa posso fare per lei?”.

“Guardi, le ho suonato soltanto perché ho trovato questo pacchetto davanti a casa sua”.

Dicendo ciò, alzò una mano in cui teneva un foglio scritto attaccato con lo scotch a qualcos’altro sotto di esso.

“Capperi! Che cosa sarà” gli diede una rapida occhiata lui, poi tornò a sorridere all’anziana “Grazie mille per avermi avvertito signora. Buona giornata!”.

Lei farfugliò una risposta, mentre lui già serrava l’uscio e proseguiva nella lettura.

“Pallacanestro?” domandò sorpreso.

Voltato l’oggetto, vide un numero 40 azzurro e sorrise.

“Questo merita senz’altro un brindisi con l'assenso” esultò il dandy.


Una palude melmosa e maleodorante. Anche questo si poteva trovare nella Grande Mela.

Non occorreva nemmeno scommetterci che, l’orrendo stato in cui era stato ridotto quello specchio d’acqua, era dovuto a qualche multinazionale e ai suoi scarichi relativi al “materiale di scarto”.

Tutto attorno, non vi era alcun segno di vita. Per assurdo, la vita giunse dalle profondità di quel lago putrescente.

L’essere che emerse aveva sì una forma umanoide, ma al tempo stesso alquanto bizzarra. Il suo volto, di fatti, era del tutto simile a quello di un polipo, compresi i tentacoli che parevano vari baffi che si muovevano viscidi. Un altro paio di tentacoli, di dimensioni ben più grandi, comparivano al termine delle braccia, al posto delle più classiche mani. I piedi, infine, erano palmati.

La creatura, dal colorito celeste, si guardò attorno, accompagnando il tutto con la sua espressione facciale incomprensibile.

Le sue corde vocali, all’interno di branchie posizionate ai lati del collo, vibrarono per la prima volta “Qui troverò Bill”.

Giunto in pochi passi a riva, il suo sguardo si abbassò su un rettangolo bianco e umido. Su di esso era stampato il numero azzurro 67.


“Eccole qua! Calde calde!” il fornaio annunciò le sue ciambelle fumanti perché appena sfornate.

“Sei un grande!” si complimentò il poliziotto, dall’altra parte del bancone “Dammene una decina”.

“Sei serio?” si allarmò il tizio con la corporatura robusta tutta infarinata, come i suoi capelli brizzolati.

“Sì sì! Sai che alle tue ciambelle non posso resistere…” gli confermò estasiato il tutore dell’ordine, accompagnando il tutto con un sorriso incorniciato da baffi e pizzetto castani, come i suoi capelli portati a spazzola.

Mentre i pezzi dolci venivano imbustati per l’asporto, nel negozio entrò una ragazza di circa sedici anni.

“Buongiorno a tutti!” salutò la mora dagli occhi scuri.

Lo sbirro rispose soltanto con un’alzata di mano, visto che già aveva addentato avidamente una ciambella ripiena.

“Ciao bella!” la salutò il fornaio “Com’è andata oggi a scuola?”.

“Tutto nella norma, papà. Ah! A proposito…” la studentessa si sfilò dalle spalle lo zaino, lo aprì e ne estrasse tre rettangoli bianchi “Guardate cosa ho trovato in giro per la città…”.

Il padre ne prese uno con stampato il numero 50 azzurro.

“Cosa sono?”.

“Non so di preciso, ma dietro c’è attaccato un messaggio…” notò la giovane, girando il suo con il numero 26 azzurro.

“Davvero strano! Credo che dovrò informare la centrale…” il piedipiatti aveva in mano il terzo pacchetto, contrassegnato dal numero 44 azzurro.

“Mi sa che dovrai anche informarli di quel tizio sospetto nell’altro marciapiede” la ragazza gli indicò fuori dalla vetrina.

I due adulti si voltarono e notarono una persona, decisamente sospetta, che si copriva il volto con un altro rettangolo bianco, questo caratterizzato dal numero 79.

“Ma cos’è oggi? La giornata dei matti?” lo fissava accigliato, finché non sbarrò di colpo gli occhi “A meno che non sia…”.

Nonostante un fisico decisamente sovrappeso, il poliziotto scattò fuori dal negozio, partendo ad un disperato inseguimento.

“Fermo tu! Anf… anf…”.


Poco più in là, un giovane uomo afroamericano, con capelli tenuti rasati ai lati e ricci in cima e della barbetta ispida sul mento, si aggirava con sembianze altrettanto sospette: un lungo e largo impermeabile da cui spuntava a malapena la testa.

Giunto vicino ad una donna affascinante, aprì di colpo il cappotto come il più classico dei maniaci.

“Signora bella, che ne pensa… le serve un portachiavi? Un rolex? Una penna? Fazzoletti? Una maglietta sportiva?”.

La passante non fece nemmeno in tempo a rispondere che, con l’inseguito che sfrecciò davanti alla coppia di pedoni, il poliziotto continuava ad arrancare.

“Merda!” sputò il venditore ambulante, richiudendo tutti quegli articoli assolutamente non originali e defilandosi in un vicolo buio.

Nonostante i pochi metri percorsi, l’affanno era comparso anche nel suo fiato.

“Non si può nemmeno guadagnare qualcosa in questa fottuta città!” rifiatò, tranquillizzandosi “Allora, cosa dovrei farci con questa maglietta? Non è nemmeno dei Knicks!”.

Da sotto l’impermeabile, con fare circoscritto, fece sfilare fuori la stoffa bianca con stampato il numero 86 azzurro.


“”Preghiamo il nostro signore!” il prete, di colore e con la folta capigliatura scura, alzò le mani al cielo.

Tutti i fedeli seguirono il suo esempio.

“Oh signore!”.

“Oh signore!” gli fecero eco un gruppo di suore, disposte alla sua destra.

“Ascolta le nostre preghiere e aiutaci, nella tua grande benevolenza, ad affrontare un periodo difficile come quello in cui stiamo vivendo”.

Le sorelle replicarono ancora. Nel contempo, alla sinistra del pastore, un gruppo di chierichetti faceva altrettanto.

Tranne uno di loro, che fissava allibito verso l’ingresso della chiesa.

Allertatosi grazie al suo udito particolarmente allenato, il prete squadrò un attimo il ragazzo.

“Pst!” cercò di attirare la sua attenzione.

Niente. Il giovane era ancora con l’attenzione indirizzata altrove.

“Pst!” insiste

ancora nessuna reazione.

Mentre le suore, non sapendo cosa fare, ripeterono ancora la preghiera, il reverendo urlò spazientito “Figliolo!”.

Solo allora il ragazzo sobbalzò e girò il capo verso colui che l’aveva richiamato all’ordine.

“Perché il tuo cuore non è con noi e con nostro signore?”.

“M-Ma p-padre…” balbettò l’interpellato “H-Ho appena visto scendere dal cielo tre angeli”.

Il volto del prete rimase basito, mentre molti dei presenti urlarono dallo stupore.

“Cosa hai appena detto?”.

Il chierichetto si voltò nuovamente verso l’uscita e la indicò “Là fuori”.

Tutti si voltarono all’unisono. Il primo a scattare fu proprio l’oratore che, a grandi falcate, giunse alla scalinata esterna dell’edificio religioso.

Come prima cosa, rimirò verso il cielo, notando solo qualche nuvola passeggera. Poi abbassò lo sguardo, vedendo tre segmenti candidi.

“Mio signore…” bisbigliò, mentre dietro di lui si era già formata una notevole folla.

Si avvicinò lentamente ad uno di essi. Notò delle scritte vergate con l’inchiostro nero e, nell’altra faccia, il numero 84 azzurro.

“Padre, cosa dobbiamo fare?” domandò timorata una suora, con in mano il numero 8.

È scritto tutto qui!” informò gli altri il ragazzo dell’altare, mentre leggeva dietro il numero 37 azzurro.

L’uomo di chiesa fissò davanti a sé, come in estasi. Per poi alzare nuovamente le mani.

“Preghiamo, fratelli!”


School of Performing Arts

Innumerevoli ragazzi erano presenti per quello giorno di audizioni. Tutti alla ricerca della grande occasione per essere selezionati e così poter studiare per diventare una star.

Tra di loro vi era un ragazzo, con il fisico scolpito nell’ebano e i capelli stretti in varie treccine rasta, che stava favorevolmente impressionando gli insegnanti di danza.

“Certo che, come stile, è un po’ confusionario… ha mischiato un movimento pelvico con un arabesque” disse una di esse.

“Però ha decisamente del talento!” replicò un’altra.

Finita la sua performance, il giovane li fissò tutti quanti con i suoi intensi occhi neri e, senza aspettare il risultato finale, si allontanò dall’aula.

“Anche loro non mi sembrano all’altezza alla mia danza” pensava lui, mentre rapidamente scendeva le scale verso l’uscita.

“Ehi tu! Aspetta!” tentò di fermarlo uno studente, ma l’altro lo evitò con un’abile piroetta.

Una volta fuori, il caos della Grande Mela lo avvolse a pieno. Mentre stava per allontanarsi dall’istituto, vide qualcosa conficcato tra due aste della recinzione che delimitava tutto l’edificio.

Con un salto elegante, la afferrò per poi osservarla meglio tra le sue mani.

“Mi sa che non mi occorre provare con la Ballet Austin…” esclamò, mentre proseguiva con la lettura di quanto scritto dietro al numero 3 azzurro.


Tutt’altra danza era quella in cui si stava esibendo una moretta, dal vestito chiaro che ne esaltava la carnagione creola, in un angolo di Central Park.

Attorno a lei varie persone, per lo più emigranti provenienti da stati latini, tenevano il tempo del suo flamenco battendo a ritmo le mani. Nello specifico, lo stile di flamenco che sta eseguendo era denominato bulerias.

Con un ultimo schiocco di nacchere, la donna concluse la sua esibizione. Scroscio di applausi.

“Grazie a tutti! Grazie!” si prodigò in una miriade di inchini lei.

La magia del momento svanì e, chi poteva, lasciava qualche spicciolo nella ciotola appoggiata al terreno.

La ballerina si abbassò nel raccoglierla, permettendo così ad un chihuahua abbagliante e scodinzolante di raggiungerla per farle le feste.

“Bella la mia Toná! dov’eri finita, eh, birbante?”

il cane proseguì con suo abbagliare a ripetizione.

“Che cos’hai, amore mio?”.

Il quadrupede, all’interessamento della sua padrona, partì con le sue zampette corte ma rapide. l’umana la seguì e, dietro ad un albero, la ritrovò che abbaiava ad un rettangolo bianco.

“Cos’è questo?” si accucciò, vedendo il numero 36 azzurro stampato.

Girato il pacchetto, si mise a leggere la lettera allegata.

“Wow, Toná! Forse la fortuna ci sta finalmente sorridendo!”.


Un hobby che ormai da anni aveva preso piene anche sul suolo a stelle e strisce: il cosplay.

Due appassionati di tale arte, si stavano fronteggiando già camuffati.

“Mi spieghi perché sei vestita da Babbo Natale che siamo ben lontani da dicembre?” esordì uno.

“E tu allora? Che sei conciato come Jason di “Venerdì 13”?” replicò l’altro.

“Beh siamo a Manhattan, se conosci un minimo la serie ti dovrei rispondere da solo…”.

“Certo, ma il tema di oggi erano le festività, idiota!”.

“Ti sbagli! Erano i film horror, coglione!”.

“Festività!”.

“Horror!”.

“Signori, per favore, non create fastidio alla cittadinanza!” si avvicinò alla coppia un poliziotto.

“Ecco, ora mi fai pure arrestare mentre sono vestito come il simbolo dei bambini!” proseguì con il litigio Babbo Natale.

“Se non altro, in cella con me non ci vorrà stare nessuno!” controbatté Jason Voorhees.

I due proseguirono il faccia a faccia allontanandosi dal tutore dell’ordine. Quasi non si accorsero del bambino che, con aria spaventata, li stava osservando a bocca aperta.

Appena si voltarono verso di lui, egli urlò terrorizzato facendo cadere due pacchetti che aveva con sé.

“Fermo, bimbo! Non avere paura!” tentò inutilmente il festivo.

“E questi che diavolo sono?” si accovacciò lentamente l’orribile.

Presi i due rettangoli bianchi, quello con il numero 90 se lo tenne per sé, mentre al suo collega diede quello con il numero 25.

“Ora vogliono pure dirci come vestire?!” esclamarono all’unisono.

“Anche voi avete trovato questa roba?!”.

La coppia di trasformisti si voltò per trovarsi di una tizio, buffo per lo meno quanto loro, con svariate tipologie di capelli sulla nuca e, in mano, la maglia numero 54.


Sempre Central Park, oltre appunto ad ospitare tizi dall’abbagliamento assurdo, era anche luogo per incontri ben più culturali. Come ad esempio un concerto tenuto dal famoso “Gruppo Diapason”, un collettivo composto da vari musicisti, per lo più di origine italiana, che si dilettavano nei più variegati strumenti musicali.

A condurli, vi era un maestro d’orchestra anch’egli alquanto particolare. Occhi azzurri, capelli biondi tagliati corti ai lati e poi tirati su con il gel, un orecchino con catena all’orecchio destro e un’aria sempre piuttosto trasognante.

Per questo suo modo di fare, i vari strumentisti lì per lì non diedero peso quando smise totalmente di muovere la bacchetta e si bloccò con lo sguardo fisso verso il cielo.

Poi, vedendo che non riprendeva da questo suo stato catatonico, s’interruppero anche loro.

“Maestro?” provò a chiamarlo Arminio Rocchi, tamburo.

“Che succede?” si allarmò Giacomo Enrichi, virtuoso della chitarra elettrica.

“Si sente bene?” chiese Kyo Akiyoshi, trombettista proveniente dall’Istituto Shiroiwa.

E dire che lo considerano il nuovo Willy Ferrero… ” rifletteva straniata Susanna Martini, mentre reggeva la Balalaika e nascondeva a fatica la sua natura vampiresca.

Il tizio sul panchetto sopraelevato mise fuori la lingua dalla bocca. Allungandosi il più possibile verso l’alto, stando comunque in equilibrio sopra quel cubo, con la propria bacchetta lo spazio tra un foglio di carta stampato e un rettangolo bianco.

Quello cos’è?” s’incuriosì un altro studente giapponese, il bassista Hideshi Hasegawa.

Ma da dove è venuto?” guardava in aria Geremia Furlan, specializzato nel fotdella.

Il maestro fisso per qualche secondo il numero 55 azzurro. Poi staccò la lettera che era attaccata dietro e si mise a leggerla in silenzio.

Cosa c’è scritto, maestro?” domandò Gregorio Stonzi, clavicembalo.

Sarà una qualche pubblicità stupida. Qui a New York ne è pieno” ipotizzò Ivan Del Canto, un anziano con la fisarmonica.

“Devo avvertire i Global Defenders?” propose il ragazzo conosciuto come Animals Boy, mentre reggeva tra le gambe il suo bongo.

Finalmente il direttore si decise a parlare “Oh non occorre. Sembra proprio che io abbia trovato un ingaggio”.

Davvero? Presso quale compagnia?” s’informò Jacopo Brandi, gelataio e suonatore di banjo.

E a quanto pare, mi dovrò far chiamare 55…”.

Cosa?” rimase stupito Giuseppe Ferrari, oboista.

Che dite?” il musicista passò una rapida occhiata su tutti i suoi colleghi “Dovrei accettare?”.


Il cadavere era stato azzannato con violenza al fianco destro e al collo. Litri di sangue avevano inzuppato l’erba sotto di esso. A rimirare quell’orrendo spettacolo vi era un uomo. Anzi, proprio lo stesso che aveva appena perso la vita in quella maniera così barbara.

Non può succedere proprio a me…” ripeteva a bassa voce, nonostante nessuno potesse udirlo.

Ciò che invece sentì lui fu il frusciare di un cespuglio. Dalle fronde comparve il muso allungato e insanguinato di un lupo nero.

Oddio è tornato!” era terrorizzato il tizio in piedi.

l’animale lo osservò giusto qualche attimo. Fece lo stesso con il corpo morto per terra. Poi si allontanò con passo lento, quasi a fregarsene di tutta quella situazione.

D-Dove vai, bastardo?” gli inveì contro l’umano, alzando una mano.

Fu allora che notò l’assenza di due dita. Seguendo un particolare sesto senso, analizzò la sua figura intera e quella sdraiata al suolo.

I due soggetti erano esattamente uguali.

M-Ma cosa sta succedendo?” si mise le mani, o meglio quel che rimaneva, nei capelli.

Lo sfortunato pareva ora una macabra amalgama tra un fantasma e uno zombie.

È colpa del lupo! Io…”.

Non terminò la minaccia perché la sua attenzione fu catturata da un piccolo oggetto volante di colore bianco. quest’ultimo lo attraverso come fosse intangibile.

Cos’è?” abbassò lo sguardo per vedere un numero 62 azzurro.

A qualche metro di distanza, anche il cane aveva alzato il muso, seguendone un altro. Le sue quattro zampe si mossero sempre più rapide, finché spiccò un balzo.

Con le sue mascelle potenti, strinse il rettangolo bianco, su cui invece era stampato il numero 59.


“… So che non sarà semplice abituarsi a questo nuovo stile di vita, ma tu sei ancora giovane e sono certo che metterai il tuo spirito combattivo anche in questo!” il medico cercava in tutte le maniera di risollevare il morale del giovane.

Quest’ultimo veniva accompagnato all’uscita su di una sedia a rotelle. I suoi capelli erano colorati di un particolare verde scuro.

Lo so dottore, ma io così devo abbandonare definitamente la mia carriera da cestista, questo lo capisce o no?”.

Certo che lo capisco ma, non per questo, dovresti abbandonare per sempre la tua carriera sportiva!” ribatté il tizio con il camice bianco “Tieni conto che ci sono sport, come la pallacanestro in carrozzina, dove le tue qualità sportive saranno sicuramente utili!”.

Sarebbe solo un ripiego…”.

No che non lo sarebbe!”.

La coppia era arriva davanti alla porta automatica, le cui ante slittarono lateralmente per consentire l’uscita.

Rimaniamo così, dottore: Ci penserò…”

Mi sta bene. È già qualcosa per lo meno”.

Detto ciò, il medico lasciò la presa sui manubri dietro lo schienale. Il paraplegico appoggiò entrambe le mani sulle ruote laterali e iniziò a spingere.

Fanculo tutti!” imprecò a denti stretti il degente.

Le sue braccia ben allenate davano il giusto ritmo nello spostamento del suo corpo. Per quanto riguarda le gambe, invece, erano totalmente immobili. Attento com’era a non rimanere con le dita incastrate nei raggi delle ruote, non si accorse del pacchetto che gli si consegnò letteralmente in grembo.

E questo cos’è?”.

Sul tessuto era stampato il numero 56 in azzurro.

Nel frattempo, il dottore era rientrato all’interno della struttura ospedaliera. Effettuati pochi passi, un’infermiera gli si accostò.

Dottore, si ricorda che tra un’ora abbiamo l’intervento di maledizione maschile acuta, vero?”.

Certo che me lo ricordo. Ora mi prendo un attimo una pausa…”.

Trovato un ascensore libero e aperto, ci si infilò di volata. Premette il tasto relativo al piano più alto dell’edificio.

Questo centro medico mi sembra sempre più assurdo…” rifletteva tra sé e sé, mentre il contatore luminoso saliva sempre di più.

Appena uscito sul soffitto del grattacielo, notò subito un rettangolo bianco sul pavimento scuro.

Forse qualche mio collega si è dimenticato una cartella clinica?” ipotizzò, mentre gli si avvicinava.

Di fronte aveva segnato in grande e in azzurro il numero 73.


Nuovamente a Central Park. Un gruppo di tre persone fuori dal tempo stavano seduti sull’erba, a gambe incrociate ed occhi chiusi.

I loro indumenti ricordavano a pieno nello stile quello adottato dai figli dei fiori degli anni ’60.

Due di loro di razza caucasica, di ambo i sessi, avevano i capelli della stessa fisionomia, mossi e castani. Il maschio presentava inoltre una lunga barba che gli arrivava quasi al petto.

Il terzo del gruppo era invece di razza afroamericana, con capelli e barba scuri decisamente più corti del suo amico.

I primi due avevano il vestiario quasi totalmente tendente al bianco, mentre l’ultimo era in completo rosso.

Di colpo, l’uomo bianco aprì gli occhi “Volete dell’altra roba?”.

Gli altri due lo fissarono, aprendo a loro volta le palpebre.

È roba buona, me l’ha mandata un mio collega dal Giappone che si chiama Hisashi Matsuda, Free Spirit” proseguì lui.

Io ora preferisco annusarmi un giaciglio” lo fermò lei “nel linguaggio dei fiori, esso significa coraggio e forza”.

Detto ciò, la donna gattonò verso il fiore annunciato, trovandolo adagiato sopra a due stretti rettangoli bianchi.

E questi cosa sono, maestro?” domandò guardandone uno con un numero 81 azzurro e porgendo il secondo all’uomo della sua stessa razza.

L’altro osservò ciò che gli era stato offerto, caratterizzato dal numero 33 “Non saprei, tesoro. Li ho trovati per terra poco fa”.

La coppia si mise a leggere il foglio di carta attaccato dietro.

Cosa dice?” chiese il terzo.

Dice che ci chiameremo con questi numeri e giocheremo a basket…” replicò la femmina.

Cosa?!” sbottò, alzandosi di scatto, il tizio in rosso “Non vorrete davvero farlo?!”.

Calmati, Judas!” lo rimproverò la donna.

Non capisci, Judas? Forse questa potrebbe essere la mossa giusta per fare interessare la comunità alla nostra visione del mondo…” argomentò l’uomo.

Ma siete impazziti?! Così vi state solo piegando al consumismo e al potere dei soldi!” s’infuriò Judas, che camminava nervoso avanti e indietro.

Per la prima volta, nel triangolo di questi hippy si creò una spaccatura.

Basta! Me ne vado dai Drughi!” sbottò infine, allontanandosi dalla coppia.


Camminando a spasso svelto e imprecando contro tutto e tutti per le vie di New York, Judas arrivò infine ad un condominio abbandonato. Salì le scale fino al primo piano di quell’edificio pericolante. Con un violento spintone, spalancò una porta, già di per sé non ridotta benissimo, e si trovò di fronte altri soggetti.

Un giovane uomo dai capelli castani lunghi poco oltre le spalle e dal fisico asciutto coperto da un semplice gilet; una donna mora, avvinghiata a lui in uno stretto abbraccio, che gli arrivava all’altezza dei pettorali; un ragazzo dalla fisionomia centroamericana, con indosso una maglia nera aperta sul davanti nella forma di una croce cristiana; un altro invece dai lineamenti tipicamente asiatici, compreso anche il suo stile di vestiti; un energumeno addobbato come il ricevitore di una squadra di baseball, ma con in mano anche la mazza di tale sport e infine, sdraiato malamente in un angolo, un barbone vestito di stracci e con svariate mosche che gli ronzavano attorno.

Ehi, Judas!” parlò l’unica donna presente “Come mai tutta questa furia?”.

Secondo te? Per colpa di quegli altri due drogati!” rispose lui.

Mi sono sempre chiesto come fai a non preferire la nostra compagnia a quella di quei due hippy…” esclamò il latino.

Lo sai, Paco. Non fa per me scegliere una sola metà della mia anima”! tagliò corto l’afroamericano “Poi proprio tu parli che sei sia Paco Cruz che El Cruz dei Global Defenders?”.

Tu non hai fiducia nei Drughi?” chiese il cinese.

Ma certo che ce l’ho, Yang Xuan! Che cazzo ti viene in mente?! Forse ti alleni troppo con il Yiquan, o come cazzo si chiama!”

Comunque ora calmati” lo placò il caucasico “e spiegaci qual’è il problema”.

È che… ” era titubante Judas “sembrerà assurdo, ma dal cielo sono scese giù delle magliette da basket…”.

Il ritmo della mazza da baseball sulla mano del suo possessore, che fino ad allora aveva caratterizzato tutta la scena, si fermò di colpo.

Che succede, ?” si preoccupò il tizio in rosso.

Intendi, una come questa…” il tizio con il gilet in pelle tirò fuori una maglietta bianca con stampato sopra in azzurro il numero 80.

Ma, che vuol dire, capo?”.

Che da oggi in poi, mi dovrete chiamare 80…”.

Anch’io ne ho una…” s’intromise improvvisamente il clochard.

Cosa? E tu chi sei?” si allarmò Judas.

È un disperato che ha trovato poco fa il capo alla stazione” lo informò rapida la donna.

Ta-dà!” esclamò festoso il senza tetto, mentre tirava fuori dai suoi abiti lerci una maglietta identica ma con il numero 87.


Tutto in quel cimitero dava la sensazione di datato. Dalle lapidi grezze in pietra alla totale assenza di loculi sopraelevati. l’interno ambiente era avvolto, è proprio il caso di dirlo, in un silenzio tombale.

La terra iniziò a smuoversi. Da una piccola frazione, si arrivò in breve ha una voragine sempre più ampia, da cui spuntò infine una mano.

Tale mano aveva un colorito verdognolo, con la pelle tutta consumata. l’arto mise in scena una forza sorprendente, tirando su tutto il resto del corpo. Il misto tra erba e terriccio scivolò giù dal cadavere che si era rimesso, tutto decenni, in posizione eretta. Addosso aveva abiti una volta eleganti ed ora ormai consumati dal tempo e, in alcuni punti, ridotti a brandelli. Le sue pupille vuote rimiravano il campo santo tutto attorno a lui.

Con movimenti lenti ed impacciati, il morto vivente avanzò nel ghiaino della via che portava verso l’esterno. Nel suo cervello inanimato veniva elaborato un solo nome, pur sapendo che non era il suo: Geoffrey Rogers.

Spalancata un’anta dell’enorme cancello in ferro arrugginito, fatto ancora qualche passo lo zombie sbatte il piede contro qualcosa. Abbassò lentamente il capo quasi scheletrico e vide un rettangolo bianco con, cucito sopra di esso, il numero 47 azzurro.


Cucina di un ristorante alla moda.

Un continuo viavai di cuochi, camerieri e altri professioni correlate. Uno di coloro, che a stento riusciva a nascondere i capelli neri e sudati sotto alla toque blanche, si stava arrabattando per proseguire con la creazione delle portate.

Sei in ritardo, muoviti!” gli gridò contro uno dei suoi colleghi, mentre stava passando dalle sue vicinanze.

Sì, chef!” rispose d'istinto lui, senza nemmeno alzare lo sguardo.

Una volta soddisfatto dell'impiattamento, suonò soddisfatto il campanello vicino al suo ripiano, urlando “Service!”.

Un cameriere arrivò di corsa per prendere il piatto ed enunciare la prossima comanda.

Riso al ragù con fughi e, a seguire, zucca di chiodi di garofano su spicchi di patate, veloce!”.

Maledetto fusion food!” sbuffò sottovoce lui.

Facendo danzare le proprie mani su ogni angolo dello spazio dedicatogli, stava già elaborando entrambi i piatti contemporaneamente.

Realizzato anche questa portata e mandata in sala, ebbe in premio, da parte di un suo superiore, cinque minuti di pausa.

Lo chef non se lo fece ripetere due volte e sgattaiolò verso l’esterno dell’edificio.

Questo ristorante mi sembra sempre più assurdo…” sospirava, mentre si accendeva una sigaretta da poter consumare all’aria aperta.

Piegando la testa all'indietro, poté rimirare le bianche nuvole. Qualche cosa, altrettanto bianca, scendeva lentamente dal cielo.

Cos’è? Un nuovo mezzo dei rider?” si domandava il cuoco.

Una volta fattolo atterrare, gli andò vicino per osservarlo meglio. Era un rettangolo di stoffa bianca con scritto sopra in azzurro il numero 82.

Intanto, un suo collega si affacciò dalla porta e, appena trovatolo visivamente, gli sbraitò contro “Muoviti! Sei in ritardo!”.


Nessuno avrebbe mai scommesso che, nelle fondamenta di un grattacielo di New York, potesse avere sede niente meno che un laboratorio scientifico, per di più finanziato dal governo degli Stati Uniti d’America. Sebbene di racconti del genere ne sono stati scritti parecchi.

Eppure, da uno di questi era appena uscito, tutto trafelato e con lo sguardo fisso rivolto dietro di lui, una persona.

Il fuggitivo era alto quasi due metri, aveva occhi chiari di un azzurro quasi tendente al bianco, così come i capelli biondi.

Tornò a guardare davanti a sé giusto in tempo per evitare una vecchietta che, vistasi a rischio della vita, una volta evitata per un pelo lo maledì finché lui riuscì ad udirla.

L’intonazione della voce dell’uomo parve flettersi come una radio alla ricerca del segnale “S-S-Scusi”.

Svoltato un angolo e ritrovasi in una vicolo sporco e isolato, ad attenderlo vi trovo una decina di uomini di nero, compreso scarpe in cuoio e occhiali da sole.

Uno di loro si fece avanti, per farsi meglio comprendere dal suo obiettivo “Sai perfettamente che è inutile scappare. Qui sei completamente solo. Ti conviene fermarti e tornare con noi alla base”.

Appena il loro collega ebbe finito con la sua dichiarazione, anche gli altri avanzarono verso il biondo, tutti con facce totalmente inespressive.

L’uomo braccato si voltò verso la strada da cui era venuto, per trovarsi davanti un’altra decina di uomini in nero, come se uno specchio la situazione che aveva ora alle sue spalle.

Trovatosi dunque circondato, non gli rimase altro che guardare verso la volta celeste. Mettendo le braccia ben aderenti lungo i fianchi, come un razzo, partì in verticale ad una velocità incredibile.

Passato al volo personale in orizzontale, l’essere non di questo mondo raccolse al volo un pacchetto volante come lui. Su di esso vi era segnato il numero 51.

È-È come il numero di quell’area dove volevano deportarmi…” disse con una dizione incerta.


Altro laboratorio, altro esperimento.

Questa volta, una coppia di scienziati stava osservando un umanoide fatto di acciaio. Le sue fattezze ricordavano quelle dei robot che si regalavano ai bambini in passato: antenne che svettavano sopra il capo, occhi tondi e rossi senza emozioni, un busto di forma quadrata con vari punti luminosi che si accendevano ad intermittenza, gambe e braccia a molla che terminavano su mani il più simili possibili a quelle umane e su rettangoli poggiati al suolo, a far le veci dei piedi.

Tu credi che sia pronto per la mostra?” domandò uno dei due uomini in camice bianco.

Secondi me sì. Giusto gli ultimi controlli e poi possiamo portarlo su…” rispose il collega.

Mentre terminava di esporre il suo pensiero, una scintilla partì da una presa al muro e terminò sulla schiena dell’androide, a cui era collegata tramite un cavo. I due si misero al riparo, finché i bagliori non cessarono di botto.

Merda! È ora che facciamo?” era terrorizzato il primo.

E che vuoi che ne sappia io” sbottò l’altro.

Per loro risposta, gli occhi dell’automa si accesero.

Un sintetizzato vocale, con un accento metallico, si udì.

Io… sono… vivo!”.

C-Cosa?” ribatterono all’unisono i due umani.

La testa rettangolare del robot si mosse a destra e a sinistra. Poi di novanta gradi fino a vedersi le spalle.

Piegando innaturalmente il braccio destro, si staccò il cavo dal caricatore alle sue spalle.

Questo posto non fa per me!” sentenziò l’essere robotico.

Con passi pesanti e, solo inizialmente, incerti, giunse davanti ad una porta blindata.

Ostacolo!” identificò l’androide.

Con un calcio tanto potente quanto senza privo di sforzo, mandò la superficie rinforzata a sbattere contro il muro dietro di esso.

Una volta all’esterno dell’edificio, fece una nuova scannerizzazione visiva dell’ambiente. Alzando la testa cibernetica, vide arrivare un rettangolo bianco verso di lui.

Lo afferrò stretto con le sue dita metalliche, identificando immediatamente, tramite le sue lenti circolari scarlatte, il numero 58 azzurro.


La fluidità del gesto atletico incantava. Come si teneva in equilibrio su una sola gamba e poi lanciava la palla ad effetto era pura arte.

Questo è quello che pensava il pittore mentre, con rapide pennellate, immortalava al meglio quel ragazzo di colore che giocava a baseball.

Quest’ultimo, mentre andava a recuperare la sfera che, con precisione assoluta, aveva colpito nuovamente il centro del rettangolo tracciato sul muro, si voltò verso l’artista.

Come sto andando?”.

Ottimo, Jacob! Lanciane ancora un’altra per me, ok?” si complimentò lui.

Il modello si tolse il berrettino che aveva in capo in segno di saluto e di approvazione. Una volta rimessosi a una dovuta distanza, si concentrò per poi rilasciare un’altra sassata.

Grazie davvero, Jacob Clemons” sussurrò il ritrattista, mentre proseguiva a colorare la tela “grazie a te potrò dare una nuova virata alle mie opere”.

Dopo aver pitturato con l’azzurro del cielo, si apprestava ad aggiungere il bianco ondulato delle nuvole. Con sempre più animazione, spostava il suo sguardo dalla tela all’atleta, scostandosi la coda di capelli biondi che gli si era appoggiata sulla spalla sinistra.

Non si accorse fin da subito del rettangolo bianco che aveva tratteggiato nel quadro.

Ma che cosa?” finalmente volse in alto i suoi occhi verdi.

Quell’oggetto volante, planando, si adagiò a pochi metri dai due uomini. Il primo a raggiungerlo fu il pittore.

Che cavolo è?” chiese Clemons.

L’altro continuava a fissare il colore azzurro che, questa volta, era presente sul numero 42.

Forse questa iniziativa sarebbe più adatta a te, Jacob. Ma forse potrei anche provare…” fece un mezzo sorriso il paesaggista.


In un mondo dove l’oscurità fa sempre più scempio della luce, io sono giunta fin qui per espirpare il male dove è maggiormente presente!”.

Una ragazza, dallo sguardo fiero proveniente dai suoi occhi scuri, il corpo avvolto in un indumento da monaco buddista e la testa totalmente calva, scrutava decisa la Grande Mela.

Grazie al potere del mio fundoshi sacro… ” dicendo ciò, lei indicò la parte inferiore del suo vestiario che, effettivamente, era totalmente assente tranne che per l’annunciato perizoma tradizionale giapponese bianco.

Ad interrompere la sua presentazione, fu un giornale ripiegato che la colpì in pieno volto.

Smettila di blaterare!” le inveì contro un ragazzo in sella ad una BMX “D’ora in avanti te la cavi da sola, io torno in Giappone!”.

Quest’ultimo non attese nemmeno la risposta della fanciulla e sgommò via.

l’altra si tolse il quotidiano dal viso e gli urlò dietro “Dove vai, Seito Kuroki? Guarda che io ho dalla mia il potere degli animali!”.

Errato! Quel potere non spetterà a te!” annunciò solenne una voce proveniente dall’alto.

Animare i quadri?”.

Nemmeno!”.

Sacro Buddha! Ma allora qual’è il mio destino?” la buddista guardava rapita verso l’alto.

Di sicuro, dovrai custodire il sacro fundoshi e…”

Mi chiedo come faccia Yoshikazu Anno a stare tutto il tempo con questo coso tra le natiche…” rifletteva nel mentre lei “Di sicuro, Yuka Domoto saprebbe come togliermelo per effettuare una delle sue sforbiciate… Ma che sto pensando!?”.

Il rossore che le aveva dipinto le guance fu coperto, dal bianco di una maglietta sportiva. Per la seconda volta in pochi attimi, si tolse qualcosa dalla faccia.

E questo cos’è?” si domandò, mentre osservava un grande numero 16 azzurro.

È il tuo destino!” le rivelò la voce onnipresente.

D-Davvero?!” la guerriera sacra spalancò occhi e bocca “Ma io volevo prima conoscere le Mighty Mutant Power Turtles!”.

Zitta e obbedisci!” tagliò corto la voce divina.


E ora, signore e signori, una nuova posa…” il presentatore, con un sorriso smagliante quanto la sua giacchetta blu elettrico, si beava davanti al suo pubblico “la most muscular!”.

Un ululato di approvazione accolse tale annuncio.

Al fianco dell’uomo con il microfono in mano, vi erano una decina di energumeni. Questi, totalmente nudi nei loro corpi unti di olio, se si eccettua dei micro perizomi di vari colori, eseguirono la posizione ordinata dal conduttore dello show.

Con essa, mettano in risalto il maggior numero possibile dei muscoli sviluppati presenti nel loro corpo. Braccia piegate fino all’estremo e busto leggermente piegato in davanti.

Dopo qualche minuto, la voce tornò a risunare dagli altoparlanti.

Benissimo così, signori! Ora una piccola pausa e poi torneremo con una nuova prova per i nostri concorrenti: l’eleganza in camicia!”.

Gli spettatori applaudirono rumorosi, mentre i body builder lasciavano il palco avviandosi dietro le quinte.

Uno di loro si affrettò a raggiungere lo spazio assegnatogli.

Che cazzata questa prova!” osservò mentre, rapido con le mani, afferrava una camicia bianca da dentro un borsone e iniziava ad indossarla.

Come può venirgli in mente una prova con indosso una cam…”.

STRAP!

I suoi occhi si spalancarono mentre il suo corpo nerboruto si bloccava a quel suono. Nonostante preferisse non crederci sul momento, la sua paura più grande si era avverata proprio quel giorno così importante.

Goffamente, si tolse l’indumento per osservarne la parte posteriore. Lungo la schiena del vestito, vi era ora un taglio verticale che ne interessava buona parte.

No! No! No!”sbottò quasi con le lacrime agli occhi “E ora che faccio?”.

Un inserviente gli si avvicinò “Tra 5 minuti si ricomincia!”.

Aspetta!” il colosso lo afferrò in malo modo dal colletto della t-shirt “Avete per caso una camicia di riserva da prestarmi?”.

Mi dispiace, la produzione non ha tutti questi soldi da sprecare”.

E ora che faccio?”.

Se ti può essere d’aiuto, ho trovato questo fuori dagli studi”.

Il giovane porse all’uomo una maglietta bianca piegata, con su stampato in azzurro il numero 64.

il culturista la afferrò tra le sue salde braccia, mentre reclinava il suo grosso capo dai capelli castani tagliati quasi a zero, per leggere meglio la lettera scritta e attaccata dietro.


Un altro concorso, sempre ospitato nella Grande Mela, premiava un tipo di bellezza all’opposto della precedente. Dai muscoli maschili alle grazie femminili.

Ebbene, signore e signori” annunciò sorridente e splendente il presentatore “siamo ora arrivati al gran momento che tutti noi aspettavamo!”.

Accanto ad egli, un trio di giovani e splendide ragazze, vestite tutte e tre con un costume da bagno costituito da un pezzo unico e un numero spillato sulla spallina, attendevano con trepidazione le parole di quell’uomo.

Una valletta, bionda e altrettanto sorridente, si avvicinò con passo suadente al conduttore e gli porse una busta da lettere chiusa.

Grazie, Tiffany” la ringraziò lui con un gesto del capo, mentre con gli occhi era già all’oggetto dei desideri appena giunto.

Con un gesto allenato delle dita della mano sinistra, aprì il beccuccio adesivo dell’involucro di carta argentata, rivelando un foglio ripiegato in due.

In questo momento, come quasi da prassi, lo showman si mise a gigioneggiare.

Siete emozionate, signorine? Volete davvero sapere il nome scritto qua dentro? O volete che prima mandi un po’ di pubblicità?”.

Eh muoviti, bastardo!” pensava una delle modelle, con il sorriso forzato incorniciato dai suoi lunghi capelli castani, stretti in una lunga coda di cavallo.

Ma no, dai!” riprese lui “È giusto che sappiamo la vincitrice di questo straordinario contest!”.

La regia mise il doveroso rullo di tamburi, mentre il foglio veniva estratto e spiegato.

Il volto del conduttore si fece incredibilmente serio “La vincitrice… di quest’anno… è… la numero…”.

1!” lo anticipò la concorrente di prima.

Ehm no…” il presentatore, spiazzato da tale imprevisto, andò subito in difficoltà “la numero uno è stata eliminata in precedenza… ”.

No, è scritto su quel coso!” lei, con gli occhi verdi puntati verso l’alto e una corona in testa che richiamava quella presente sulla Statua della Libertà, indicò verso i riflettori montati sull’impalcatura ad arco.

l’oggetto volante bianco atterrò delicatamente tra le sue mani ben curate, mentre attorno ad ella vi era un fuggi fuggi generale e immotivato.


Appena le porte scorrevoli si aprirono, tre scienziati, due uomini e una donna, si trovarono di fronte ad un enorme blocco di ghiaccio, mantenuto tale grazie alla bassissima temperatura presente nella stanza. La cosa sbalorditiva però giaceva esattamente dentro di esso.

Un essere umano, alto quasi due metri, con petto e spalle di un’ampiezza davvero notevole ma, soprattutto, con indosso dei vestiti grezzi fabbricati con la pelliccia scura di qualche animale preistorico.

I nuovi arrivati rimasero allibiti da tale visione.

“Quindi è di questo che stavamo parlando?” domandò il primo.

“Ma siamo certi che sia ancora vivo?” chiese la seconda.

“Sì, è nello stesso identico stato di conservazione di quello ritrovato in Mongolia” rispose il terzo.

Il trio proseguiva con il fissare l’essere.

L’ultimo riprese a parlare “Se non ricordo male, l’hanno chiamato Nergui…”.

“È straordinario…” rimase a bocca aperta la donna.

Il suo collega, invece, si avvicinò ancora di più alla lastra di ghiaccio “È incredibile come si sia mantenuto così bene in tutti questi millenni!”.

Mentre fissava i suoi lunghi capelli neri, le palpebre del ritrovamento si spalancarono.

“Cazzo! Ha aperto gli occhi!” urlò spaventato, allontanandosi.

“Cosa?” gridarono all’unisono gli altri due.

Ma le spiegazioni furono interrotte sul nascere dalle numerose crepe che si disegnavano sulla superficie trasparente.

“Ma che succede?” la dottoressa era in preda al terrore.

“Forse sarà il caso di uscire!” ipotizzò quello più vicino a lei.

“Qui sta crollando tutto!” li raggiunse appena in tempo.

Come predetto, il ghiaccio crollo, ma solo attorno all’antico uomo, ora in grado di camminare nuovamente.

Il viso, privo di espressioni, dell’ominide li fissava immobile.

“Bisogna assolutamente avvertire la base!” bisbigliò all’orecchio la femmina.

I due maschi, immobili come statue, fissavano l’energumeno.

Di colpo, iniziò a fare qualche lento passo. Il suo fare era sempre più minaccioso.

“Scappiamo!” sbottò uno dei presenti che, rapidamente, fu seguito subito dagli altri dottori.

L’andamento dell’essere scongelato si fece sempre più deciso, finché non si trovò all’esterno dell’antro.

Fuori dalla porta a vetri, la coppia di uomini di prima continuava ad osservarlo visivamente e verbalmente.

“I suoi indumenti mi fanno pensare all’era Cenozoica…”.

“Io so solo che non credevo che l’ibernazione funzionasse veramente!” replicò il collega, che non staccava un attimo gli occhi da quella possibile minaccia.

Nello stesso momento, l’uomo venuto dal passato girava il suo sguardo spaesato su tutto il panorama che aveva attorno. In particolare,quei due sconosciuti che lo fissavano nascondendosi dietro a quella barriera.

Intanto, un oggetto bianco dal cielo si andò a posare vicino a uno dei due.

quest’ultimo si voltò stupito anche da questo evento.

“Che diavolo è questa cosa?”.

Ancora con lo sguardo verso il basso, si sentì tirare dall’altro ricercatore.

“Scappa che ci sta caricando!”.

Gli umani scapparono, scoscendo come dei razzi la breve scalinata esterna, mentre l’uomo delle caverne sfondò con una poderosa spallata il vetro dell’ingresso.

Appena fuori, l'attenzione del cavernicolo fu attirata dal numero azzurro 74 stampato sulla maglietta bianca.


In una palestra scolastica, due squadre, interamente formate da ragazze, erano schierate per la più classica partita a pallavolo.

Il professore di educazione fisica, posto vicino ad uno dei due pali che sorreggevano la rete, soffiò forte nell’apposito fischio, dichiarando poi “Battuta!”.

La studentessa posta all’esterno della linea di fondo batté con il classico sottomano. La palombella della sfera sorvolò ampiamente il nastro superiore e scese verso il centro della meta campo avversaria.

La giovane presente in tale posizione, aveva già le gambe tremanti, così come il labbro inferiore. Quando la palla era ormai a un paio di metri da lei, chiuse gli occhi e rimaste completamente immobile. Il pallone le passò di fianco e colpì il pavimento.

Nuovo fischio del professore che poi si imbestialì.

Ma è possibile che non riesce a prenderne una, eh?”.

La ragazza, con i capelli neri a caschetto che le incorniciavano il viso caratterizzato da lineamenti asiatici, riaprì gli occhi scuri.

Con una lentezza meccanica, si voltò verso l’insegnante “I-I-Io…”.

Ah! Lascia stare! Vai fuori dal mio campo!” la espulse il docente.

Dagli occhi tagliati dell’alunna iniziarono a scendere copiose lacrime. Con uno scatto da ferma, se ne andò piangendo verso l’uscita dell’edificio.

Una volta fuori si accovacciò, appoggiando la schiena contro il muro, e diede sfogo con un pianto a dirotto.

Io non ce la faccio più! Non mi è mai piaciuta la ginnastica! Perché sono così totalmente impedita!”.

Attorno a lei, gli altri studenti la squadravano con aria di compatimento.

La poverina proseguiva con le sue cascate da dentro le palpebre, finché non senti qualcosa colpirle delicatamente la testa.

Ahi!” si lamentò lei, mentre si massaggiava la parte offesa e scopriva cosa la aveva colpita.

Era un quadrato formato da una maglietta sportiva bianca ripiegata. Su di essa era cucito in azzurro il numero 65. Dietro vi era attaccata con il nastro adesivo una lettera scritta al computer.

Ma perché ancora sport?!” e giù di nuovo a lacrimare.


Una donna anziana stava aspettando pazientemente il marito, seduta sulla panchina di un parco. Quando finalmente l’uomo comparve, la donna sembrava quasi spazientita.

Guarda quanto mi hai fatto aspettare” affermò lei.

“Perdonami, amore!” si scusò lui “Però, almeno, vedi dove siamo? Nel parco dove, quando eravamo ragazzi, io giocavo a pallone con gli amici e tu facevi un picnic con le amiche... quando una pallonata ha rischiato di mandare all’aria tutto il mangiare che avevate preparato!”



Ridendo, i due iniziarono a camminare, non sembravano avere molta fretta.

Passeggiando, raggiunsero il luogo del loro primo appuntamento: un cinema.

“Ora è cambiato completamente! Con tutta la nuova tecnologia in 3D, i bar e i ristoranti all’interno... una volta, si andava al cinema solo per vedere un film, non certo per mangiare!” polemizzò imbufalito l’anziano.

“Amore, è normale. Sono i tempi che cambiano” lo tranquillizzò l’anziana.

Vicino al cinema, c’è il posto del loro primo bacio.

“Ti ricordi?” chiese il signore “Una volta, il marciapiede era rotto e i tuoi tacchi si incastrarono in un buco nel terreno,

“Certo che me lo ricordo, caro!” rispose la signora “Feci un ruzzolone per terra che mi fa ancora male a ripensarci…”.

“Ma guarda! Quella buca c’è ancora!” indicò divertito il marito.

“È vero!” rise la moglie “Ma… cosa c’è infilato dentro?”.

Il vecchio si accovacciò lentamente, aiutato appena dalla consorte. Con fatica, riuscì ad afferrare due quadrati di stoffa bianca e a rialzarsi.

Tieni cara” lui le porse uno di quei ritrovamenti.

Entrambi si misero a leggere la lettera attaccata sul retro. Per l’uomo c’era il numero 53, per la donna il numero 89.

Perdinci! Pare proprio che dovremo ritirare fuori quel magico pallone, cara!” gli occhi dell’anziano brillarono di meraviglia.



Un nuovo varco temporale si aprì nel bel mezzo di un parco giochi, in quel momento frequentato da un elevato numero di bambini.

Lo spavento iniziale dei pargoli si tramutò in gioia e divertimento, una volta vista la buffa creatura che comparve a New York.

Il corpo, con la sua fisionomia e le sue dimensioni, erano identiche a quelle di un uomo adulto. Ma il resto del suo aspetto riconduceva assolutamente ad un papero, piume bianche e becco giallo compresi.

Ma dove strakaz sono finito?!” esordì lui, mentre il varco alle sue spalle si richiudeva in un baleno.

Mentre il nuovo arrivato proseguiva con girare il suo sguardo tutto attorno, una bambina gli si avvicinò silenziosamente. Con fare timido, gli strattonò piano un lembo dei pantaloni blu, a loro volta sormontati da una giacca beige.

C-Ciao signore… t-tu chi sei?”.

Io chi sono? Ma voi chi strakaz siete!? E questa non è decisamente Furrytown!”.

Secondo me è Paperino…” ipotizzò un bambino.

No, per me è Daffy Duck!” replicò un altro.

Ma no, scemo! Dovrebbe essere nero allora!” fece notare un terzo.

Dalla sua volgarità, a me sembra più Howard il papero…” esclamò, schifata, un’altra bimba.

Oh bella, non hai ancora sentito nulla…” le fece l’occhiolino quella specie di cartone animato dal vivo.

Comunque, per essere Zio Paperone è troppo giovane…” riprese la discussione un altro bimbo.

Ma la volete piantare con tutti questi nomi!” sbottò il pennuto “Il mio nome è…”.

Guardate lassù!” interruppe tutti quanti la stessa bambina vicina alla sua gamba “Cos’è quella cosa?”.

Tutti i presenti, compreso il papero, guardarono in alto. Un rettangolo bianco stava planando proprio verso quel gruppetto.

Sarà mica un’altra anatra?” si domandò una nuova bambina.

Al diavolo! Io sono una papera!” le urlò contro l’umanoide, saltando in aria e afferrando l’oggetto volante con l proprio becco.

Appena atterrò, tutti i bambini si misero a ridere per quella buffa scena, mentre l’oggetto del loro scherno bofonchiava tra becco e stoffa.

Toltoselo dalla sua bocca, l’essere con i piedi palmati si mise ad osservarlo con le sopracciglia, o presunte tali, corrucciate. Davanti a sé aveva un numero 75 azzurro.



Nelle vicinanze di quel parco giochi, un altro gruppo di ragazzini era impegnati, senza particolare successo, a far cadere giù da un albero spoglio un altro di quei doni dal cielo.

P-Posso esservi utile?”.

Il trio di minorenni si voltò verso quella voce. Di fronte a loro si trovarono un uomo dall’altezza davvero notevole. Di sicuro, era alto più di due metri.

N-N-Noi volevamo prendere quello” gli indicò il primo.

Ma tu giochi a pallacanestro?” gli chiese il secondo.

Oddio no! È un gigante, amici! È qui per mangiarci tutti!” esclamò il terzo.

Seguendo l’assurda spiegazione del loro compagno, i tre bambini si misero ad urlare e scappare il più lontano possibile dal nuovo venuto.

quest’ultimo scosse lentamente la testa, facendo ondulare i suoi capelli neri lunghi fino alle spalle, mentre osservava quei piccoli stupidi allontanarsi.

Sempre la solita storia” sussurrò.

Tornato ad osservare i rami dell’albero, alzò il suo lungo arto superiore e afferrò senza alcun problema la maglietta ripiegata.

La gente non capirà mai che questa mia stazza può creare più problemi che altro” bisbigliò, mentre leggeva la lettera attaccata.

Oh dio no! Davvero il basket!” esternò tutta la sua delusione lo spilungone.

Voltato il rettangolo, notò il numero 70 azzurro.

Almeno, forse questa volta potrò essere utile a qualcuno”.



Bene gente, ora sciogliamoci un po’ e ci vediamo la prossima settimana”.

Un uomo vestito totalmente di nero, in puro stile da mimo, batté le mani e, tutti attorno a lui, vari studenti si alzarono da terra è iniziarono ad emettere suono gutturali e urla belluine.

Passato qualche minuto, gradualmente uscirono dalla stanza salutando il loro insegnante. Tutti tranne uno che, titubante si avvicinò all’attore.

Mi scusi maestro…”.

Sì? Dimmi pure Jack” l’artista si tergeva il sudore con un asciugamano.

L-Le vorrei ricordare che mi deve ancora dare il resto del pagamento per la seconda rata…”.

Tranquillo figliolo, non hai fiducia in me? Cos’è? Hai per caso la ragazza?”.

No no…”.

Ah ecco, mi pareva strano”.

È che mi servirebbero…”.

Ma non sei andato allo spettacolo dove io personalmente ti avevo raccomandato?”.

Sì sì! Ma il suo collega si è dimenticato di pagarmi…”.

Beh sai… un grande artista come lui ha sempre la testa tra le nuvole” fece roteare la sua mano nell’aria “Non ci far caso”.

Ok. A domani, maestro” così anche lui lasciò la sala.

Wow, che fatica!” riprese a tamburellarsi l’asciugamano sulla fronte “questi giovani pensano subito di essere arrivati”.

Avvicinatosi ad una finestra che dava sull’esterno, la spalancò.

Sarò giusto tre mesi che mi ha pagato… ” rifletteva l’uomo, passandosi le dita tra i capelli ricci e scuri “Certe volte quel tipo sa essere decisamente assillante”.

Zittitosi, si mise ad osservare lo spettacolo di New York attorno al suo studio di recitazione. all’inizio la sua espressione era assente, poi diventò incuriosita, ed infine mutò nella più classica disperazione.

Oddio!” abbassò il capo giusto in tempo per evitare un oggetto volante che entrò nella stanza.

Voltatosi simulando mosse e urla di kung fu, notò subito che l’eventuale minaccia era costituita da un rettangolo bianco.

Avvicinatosi cautamente, lo afferrò proteggendosi la mano con la manica della maglia. Di fronte a sé aveva il numero 19 stampato in azzurro.

Dovrò chiamare il mio agente per saperne di più e disdire il mio spettacolo di commedia brillante…”.



Complimenti figliolo! Hai reso fiero il prestigioso corpo dei marine!”.

Quelle parole, dette con tanto finto entusiasmo dal generale, riecheggiavano ancora nella mente del premiato.

Sono tutte cazzate!” sbottò lui, con i capelli tagliati nel puro stile militare “tanti ringraziamenti e ora sono un disoccupato come tutti gli altri!”.

I passanti di New York guardavano questo tizio, vestito ancora in alta uniforme da marine, con sospetto e tanta preoccupazione.

Fermatosi di colpo, si rovistò nelle tasche dei pantaloni, tirandone fuori il Purple Heart e fissandolo con i suoi occhi scuri.

Con un gesto rapido, il soldato aveva già caricato il braccio per lanciare via quel riconoscimento. Ma, all’ultimo, mano rimase stretta.

Abbassandola e riaprendola, l’uomo tornò ad osservare il cimelio.

“Aiuto! C’è un attacco aereo!”.

Quella voce lo ridestò dai suoi pensieri. Con uno scatto fulmineo, raggiunse il punto da cui proveniva quella richiesta.

Una signora anziana, con il dito ossuto e tremante, gli indicò verso il cielo. Il marine seguì l’indicazione e vide scendere, a velocità visibilmente rallentata, un oggetto volante non identificato di forma rettangolare e colore bianco.

“Stia indietro, signora” la scansò gentilmente.

Mentre la donna eseguiva l’ordine, il giovane si avvicinò con coraggio e afferrò al volo quella strana cosa.

Per prima cosa, notò un numero 12 grande e stampato in azzurro. Voltatolo, si mise a leggere il foglio attaccato sul retro.

“C-Cosa c’è scritto?” la vecchietta gli si era avvicinata con circospezione.

L’espressione sul volto del fante mutò a poco a poco da seria a tranquilla.

Sorridendo le rispose “A quanto pare, signora, sono stato nuovamente arruolato…”.



L’Ostrica Blu, uno dei più famosi locali gay di tutta New York.

Al suo interno, come da previsione, la maggior parte dei presenti era esclusivamente di sesso maschile, anche se con atteggiamenti che qualcuno definirebbe per niente virili. A dominare su di loro, un misto di musica tecno e balli lenti.

“Te ne porto un altro, tesoro mio?” propose il barista sorridente ad un cliente seduto sullo sgabello e appoggiato al bancone.

“No, amore. Per oggi basta così” rispose lui.

Quest’ultimo era vestito con abiti caratterizzati da pelle e borchie.

“Sicura?”

“Decisamente sì” confermò, mentre si lisciava i baffi ben definitivi che aveva sotto il naso. Neri come i suoi occhi e i suoi capelli.

“Ok tesoro. Fai attenzione tornando a casa”.

“Ma certo, cara. Cosa vuoi che mi succeda, poi? Siamo in pieno giorno…” lo rassicurò, dopo un singulto e mentre lentamente si alzava dalla seduta.

“Ci vediamo, baby!” lo salutò il barman con un gesto delicato della mano.

“Ah, amore!” lo richiamò il bartender.

l’uomo si girò sorpreso.

“Ricordati domani la serata evento con le cover dei Queen!”.

“Figurati se me la perdo!” rise l’interpellato, salutando i presenti con una posa tipica del compianto Freddie Mercury.

Alcuni dei presenti applaudirono e fischiarono per approvazione a quella rapida performance.

Una volta fuori dall’edificio, il tizio si avviò per il marciapiede.

“Per fortuna che reggo bene l’alcool” si tranquillizzò quando, d’un tratto, la sua attenzione fu catturata da qualcosa infilato sotto il tergicristallo della sua auto.

Sfilatolo con un gesto elegante del polso, si mise ad osservarlo. Un grosso numero 30 azzurro campeggiava su un rettangolo bianco di stoffa.



Chi invece reggeva decisamente molto meno bene l’alcool, era un triste figuro che, curiosamente, era anch’esso appollaiato su di uno sgabello, con i gomiti appoggiati sul bancone di un altro bar, palesemente molto meno elegante dell’Ostrica Blu.

Le mani reggevano la sua testa quasi del tutto pelata, se non per qualche lieve peluria sulle tempie, mentre lui se ne stava disperato a guardare in giù, verso il suo vestiario composto da una t-shirt bianca macchiata un po’ dovunque e un paio di jeans sbiaditi.

“Sarà il caso di smetterla per oggi, amico?” gli propose il barista.

“Mmm…” fu l’unica risposta ottenuta.

“A maggior ragione che è ancora presto per sbronzarsi così tanto”.

“Mmm…” replicò nuovamente.

“Su!” lo spronò ancora il barman “Quest’ultima la offro io e tu ora te ne vai a casa tranquillo, ok amico?”.

Se non fosse per la serietà di questo caso umano, parrebbe di vedere una versione umana di Homer Simpson, che traballante se ne esce dal locale.

“C-Ci vediamo… hic… domani…” fu il suo saluto stentato.

Una volta fuori dall’edificio, il tizio mosse i suoi occhi appannati e scuri a destra e a sinistra della sua visuale.

Festeggiò l’identificazione della sua automobile con un sonoro rutto.

A passi lenti e strascicati, raggiunse una macchina con la carrozzeria, colorata con un orrendo violaceo spento, piena di ammaccature.

Mentre il proprietario del veicolo cercava maldestramente di centrare la serratura con la sua chiave, bloccatosi di colpo, voltò lentamente il capo verso il parabrezza.

Come nella precedente situazione, un oggetto si era infilato sotto il suo tergicristallo. Un grosso numero 14 azzurro campeggiava su un rettangolo bianco di stoffa.

“Ma che… hic… cavolo...” mancata per tre volte la presa dell’obiettivo, alla fine riuscì ad afferrarlo approssimativamente.

Voltato il pacchetto, forse per la visione alcolica di tutte quelle scritte nere sulla lettera attaccata sul retro, l’ubriacone rigettò tutto il liquido che aveva nello stomaco sopra la carta e la stoffa.



Una coppia di strani gemelli camminava, battibeccando a vicenda, sui marciapiedi brulicanti di vita a New York.

Una donna, con un abito pieno di svolazzi, degli occhiali scuri con gli spigoli delle lenti appuntiti e una permanente che tiene su, in maniera innaturale, i suoi capelli castani con qualche striscia grigia. Un uomo con indosso la classica uniforme appartenente agli scout, occhialini tondi sul naso accompagnato da baffetti da sparviero e un fisico piuttosto rotondetto.

“Le medicine le hai portate? E poi hai avvertito la mamma? Come si chiama il nostro albergo?” domandava a raffica lei.

“Tranquilla, sorellina. Ho tutto sotto controllo” la rassicurò lui.

“Sì, certo. Come per la gita a Milwaukee…”.

“Ancora con quella storia?! Ricordati cosa dice Vera Barclay…”.

“Non m’interessa niente di quella Vera lì! E tutto per vederti giocare a quel gioco stupido…”.

“Lo scoutball non è assolutamente un gioco stupido! Serve per cementare la fiducia nel gruppo e tenersi in allenamento”.

“Oh sì, certo, lo si vede dal tuo fisico…” lo schernì la sorella.

Il fratello non la stava ormai più ascoltando, concentrato com’era sugli oggetti sopra l’asfalto “Ma guarda te che maleducazione!”.

“Ma dove vai? Che fai?” si preoccupò la donna, mentre il parente si stava chinando a raccogliere della roba da terra.

“Ti pare giusto lasciare tutto questa sporcizia a rovinare l’ambiente? E questi cosa sono?”.

“Ma lascia stare! Magari sono documenti importanti o, peggio ancora, compromettenti…”.

Nonostante quanto appena detto, la signora si avvicinò al fratello per osservare meglio i due pacchetti che aveva in mano. Uno con il numero 24 e l’altro con il numero 66.



In quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, quella donna aveva il cuore a pezzi.

Seduta su di una sedia imbottita, con i gomiti appoggiati sulle proprie ginocchia, l’abito candido da sposa che indossava faceva da assurdo contraltare alle lacrime che sgorgavano dai suoi occhi azzurri.

“Mi sembra tutto così assurdo… perché doveva capitare proprio a me?!”.

Tirando su con il naso, la sua attenzione era stata catturata dalle onde di stoffa che caratterizzavano la sua ampia gonna bianca.

“Io quell’uomo no lo amo, non lo amo, non lo amo…” sussurrava come una radio rotta.

Anticipandosi con un lieve bussare, un maggiordomo comparve da dietro la porta appena socchiusa “È pronta, signorina?”.

Lei si asciugò rapidamente gli occhi con i guanti bianchi indossati sulle dita affusolate.

“S-Sì. Arrivo subito” si volse appena.

Appena l’uscio fu richiuso, la futura sposa si alzò con gran fatica.

Dopo un gran sospiro, tentò l’autoconvinzione “Proseguiamo con questa farsa!”.

Uscendo dalla stanza, mentre proseguiva verso l’uscita della villetta come se si presentasse al patibolo, la risposta ai suoi problemi comparve d’improvviso. Adagiata diligentemente su di un altare votivo presente ai lati del lungo corridoio, vi era difatti un’originale katana giapponese.

Appena riconosciuta quell’arma bianca, la sposa la afferrò, estraendola nel contempo dal fodero. Giunta di corsa e con la lama sguainata nel giardino della villetta, si trovò di fronte una marea di persone vestite a cerimonia.

“C-Cara” balbettò il presunto sposo “c-che stai facendo?”.

“Guardate! C’è un drone!” indicò qualcuno verso il cielo.

Fu quello l’attimo, in cui tutti gli invitati erano con il naso all'insù, che la negata consorte se ne filò via, katana compresa.

“Dov’è andata?” “Cercatela!” “Chiamiamo la polizia?” erano le varie voce che si levarono in aria.

Mentre la ricercata riprendeva fiato dietro un’ampia siepe, al suo fianco si adagiò un rettangolo bianco con scritto in azzurro il numero 63.



Il suono assordante della sirena riecheggiava lungo tutti i corridoi pallidi e le stanze imbottite piene di sgradevoli ospiti.

Proprio uno di questi ultimi, con il tronco ben immobilizzato dentro una camicia di forza, percorreva le mattonelle lucide verso quella che per lui era di certo la libertà.

“Fermati!” gli urlavano dietro all’unisono due inservienti.

Il fuggitivo, con lunghi capelli bianchi al vento, proseguiva nella corsa con lingua penzoloni da un lato della bocca e occhi spiritati.

A pochi metri dalla porta d’uscita, balzò in aria e colpì il maniglione antipanico con un calcio volante.

Una volta atterrato agilmente sul marciapiede, il pazzo notò subito vicino a lui un bidone della spazzatura. In pochi passi gli fu accanto e, attendando feroce la maniglia in ferro, la lanciò via stile frisbee.

Infine, con un balzo a piedi pari, si nascose dentro quel cilindro arrugginito.

Pochi secondi tempo, ecco uscire la coppia di inseguitori, entrambi trafelati.

“Cazzo! Non ci posso credere!”.

“Ci è scappato…”.

“Eh, bravo! E sai questo cosa vuol dire?!”.

Di sicuro, non cose buone…”.

Sicuramente “non cose buone”! Qui ci licenziano tutti e due in tronco!”.

Allora, sarà il caso di ritrovare quello stronzo!”

Finalmente hai detto una cosa giusta!”.

Per nulla domi, il duetto si mise a perlustrare la zona circostante.

Appena non udi alcuna voce umana nei dintorni, il paziente uscì dal suo nascondiglio improvvisato, mentre stava ingerendo una buccia di banana decisamente marcia.

Come niente fosse, la sua concentrazione disturbata fu attratta da un rettangolo bianco che stava planando dal cielo.

Bello! Mio!” sentenziò lui, con gli occhi da folle.

Con altri passi rapidi e un nuovo balzo felino, addentò quello strano oggetto volante, identificato dal numero 22 azzurro.



Un altro personaggio curioso, per la precisione una signorina, stava passeggiando facendo ticchettare i tacchi delle sue scarpe di vernice.

Indosso aveva un anche eccessivamente elegante tailleur a fiorellini, che copriva leggermente il suo seno abbondante, sul nasino appuntito aveva degli occhiali spessi e dalla montatura scura e, soprattutto, i suoi capelli neri erano acconciati con uno stile che di certo andava di moda negli anni ’60, non certo nei 2000. Una vera e propria montagnetta cilindrica, come una sorta di colbacco.

Diamine! Sono in ritardissimo!” esclamò, fissando a pochi millimetri il quadrante dell’orologio minuscolo che aveva al polso.

Alzata nuovamente la testa, strizzò nuovamente gli occhi scuri verso l’orizzonte.

Tanto… la fermata dovrebbe essere vicina… credo…”.

Nella sua inarrestabile marcia, data la conclamata poca visione del mondo attorno a lei, non si accorse del rialzamento di una mattonella, che andò a colpire in pieno con la punta di una delle décolleté.

Nonostante l’equilibrio precario, riuscì in una serie di tre piroette, mentre la sua borsetta bianca era già volata via a metri di distanza.

A-A-A-A-Aiuto!” starnacchiò inutilmente.

Infine, come un albero abbattuto, crollò al suolo.

Per sua grande fortuna, il viso le finì sopra un tessuto bianco.

Una volta rinvenutasi, si prodigò in una serie infinita di “Oddio! Oddio! Oddio!”.

Afferrato questo suo “cuscino salvavita”, si tirò su con sorprendente agilità, spolverandosi nel contempo il vestitino con la mano libera.

Un giorno di questi mi devo decidere a cambaire questi occhiali”.

Scampata a questo pericolo, ripartì a spron battuto. Solo dopo ore e ore, la donna si accorgerà di aver portato a casa, invece della sua borsa ormai dispersa, la maglietta numero 6.



Per poco la miope avrebbe assistito, per lo meno per quanto le consentiva la vista non certo acuta, ad un orribile e inspiegabile spettacolo.

Un uomo era sdraiato al suolo e si lamentava, sempre più rumorosamente, per un dolore imprecisato che pareva interessare tutto il suo corpo.

Sfortunatamente per lui, l’unico ad accorrere era una persona che, ben saldo nella sua mano, reggeva un coltello a serramanico.

Ehi bello, ti conviene tirare fuori tutto quello che hai con te”.

V-Vattene! S-Sto male!” balbettò appena quello a terra.

E io i sembro un dottore?! Dai figlio di puttana, tira fuori tutto ciò che hai! Sennò davvero proverai il vero dolore!”.

Il rapinato non riusciva più a parlare ma urlava dal dolore.

Che cazzo urli, bastardo?! Muoviti o ti giuro…”.

Il rapinatore fermò di colpo il suo avvicinamento alla vittima quando vide qualcosa di raccapricciante. I capelli scuri dell’uomo si stavano staccando a ciocche intere dalla cute, con una rapidità sovrannaturale.

Ma che cazzo ti sei preso per ridurti così?” indietreggiò ancora il delinquente.

Improvvisamente, gli occhi chiusi dal dolore sì spalancarono, mostrando delle iridi color rosso fuoco.

Azzerati i suoi lamenti, l’uomo si alzò in pochi secondi per fronteggiare colui che lo minacciava. Il suo capo ora era totalmente calvo e bianco.

L’altro, stupito, protese nuovamente la lama in avanti “Ehi, bastardo! Non dirmi che stavi bluffando perché ti giuro…”.

Non fece in tempo a finire la minaccia che il suo obiettivo, con un gesto rapido, gli afferrò proprio la mano armata.

Ma allora vuoi davvero… ehi, che cazzo fai?”.

La pelle della sua mano iniziò ad avere un colore più scuro, malato.

La gente che ha studiato la chiama neoplasia”.

C-Che?” il criminale lo osservava con gli occhi lucidi di lacrime e il labbro inferiore tremolante.

La tua mano ora è diventata un grande tumore. O cancro, se preferisci” concluse il pelato, lasciando nel contempo tale presa maledetta.

Il borseggiatore aprì a fatica l’arto deturpato, facendo cadere l’arma sull’asfalto. Fissata con orrore tale opera, urlò con quanto fiato avesse nei polmoni e scappo via da quell’incubo.

Nel far ciò, da sotto la giacca sporca gli cadde un rettangolo di stoffa bianca. quell’essere diabolico lo raccolse, lasciandolo perfettamente integro nonostante il suo tocco velenoso, e si mise a fissare il numero azzurro 60.

In concluse, il tema di questa storia: epico spaccato di vita.

  
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