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Autore: LaTuM    11/09/2022    3 recensioni
Il giorno della partenza era oramai prossimo.
Tutto quello che dovevano dirsi se lo sono già detti in quegli anni.
E quello che non si sono detti, non era più il caso di dirlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dango troppo dolci e saluti troppo amari

Diclaimer: Haikyuu! non mi appartiene e da questa storia non ci ricavo neanche uno zellino.


Dango troppo dolci e saluti troppo amari



Il giorno della partenza era oramai prossimo.

Sulla scrivania della sua camera un biglietto aereo di sola andata, uno di quelli vecchio stile in cartoncino e con una banda magnetica sul retro. Il suo nome stampato in kanji e in caratteri occidentali.

Destinazione: Argentina.

Negli ultimi giorni si era chiesto cosa mai gli fosse venuto in mente. Era un semplice signor nessuno che aveva giocato in una scuola abbastanza forte della prefettura (non la più forte visto che erano stati sempre battuti dalla più forte e questa a sua volta era stata battuta da uno stormo di corvi comparso all’improvviso). Non aveva un gran curriculum, anche se le referenze erano ottime, coach di vari licei e università si erano spesi in un gran numero di complimenti, ma alla fine lui era stato un fallimento. Non era mai riuscito a portare la sua squadra alla vittoria su un palcoscenico che fosse degno di quel nome. Nessuno di loro avrebbe in qualche modo sfondato come giocatore professionista perché lui non era riuscito a fare nulla affinché fossero notati. Diceva sempre di fidarsi ciecamente della sua squadra e che non erano necessarie parole di incoraggiamento prima di un match, eppure era stato lui a tradire la fiducia del suoi compagni, deludendoli.

Non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma ai suoi occhi non era stato necessario.

L’unica cosa che gli avevano chiesto era stato di offrire la cena: era stato un susseguirsi di boccone amari, uno dopo l’altro. Avevano cercato di tirarsi su il morale, ma persino i dango con cui avevano concluso il pasto gli erano sembrati amari (e i dango ricoperti di salsa di fagioli azuki erano la cosa meno amara che potesse esistere al mondo, secondi solo allo zucchero puro)*.

Nessuno l’aveva rimproverato, nessuno lo aveva incolpato, ma lui si sentiva ugualmente il responsabile. Era il capitano e aveva fatto affondare la sua nave. Patetico.

Alcuni di loro avrebbe avuto altre possibilità, ma di base il Seijoh era una squadra vecchia, la maggior parte di loro era al terzo anno e la loro carriera sportiva liceale poteva dirsi finita nell’esatto istante in cui la palla schiacciata da Chibi-chan era rimbalzata sulle mani di Kindaichi e lui – il capitano – non era riuscito a salvarla.
Un pessimo esempio.

Avevano perso. Il Karasuno – il corvi decaduti che avevano ricominciato a volare – si sarebbe scontrato con lo Shiratorizawa in quella che sarebbe stata la loro disfatta. Eppure alla fine i corvi avevano soggiogato l’aquila. Avevano vinto e sarebbero andati ai Nazionali.

Aveva dovuto ammettere a se stesso che aveva di gran lunga preferito che fossero stati loro a vincere, anziché Ushiwaka, ma al tempo stesso la sconfitta bruciava.
Solo che così bruciava un po’ meno.

Era stato fortunato, lui. Grazie al coach Irihata era riuscito a entrare in contatto con quella persona che gli aveva cambiato la vita e fatto capire cosa volesse fare con la pallavolo. E lui aveva capito il suo senso di frustrazione e inferiorità davanti a coloro che avevano un talento di natura, mentre Tooru era arrivato a dei risultati decenti (mediocri, avrebbe detto) solo grazie all’impegno e alla costanza, ma non aveva nulla di veramente prezioso da offrire.


Vieni in Argentina. Potrai allenarti con me. Il coach mi ha detto che sei bravo. Dimostramelo e ti farò giocare per davvero.”


E davanti a quelle parole pronunciate proprio da lui, Tooru aveva immediatamente comprato un biglietto di sola andata. Ne aveva parlato a casa e, a parte qualche remora iniziale e la promessa di tornare subito se avesse avuto dei dubbi, il sostegno non mancò. La paura e l’incertezza però erano tante.


I bagagli erano oramai pronti, la sua stanza quasi del tutto svuotata di quegli oggetti di uso comune che la rendevano un luogo abitato, ora era solo un involucro che testimoniava il suo passaggio tra quelle mura: i manga, i libri di scuola, una stampante impolverata, diversi (insignificanti) trofei e la divisa da capitano appesa a un gancio con una gruccia.

La tuta no, quella l’aveva messa in valigia. Voleva un ricordo, voleva qualcosa che lo facesse sentire a casa. La divisa non l’avrebbe mai messa, neanche in allenamento, ma la tuta sì. Alla peggio l’avrebbe usata in casa.


Hey, Shittykawa!” lo riscosse la voce di Iwaizumi che aveva aperto senza nemmeno bussare la porta della sua stanza.

Iwa-chan!” lo salutò protestando al tempo stesso.

Alza le chiappe ed esci da questa stanza” lo rimproverò l’amico.

Io veram-” Tooru non fece in tempo a parlare che l’altro gli aveva tirato una pallonata in faccia. Non abbastanza forte da fargli male, ma a sufficienza per doversi impegnare a bloccarla.

Attento! Abbiamo già rotto fin troppe giocando in casa!”

E cosa vuoi rompere? Non è rimasto più nulla qui dentro...” mormorò il moro con una nota di - era rammarico quello?

Tooru non rispose, si tolse gli occhiali e si alzò dalla sedia, non prima di aver accuratamente chiuso la cartelletta in cui teneva i suoi preziosissimi documenti di viaggio.

Andiamo Trashykawa...” gli intimò l’amico riprendendo la palla che l’altro gli stava porgendo. Lo squadrò un attimo e quando vide che indossava una vecchia tuta che sarebbe stata buttata non appena fosse partito, annuì. Per andare al parco loro due andava benissimo.

La smetterai mai in insultarmi, Iwa-chan?”

No” fu la secca risposta dell’altro.

Di norma Tooru avrebbe protestato o si sarebbe offeso, ma percepiva qualcosa di strano nell’amico d’infanzia e, se non fosse che lui si sentiva uno straccio con le emozioni che facevano a pugni nel suo stomaco e nel suo cervello, avrebbe detto anche Haijime era un po’ dispiaciuto dalla sua imminente partenza.

Lui non gli aveva mai rimproverato nulla, non l’aveva mai fatto sentire in colpa per aver portato la squadra alla sconfitta – gli aveva fatto presente che essere una squadra vuol dire anche quello, nessuno è l’unico responsabile del fallimento o della vittoria – e aveva le idee chiare sui cosa avrebbe voluto fare. Avrebbe studiato Scienze motorie e dello sport, perché la pallavolo aveva giocato un ruolo importante nella sua vita e avrebbe voluto fare qualcosa a riguardo, portarsi quello sport nel cuore, studiarlo e chissà, magari diventare allenatore o preparatore atletico per qualche squadra. Se avesse avuto fortuna magari sarebbe riuscito a entrare in un team di seconda divisione, ma avrebbe dovuto impegnarsi. Voglia e determinazione non gli mancavano.

Raggiunsero il parco dove gli piaceva andare fin da quando erano bambini (un semplice spiazzo dietro una collinetta con uno scivolo e due altalene) e iniziarono a passarsi la palla, lentamente, ma con una precisione millimetrica che solo anni e anni di allenamenti avevano perfezionato. Tooru ogni tanto alzava, Haijime schiacciava e l’altro riceveva. Senza fretta, senza troppa forza. Non c’era bisogno di imprimere alla palla tutta la potenza che erano soliti metterci per segnare, per fare un ace nel campo avversario. Per il momento era sufficiente divertirsi, passarsi il pallone, chiamare un’alzata e ridere insieme al pensiero di quanto fossero cresciuti in quel luogo e cercando di ingoiare l’amara consapevolezza che, molto probabilmente, quella sarebbe stata l’ultima volta. Le loro strade si sarebbero divise per sempre e se anche avessero provato a replicare, nulla sarebbe mai stato come prima. Erano ancora adolescenti, ma oramai era anche adulti. Avrebbero avuto successo? Avrebbero fallito? Non potevano saperlo, ma sicuramente avrebbero fatto per inseguire i loro sogni, anche se questo significava separarsi. Salutarsi in via definitiva, perché non si poteva tornare indietro.

Persero la cognizione del tempo… avrebbero continuato per ore, ma alla fine dovettero fermarsi. I minuti scorrevano inesorabili, che loro lo volessero o meno.

Si sdraiarono sull’erba, come facevano da piccoli: non faceva caldo ma abbastanza da potersi permettere di rimanere un po’ così, in attesa che arrivasse il momento di salutarsi per davvero.

Ce l’hai ancora su?” chiede all’improvviso Haijime e Tooru non ebbe bisogno di chiedergli spiegazioni. Alzò la gamba sinistra e si tirò il pantalone della tuta, rivelando una ginocchiera bianca oramai consunta e priva di imbottitura per il costante utilizzo. C’era da dire che risparmiava non poco sull’acquisto delle protezioni, visto che alla fine ne usava una alla volta. Prima o poi si sarebbe fatto male al ginocchio a furia di usare solo quel vecchio cimelio, ma quel pezzo di stoffa era parte di lui.

Haijime alzò una mano andandogli a sfiorare delicatamente un lembo di pelle sopra la stoffa della ginocchiera, prima si voltarsi verso l’amico e sorridere.

Fattene autografare un’altra quando sarai arrivato, altrimenti la tua rotula ti lascerà a breve!”

Non portarmi sfortuna, Iwa-chan!” rispose Tooru ridendo e abbassando la gamba lentamente, in modo che la mano del moro potesse accompagnarlo. Non aveva voglia di interrompere quel contatto.

Quel tocco, leggero e delicato, quasi reverenziale, gli brucia la pelle come se lo stesse marchiando a fuoco. Un marchio impresso solo nella sua mente, la mano di Haijime è talmente delicata che non gli lascia nemmeno un graffio per sbaglio con l’unghia che si è rotto mentre stavano giocando, ma la sensazione dei polpastrelli dell’amico irradiano un calore che non può ignorare e che gli rimarrà tatuato nella memoria ancora per molto tempo.

Te ne spedirò una” aveva risposto Tooru con la sua solita voce canzonatoria ma che non riusciva a nascondere le mille emozioni che stava provando in quel momento.

Haijime gli prese una mano e gliela strinse.

Andrà tutto bene. Diventerai il campione che qua non ti hanno permesso di essere” lo rassicurò e Tooru dovette mordersi con forza le labbra per non scoppiare a piangere come una ragazzina… Iwa-chan l’avrebbe preso in giro a morte per quello.

L'autografo di Blanco sulla ginocchiera era quasi sparito, un lontano ricordo, un'ombra di un passato che non tornerà più, ma Tooru ha fatto una scelta.

Non sa se se ne pentirà o meno, ma per il momento è consapevole che lì non c'è posto per lui.

Non c'è posto per lui neanche nella vita di Iwa-chan.

E’ tardi, dobbiamo tornare. Domani mattina ti aspetta un lungo viaggio.”

Tooru annuì e si alzò.

Tornano in silenzio, non c’era più spazio per le parole, sarebbero superflue.


Tutto quello che dovevano dirsi se lo sono già detti in quegli anni.


Ci rivedremo...” gli disse Oikawa, ammiccando in direzione dell’amico “Grazie per oggi.”

Prego Shittykawa… grazie a te. Per tutto.”

Tooru sorrise e lo guardò allontanarsi definitivamente: dalla sua casa e anche dalla sua vita.


E quello che non si sono detti, non era più il caso di dirlo.



Note dell’autrice:

* i dango sono degli gnocchi bolliti di sciroppo di zucchero e farina di riso glutinoso

La storia della ginocchiera, non so se è canon o headcanon, ma qui è andata così.

Ecco, una specie di pre-slash IwaOi non era esattamente contemplata, ma in una settimana sono stata folgorata dall’ispirazione e ho scritto cinque storie (tre sono Kurotsuki).


   
 
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