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Autore: In_This_Shirt    28/08/2022    2 recensioni
1986 - Hawkins, Indiana. Chrissy Cunningham è una brava ragazza ma con grandi segreti; Eddie Munson, invece, sembra quasi non aver paura di niente - ribelle e sfacciato, vive la sua vita in modo libero e senza preoccuparsi dei giudizi degli altri. Chrissy non riesce a non invidiarlo, a non guardarlo di nascosto, a desiderare di essere simile a lui e avere la sua stessa forza di tirare i propri sogni fuori dal cassetto. Entrambi si scrutano di nascosto prima con diffidenza, poi con curiosità. Una storia dedicata al modo in cui si cresce, alla scoperta delle proprie imperfezioni e alla loro unicità. [ Chrissy x Eddie | What If - il racconto riprende dall'ultima scena Edssy, senza tener conto dei fatti avvenuti nella serie. ]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chrissy Cunningham, Eddie Munson
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La Domenica è il giorno del Signore.
Forse è per questo che, a casa Carver, tutto ruota attorno al capofamiglia più del solito. La signora Carver diventa ancora più docile e remissiva. Albert e Brandon, i fratelli maggiori, parcheggiano le proprie macchine lungo il viale: vengono a pranzo ogni weekend, accompagnati Albert da sua moglie Tabitha, Brandon dalla fidanzata del momento. Non ce ne è una che duri più di un mese e suo padre, in qualche modo, riesce a trovarlo divertente. Non si affeziona mai a nessuna di loro, non dimostra un briciolo di empatia. Come fosse suppellettili, esistessero esclusivamente come superfici riflettenti. Frammenti di specchio di Brandon, destinati a rimandare all’infinito la sua immagine luminosa.
Ogni tanto viene anche Chrissy. Non sempre: Jason evita di invitarla tutti i weekend, essendo il primo a trovarsi a disagio. Spesso fugge da lei, anzi. Per quanto anche i Cunningham siano rigidi, lo sono sicuramente meno di suo padre.
Suo padre.
Pensare che hanno la stessa mascella, gli stessi occhi, le stesse mani. Che gli ha regalato un Rolex per i diciotto anni, pesante proprio come le sue aspettative. Una manetta travestita da orologio per ricordargli che il tempo scorre, così come le promesse che si sono fatti. Tre anni per il college e per diventare un buon atleta e giocare in una squadra nazionale o torni a lavorare nell’azienda di famiglia.
Il problema non è neanche l’azienda. Per carità. Il problema è vivere in un contesto dove ci sono solo angherie, crudeltà, violenze. Il problema è che se Jason pensa a se stesso a trent’anni, si immagina tornare a Hawkins per lavorare con la sua famiglia e si vede ancora raggomitolato in un angolo della stanza che cerca di sfuggire alla cintura, alla pressione tra le sue scapole, la ferocia sulla sua spina dorsale. Un adulto bambino, mai veramente cresciuto, ancora pieno delle stesse paure.
Da piccolo faceva male. Oltre all’evidenza schiacciante del dolore fisico, poi, era quello mentale il problema – era sentirsi traditi da qualcuno che dovrebbe amarti incondizionatamente. Stupiti che ogni tentativo ingenuo e indispettito di conoscere il mondo si risolvesse così, con rabbia aprioristica. Ora la sua schiena è resistente al cuoio, in qualche modo, o forse lo è diventata la sua anima. Quando cresci con la violenza, diventa l’unico linguaggio che conosci. L’unico modo di esprimersi sensato, per quanto di sensato non ci sia nulla, anzi.
Per questo suo padre non lo rimbecca mai quando è troppo aggressivo con un compagno di classe: per lui, quello è un modo di farsi rispettare. Nessun insegnante prova a contraddirlo, nemmeno la preside lo fa. Non avrebbe senso per nessuno mettersi contro uno dei maggiori finanziatori della scuola. Il fine giustifica i mezzi ma anche le omissioni di soccorso, a quanto pare.
Quando suonano al campanello va ad aprire la porta, ciabattando pigramente.
Chrissy, finalmente, è arrivata. Ed è un raggio di sole tra quelle mura buie, col suo sorriso dolce, il dolcevita rosa sopra la gonna a pieghe bianca, i calzettoni tirati fino al polpaccio, le scarpe da tennis. Una piccola treccia bionda che le scivola sulla spalla sinistra, poco trucco come sempre, l’espressione timida mentre tra le mani regge una crostata – Sai com’è, mia madre non mi manda mai a mani vuote! – si giustifica, un po’ in imbarazzo un po’ divertita da quella loro ritualistica.
Jason vorrebbe baciarla lì, sul momento. Sa che sarebbe troppo disdicevole, che i suoi genitori non glielo perdonerebbero in casa loro. Slitta di lato, la fa entrare nel suo regno oscuro.
- Scusa, non c’è ancora nessuno. Albert e Brandon non sono arrivati e i miei sono ancora a messa.
- Non fa niente, sono io che sono in anticipo. Mi sono svegliata presto, stamani, e non avevo voglia di stare a casa.
Da qualche tempo, Chrissy sembra diversa dal solito. Un po’ più assente, in certi momenti, come se fosse triste. Appoggia la torta in cucina, sistemandola sull’isola di marmo che la signora Carver tiene ordinata in modo maniacale, tra i piatti coperti destinati al pranzo e la brocca di limonata preparata per l’occasione.
È mia. Jason non può fare a meno di pensarci mentre la vede camminare per la cucina, di ripeterselo costantemente. È solo mia.
Alle volte ha paura che gli sfugga dalle mani, che gli scivoli via, dissolvendosi in un milione di piccoli coriandoli come se fosse un sogno troppo bello. Ma lei rimane lì. Adesso che si abbassa per giocare con il cane, che ride dicendo – Piano, Marty! – gli sembra così piccola che vorrebbe solo abbracciarla, fargli da scudo. Riposarsi sulle punta delle sue orecchie rosa, lasciate scoperte dalla treccia, essere la farfallina dorata degli orecchini che le accarezza il lobo, sempre con lei. A sussurrarle che andrà tutto bene fino a che staranno insieme. Si salveranno a vicenda: lei dalla sua famiglia e lui da se stesso.
Sente scattare la chiave nella serratura e sa che l’idillio è finito. Sua madre e suo padre entrano dalla porta, di ritorno dalla funzione in Chiesa. Quando la vedono sorridono, rabboniti, immediatamente di buonumore.
- Signori Carver! – li saluta lei. Jason li guarda illuminarsi, guarda sua madre dare due baci sulle guance alla sua ragazza, chiederle come va, lei rispondere felice.
Sembra tutto così giusto. Sembrano quasi una famiglia vera. Quando poco dopo arrivano i suoi fratelli ogni cosa è al suo posto, Jason compreso che ora ride, non è più il bambino nascosto nell’angolo, è un atleta promettente, ha una bellissima ragazza, i suoi fratelli lo prendono in giro e gli battono pacche sulle spalle, sua madre gli versa più limonata, Chrissy sorride al suo fianco e suo padre lo guarda con approvazione, non c’è niente nella sua vita che non vada esattamente come dovrebbe.
 
*
 
Quando la domenica finisce e la casa si svuota però torna l’altro Jason. Quello che non gli piace affatto.
Riaccompagna a casa Chrissy e poi, tornando, è pieno di brividi di freddo. Come se qualcuno lo avesse privato di una coperta, se lo avesse improvvisamente lasciato nudo ed esposto a un mondo gelido.
Ha un vago sentore di nausea perché sa quello che sta per fare. Lo sa ogni volta, ogni maledetta domenica. Vorrebbe fuggire da quel rituale, girargli alla larga, essere così forte da non assecondare la stupida tentazione che si annida in fondo al suo stomaco. Ma non ci riesce.
Sa che suo padre lo picchierebbe. Oh, eccome se lo picchierebbe. Gliene darebbe così tante che forse morirebbe sul momento, o magari andrebbe in coma.
Potrebbe fare un giro molto più corto e invece arriva appena fuori città, vicino a quella casetta con il neon rosso, quella scritta suadente e invitante.
Il paese dei balocchi.
Non entra, non lo fa mai. Rimane lì a guardare, alle volte per qualche minuto, altre per un po’ più di tempo. Quando la porta si apre escono due ragazzi per mano – uno biondo, proprio come lui, gli occhiali a goccia sul naso e la camicia a righe bianche e celesti. L’altro pieno di ricci neri, la pelle ambrata, forse portoricano. Non lo guardano per niente, non si accorgono neanche che c’è. Quello con gli occhiali si mette a fumare; quello riccio gli sta davanti, fa ogni tipo di moina. Lo provoca, forse, ma l’altro si lascia provocare, non è infastidito, ride anche lui, gli tiene la mano, le loro dita non si lasciano mai e Jason, sì, Jason vorrebbe andare lì, vorrebbe spaccargliele tutte e dieci, rompere le loro facce, i loro sorrisi, quella montatura da finocchio di merda, brutti froci del cazzo, li odia, li odia profondamente, li odia fino a bruciare, vorrebbe premere sull’acceleratore e schiantarsi contro la casa in legno, distruggere l’insegna a neon, distruggere loro, distruggere anche se stesso, quella pulsione maligna che brucia come l’inferno, l’Inferno nel giorno del Signore, Jason come antitesi di suo padre.
Dio perdonami per i miei peccati, riesce solo a pensare, mentre mette in moto di nuovo. Deve tornare a casa, ora.
I ragazzi sulla porta del locale si baciano nello specchietto retrovisore.
Jason accelera, corre via, non sa più se i propri sono sogni o sono incubi, si promette che sarà più forte, domenica prossima non tornerà, non tornerà, non tornerà.
 
   
 
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