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Autore: Melanto    17/08/2022    3 recensioni
[Extra del romanzo "Let's Twerk!" - disponibile su Amazon]
Dominic e Logan.
Una casa tutta per loro.
Un invito a improvvisare un ballo privato...
... e tutto il peso dei loro impacciatissimi diciassette anni.
Oh, se ne era innamorato come un allocco.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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In Heels

Nota finale: allora, dove avevamo lasciato Dominic e Logan?
Occhio che qui ci sono SPOILERONI del finale di "Let's Twerk!" per chi non ha letto il romanzo, quindi vi addentrate a vostro rischio e pericolo.
Comunque, sì, questo extra comincia ESATTAMENTE da dove si chiudeva l'epilogo del romanzo. È praticamente un continuo diretto.
Vi auguro una buona lettura e ci rileggiamo alla fine :D

Per tutti coloro che non hanno idea di ciò di cui sto parlando: "Let's Twerk!" è il mio secondo romanzo, uno Young Adult Sport-Romance a tematica LGBTQIA+. Lo potete trovare su Amazon al seguente indirizzo: Let's Twerk!. È il primo volume di una dilogia, ma ogni volume è autoconclusivo. Al momento, sono impegnata con la stesura del secondo che dovrebbe arrivare nell'arco del 2023! :D

 

 

§§§§§§§§§

 

 

«Forse dovremmo prima ordinare la cena… o finisce che ce ne dimentichiamo.» Logan non staccò gli occhi dai suoi, Dominic fece altrettanto.

Quando furono all’interno, lasciò cadere la borsa dalla spalla e si appoggiò alla porta, chiudendola con la pressione della schiena.

Aprì le labbra, strinse appena gli occhi. Nella testa la musica era già partita.

«Se riesci ad aspettare… Muoio dalla voglia di ballare per te.»

 

 

In Heels

“No, I can’t wait

to get you home tonight.

No, they won’t put our fire out, fire out.”

 

«Mi stai tentando?»

Logan si riempì gli occhi del modo in cui Dominic lo guardava: fermo contro la porta, con il mento leggermente sollevato, le palpebre appena calate e le labbra morbide schiuse di un filo, lucide.

Chiederglielo era stato ovvio, perché quello era lo sguardo di chi non avrebbe aspettato la pizza del fattorino. La spalla destra di Nico si muoveva già a chissà quale musica aveva nella testa e lui rimase ipnotizzato dal modo in cui si allontanò dalla porta per raggiungerlo. Un percorso tracciato in linea retta e con la sinuosità di quando indossava i tacchi. L’ancheggiare dei fianchi, l’oscillare delle spalle.

Logan prese un profondo respiro, ma gli mancava già l’aria.

«Poso i bagagli e indosso gli stivali.» Spalla contro spalla, Nico lo incantò con la coda dell’occhio. «Tu mettiti pure comodo. Abbiamo una casa tutta per noi.» La virgola d’un sorriso, un veloce occhiolino e il ragazzo lo superò, lasciandolo lì con il cuore arrivato a suonargli le tonsille.

Non aveva fatto altro che pensarci, da quando aveva saputo la data del rientro di Dominic.

Aveva pensato a quel giorno, aveva programmato tutto. Nella testa si era girato un intero film di cui sapeva a memoria le battute e le azioni, eppure si sentiva in balia dell’attore principale. A lui non aveva passato alcun copione, avrebbe improvvisato e il suo film mentale sarebbe stato cancellato da qualcosa di reale. Gli assaggi avuti nei mesi precedenti tra i video e poi le gare a Miami non lo avevano preparato a dovere, forse, se aveva già un principio di erezione nei pantaloni.

Logan scrollò il capo, espirò a labbra strette e sbatté le palpebre più volte.

Girò per tutto il piano inferiore come una trottola scema e alla fine ordinò davvero la pizza per entrambi. Una con salame e pomodoro fresco e una con le acciughe. Quante ne avevano consumate ai piedi del letto di Dominic mentre giocavano ai videogame o vedevano qualche film?

E fu proprio verso la scalinata che portava al piano superiore, per dove era sparito Nico, che alzò lo sguardo.

La camera da letto.

«Frena il cervello!» masticò a denti stretti e alla fine raggiunse il salotto, mentre sforzava il proprio pensiero a rallentare i giri, perché faticava a starci dietro e perché non voleva mandare niente in fast forward, ma godere tutto a un tempo rallentato fino alla morte.

Voleva assaporare ogni istante di quella serata. La prima volta che erano da soli come due che stavano insieme e non più solo come amici. Sarebbe stata diversa.

Tutto sarebbe stato diverso, perché era questo che la consapevolezza faceva: toglieva quel velo protettivo dalle cose e le rendeva più fragili ma più nitide.

E lui era pronto per imparare a maneggiare con cura qualcosa di così importante.

Si lasciò cadere sul divano e piegò la testa indietro, contro lo schienale, chiudendo gli occhi.

Se solo pensava che fino a poco tempo prima era stato certo che non avrebbe più messo piede in quella casa, si sentiva un cretino: allora sì che aveva avuto un motivo valido per avere paura, non di certo adesso.

Sorrise e per un attimo tutta la tensione si sciolse così tanto da farlo cadere in un leggero torpore, mentre aspettava.

Solo il rumore ritmico di una falcata accompagnata da un inconfondibile “tac” lo riportò alla realtà circostante.

Il suono dei tacchi lo avrebbe guidato per molto tempo, realizzò, e aveva un che di rilassante, tanto che il sorriso tornò a essere padrone delle labbra nel pensare che non aveva alcun motivo per essere agitato: si sarebbero divertiti, Nico avrebbe ballato per lui e avrebbero finito per stare sdraiati sul divano a godere di una vicinanza cui per mesi interi avevano dovuto rinunciare – magari mettendoci qualche toccatina, qua e là.

«Ehi! Ce ne hai messo. Ti stavi facendo il trucco, per caso?» Lo prese in giro con una mezza risatina sciocca. Si alzò. «Vedi che ho ordinato— Gesùcristo!»

«Ha aperto un ristorante su Just Eat? Dovremmo dirlo al reverendo, diventerebbe cliente fisso.»

Dominic gli passò accanto vestito di quel sorriso carico di tentazioni e sottile compiacenza per avere non solo la sua attenzione, ma i suoi occhi pallati e la bocca aperta.

Era incredibile come una persona che conosceva da una vita potesse mostrarsi sempre diversa e lasciarlo sconvolto. Ogni volta scopriva un nuovo segreto.

Quanti ne aveva, Dominic, sotto tutti i suoi sorrisi e l’espressione a volte ingenua e a volte sensuale come solo i sogni sapevano essere?

Gli occhi seguirono il movimento dei fianchi, mentre camminava su trampoli sottili come spilli. L’arma silenziosa con cui gli aveva inchiodato il cuore senza che se ne accorgesse se non quando se lo era visto sanguinare tra le mani, lungo le cosce; una pozza ai suoi piedi. E a ogni eccitazione, a ogni sogno erotico che ci aveva fatto, a ogni bacio immaginato e masturbazione finita in orgasmo aveva sanguinato di più.

Adesso quell’arma la conosceva meglio, ma non abbastanza. Poteva vederla da vicino, ma non significava che non l’avrebbe trafitto di nuovo. La punta di quei tacchi seguitava a pungolare nei suoi posti più sensibili.

Non avrebbe mai creduto che degli stivaletti potessero stare così bene calzati da un piede maschile. Non ci aveva mai pensato o fatto caso. Era stato così distratto dal calcio, dalla scuola e da tutte le altre sciocchezze della sua adolescenza da non essersi mai interrogato come si deve sulla propria vita e su ciò che gli piaceva se non in maniera molto aleatoria. E si era sentito anche orgoglioso per essere considerato uno dalle ampie vedute.

Quelle stesse vedute avevano sfondato limiti che nemmeno pensava di avere quando Nico gli si era imposto nella mente e dentro allo stomaco con una prepotenza che non faceva che dire “guardalo! Guardalo, cazzo!”.

Guarda quanto è incredibile.

Guarda le sue cosce, guarda il suo culo.

Guarda che corpo da favola.

È quello un corpo da favola?

Sì, cazzo! Svegliati!

E guarda la sua bravura, guarda dove potrebbe arrivare…

… magari troppo lontano da te, se non provi ad afferrarlo adesso.

Afferralo adesso!

Logan serrò la mano attorno al braccio coperto dalla manica nera e aderente di quella maglia dal collo alto e un taglio corto, che lo copriva appena sotto i pettorali. Il ventre e la schiena erano nudi per i suoi occhi e le sue mani.

Poteva toccarlo?

«Stavo andando a mettere la musica.»

La sua voce era miele, il suo sorriso era miele. E lui l’ape che gli era sempre ronzata attorno senza rendersi conto di stare aspettando quel momento soltanto.

Il momento in cui in quel miele ci sarebbe affogato.

Avvicinò il naso alla sua guancia, lo fece scivolare fino all’orecchio, inspirando l’odore dolce della pelle. Chiuse le labbra appena sotto al lobo, nell’angolino tra orecchio, collo e mascella.

Lasciò la presa sul braccio.

«A te la scelta.»

«Ovvio. So io di cosa hanno bisogno questi tacchi.»

E di cosa ho bisogno io? Sai anche quello?

Una risposta così scontata che arrivò già attraverso l’abbigliamento e poi tramite l’occhiata che Nico gli scoccò. Sulle guance una nota più rossa che prima non aveva avuto.

Oh, sì, che lo sai.

Logan sorrise compiaciuto e prese posto nel mezzo del divano. Le gambe leggermente divaricate, le braccia distese lunghe, come di chi stava aspettando la ricompensa per una lunga attesa.

«E quindi ti piace questo completo?» chiese Nico mentre armeggiava col cellulare e il sistema di casse bluetooth. Gli dava le spalle, leggermente piegato in avanti, e la schiena tracciava una curva che le sue dita fremevano di percorrere.

Gambe tese, culo avvolto da larghi pantaloni cargo, neri come la maglia.

«Non te lo avevo mai visto.»

«Perché era una cosina che avevamo comprato per lo spettacolo di fine anno, ma Miss May ce lo ha bocciato.»

«Aveva ragione,» sorrise Logan. «Sei uno schianto. E poi la tua amica Theresa come avrebbe fatto a nascondere quelle enormi—»

«È proprio la stessa cosa che ci ha detto Miss May!» Nico lo guardò da sopra alla spalla, ridendo tanto da arricciare appena il naso. «Credo che il preside non avrebbe retto a un altro colpo, già so che ha sudato sette camicie durante lo spettacolo a Miami.» Quando si tirò su, con l’indice tracciò nell’aria il ritmo delle prime note della canzone che aveva fatto partire. «Poverino, è un po’ vecchia scuola. Ci sono tante cose che non sa che noi possiamo fare sui tacchi…» chiosò Dominic, guadagnando spazio davanti al divano e oltre al tavolino basso, unico ostacolo a separarli, adesso. «… forse è meglio se continua a ignorarle.»

«E io?»

«Tu tieni gli occhi bene aperti.»

E chi li chiude.

Nico lo guardò, le labbra piene erano dritte, le sue iridi nocciola dolci, ma allo stesso tempo ferme: avevano puntato la preda e l’avrebbero catturata. Perché, sì, in quel momento, non era lui il predatore, e per una volta non gli dispiacque essere quello che veniva cacciato e finiva nella rete.

Lui aveva sempre avuto vita facile con le ragazze, sapeva l’effetto che faceva. Un paio di volte, in discoteca, aveva pure rimorchiato dei ragazzi senza farlo apposta. Baciarli nel buio delle stroboscopiche non era stato un problema: nessuno lo aveva visto. Non lo aveva più fatto accadere, ma non gli era dispiaciuto. Tutto facile quando è occasionale, dopotutto.

Ma ciò che aveva davanti ora, di occasionale non aveva niente, era qualcosa di duraturo. Il più duraturo possibile, si disse. Come anni era durata la loro amicizia, altrettanto voleva che durasse anche il loro amore.

Anche se chiamarlo così gli faceva un po’ strano e un po’ paura.

Gli veniva da ridacchiare come un bamboccio e al contempo gli provocava un pizzicorino nel petto che era come il solletico di una piuma.

Era una cosa importante.

Innamorarsi, stare con qualcuno era una cosa importante, da non minimizzare né sottovalutare.

Stare con Dominic ancora di più, perché si conoscevano da tempo. E non voleva deluderlo. Voleva essere un buon fidanzato, uno con cui crescere insieme e che ci sarebbe sempre stato. Meglio di come aveva fatto fino a quel momento.

Dopotutto non era per questo che si sbagliava? Non era per diventare migliori?

Lui sarebbe stato un ragazzo migliore e poi un uomo. Qualcuno degno del giovane che aveva preso a ballare davanti ai suoi occhi, dimentico di tutte le insicurezze e paure e che, con tutto il coraggio del mondo, gli mostrava chi stava diventando.

Ed era bellissimo.

Dominic si muoveva sui tacchi come fossero scarpe da ginnastica, le sue gambe lunghe seguivano il ritmo. Due passi avanti e poi fece un mezzo giro su sé stesso. La schiena nuda era uno spettacolo così eccitante che gli si seccò la bocca.

Poteva seguire ogni movimento della spina dorsale e come si flettesse verso l’esterno, il sedere sodo sporto alla mercè dei suoi occhi e il modo controllato in cui lo faceva salire e scendere aveva lo stesso fascino ipnotico di quando sbirciava i video di nascosto. Ora però non doveva spiarlo, era proprio lì, e il desiderio di poterlo toccare così forte che un po’ si sporse, allungò il braccio, ma Dominic era troppo lontano.

Logan abbassò il braccio e si passò la lingua sulle labbra su cui fece scorrere le dita e il palmo.

Nico si volse, il ritmo del suo corpo era cambiato. Non più la sensualità del twerk, ma quella più rude del reggaeton. Il bacino che ondeggiava in avanti in un invito così terribile da ignorare, quando avrebbe voluto saltare il tavolino e afferrarlo.

Che razza di autocontrollo aveva sviluppato per tutte le volte che era rimasto a guardare?

O forse era proprio quello?

Guardare.

Guardare Dominic che si muoveva, che stringeva le labbra, le sollevava appena per far affiorare la punta dei denti in un mezzo sorriso sfacciato, una strizzata d’occhi, la punta della lingua che faceva capolino e i denti che ghermivano il labbro inferiore.

Le braccia che si allungavano e afferravano lo spazio, il ventre piatto su cui i muscoli diventavano più definiti con l’allenamento e la crescita.

I suoi sorrisi.

Cristo, i suoi sorrisi.

Da mangiare, baciare e osservare.

Guardare lo eccitava da morire.

Glielo stava dicendo anche l’erezione che aveva nei pantaloni, tra dolore e piacere. Ed era tutto così strano, da fargli rimanere il fiato bloccato nella gola, assieme alla saliva.

E lui non smetteva di guardare.

Guardare come Nico si piegava in avanti con le gambe dritte, e poi ritornava su; la maglia che si sollevava appena un po’, scopriva il petto e l’areola scura di un capezzolo.

Tra un po’ sarebbe morto. Logan lo sapeva, gli sarebbe venuto un infarto secco. Ce l’aveva proprio lì, a portata di cuore, che aveva la frequenza cardiaca sparata sulla luna.

Ma se non gli venne nel momento in cui Dominic si lanciò in scivolata con le ginocchia sul tavolino, mandando avanti e indietro ventre e fianchi, in un movimento sinuoso come quello dei cobra che uscivano dalla cesta del loro incantatore, allora fu certo che non gli sarebbe venuto più.

Nico con le dita lo invitava a raggiungerlo, il suo uccello era stato pietrificato dall’eccitazione e non gli era venuto un infarto: aveva superato la prova, vero?

“A pieni voti”, avrebbe osato dire, o non si sarebbe spiegato come facesse a respirare ancora e restare seduto sul divano, con un controllo del proprio corpo da manuale e senza cadere nella tentazione di allungare le mani per toccarlo. Si limitò a sporgersi in avanti, passare la lingua sulle labbra e godersi ogni istante di quello spettacolo, con gli occhi che saettavano lungo tutta la figura del suo ragazzo.

Nico aprì le ginocchia, poggiò i palmi sul tavolo e allungò le gambe in una spaccata perfetta con cui tagliò lo spazio, prima di richiuderle davanti ai suoi piedi, e quei tacchi erano dei rompighiaccio. Ci si sarebbe fatto camminare addosso se glielo avesse chiesto.

Ma Dominic non stava chiedendo nulla che non fosse di ballare assieme. Le braccia distese, i palmi rivolti in alto.

Logan vi fece scivolare i propri: erano caldissimi. Si alzarono, e non gli diede fastidio che Nico lo superasse in altezza.

Iniziò a muoversi seguendo il suo ritmo, dalle spalle ai fianchi; i passi li portarono oltre il tavolino per avere più spazio, ma quando Dominic cercò di allontanarsi, lui gli chiuse la mano dietro la schiena.

Che scossa, cazzo!

La propria mano, sulla sua schiena nuda.

Che. Fottuta. Scossa.

Lo aveva visto nudo infinite volte; le pacche sulle spalle, tra le scapole e sul culo si sprecavano.

Eppure, si rese conto solo in quel momento che lo stava toccando, e d’istinto se lo tirò addosso.

Dominic si aggrappò alla spalla con la mano libera, e con l’altra ancora stretta nella sua. Gli salì il rossore alle guance, Logan lo vide bene, e vide bene i suoi occhi, così grandi e lucidi, mentre abbozzava un sorriso imbarazzato dei suoi, che lo rendeva il “Nico” che aveva conosciuto. Sotto l’aura predatrice c’era sempre e non smetteva di essere l’ingenuo amico del cuore con cui giocare a The Division.

Oh, se ne era innamorato come un allocco.

Poggiò la fronte contro la sua e Nico gli avvolse il collo con entrambe le braccia.

«È una…» Dominic cercò di nascondere una risata in un colpetto di tosse. «È una pistola, quella che hai in tasca, o…»

«Ti prego, non dirlo.»

«Scusa, è più forte di me.»

«È colpa tua, te l’ho detto che effetto mi fai.»

«Dirlo è diverso da provarlo…»

«E comunque, anche tu mi sembri felice.»

«Però ho imparato a controllarlo meglio.»

«Stronzate! Non puoi controllarlo! Non è mica un cane che lo addestri con un biscottino!»

Risero l’uno contro le labbra dell’altro, restando ancora stretti pur con un intralcio “di troppo” tra loro.

Poi la canzone cambiò e anche il ritmo dei corpi si accodò al mutamento. Fu Nico a indirizzarlo, a mostrargli come muoversi. Questo cambiamento nelle dinamiche che avevano sempre avuto – e in cui era sempre stato lui ad accompagnare Dominic con la verve del leader sicuro – aveva del sorprendente. Armi pari, sentiva. Armi pari.

Lui era sempre stato deciso e ora aveva imparato a esserlo anche Nico. L’anno in Florida gli aveva fatto afferrare la vita con entrambe le mani, darle una sbatacchiata feroce e dirle “Ehi! Facciamo come dico io!”. E anche Logan, adesso, faceva come diceva Dominic.

Dominic che gli dava la schiena, si poggiava contro il suo petto e gli offriva ventre e collo tutti insieme come un incosciente.

Logan scivolò col naso sulla pelle, prese un respiro profondo e ne seguì ogni passo, anche quando Nico si piegò in avanti, le gambe tese come stecche di biliardo, e la schiena a portata di palmo. Ve lo fece scivolare sopra fino a sollevare il bordo della maglia crop già cortissima.

Che schiena, che gambe.

Dio, che culo!

Scese con le mani lungo le cosce tese, si piegò sulla sua schiena e gli venne istintivo – avendola a portata di fiato – lasciarvi un bacio giusto nel mezzo.

Dominic si tirò su in fretta, ma tanto Logan si era accorto di come gli si era increspata la pelle in un brivido e sorrise compiaciuto per quella reazione.

Tornarono a guardarsi, e pensò che quella fosse la prima volta che ballavano assieme. In disco ci erano andati un sacco di volte, ma non avevano mai ballato tra loro. Perché avrebbero dovuto? Le ragazze ballavano tra loro, ma loro due… loro… Erano stati due imbecilli da competizione.

Gli venne da ridere.

«Trovi sia tutto ridicolo, lo so…»

«Ma va, scemo! Vorrai scherzare? Stavo solo pensando che è un miracolo che non abbiamo vinto un, che so, Trofeo per l’Imbecillità. Insomma, cazzo, guardaci. Guardaci! Ma perché non ci siamo arrivati prima?»

«Perché… avevamo quattordici, quindici, sedici anni e non eravamo Premi Nobel?» Dominic sollevò le spalle.

«Ora ne abbiamo diciassette.»

«Sì, ora… ora siamo grandi

Logan assottigliò lo sguardo, si avvicinò di mezzo fiato. «E sai cosa fanno i “grandi” quando ballano?»

Nico non si allontanò. «N-non lo so? Che fanno?»

«Si baciano,» sorrise e poi si prese le sue labbra. Una, due, tre volte. Contatti piccoli, appena accennati, il tempo di sfiorarsi e poi separarsi, sfiorarsi ancora e separarsi di nuovo. Assaggi. Morbidi e dolci. Prima del morso profondo.

Nico gli teneva il viso con entrambe le mani, le dita affondate nei capelli per stringerli. Un minuscolo dolore, un infinito piacere, per arrivare in fondo, per mordere meglio.

Le sue, di mani, erano sulla schiena, ma non sapevano stare ferme quando avevano così tanto su cui strisciare e arrampicarsi. Scalatrici, dovevano salire e contemporaneamente scendere più in basso.

Il sedere sodo stretto da sopra al tessuto del pantalone, e poi giù per seguire la linea della coscia. L’altra mano che superava la curva del fianco, che guadagnava il ventre e poteva accompagnare il sollevarsi dei respiri di Nico, fino ad arrivare a stuzzicare il bordo di quella maglia che sfiorava il petto, spingerla appena più in alto e accarezzare qualcosa di morbidissimo e turgido allo stesso tempo.

Dominic mugolò nella sua bocca e poi si staccò di colpo, spingendolo indietro; gli occhi spalancati e attraversati da più di un lampo di panico.

Il campanello si sovrappose alla confusione e li fece sobbalzare. Nico, soprattutto.

«La… la pizza,» disse Logan.

«Giusto! La pizza! Vado io! Vado! Corro!»

Nico prese lo slancio, gesticolò e poi si precipitò con troppa foga, tanto che inciampò nei tacchi e per poco non ruzzolò in avanti.

«Ehi! Stai—»

«Sì! A posto, a posto!» Una risata tiratissima, i movimenti più scoordinati dell’universo e Dominic tagliò come un fulmine il salotto con tanto di aggrappata alla porta per cambiare direzione e sparire nel corridoio. «Arrivo!» gridò al fattorino.

Rimasto solo, Logan si portò una mano alla bocca e una al fianco.

La sua capacità di rovinare le cose era proprio livello Flash, per quanto veloce, non solo a parole.

Aveva… era stato più forte di lui, non era riuscito a fermarsi, ma con Dominic non avevano mai… Cioè, sì, insomma un po’ di sexting o sesso telefonico, ma dal vivo…

Cazzo, dal vivo era tutta un’altra cosa.

Era da mesi che si chiedeva come sarebbe stato, cosa avrebbe fatto, quanto in là spingersi. E ora che c’erano arrivati, lui aveva mandato avanti la propria esperienza dimenticando che Dominic, invece…

Che. Idiota.

Sentì la porta di casa richiudersi e guardò verso l’ingresso del salotto. La voce di Nico era ancora troppo su di giri, di quelle che cercavano a tutti i costi di nascondere l’imbarazzo e fallivano alla grande.

«Ma avevi chiamato Sandy’s? Al povero Timmy è preso un colpo quando mi ha visto, è rimasto come un baccalà per tutto il tempo che io pagavo e prendevo la pizza.» Passò davanti alla porta del salotto e fece solo appena capolino. «Io poi cretino che sono andato ad aprire così! Ma sarò deficiente? Chissà che diavolo dirà al vecchio Otis! Marò, che figur ‘emmerd! Vado a posare le pizze in cucina!» Sparì senza nemmeno dargli il tempo di rispondere. La sua voce era una scia che attraversava la casa. «Hai fame? Dovremmo mangiarle se no si raffreddano! Dai! Ti sei ricordato di prendermela col salame!»

«Certo, che mi sono ricordato. Siamo stati senza sentirci solo per qualche mese, mica dimentico i tuoi gusti per così poco. Okay che sono scemo, però…»

«Sì, sì!»

Rideva ancora, ma lui sapeva riconoscere le sfumature sbagliate delle sue risate; anche il suono dei termini in dialetto che usava era sbagliato, forzato.

Logan sospirò, raggiunse la cucina in passi lenti e silenziosi.

Lo trovò con le mani appoggiate ai bordi della penisola e lo sguardo fisso sui cartoni chiusi della pizza, il capo chino, la schiena un po’ curva.

Si sentì anche peggio, mentre si addossava allo stipite della porta e rimaneva a guardarlo da lì per qualche momento, con le braccia conserte. Osservò come si passasse le mani sul viso e poi si girasse, per cercare sostegno contro il mobile e piegare le dita contro le labbra, mentre con l’altro braccio si circondava la vita. Un paio di respiri, uno più profondo dell’altro, e poi nel momento in cui alzò lo sguardo si accorse di lui. Drizzò la schiena e fece per dire qualcosa, ma poi lasciò perdere.

Si fissarono da quelle posizioni che li separavano di un paio metri e al tempo stesso sembrava si fosse aperta una voragine ai loro piedi.

Dominic afflosciò le spalle e abbozzò un sorriso mesto. «Scusa. Questa serata doveva essere qualcosa di epico, ma io sono epicamente un babbeo.»

«Non è vero.»

«Sì, invece. Posso avere un abbigliamento figo, dei tacchi stratosferici e provocare come se avessi tutta l’esperienza del mondo nel palmo della mano, ma in verità… non è ciò che è, ma solo ciò che voglio che sia.» Sollevò le spalle. «Non ho idea di come si passi allo step successivo. Cioè, no, un’idea ce l’ho, nella teoria, ma nella pratica…»

Logan camminò sopra la voragine come nemmeno Gesù Cristo sulle acque e si fermò davanti a Nico. «Be’, non è niente di così difficile. È come col calcio o col ballo: devi cominciare, fare figure di merda e poi allenarti. Ti alleni…» ammiccò, dondolando il capo; gli strappò un sorriso. «… ci alleniamo insieme. Sarò il tuo mister sessuale!»

«Non vantarti.»

«Non mi vanto. Faccio solo valere la mia esperienza,» chiosò, gonfiando il petto e assumendo una postura solenne. Si attirò una spintarella alla spalla. «Anche io sono stato un cretino, scusa. Volevo andare a rete e non ti ho nemmeno chiesto cosa ne pensassi. Non dobbiamo fare niente, se non te la senti.»

«Se non me la sento?! Cazzo, io mi sento… sono tipo…» Dominic aprì e chiuse le mani, gli occhi sgranati ed era arrossito fino alle orecchie. «È che non so da dove… come si inizia.»

«Si inizia che io ti tocco, okay? Ti tocco e basta e tu tocchi me. Lo abbiamo sempre fatto.» Poi si corresse. «Cioè, in senso lato. Negli spogliatoi, no, sai…» e gli diede una spallata di esempio.

Nico sghignazzò. «Ah, quindi dobbiamo prenderci a spallate? E magari arrotolo un asciugamano e te lo schiocco dietro le ginocchia? Funziona così?»

«No, scemo! Non volevo dire…»

Ma stava ridendo anche lui. Erano quel tipo di risate che scioglievano la minuscola tensione che precedeva sempre i momenti migliori della vita. Quello sarebbe stato uno dei più grandi in assoluto.

Lo prese per la vita. «Baciami, ballerino dei miei stivaletti. Meglio cominciare da qui.»

«Cominciare dai baci?» chiese Nico, le braccia di nuovo attorno al suo collo.

«Cominciare dai baci.» E ne scambiarono ancora un paio, piccoli, senza alcuna fretta.

Dominic strinse appena le palpebre, sorrise sulle sue labbra. «Su quelli sono preparato.»

«E vedrai dopo che ti avrò insegnato il resto. Diventerai un livello pro.»

«E ti conviene?»

«Attento a come mi provochi, campione.» Logan gli morse appena le labbra. Si guardò attorno, poi aggiunse: «La lezione numero uno dice: per fare pratica, trovati un posto più comodo.»

«Camera?»

«Camera.» Logan gli prese la mano e se lo tirò dietro senza alcuna difficoltà, fino alla soglia della cucina. Poi Dominic si volse.

«Aspetta, e le pizze?»

Lui guardò i cartoni chiusi, poi Nico e infine sollevò le spalle. «Com’è quella espressione che usa sempre tua madre? Ah, sì: e che ce ne fott!»

E mentre la musica, abbandonata accesa nel salotto, continuava ad andare e accompagnava il ticchettare dei tacchi di Nico e i suoi passi su per le scale che portavano al piano superiore, Logan pensò che avessero ancora così tanto da conoscere di loro stessi, che era come un ricominciare da capo, partire da zero, con un nuovo periodo della loro vita.

Forse crescere aveva anche dei lati positivi, dopotutto, e non solo un sacco di casini da sistemare.

«Ah, senti…»

«Cosa, Ogey?»

«Ma poi me lo fai rivedere come palleggi col culo?»

 

“‘Cah we here to party, I feel your body

Let’s get it started, no time to play.”

 

How we do it – Sean Paul feat. Pia Mia

 

 

 

 

Nota finale: E anche questo extra è “andato”, mentre lavoro al sequel (e, sì, è previsto un altro extra alla fine del sequel che, in realtà, darà una chiusura a tutto-tutto).

Spero che questo piccolo extra vi sia piaciuto, e non vogliatemene se non vi ho fatto “sbirciare” oltre, ma per me sono come due bimbini, hanno diciassette anni, devono crescere e fare le loro esperienze “lontani” dagli occhi dei lettori. XD (sì, okay, con le fanfiction il problema non me lo sono MAI posto, ma è diverso, ecco! Loro sono “figli” miei, e adolescenti. Gli lascio la privacy! XD).

Oltre a ringraziare tutti i lettori che in questi mesi hanno apprezzato “Let’s Twerk!”, volevo assolutamente ringraziare le due Salvatrici che mi hanno aiutato anche con questo piccolo extra: le mie Sante Beta, Betta e Maria.

Betta mi sopporta da anni e senza di lei non andrei da nessuna parte.

E Maria è sempre superdisponibile anche all’ultimo momento; davvero, impagabile!

 

Infine grazie a voi che siete arrivati anche alla fine di questo piccolo extra.

Il sequel procede – anche se più a rilento di ciò che avrei voluto – e voglio già un bene enorme a quei due idioti di protagonisti. Spero che, quando sarà, sappiate volergli bene anche voi. :3

   
 
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