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Autore: elenatmnt    27/09/2022    2 recensioni
Qualcuno non c'è più. Cosa accade a chi resta?
Dal testo:
“Non stai dicendo sul serio”.
“Invece sì. E la questione finisce qui”. Donatello si alzò mettendo il suo piatto nel lavandino. E come se non ci fosse alcuna tensione in corso, continuò disinvolto “mettete i piatti sporchi da parte. Li lavo io più tardi”.
Con impassibilità si avviò verso la porta; si bloccò di colpo quando un piatto quasi lo sfiorò e si infranse contro la parete di fronte cadendo in tanti pezzi di ceramica bianca sul pavimento della cucina.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Ciaooooooooooooooooo!!!
Ecco la seconda ed ultima parte di questa storia cruda e nuda. Ringrazio con tutto il cuore chi l’ha letta e ci vediamo prestissimo genteeeeeeeeeeeee!!!
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Dèi Frantumi

Parte 2

 

C’era un po’ di musica di sottofondo nel suo laboratorio, roba tranquilla, nulla di troppo ritmato.
Donatello non lavorava a nuovi progetti da un bel po’, stava solo facendo manutenzione ad alcuni macchinari che erano fondamentali per il funzionamento della loro casa. Luce, acqua, gas erano possibili solo grazie ai suoi ‘gingilli’.
Nulla di troppo serio da risolvere, era solo una scusa per passare il tempo in pace, un momento tranquillo, solo per lui.
Pace.
Da tempo non ne comprendeva il significato.
 
“Dove ho messo l’avvitatore?”.
 
Don era sempre stato il perfettino riguardo ad igiene e buone maniere, ma sull’essere ordinato era decisamente un’altra storia.
Spostò fogli e vari oggetti di lavoro dalla scrivania, senza riuscire a trovare ciò che cercava; aprì i cassetti e insieme all’avvitatore e varie scartoffie, accantonato in un angolino c’era il suo cellulare.  Non lo portava con sé da un po’, era come se volesse stare alla larga da quell’innocuo aggeggio.
Subito lo rimise a posto, prese l’avvitatore, chiuse il cassetto e si allontanò.
“Sono uno stupido. Un codardo”.
 
Don si fermò al centro della stanza guardandosi intorno, senza un motivo vero, temporeggiava contro il niente. I suoi occhi fissarono la porta dell’infermeria semiaperta, da lì intravedeva il letto vuoto dove non molto tempo prima agonizzava Michelangelo.
Quanto tempo aveva trascorso lì dentro soffrendo per un fratello morto ed un altro in fin di vita.
“Mikey… fratellino mio… mi dispiace…” le parole gli scivolarono via di bocca, in un sussurro appena percettibile. Lo strumento scivolò via dalla sua mano, non gli importò, quasi non ci fece caso. “Raph… sono qui… io vi voglio bene… è solo che…”.
Il genio nel vuoto della stanza esprimeva i suoi sentimenti a chi non poteva sentire; si premette i palmi delle mani sugli occhi imponendosi di non piangere.
Eppure… quel piccolo oggetto nel cassetto, lo richiamava a sé come fosse un tesoro perduto in attesa di essere scoperto.
 
A passi veloci, in uno scatto di follia improvvisa, riprese il cellulare, lo riaccese; in quel groviglio di circuiti e cip, c’era qualcosa che aveva lasciato in sospeso…
 
Tre messaggi vocali. I suoi messaggi vocali. Mai ascoltati.
 
Il genio strinse il telefono tra le mani e si domandava se ascoltare o meno. La realtà era che aveva paura. Paura di affrontare la voce di Leonardo.
 
Cosa c’era registrato? Che sensazione avrebbe provato nel risentire il suono della sua voce?
Ascoltare o non ascoltare.
 
Passeggiò avanti e indietro per il laboratorio, stringendo l’oggetto nelle mani; era un’anima in pena senza una meta, uno scopo.
Spense la musica, anche a minimo volume iniziava a dargli fastidio, lo riportava nel mondo reale. Una realtà che non accettava. Una dea crudele e capricciosa che giocava con le loro vite.
 
Fissò nuovamente il cellulare.
In un gesto repentino avviò il vocale prima di potersene pentire.
Ebbe un battito in meno appena il suono venne fuori.

 
“Ehi Donnie! Ho provato a chiamarti, non mi hai risposto… Spero tu senta il vocale prima di preparare cena. Io e Mikey ci fermiamo a recuperare un paio di pizze giganti. Una con le mille schifezze che piacciono a lui, altrimenti chi lo sopporta dopo, e l’altra al salame piccante. Fammi sapere se per te e Raph va bene! Ciao a dopo, vado a recuperare Mickey che sta correndo come un matto”.

 
Faceva male. Troppo. Insopportabile.
Donatello si toccò la guancia ed era umida di un rivolo di lacrima che gli rigava il viso. Stava piangendo. In silenzio, di nascosto. Ma… stava piangendo.
Perché non era riuscito a fermare quella goccia traditrice?
Il secondo vocale partì in automatico, gli parve come se Leonardo dovesse continuare a tutti i costi di dirgli qualcosa.

 
“Ah dimenticavo! Scusa fratellino, ho rotto io il tostapane. Lo so che lo sai. Te l’ho chiesto mille volte ma… puoi ripararlo per favore? Non è giusto che voi altri non lo possiate usare per colpa mia; ti giuro che io non ci metterò più mano, non lo userò mai più”.

 
Mai più. Mai più. Mai più.
Il suono divenne ridondante nella sua testa. Ora non riusciva a trattenere nemmeno i gemiti, si mise una mano sulla bocca per attutirne il suono.
Ed in effetti, da allora Leonardo, non lo usò più.
Mai più.

 
“Un’ultima cosa Donnie, ti voglio dire grazie per tutto. Da quando papà non c’è più sei stato il mio sostegno più grande, senza di te sarebbe stato tutto più difficile e non ce l’avrei fatta a prendermi la responsabilità di tutta la famiglia… Scusa sto divagando. Magari, se ti va, dopo cena ne riparliamo. A tra poco fratellino! Ti voglio bene.”.
 

Lo aveva fatto, dopo tanto tempo aveva avuto il coraggio di affrontare le ultime parole di Leo.
Un addio indiretto, un testamento non scritto, un arrivederci arrivato troppo presto.
 
Donatello ricordava di come quella sera preparò la tavola; ricordava di come lui e Raph attesero i fratelli; ricordava di come il suo cellulare era scarico e non poté visualizzare i messaggi; ricordava di quando uscirono fuori a cercarli; ricordava di quando li trovarono sotto le macerie.
 
L’immagine di Leonardo senza vita si palesò vivida nella sua mente confusa.
 
A quel punto neanche le gocce di pianto erano sufficienti a placare la disperazione che celava nel cuore. Gli mancava suo papà, gli mancava Leonardo, gli mancavano Mikey e Raph.
Don aveva costruito una barriera invisibile tra loro, un muro di vetro che rischiava di dividere tutto ciò che restava della propria famiglia.
Distruggerlo.
Doveva ridurre in frantumi quell’ostacolo tra loro.
 
“Ti voglio bene Leo, voglio bene a tutti voi. Mi manchi fratello. Sono io che ho bisogno di te perché non sono in grado di tenere unita la famiglia, non so come fare… sono perso senza di te”. Il povero ragazzo si raggomitolò sul pavimento; piangeva e invocava il nome del fratello.
Gli parlava, lo chiamava, lo supplicava; non ci sarebbe stata risposta.
“…dimmi che devo fare… dimmi che devo fare… dimmi che devo fare…”.
Rotto, stanco e solo riascoltò i messaggi fino ad addormentarsi con la voce di Leonardo che lo accompagnava nel mondo dei sogni.
 


 
 
“Come ti senti Mikey? Stai facendo progressi e…”.
“Voglio uno specchio”, Don fu interrotto bruscamente.
“Non capisco il motivo”.
“Secondo te cosa potrei farci con uno specchio?”.
“Mikey… senti…”.
“So che ho la faccia e il corpo bruciati! Avrò finalmente il diritto di guardarmi per vedere fino a che punto?!” sbraitò Michelangelo.
Raffaello entrò nella camera di Michelangelo allarmato dai toni troppo alti.
“Che succede qui?”
“Oh bene… Raph, almeno tu, mi daresti uno specchio o qualunque cosa in cui potermi vedere?”.
 
Raffaello lanciò uno sguardo a Donatello in cerca di una qualsiasi forma di aiuto o un minimo di comunicazione sul da farsi. Avevano pensato al momento in cui Michelangelo si sarebbe specchiato, mai però, avrebbero pensato ad una richiesta repentina e prepotente.
“Michelangelo… io…”
“Anche tu come lui, Raph? Bene, se non volete aiutarmi ci penserò io!”.
Michelangelo fece per alzarsi incurante di farsi male o di strapparsi via la flebo; i due maggiori gli furono subito accanto per fermarlo.
“Non sei ancora in condizioni di alzarti”.
“Sei impazzito per caso?”
Il più piccolo li scrutò torvo, era determinato ad ottenere ciò che voleva, anche a costo di strapparsi la pelle.
“O mi portate uno specchio o lo troverò da solo. A voi la scelta”.
Il rosso e il viola si scambiarono uno sguardo messi alle strette, Raffaello sospirò sonoramente era il suo modo di dire che si era arreso alla richiesta, Donatello annuì per confermare.
Qualche minuto dopo Raffaello ritornò con un piccolo specchio.
“Tieni Mikey”.
“Lasciatemi solo”.
“Non penso sia il caso…”:
“Lasciatemi solo!” supplicò a denti stretti.
Raffaello tirò Don con sé, “facciamo come dice”.
 
I due maggiori rimasero appena fuori dalla porta, ciò che udirono fu un grido e poi uno schianto di vetri in frantumi.
 


 
“Donnie!!”.
Il genio si svegliò di soprassalto nel suo laboratorio. Ci mise qualche secondo per ritornare sul pianeta Terra.
“Donatello, dammi una mano!”.
Era Raph che lo chiamava da fuori. Un’altra crisi di Michelangelo.
Ancora e ancora. Doveva finire, in un modo o nell’altro.
“Ti prego Donatello. Corri!!”.
No. Non era la voce di Raph. Era Michelangelo.
 
Donatello scattò in piedi, c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che fosse proprio il fratello minore a gridare il suo nome. Di consuetudine, erano le grida di Raph a richiamare la sua attenzione. Per forza c’era qualcosa che non andava.
Corse fuori dal laboratorio, si precipitò nella zona superiore dove c’erano le loro camere. Le urla di Mikey che lo chiamavano, provenivano dalla camera di Raph.
Entrato, vide suo fratello maggiore imbrattato di sangue tra le braccia di Michelangelo; una grossa macchia rossa adornava macabra il pavimento e uno pezzo di vetro affondava in esso.
 
Il tempo prese a scorrere lentamente.
Donatello guardava lo scempio dinanzi e ogni cosa parve irreale ai suoi occhi.
Un fratello morto, uno ferito, l’altro in fin di vita. Quando le loro vite sono andate a puttane? E perché soprattutto?
 
Credeva di aver fallito. Credeva di aver perso contro sé stesso. Credeva che senza Leonardo e suo padre, i due perni della famiglia, tutto sarebbe andato a rotoli.
Di fatto, tutto era andato di male in peggio.
 
Michelangelo si riteneva colpevole della morte di Leonardo e pensava che le ustioni erano il segno e la punizione eterna per il suo peccato.
Raffaello in quanto maggiore, cercava di tenere le redini della famiglia, ma ognuno stava andando allo sbaraglio e lui non riusciva a controllarlo.
Donatello credeva che nascondere il proprio dolore era un modo per alleviare le sofferenze dei suoi fratelli, senza accorgersi che stava logorando la propria anima e allontanandosi da tutti.
 
Come un fulmine a ciel sereno, per un istante, un solo benedetto istante, gli occhi castani di Donatello caddero su una cornice con il vetro rotto in molteplici pezzi scaraventata sul pavimento. E in essa una foto. La loro foto.
Cinque volti sorridenti; un padre con i suoi quattro figli.

 
“Grazie fratello”.
 
“…sei stato il mio sostegno più grande, senza di te sarebbe stato tutto più difficile e non ce l’avrei fatta a prendermi la responsabilità di tutta la famiglia…”.
 
“Torna da noi col cuore, abbiamo bisogno di te. Ti prego fratellino, non ci abbandonare. Non mi abbandonare. Senza di te, siamo perduti e se ci perdiamo, non ci rimane niente”.
 
 
Le parole dei fratelli furono la melodia dei ricordi che riportarono Donatello alla lucidità di un tempo; nessuno di loro aveva fallito, avevano solo perso la strada.
 
“Raaaaaaaph!! Che hai fatto, scemo? Perché lo hai fatto?” strepitava Michelangelo.
Donatello si precipitò su Raph per soccorrerlo, non era troppo tardi, poteva ancora salvarlo; o almeno sperava.
“Mickey, con la sciarpa tamponagli la ferita al polso. Ha perso molto sangue”.
Il minore non ci pensò due volte ad ubbidire, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare Raph. Non potevano perdere anche lui.
“Ce la farà? Donnie, ce la farà?”.
“Sicuro… c..certo che sì…” mentiva, per la prima volta Donatello mentiva.
La quantità di sangue era madornale, chissà da quanto tempo Raffaello giaceva a terra. Quel gesto estremo era qualcosa che mai e poi mai si sarebbero aspettati dal fratello in rosso. Evidentemente era così disperato che aveva trovato la soluzione in un gesto sconsiderato.
 
“Raph, hey fratellone, mi senti? Raphie” Donatello lo chiamava schiaffeggiandogli delicatamente il viso.
“Don…nie…” la voce era flebile, appena un sussurro; gli occhi erano a malapena aperti e il suo battito sempre più debole.
“Raph, rimani con me. Hai capito? Resta sveglio”.
“Mmm… no. Io… sba..gli…o… voi…”.
“No Raffaello. Nessuno ha sbagliato nulla, ora concentrati sulla mia voce e rimani sveglio”.
“Ok… Le…o”.
Michelangelo e Donatello si guardarono, il loro fratellone era in un chiaro stato di delirio; Donatello decise di assecondarlo.
“Le…o…”.
“Dimmi Raph”.
“Scu…sa… se… non…so…no… arri…va…to… in… tempo”.
“Raph, non hai nulla di cui scusarti”.
“Si…”
“Senti Testa Calda, Mikey e Donnie hanno bisogni di te. Perciò ora combatti, combatti per loro. Hai capito? Combatti!” le lacrime scendevano inesorabili dagli occhi di Donatello.
“…Leo… ti vo…glio… be…ne…”.
“Anche io fratellino, voglio bene a tutti voi”.

Raffaello combatté sì, per ottenere solo qualche istante di lucidità, con le ultime forze riaprì gli occhi e guardò i due fratellini davanti a sé riconoscendoli come Donatello e Michelangelo.
Il più piccolo non aveva la sciarpa e mostrava il suo volto deturpato, ma era pur sempre il suo volto innocente e puro; il genio invece piangeva, eccome se piangeva.
“Ri…ecco…vi… fra… telli…”.

In un sorriso compiaciuto e sereno, Raffaello chiuse gli occhi.
 
***
 


“Sbrigati Don!”.
“Eccomi Mikey, non mi far correre altrimenti rovino i fiori”.
“Hai ragione. Sai, quelli che abbiamo portato a papà erano perfetti”.
“Lo sarebbero anche questi se non mi facessi correre!”.
“A proposito, credevo che fosse più vicino”.
“No lui è poco più distante”.
 
Al pensiero si incupirono, Michelangelo tentò di alleviare la situazione.
 
“Hai mai pensato di fare il fioraio?”.
“E tu perché non fai il pizzaiolo?” rispose ironicamente Donatello.
I due risero.
 
Donatello e Michelangelo si incamminarono nella fitta boscaglia, fino a raggiungere un enorme albero, il più grande di tutto il parco e ai piedi di esso una pietra con inciso un nome.
“Ciao fratello! Ti abbiamo portato questi fiori, spero di piacciano…” Donatello si chinò lasciando il mazzo su quella che era la tomba del loro fratello. Si sentiva in imbarazzo a dire qualcosa con Mikey davanti, non ci era portato per certe cose.
Mikey perspicace, prese la parola al posto suo. Era triste nel suo cuore, ma era tornato ad essere il raggio di sole di un tempo. Niente più sciarpe a celargli il volto, niente più vestiti per nascondergli il corpo, niente più crisi. Era solo e semplicemente lui, Michelangelo.
“Ciao fratellone, siamo qui per raccontarti un po’ di cose, dunque…”.
 


 
Erano state lasciate troppe cose in sospeso, una in particolare.
Donatello andò in cucina e recuperò quel rottame di tostapane e nella solitudine del suo laboratorio, con una leggera musica di sottofondo, si mise al lavoro per ripararlo una volta per tutte.
 
Michelangelo era davanti allo specchio, lui contro di lui. Lentamente si tolse gli indumenti e rimase a fissarsi nudo davanti alla sua immagine. Non sarebbero state le cicatrici, né le ustioni, né la parziale cecità a renderlo un’altra persona. Con o senza l’immagine di un tempo, il cuore di Michelangelo era lo stesso.
 


 
“… e questo è tutto. Spero tu sia fiero di noi”.
“Sono certo che lo sia” lo rassicurò Donatello cingendolo con un braccio. “Che ne dici torniamo a casa?”
“Prima facciamo una tappa pizza?” Michelangelo aveva lo sguardo infantile.
“Mikey, sono le sei del mattino”.
“C’è forse un orario per la pizza?”.
“Sei il solito…”.
“Va bene, vada per la classica colazione” il più giovane sbuffò arreso. “Però la prepari tu!”.
“No, oggi tocca a te!”
“Ma cucino sempre io!”
“Appunto tocca a te”.
 
 
“Oggi mi son svegliato di buon umore… e la colazione l’ho portata io!” la voce catturò l’attenzione dei due che subito si voltarono.
Raffaello era arrivato alle loro spalle e li osservò a braccia incrociate.
“Raph, finalmente! Ti eri perso?” chiese Michelangelo.
“No scemo, sono andato a fare una commissione”.
“E che commissione potevi mai fare all’alba?” lo provocò Michelangelo in tono beffardo.
“Questa!” Raffaello gli lanciò un sacchetto di carta pieno di ciambelle.
“Oh non ci posso credere… cibo!!!!” esultò Michelangelo entusiasta correndo verso il tarta-furgone “sbrigatevi o le mangio tutte io!”.
“Non sbafartele tutte da solo o dopo te la vedrai con me!” gli urlò dietro il rosso.
 
Donatello rise a quella scena, le cose erano tornate alla normalità; qualcuno mancava, ma in un modo o nell’altro era sempre con loro.
“Mi aspetti Don? Saluto papà e Leo e arrivo”.
“Ti aspetto qui Raph” disse Donatello sorridendo.

Raffaello fece per andarsene, però si fermò. Prima di proseguire il suo cammino sentì il bisogno di dire qualcosa a suo fratello. Si strinse tra le mani il polso fasciato, come se dovesse chiedere scusa, tuttavia era consapevole che a Don non importava di questo.
“Senti Donatello, io…ecco… ti voglio bene”.
“Anche io Raph, con tutto il cuore”.

I due fratelli si abbracciarono forte.
Rotti, strambi, nascosti… loro erano pur sempre una famiglia e niente e nessuno al mondo li avrebbe divisi, nemmeno loro stessi.
La barriera di vetro era crollata in frantumi.
Donatello si lasciò andare in quella stretta calorosa mentre Raffaello sentì le lacrime del fratello bagnargli la spalla.
 
E dire che… la loro vita non se l’erano immaginata in quel modo.

Era pur sempre la loro magnifica vita.
 
 
   
 
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