CANTO D’INVERNO
Capitolo primo
Perché il tuo canto è nel vento
Quella neve che soffoca
Se da solitarie cime la tua forza tutto annienta
Chi resisterti più potrà
Perché il tuo canto è nel vento
Ma il tuo ghiaccio si scioglierà
Se da solitarie cime il tuo destino è già scritto
Se il freddo mai più tornerà…
(“Canto d’inverno” – Furor
Gallico)
Antonio era molto
preoccupato per Jacopo e non riusciva a comprendere bene che cosa stesse
accadendo. Certo, sapeva anche lui che, dopo il fallimento della congiura, c’era
chi desiderava ancora dare la colpa di tutto ai Pazzi e incastrare l’uomo che amava (che, ovviamente, nella congiura non
era mai stato implicato,
figuriamoci!) e anche lui temeva che persone invidiose avrebbero potuto indurre Lorenzo e Giuliano alla vendetta…
ma Jacopo si stava comportando in modo davvero strano e sembrava quasi essere
ritornato l’uomo di un tempo, cupo, austero e chiuso nella sua solitudine.
Ma adesso c’era lui,
Antonio! Erano insieme e vivevano in quella bella villa tutta per loro!
Lorenzo e Giuliano
erano loro amici e non avrebbero mai creduto alle calunnie degli invidiosi!
Perché Messer Pazzi
non riusciva a voltare pagina e a godere delle cose belle che aveva, insieme a
lui?
In realtà Antonio non
era del tutto al corrente degli ultimi avvenimenti a Firenze e nemmeno di ciò
che tormentava Jacopo in quel periodo. Pazzi non voleva che si angosciasse,
temeva che troppi turbamenti avrebbero nuociuto al suo cuore indebolito e alla
sua salute, così cercava il più possibile di proteggerlo da ciò che poteva
sconvolgerlo. Ma, così facendo, Antonio si preoccupava ancora di più perché non
riusciva a capire la situazione. Insomma, era un po’ un circolo vizioso e, del
resto, Jacopo Pazzi non era l’uomo più aperto e amichevole di questo mondo, era
sinceramente difficile riuscire a comprendere cosa gli passasse per la testa!
Tuttavia, alla fine
era inevitabile che tutti i nodi venissero al pettine, e probabilmente fu anche
meglio così.
Quella mattina,
Lorenzo aveva deciso di andare a parlare con Jacopo di una questione molto
importante.
“Vado alla villa di
Pazzi, Giuliano” disse al fratello. “Devo chiedere alcune cose a Jacopo e credo
sia venuto il momento di farlo. Tu vieni con me?”
Giuliano lo fissò
come se fosse improvvisamente impazzito.
“Perché?” domandò.
“Ascoltami, Giuliano,
so che Jacopo non ti piace e so anche che non credi alla versione dei fatti che
ci ha dato Antonio” replicò Lorenzo, con aria pensierosa. “Nemmeno io credo
alla totale estraneità di Jacopo alla congiura, questo è ovvio, però quello che
sta succedendo adesso sembra dare ragione ad Antonio. Francesco e Guglielmo non
sono nostri nemici e credo che non lo siano mai stati; Jacopo probabilmente è
stato pesantemente coinvolto nella cospirazione, ma adesso pare essersi
ritirato da tutto, va raramente alla Banca, vive in quella villa con Antonio e,
negli ultimi tempi, ha partecipato pochissimo anche al Consiglio dei Priori. Al
contrario, il Conte Riario ci minaccia tuttora con un esercito finanziato dal
Papa…”
Giuliano, suo malgrado,
dovette dare ragione al fratello.
“Lo so” ammise.
“Credo anch’io che, se Riario avesse avuto la meglio, avrebbe scaricato tutta
la colpa sui Pazzi e si sarebbe impadronito di Firenze. E credo anche che… beh,
che di fronte a questa minaccia sia meglio mostrarsi uniti… sì, anche con
Jacopo Pazzi, visto che non possiamo fare altrimenti. Però, ecco, preferisco
che sia tu a parlare con lui di queste cose e preferisco anche stare il più
lontano possibile da quella sua villa…”
“Se è questo che
vuoi, va bene, ma continuo a non capire perché ti comporti così.”
“Perché mi viene il
voltastomaco tutte le volte che vedo quella stramaledetta
statua di Pazzino de’ Pazzi all’ingresso del parco, ecco perché!” esclamò
Giuliano, esplodendo. “Dovevi proprio aiutare Jacopo a seguire quella sua
ossessione e commissionare la statua al tuo amico scultore Rossellino? Lo sai
cosa succederà, eh? Finirà che, come nostro nonno Cosimo è passato alla storia
per aver finanziato la costruzione della Cupola e di opere meravigliose come il
David di Donatello, tu sarai ricordato per aver fatto erigere la statua di Pazzino de’ Pazzi!”
Nonostante la
situazione non fosse delle migliori, la disperazione di Giuliano era così
comica che Lorenzo scoppiò a ridere.
“Va bene, allora
andrò da solo a parlare con Pazzi” concluse. “Non vorrei che la visione della
statua di Pazzino ti procurasse un travaso di bile!”
E, sempre
ridacchiando tra sé, il giovane Medici prese il mantello e chiamò il suo
servitore perché gli portasse il cavallo.
Giuliano riusciva
sempre a metterlo di buon umore, anche quando era preoccupato, come in quel
periodo.
Non sarebbe mai
potuto andare avanti se Giuliano non fosse stato accanto a lui con la sua
ironia e le sue battute sarcastiche…
Comunque fossero
state le premesse, alla resa dei conti Jacopo Pazzi aveva ucciso i sicari che
stavano per colpire Giuliano e lui, solo per questo, era disposto a perdonargli
qualsiasi peccato avesse commesso prima.
Non contava che avesse in qualche modo cospirato con quella gente: alla fine
aveva fatto la scelta giusta, aveva tradito i suoi complici, li aveva uccisi e,
cosa più importante di tutte, aveva salvato
la vita di suo fratello.
Per Lorenzo questo
bastava.
Quando giunse alla
villa di Jacopo, soffocò una risatina nel vedere, all’ingresso, la statua di
Pazzino de’ Pazzi che troneggiava maestosa, per la grande soddisfazione del suo
discendente… e grande schifo di Giuliano!
Entrato nella villa,
Lorenzo fu accolto con grande calore e affetto da parte di Antonio, felicissimo
di rivederlo, mentre Jacopo sembrava contrariato. In realtà non era la presenza
di Lorenzo ad innervosirlo, quanto ciò che quella presenza significava: poteva
esserci solo un motivo per la venuta del giovane Medici.
Lorenzo, infatti,
dopo aver salutato Jacopo e Antonio, chiarì subito che la sua non era una
visita di cortesia.
“Jacopo, sono qui
perché ho bisogno del vostro aiuto e del vostro appoggio” esordì.
In effetti poteva
sembrare paradossale che un Medici andasse a chiedere aiuto proprio ad un
Pazzi, ma la situazione estrema richiedeva anche le alleanze più improbabili!
Vedendo che l’uomo
non accennava a rispondere in alcun modo, Lorenzo riprese.
“Siete stato accanto
a me e a Giuliano subito dopo la congiura, quando c’era bisogno di parlare alla
folla spaventata per incoraggiarla ad opporsi alle armate di Riario” disse.
“Avete parlato molto bene quel giorno e io mi sono sentito molto soddisfatto
nel comprendere che Firenze era unita, che le rivalità personali cedevano di
fronte a un vero pericolo.”
Giuliano sarebbe
stato di tutt’altro parere, ma non c’era ragione di dirlo in quel momento,
tanto più che lo stesso Jacopo non sembrava il ritratto dell’entusiasmo.
“Avrei tanto voluto
ammirarvi in quella veste, Messer Pazzi” sospirò Antonio, incantato, ma questa
volta nemmeno l’entusiasmo del ragazzo servì a scuotere Pazzi.
“Purtroppo, però, non
è finita quel giorno. Il Conte Riario è tuttora schierato con il suo esercito,
pronto ad attaccare e a conquistare Firenze” riprese. “Il Papa lo appoggia, non
solo finanziando il suo esercito, ma anche in modi molto più subdoli: pensate
che ha minacciato di scomunicare l’intera città se io non mi recherò a Roma a
chiedergli perdono!”
Se Jacopo rimaneva
piuttosto apatico, in compenso fu Antonio a sconvolgersi a questa notizia.
“Cosa? Ma non può
farlo! E tu come sei venuto a saperlo?” domandò, angosciato.
“Certo che può farlo,
visto che è il Papa” rispose Lorenzo, “e io sono venuto a saperlo nel modo
peggiore: il Conte Riario in persona si è presentato alla mia porta per
dirmelo. Dovrò recarmi a Roma e chiedere perdono a Sua Santità, altrimenti
Firenze sarà scomunicata e non potranno più esserci matrimoni, funerali,
battesimi né altri sacramenti.”
“Ma… è assurdo! Di
che cosa dovresti chiedere perdono al pontefice? Di non essere morto durante la
congiura che lui e suo nipote Riario
hanno voluto?” protestò Antonio.
Quell’obiezione
strappò, suo malgrado, un sorriso a Lorenzo.
“Sai che la tua
reazione e la tua protesta sono state le stesse di tua sorella? Tu e Clarice vi
somigliate davvero molto” commentò, divertito. “Comunque, secondo Riario,
dovrei chiedere perdono al Papa per aver fatto impiccare l’arcivescovo
Salviati, un membro importante della Chiesa.”
“Per fortuna la
Chiesa non si regge soltanto su membri come questo pontefice o quel Salviati”
disse Antonio, risentito. “Avevi il pieno diritto di farlo condannare, visto
che ha organizzato la congiura contro te e Giuliano!”
Fu quella la prima
volta in cui Jacopo alzò gli occhi da terra per guardare, sorpreso, Antonio che
si infervorava tanto. A quanto pareva si era raccontato talmente tante volte la
storia che gli unici responsabili della congiura erano il Papa, Salviati e
Riario che adesso ci credeva davvero! Aveva forse dimenticato che anche lui,
Jacopo Pazzi, era stato tra gli organizzatori di quella dannata cospirazione?
Sembrava di sì…
“La mia famiglia mi
appoggia, ma la scomunica è una cosa grave e temo che molti dei Priori non la
tollereranno e mi chiederanno di cedere al ricatto del Papa” spiegò Lorenzo.
“E’ per questo che ho bisogno del vostro appoggio, Jacopo. Domani ci sarà una
riunione del Consiglio dei Priori per discutere di questo ultimatum e potrebbe
esserci bisogno di ogni voto disponibile. Devo poter contare su di voi e anche
su vostro nipote Francesco. Normalmente è dalla mia parte, ma di fronte alla
minaccia di una scomunica potrebbe anche cambiare idea, senza il vostro voto.
E’ questo il piano di Papa Sisto: vuole che Firenze si metta contro di me per
paura di perdere l’anima!”
Jacopo continuava a
non rispondere e la cosa innervosiva Lorenzo e preoccupava Antonio. Perché non
si metteva subito dalla parte dei Medici? Cosa c’era che non andava?
“Jacopo, forse anche
voi siete tra coloro che temono la scomunica più di ogni altra cosa, anche a
costo della libertà di Firenze?” chiese il giovane Medici. Sapeva bene,
infatti, che Pazzi era molto devoto: quando erano ancora acerrimi rivali,
Jacopo lo aveva accusato più volte di essere un eretico e un immorale che, con
le opere d’arte che patrocinava, stava corrompendo le antiche tradizioni di
Firenze.
“E tu cosa
proporresti di fare? Che cos’è che io e la mia famiglia dovremmo appoggiare?”
domandò l’uomo, aprendo bocca per la prima volta.
“Farò io una proposta
di pace al Papa: gli concederò i territori dello Stato Pontificio che Firenze
ha occupato negli ultimi vent’anni e libererò e rimanderò a Roma suo nipote, il
Cardinale Raffaele Riario” rispose Lorenzo. “In cambio, Papa Sisto dovrà
ammettere di aver organizzato lui la congiura contro la mia famiglia allo scopo
di fare di Girolamo Riario il nuovo Signore di Firenze.”
Sia Antonio sia
Jacopo rimasero sconcertati udendo quelle parole. A parte il fatto, più che
ovvio, che il Papa le avrebbe rispedite al mittente e tanti saluti, con quella
dichiarazione Lorenzo aveva appena affermato di credere che quello che Antonio
aveva detto mesi prima, nella Cattedrale, davanti ai cadaveri dei congiurati,
era vero: la congiura non era nata da Jacopo, bensì dal Papa e da Riario e i
Pazzi stessi erano destinati a finirne vittime, come capri espiatori!
Possibile che Lorenzo
se la fosse bevuta tanto facilmente?
“Jacopo, questa
proposta è un vantaggio anche per voi. Se il Papa ammettesse che la congiura è
stata ordita da lui e da suo nipote Riario, la vostra famiglia verrebbe
scagionata da ogni accusa e anche coloro che, a tutt’oggi, sospettano un vostro
coinvolgimento, dovrebbero arrendersi di fronte alla verità” insisté il giovane
Medici.
Jacopo,
sappiamo benissimo entrambi che eravate d’accordo con Riario e gli altri
congiurati, ma vi sto dando l’occasione di provare la vostra estraneità ai
fatti… in cambio del vostro appoggio, era quello che
Lorenzo non diceva con la voce, ma il suo sguardo, fisso su Pazzi, parlava per
lui.
“Hai il mio appoggio,
Lorenzo” rispose alla fine Jacopo, “parlerò con Francesco e Guglielmo e dirò
loro di sostenere la tua proposta nel Consiglio dei Priori a nome di tutta la
famiglia.”
“Ma voi non verrete a
dirlo di persona? Sarebbe molto più convincente, siete pur sempre voi a capo
della famiglia Pazzi” obiettò Lorenzo, sorpreso di fronte a questa insolita timidezza di Jacopo. Normalmente, non
perdeva occasione per pontificare di
fronte al Consiglio dei Priori, e magari infilarci anche qualche accenno al
prode Pazzino de’ Pazzi…
“Su questo devo
ancora decidere, ma non credo, potrebbe essere controproducente” spiegò l’uomo.
“Chi ancora mi sospetta potrebbe pensare che ti appoggio per scagionarmi. E,
comunque, già da tempo ho lasciato gli affari di famiglia nelle mani di
Francesco e Guglielmo, adesso sono loro i maggiori rappresentanti della Banca e
della famiglia Pazzi.”
“Come preferite,
Jacopo” si arrese Lorenzo. “Sono lieto che mi appoggerete comunque e, se
deciderete di cambiare idea e partecipare alla seduta del Consiglio, sarete il
benvenuto.”
Detto questo, si
congedò da Jacopo e Antonio e uscì dalla villa per ritornare a Palazzo Medici.
Anche Antonio era
rimasto male davanti alla ritrosia di Jacopo. Perché non voleva aiutare
apertamente i Medici? Era forse ancora prevenuto
nei loro confronti o forse… forse era vero che, parlando apertamente della
congiura, i suoi nemici, quelli che
lo accusavano ingiustamente,
avrebbero potuto danneggiarlo?
“Messer Pazzi, siete
sicuro di non voler partecipare al Consiglio dei Priori? Voi non avete niente da nascondere” gli disse Antonio,
sedendoglisi accanto, non appena furono soli, “e, se non vi fate vedere a
queste riunioni, potrebbero iniziare a pensare male di voi…”
Jacopo si voltò a
guardare quel ragazzino che continuava a spalancare su di lui i suoi occhi
luminosi e pieni di affetto e fiducia illimitati. Avrebbe dovuto parlargli
apertamente, spiegargli come si sentiva e come stava la situazione, ma esitava…
non voleva preoccuparlo né addolorarlo, ma sapeva anche di non meritare quella
devozione incondizionata, non più, non dopo ciò che aveva fatto. E non si
riferiva solo alla congiura che, per fortuna, era stata sventata. No, il problema
era molto più grave.
Pazzi aveva creduto
che le cose sarebbero tornate alla normalità e che, una volta uccisi i
congiurati e protetto Lorenzo e Giuliano, avrebbe pagato il suo debito e si
sarebbe potuto godere una vita felice accanto ad Antonio. Ma nelle ultime
settimane aveva compreso che non era così semplice. Dando il suo appoggio alla
congiura, lui aveva messo in moto molto di più che una manica di disgraziati
incapaci come quei sicari e adesso se ne vedevano le conseguenze.
Il Papa voleva suo
nipote Riario come Signore di Firenze. Se non lo avessero accontentato, avrebbe
prima scomunicato la città e poi… poi magari scatenato una guerra!
Firenze correva un
pericolo gravissimo, ed era tutta colpa sua. Lui aveva causato questa
situazione, lasciandosi attrarre dai piani di Sisto IV e Riario, accecato dal
suo odio per i Medici e dalla convinzione di poter governare la città molto
meglio di loro. Avrebbe dovuto denunciare subito i loschi scopi dei congiurati
e così non si sarebbe mai arrivati a tanto.
Era colpa sua, solo
colpa sua…
Strinse tra le braccia Antonio e lo baciò una, cento, mille volte. Ogni volta che baciava Antonio
e si perdeva nella morbidezza e nella dolcezza delle sue labbra, tutto il
dolore scompariva e rimaneva solo una tenerezza che faceva bene al cuore, che
leniva tutte le ferite, anche quelle più vecchie e profonde. Il contatto con il
calore e il sapore del suo dolcissimo ragazzino gli infondeva forza e gli dava
il coraggio di fare, finalmente, quello che aveva rimandato fin troppo a lungo.
Si concesse ancora qualche minuto di tenerezza infinita con Antonio, sapendo
che quello che stava per decidere avrebbe potuto cambiare le cose… ma ci
avrebbe pensato dopo, quell’istante doveva espandersi in un universo di amore e
dolcezza che, almeno per un po’, avrebbe cancellato tutto il male.
Fine capitolo primo