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Autore: Mercurionos    15/08/2022    0 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Capitolo 30 – Episode of Mirk, Parte 3 – Anno 2, ??? Vendemmiaio/Brumaio
 
La strada prima torrida si trasformò subito in un corridoio di frescura, sferzato dal vento del nord. Mirk notò ben presto di aver comprato una maglia troppo corta, ma non le importava: madida di sudore com’era, quei refoli invadenti le furono più che graditi. Si incamminò allora per la via maestra, verso il centro della città, in mezzo a case tutte uguali, con il sapore della sabbia sulla lingua. Poi accadde che il brusio del mercato alle sue spalle svanì, solo poco dopo tornò più forte di prima. Si voltò incuriosita da quel vuoto di rumore: mercanti e avventori stavano fuggendo dal centro della strada dopo aver notato un polverone avvicinarsi dalla periferia. Passò qualche istante e Mirk riuscì a riconoscere l’oggetto in avvicinamento: uno speeder di pattuglia dell’esercito, uno dei modelli a repulsione capaci soltanto di galleggiare a qualche centimetro dal terreno, ma non di prendere il volo. Un residuato di guerra, a giudicare dalla vernice scrostata e dal rombo sferragliante del motore.
 
Mirk si scansò dalla strada quanto bastò per non venire investita dal veicolo. Senza farsi notare, affinò i sensi e ispezionò con lo sguardo la ciurma del piccolo vascello: un operatore davanti, come pilota, quattro soldati semplici seduti sul retro, almeno un paio di fucili di grosso calibro, di un modello longilineo estremamente antiquato. Notò un altro fatto che la confuse: mentre il pilota pareva essere un ufficiale con almeno qualche anno di esperienza nell’esercito, con sguardo fermo, duro e inespressivo, gli uomini che lo seguivano non erano più che ragazzini, dai volti giovani e confusi e stanchi, quelli che avrebbe dovuto e voluto incrociare qualche ora prima, al lavoro nei campi con i loro parenti.
 
La polvere sollevata dalla motoretta si placò, e Mirk continuò la ricerca della chiesa, ma non le fu difficile trovarla. L’unico edificio del paese alto una decina di metri, con una guglia squadrata a punta e ghirigori incomprensibili sulle pareti, un alfabeto non utilizzato all’interno dell’Impero: quel piccolo torrione doveva essere la chiesa. Non c’erano scritte o cartelli, né persone vicine a cui chiedere conferma, così Mirk entrò, chiudendo il portone di metallo ossidato alle proprie spalle.
Andò incontro a un silenzio raggelante. Il brusio della cittadina all’esterno venne completamente cancellato dai muri di arenaria che i secoli e le guerre non erano riusciti ad abbattere. Mirk si guardò intorno: al centro dell’unica navata c’erano alcune panche di legno, al momento vuote, disposte in fila a due per due; sulle pareti si intervallavano alcove affrescate e lampade in cima a esili colonne; agli angoli dell’androne giusto qualche finestra, quanto bastava a non lasciare la basilica nel buio più totale. La ragazza si avvicinò pian piano all’estremità della chiesa opposta all’ingresso, intimorita dal rimbombo dei suoi stessi passi, verso la parete interamente occupata da un altare sovrastato da arzigogolate decorazioni e una storta colonnina di pietra grigia. Un lieve profumo di gommoresina le pizzicò il naso, allora indietreggiò infastidita e si calò su una delle panche, e attese.
 
Passò del tempo.
Mirk udì un rumore, un gracchiare metallico. Spalancò gli occhi e maledisse di essersi addormentata lì, in mezzo a un edificio che non le offriva alcun riparo, in un territorio che non le era amico. Lo spavento si tramutò subito in uno stizzo di rabbia, quando pienamente si rese conto della propria sventatezza, e i suoi occhi schizzarono verso le minute finestrelle agli angoli della basilica: una luce flebile e rossastra filtrava dai vetri sporchi. Non riuscì a determinare per quanto tempo era stata assopita su quella panca, ma non si concesse il tempo per ragionare, ora che tre figuri avevano fatto il loro ingresso nella struttura. Uno basso, due più alti, tutti incappucciati e con dei fucili malamente nascosti sotto le mantelle; forse si trattava di alcuni dei contadinotti armati della giornata precedente, ma il loro camminare aveva qualcosa di più elegante e frettoloso, rispetto al portamento dei tentati ladri di capsule.
 
Lì seguì con lo sguardo mentre si avvicinavano all’altare, senza muovere gli occhi, come se non l’avessero notata. Uno di loro appoggiò una mano sulla piccola ara di pietra, alzò il capo, e proferì parola senza staccare gli occhi dal ciborio: “Sei Mirk?” Lei rispose di sì, allora il gruppetto la guardò in volto, esaminandola da testa a piedi, senza dirle nulla. Uno di loro passò dietro all’altare e spinse di lato un mobiletto a due ripiani, su cui erano stati riposti alcuni vecchi libri, e scoprì una botola nella parete. I tre incappucciati si infilarono nel cunicolo e fecero cenno alla ragazza di seguirla: Mirk si chinò, curvandosi in una posizione scomodissima per superare quell’angusto portello, e sbucò dentro una piccola e fredda stanzina. Due di loro si diressero agli angoli del buio bugigattolo, l’altro si sedette a uno stretto tavolo e indicò la sedia non occupata. Mirk accolse l’esortazione, e cauta prese posto.
 
“Abbiamo visto quanto è successo al torneo di Freezer, un paio di mesi fa. Eri tu, giusto?”
Mirk non seppe come valutare quel ricordo, in quel momento, e si limitò ad annuire.
“Sei parecchio forte, mi sembra.”
“Sì.” Le scappò un tono lievemente orgoglioso, ma si ricompose in fretta.
“E perché vorresti darci una mano? Sai chi siamo noi?”
“Ribelli. Resistenti. Vi chiamano così, nella Capitale.”
“Quindi hai fatto domande in giro.”
“Un po’ ci ho provato. Ma nessuno ha voluto dirmi nulla.”
“Vuoi unirti a noi?”
“Ci ho fatto un pensiero.”
“E perché?”
Mirk non rispose subito. Si concesse un paio di respiri lunghi e profondi, poi rispose soltanto: “Ho i miei motivi.”
 
L’interlocutore incappucciato intrecciò le dita delle mani davanti alla faccia: “E questi sarebbero…?”
Devo rimediare alle azioni di qualcuno. D’istinto, pensò di replicare così. Però, più che una risposta, le sarebbe parso di dare agli sconosciuti un motivo di fare ulteriori domande, quesiti a cui non avrebbe voluto rispondere. Rifletté allora per un istante, e giunse a una seconda opzione: “Mi basta guardare le condizioni in cui vi fanno vivere quei porci, per volervi dare una mano. Questo pianeta sembra la base di un gruppo di schiavisti. Non ci sono ragazzi in giro per le strade, non ci sono adulti al lavoro; solo dei vecchietti, e anche nei campi. Non ho ancora capito perché sia così, ma immagino che la colpa sia dell’Impero, o mi sbaglio?”
Quell’altro sospirò e abbassò il capo: “Le tasse sono alte, qui. Gli anziani sono dovuti tornare ai campi per permettersi almeno di mangiare. Gli imperiali lo chiamano ‘risarcimento per la guerra’… anche se nessuno ha capito chi o cosa risarciamo, di preciso. Ora lavorano quasi tutti nei terreni di famiglia per sfamare i villaggi come questo, ma i più giovani ormai non ci sono più.”
“Li hanno uccisi?”
“No, no. Non sono così stupidi. Li hanno arruolati. Quasi tutti gli adulti non troppo vecchi sono stati portati nei campi di addestramento e nei forti. Servono a questo le tasse. Ma qualcuno deve pur pensare a coltivare. E quando moriranno anche i vecchi, gli imperiali confischeranno i loro terreni, prenderanno i bambini, arruoleranno anche loro, e così via. Tutto legale, ovviamente.”
 
Mirk ripensò a quanto aveva visto in giornata, camminando per il centro abitato: “Ci sono ancora i mercati, però. Il denaro non può mancare.”
“Sì che manca. – il cappuccio strinse i pugni – Quando è finita la guerra, dieci anni fa, hanno chiuso tutto. C’erano delle miniere nel sistema, su Ikonda, e anche su Porcini. Le hanno distrutte. Pure gli artigiani non ci sono più, giusto qualche nonnetto in grado di fare vestiti e di lavorare il legno. E poi è scappata la gilda dei mercanti. Hanno chiuso il sistema, non ci arriva più niente, se non con l’esercito.”
“E voi volete levare di torno gli imperiali per terminare l’embargo.”
Quell’altro si ricompose: “Ovviamente. L’aiuto di una come te sarebbe perfetto, però…”
“Possiamo fidarci?” disse uno dei due figuri agli angoli della stanza.
Non continuarono, attendendo una risposta da Mirk.
 
“Mi sembra che vi fidiate già abbastanza di me.” Sostenne Mirk mentre incrociava le gambe sulla seggiola e le braccia davanti al petto.
“Non l’abbiamo ancora deciso.” Ribadì quell’altro, ma Mirk era convinta della propria ipotesi: “Io credo di sì. Se avete visto il filmato del torneo, allora sapete che quei due giocattoli che vi portate addietro non vi serviranno a nulla, contro di me.” La ragazza indicò le armi dei due incappucciati agli angoli della stanza, fucili a ripetizione dello stesso modello di quelli che aveva visto quel mattino sul trasporto imperiale.
L’interlocutore fece per ribattere, ma Mirk lo anticipò: “Inoltre, se pensavate che fossi una spia, beh allora non sareste venuti all’appuntamento. Avrei potuto estorcervi delle informazioni.”
“Se sei una spia, forse siamo qui solo per dare informazioni false all’esercito.”
“Vere o false che fossero, una spia vi avrebbe ucciso a prescindere, una volta ottenute”
“Non abbiamo paura di morire.” Affermò con voce salda la persona all’altro capo del tavolo.
“Certo che non ne avete. Voi vi fidate già di me.”
“E sentiamo: cosa te lo fa pensare?”
 
Note dell’autore:
Ehilà! Grazie di aver letto anche questo capitolo. Spero che la storia su Mirk vi interessi, perché (purtroppo) ne avremo per un bel po’. Sto scrivendo a tutta birra, quindi spero di finire il secondo libro senza altre pause. Fatemi sapere cosa ne pensate di “Episode of Mirk”, con un commento, o anche altrove, con i magici strumenti di comunicazione per nulla controllati da Freezer. Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate, e se decidete di scrivermi qualcosa, Vi ringrazio tantissimo in anticipo!
Non perdetevi assolutamente il seguito!
   
 
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