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Autore: Carme93    25/08/2022    1 recensioni
Accademia della Magia Beauxbatons.
Yves Lefebvre è un giovane mago intelligente e abile, ma come ogni adolescente desidera mostrarsi all'altezza dei suoi compagni... anche a costo di accettare una sfida di Quiddicth, nel quale è totalmente negato.
[Questa storia partecipa all'iniziativa "Il mio bonbon" indetta sul gruppo facebook L'angolo di Madama Rosmerta]
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Notizie da Beauxbatons '
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[Questa storia partecipa all’iniziativa “Il mio bonbon” indetta sul gruppo Facebook L’angolo di Madama Rosmerta, Prompt: Hurt/Confort, personaggi 2 e 6 (Yves Lefebvre e Emilie Eyschen]
 



 
Una reputazione da difendere
 


 
«Lefebvre».
Riconobbe all’istante quella voce, ma mantenne gli occhi sulla pagina del manuale di Incantesimi. Aveva imparato a ignorare le provocazioni di Blanco e dei suoi amici.
«Oh, sei sordo per caso?» sibilò Jozef Vermeiren.
Nemmeno lui aveva il coraggio di alzare la voce in biblioteca e suscitare l’ira di madame Roux.
«Nah, non lo è» bisbigliò Blanco strappandogli il libro dalle mani.
S’irrigidì, indeciso su come comportarsi.
«Si crede solo superiore» affermò una terza voce.
Éric Lucas. Sembrava incarnare in sé l’ideale di bellezza che secondo la maggior parte del mondo accomuna gli studenti di Beauxbatons. Peccato che in realtà fossero ragazzi normali e uguali a quelli di tutte le altre scuole di magia. Non avevano tutti sangue Veela come Fleur e Gabrielle Delacour. La prima era molto nota a Scuola, era l’eroina di molte ragazze e un suo dipinto troneggiava in una delle ali principali del palazzo. Éric avrebbe potuto essere suo figlio. Forse aveva anche lui sangue Veela? Non aveva mai trovato una risposta a quella domanda, ma personalmente lo trovava molto irritante, la persona più boriosa e subdola dell’intera Scuola. Jorge Blanco era ufficialmente il capo del loro piccolo gruppetto di bulli, ma la vera mente era sicuramente Éric.
«Forse lo sono» mormorò non riuscendo a trattenersi. E in fondo lo pensava: era intelligente, uno dei migliori del loro anno, e per diritto di nascita era destinato a governare uno degli imperi economici più ricchi e prosperosi della Francia magica. In genere Yves Lefebvre era un ragazzo riservato e tutt’altro che incline a vantarsi delle sue capacità e della sua famiglia, ma quei cinque gli facevano il controllo.  
«Ah, sì?». Jorge Blanco lo spinse contro il muro alle sue spalle, provocando la caduta della sedia, che risuonò nella silenziosa biblioteca.
A quel punto Yves comprese di essere nei guai: tutto il suo coraggio era nato dalla consapevolezza di trovarsi in un luogo dove non l’avrebbero attaccato direttamente, ma probabilmente, prima di farlo, si erano assicurati che non vi fosse alcun insegnante nelle vicinanze. Sei proprio un ingenuo, Yves! pensò disperatamente.
«Non così, Jorge» mormorò Éric. «Madame Roux potrebbe rientrare a momenti e prima in corridoio c’era il professor Pauwels».
Jorge lasciò andare Yves, che riprese fiato.
«Se sei superiore a noi, dimostracelo» continuò Éric. «Vieni al campo e facciamo due tiri. Uno contro uno. Chi segna più punti, vince. Semplice, no?».
Yves deglutì. No, non era semplice per nulla. Se c’era una cosa in cui era sempre stato irrimediabilmente negato, quella era il Volo. Al contrario Éric era un ottimo giocatore di Quidditch. Avrebbe dovuto rifiutare: quello sarebbe stato il modo migliore per dimostrarsi superiore. Peccato che loro non ragionassero così e l’avrebbero etichettato come fifone di fronte all’intera Scuola. E di etichette gliene avevano messe abbastanza.
«Semplice» mentì e la sua voce tremolò. Gli altri risero.
«Allora andiamo al campo, vieni».
Un pensiero improvviso gli si affacciò alla mente. «Ma dobbiamo prima chiedere il permesso al professor Ribeiro».
«Sicuramente» replicò Jorge.
«Com’è sicuro che ci darà il permesso» aggiunse Éric, suscitando altre risatine da parte degli amici.
Yves comprese di essersi messo nei guai, ma a quel punto non poteva tirarsi indietro, per cui ripose i libri e seguì i compagni.
«Non hai un manico di scopa personale, vero?» gli chiese Éric, mentre percorrevano a passo svelto i corridoi del primo piano.
«Ne prenderò uno di quelli della scuola» replicò per darsi un tono.
Jorge sbuffò divertito.
«Come no. Se vuoi scassinare tu la porta dell’ufficio di Ribeiro, prego» asserì Éric roteando gli occhi.
Yves strinse i denti: ecco che iniziava a fare la figura dello stupido. Naturalmente non potevano accedere alle attrezzature senza autorizzazione.
«Ti presterò il mio» disse benevolmente Jorge.
«Grazie» disse Yves rigidamente.
Il campo di Quidditch era situato alla fine dei giardini formali e distava quindi abbastanza dal palazzo, perciò Yves ebbe tempo per pentirsi di non aver ragionato sulle conseguenze. Avrebbe voluto tirarsi indietro dignitosamente, ma Jorge e gli altri rimasero a fianco a lui anche quando Éric si allontanò per recuperare le scope.
Yves sperò che il campo fosse occupato o che magari il professore Ribeiro si fosse trattenuto nel suo ufficio, ma quando giunsero a destinazione il sole stava già tramontando e non vi era proprio nessuno. Figuriamoci, nemmeno un po’ di fortuna. Allora sperò che Éric ritardasse. Al buio non avrebbero potuto giocare, no? Anche questa speranza s’infranse alla vista del compagno che arrivava velocemente in volo.
A quel punto Yves si rassegnò al suo destino: avrebbe giocato, l’avrebbero umiliato e nel migliore dei casi sarebbe finita lì.
«Faccio da arbitro» esclamò Jorge. Gli altri presero a sedersi su una panchina a bordo campo pronti a fare il tifo. Nessuno di loro sarebbe stato imparziale.
Quando Yves montò sulla scopa, comprese che probabilmente quella partita non sarebbe mai iniziata. La scopa si mostrò immediatamente recalcitrante a obbedire ai suoi comandi e lui fu preso dalla paura che la scopa lo trascinasse in alto, così cercò di opporsi e strascicò i piedi nell’erba.
Naturalmente questo suscitò le risate dei compagni.
Le scarpe scivolarono sull’erba portandosi alcune zolle e Yves perse il contatto con il suolo. A quel punto, completamente terrorizzato, mollò la presa, prima che la scopa si allontanasse troppo dal suolo. Cadde con tutto il peso sulla caviglia e gettò un urlo.
Éric scosse la testa e gli si avvicinò: «Non sei nessuno Lefebvre, ricordatelo» sibilò con cattiveria. Lui e gli altri lo lasciarono lì da solo.
Yves si asciugò le lacrime e tentò di alzarsi, ma la caviglia gli faceva troppo male. Non li avrebbe richiamati in aiuto, ma non sapeva nemmeno come comportarsi. Nessuno sapeva che fosse lì. Sicuramente a cena Marc, il suo migliore amico, si sarebbe accorto della sua assenza, ma il campo di Quidditch sarebbe stato l’ultimo posto in cui l’avrebbe cercato.
«Ti fa molto male?».
Yves sobbalzò, provocando una terribile fitta alla caviglia. «Da dove sbuchi?» chiese alla ragazza che lo fissava.
«Dagli spalti. Sono felice che non mi abbiate visto». Emilie Eyschen era una ragazza molto riservata e lui la conosceva soprattutto perché era amica di Marc da prima di Beauxbatons. «Ti accompagno in infermieria».
Yves lasciò che lo aiutasse a rimettersi in piedi, ma Emilie si accorse di non farcela a sostenerlo e lo aiutò a sedersi sulla panchina.
«Forse sarebbe meglio che chiamassi un insegnante» propose la compagna.
«No» rispose Yves che stava cominciando a ragionare, sebbene con difficoltà. «Non so te, ma io non ho il permesso di stare qui».
Emilie si incupì e annuì. «Nemmeno io. Volevo solo sfuggire alla Cruz e alle sue amiche. Oggi erano particolarmente in vena».
«Quindi non possiamo chiamare un insegnante» decise il ragazzo. «Come gli spiegheremmo la nostra presenza qui?».
«Diciamo la verità» tentò lei.
«Sì, come no» sbuffò Yves. «Così finiremmo nei guai. Mi basta la caviglia». Emilie sbuffò e non replicò sebbene fosse palesemente in disaccordo. «Senti, io ho una reputazione da difendere».
«Cretino» borbottò la ragazza a mezza voce e si inginocchiò davanti a lui per osservare meglio la caviglia. Provò a massaggiarla e lui si lamentò leggermente.
«È rotta, vero?».
«Non sapevo che fossi così piagnucoloso» replicò Emilie. «Non credo, comunque. Se fosse rotta, non saresti così tranquillo».
«Tranquillo?!».
«Smettila di agitarti» lo rimproverò lei. «Come vuoi che facciamo, se tu ti comporti così? Sembra che qualcuno ti stia torturando. Ti ho visto, hai messo male la caviglia, ma non sei caduto da troppo in alto».
«Ma che ne capisci tu?».
«Sono sicuramente più sportiva di te» lo rimbeccò Emilie.
«Tutti sono più sportivi di me» ribatté Yves sibilando. «Sai guarirmi la caviglia o no?».
«No, naturalmente. Per chi mi hai preso?».
Yves sospirò e si coprì gli occhi con le mani. «Avrei dovuto continuare a studiare Incantesimi… Avrei dovuto continuare a studiare Incantesimi… Avrei dovuto continuare a studiare Incantesimi…».
«Va tutto bene» addolcì il tono Emilie. Gli appoggiò le mani sulle ginocchia e lo guardò dal basso verso l’alto. «Stai tranquillo, si sistemerà tutto».
«E come?» si lamentò il ragazzo. «Abbiamo bisogno di un adulto, ma nessuno adulto ci aiuterà senza chiedere spiegazioni».
«Ti stai facendo prendere dal panico» sospirò Emilie, che cominciava a sentire freddo e avrebbe preferito trovarsi al caldo nella sua camera. «Sono qui, ti aiuto, ma calmati».
Il ragazzo prese alcuni ampi respiri.
«Quando sei pronto, ci spostiamo. Ti appoggi a me e piano piano rientriamo, va bene?».
«E come facciamo a non farci beccare?» chiese Yves con il fiato che accelerava di nuovo.
«Me la vedo io. Ti fidi di me?».
Yves rifletté un momento e poi si rese conto che non aveva altra scelta che fidarsi. «Sì».
«Non mi sembri molto convinto, ma ti capisco. Alzati, ma fai attenzione ad appoggiarti sul piede buono».
Il ragazzo obbedì e si appoggiò alla spalla della compagna. «Peso, vero?».
«Non preoccuparti. Piano piano ce la faremo».
Ed effettivamente fu così. Impiegarono un’infinità di tempo, ma alla fine arrivarono al palazzo. Emilie fu costretta a fare diverse pause.
«Giuro che non cadrò più nelle provocazioni di Blanco e Lucas».
«Lo spero bene» mormorò flebilmente la ragazza visibilmente affaticata.
«Come entriamo? Il portone è chiuso a quest’ora».
«Lo so. Passeremo dalle cucine. Lasciano sempre la porta esterna aperta».
«Ma ci vedranno».
Emilie estrasse la bacchetta e lo colpì sulla testa, probabilmente più forte di quanto sarebbe stato veramente necessario. «Siamo maghi».
Yves rabbrividì e si rese conto che la compagna stava usando su di loro un incantesimo di disillusione.
«Ora basta che non urtiamo nessuno. Sono alle prese con la cena, non faranno caso a noi».
Anche questa volta le parole di Emilie si rivelarono vere, anche se fu piuttosto complesso spostarsi tentando di evitare le cuoche, ma alla fine raggiunsero la sala da pranzo. Yves trattenne un’imprecazione quando lei lo trascinò fuori dalla porta approfittando dell’improvvisa uscita di alcuni piatti. Emilie lo ignorò e il ragazzo capì subito il perché: adesso erano nella sala da pranzo e vi erano molti professori riuniti al tavolo principale. La sala era dotata di due porte ed Emilie lo trascinò velocemente e senza molti riguardi verso quella più vicina. I due ripresero fiato solo quando si lasciarono alle spalle il brusio della scuola.
«Oh, Merlino, ce l’abbiamo fatta» sospirò Emilie. «Mi stai facendo fare una cosa assurda».
«Io?» biascicò Yves. «Pensavo sapessi che cosa stessi facendo».
«Non mi aspettavo che fossero tutti a cena, non l’avevo calcolato e sì, è colpa tua. Lo stiamo facendo per la tua stupida reputazione. Io sono ancora convinta che sarebbe stato meglio chiedere aiuto a Ribeiro o, meglio ancora, a Navarro, ce la saremmo cavata bene».
Yves scosse la testa. «Per favore».
«Va bene» sospirò Emilie. «Ti accompagno in camera».
Il tragitto fino al dormitorio maschile fu più semplice, anche perché i corridoi erano quasi deserti.
«Tocca a te» disse la ragazza di fronte alla porta istoriata che celava i dormitori.
Yves estrasse con qualche difficoltà la bacchetta dalla sua custodia e sfiorò il pomello. La porta si aprì all’istante.
Per fortuna erano ancora disillusi, perché nell’area comune vi erano alcuni studenti. Bisbigliando il ragazzo guidò la compagna verso la propria camera.
«Mmm il vostro dormitorio è molto simile al nostro» commentò Emilie sbirciando intorno a sé.
«Questa» indicò flebilmente Yves.
Dopo aver salito due rampe di scale erano tutti e due completamente senza fiato.
Emilie lo aiutò a sdraiarsi sul letto e cercò di riprendere fiato.
«Non ci credo che ce l’abbiamo fatta» sospirò il ragazzo dopo qualche minuto.
«Ancora non abbiamo fatto nulla» replicò Emilie annullando l’incantesimo su entrambi. «La tua caviglia sta gonfiando e, se ci beccano qui insieme, finiremo nei guai».
Yves gemette. A quel punto la ragazza non avrebbe saputo dire se fosse per la caviglia o per non averla ancora fatta franca. Sospirò e si sedette sul letto accanto a lui. «Va tutto bene» gli accarezzò la guancia e gli sorrise. Lui parve tranquillarsi. «Allora, il tuo migliore amico è un Campione di Quidditch, deve avere delle pozioni da utilizzare in caso di strappi o di piccoli fastidi simili».
«Credo di sì» replicò il ragazzo sorpreso da quella possibilità che non aveva considerato. «Prova a cercare nel suo armadio».
Emilie seguì le sue istruzioni e si trovò di fronte a un disordine impressionante. Si trattenne dal fare battute e si concentrò.  Fortunatamente notò subito un grosso beauty case, lo aprì e all’interno trovò la pozione che cercava.
«Vedrai che questa ti farà bene e già la tua caviglia andrà meglio domani».
La ragazza tornò da lui e lo aiutò a indossare il pigiama.
«Chiudi gli occhi» mormorò Yves.
Lei roteò gli occhi. «Ma non vedrei nulla!»
«Appunto!»
«Non essere sciocco, non sei nudo».
Alla fine, però, Emilie lo aiutò a inserire la caviglia nella gamba dei pantaloni, poi si voltò verso la porta finché lui non disse di aver finito.
A quel punto, il più delicatamente possibile, gli spalmò l’unguento sulla parte lesa. I suoi movimenti erano lenti e misurati, proprio per evitare di suscitargli ulteriore dolore.
«Meglio?»
«Mmm più o meno… Grazie di tutto, Emilie».
«Non c’è problema» mormorò la ragazza, sedendosi nuovamente accanto a lui. «Ora dovresti riposare».
Il ragazzo non rispose, ma chiuse gli occhi e cominciò a rilassarsi.
Emilie rimase lì finché Marc non rientrò in camera e chiese spiegazioni, ma ormai Yves dormiva da un pezzo.

Angolo autrice:
Buonasera a tutti! 
Finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa (molto poco, ma meglio di niente) su questi personaggi; sono degli OC che frequentano Beauxbatons. Personalmente sono molto affascinata dalle altre scuole di magia del mondo e se fosse per me scriverei su tutte. 
E' la prima volta che scrivo una storia hurt/confort e non sono per nulla sicura di aver veramente rispettato le caratteristiche del genere (forse è più fluff), ma almeno ci ho provato. 
Spero che la storia vi piaccia almeno un po'. 
 
 
   
 
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