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Autore: _Lightning_    30/09/2022    0 recensioni
Nessuna vacanza con Nathan Drake è mai soltanto una vacanza.
Elena Fisher, sua partner e compagna d'avventure, ormai lo sa molto bene. Eppure, si lascia comunque convincere da lui a partire per il Vietnam e la favolosa Baia di Hạ Long, dove mito, leggende e realtà si intrecciano tra le acque cristalline dell'arcipelago... e, dove ci sono leggende, ci sono anche tesori nascosti.
[pre-Uncharted 3 // post-Uncharted 2 // Shipwreck contest // stranded!AU]
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Fisher, Nathan Drake
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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1. Una nube non fa tempesta (forse)

 

 

La Baia di Hạ Long era una distesa di smeraldo liquido, con pennellate di bianco dove le onde si arricciavano sotto il vento afoso. Immensi pinnacoli di roccia ricoperti di fitta giungla si innalzavano dalle acque, svettando verso il cielo come dita di giganti sepolti sotto il mare.

Elena si sporse a prua della giunca che fendeva i flutti, aggrappandosi alla grande polena di legno a forma di testa di drago. La giunca virò all’improvviso a tribordo: una ciocca di capelli biondi le frustò il viso e goccioline d’acqua le picchiettarono il volto; alcune venivano dall’alto.

Alzando lo sguardo, notò i contorni plumbei delle nubi addensate sopra la giunca. Inspirò l’aria salmastra, pregna dell’impronta tropicale dei monsoni carichi d’ozono, poi si voltò verso il piccolo castello di poppa:

«Perché ho il sospetto che questa non sia una fuga romantica?»

Nathan, una zazzera di capelli castani seminascosta dal timone, si alzò sulle punte, sbucando oltre la finestra del gabbiotto:

«Perché, in fondo, speri che non lo sia?»

Elena alzò gli occhi al cielo, sopprimendo un sorrisetto.

«No, perché ti conosco troppo bene, e andare in Vietnam nella stagione dei monsoni non ha niente di romantico.»

Vide Nathan correre ai ripari dietro al timone, storcendo la bocca in un’espressione colpevole che sfumò nel silenzio.

Elena attraversò il ponte scivoloso della piccola giunca, entrò nella cabina di comando e si poggiò indolente al tavolino su cui era spiegata una carta nautica della zona. Incrociò le braccia al petto, facendo un cenno del mento verso Nathan, che si ostinava a fissare alternatamente bussola e timone, nascondendole gli occhi.

«Andiamo, cowboy, sputa il rospo.»

«Il drago, vorrai dire,» sogghignò Nathan, prima di bloccare il timone e decidersi ad abbandonare la farsa.

Elena alzò un sopracciglio con fare interrogativo, sapendo che il suo compagno aspettava soltanto il minimo accenno d’interesse per lanciarsi in una delle sue digressioni storiche, corredata da abbellimenti di leggende, miti e tesori perduti.

E non vedeva l’ora di ascoltarlo – altrimenti, perché l’avrebbe seguito fin lì?

Gli occhi azzurri di Nate si accesero di quella luce particolare, come se ci fosse qualcosa, dietro, a scintillare ogni volta che parlava di ciò che più amava fare al mondo: esplorare, scoprire, lanciarsi nell’ennesima peripezia.

Elena avrebbe potuto esserne gelosa, ma provò solo una punta d’emozione sincera, al pensiero che volesse condividere tutto questo con lei. D’altronde, senza l’ennesimo tesoro, loro due non si sarebbero nemmeno mai conosciuti... e innamorarsi di Nathan Drake voleva dire amare anche la sua sete d’avventura. E lei era certa di amare entrambi.

«Hai la mia attenzione, sono tutta orecchi.»

Nathan fa un altro sorrisetto e fu chiaro che non vedesse l’ora di rivelarle tutto.

«Allora... c’era una volta un drago, come in tutte le migliori storie,» cominciò, con uno svolazzo delle mani brunite dal sole. «Un drago molto irascibile che, invocato dall’Imperatore di Giada per aiutare in guerra il popolo vietnamita, discese dal cielo in una nube di fuoco proprio su questa baia, seminando distruzione tra le file nemiche.»

«Partiamo bene,» commentò Elena, inclinando appena di lato la testa.

«Ehi, non è colpa mia se dietro ogni tesoro c’è una storia sanguina—Ah, cavolo!»

«Tranquillo, mi era chiaro che ci fosse di mezzo un tesoro,» ridacchiò Elena, nel vedere la sua espressione afflitta per aver rovinato il colpo di scena. «Quindi... il drago discende dal cielo, salva i vietnamiti... poi?»

«Poi...»

Un brontolio improvviso scosse la giunca, rotolando dall’alto come una frana. Elena e Nathan puntarono in sincrono lo sguardo verso il cielo che, in quei pochi minuti, aveva assunto sfumature livide e quasi violacee, tingendo le acque smeraldine della baia di un verde cupo.

«Poi, probabilmente, è successo esattamente ciò che sta per succedere,» concluse Nathan, riprendendo in fretta il timone.

«Cioè, ritrovarsi in mezzo a una tempesta tropicale?» commentò Elena, mantenendo un tono leggero a dispetto del lampo accecante che illuminò il mondo, seguito da un altro boato da far vibrare le ossa.

«Beh, nelle leggende c’è sempre un fondo di verità... "drago" potrebbe essere una metafora per "tempesta", la "nube di fuoco" sono molti fulmini, e...»

Un’onda repentina si abbatté sulla fiancata della giunca, mandandola in rollio: Nathan si aggrappò al timone; Elena riuscì appena in tempo ad afferrare un salvagente appeso al muro per non finire gambe all’aria. Adocchiò un’altra onda, più grande, che si ingrossava appresso alla prima.

«Nate, lascia perdere le metafore!» esclamò, facendoglisi accanto. Trovò un appoggio stabile sulla sua spalla e su una maniglia del timone proprio quando la seconda onda impattò contro la giunca, insinuandosi oltre la bordata e spedendo spruzzi salini nella cabina di guida. «Portaci al riparo!»

«Ci provo!» ribatté Nathan, le braccia rigide nel mantenere la rotta contro la brezza tesa che era diventata un vento gonfio e burrascoso, con la repentinità tipica dei monsoni. «Dobbiamo raggiungere l’Isola di Mắt Rồng, l’Occhio del Drago.»

Elena lo fulminò con lo sguardo, non troppo stupita:

«Perché è un luogo sicuro o perché c’è il tesoro?»

«Beh, una cosa non esclude l’altr–»

Un’imbardata della giunca fece perdere l’appoggio a entrambi; a Nathan sfuggì di mano il timone, che roteò pericolosamente a vuoto in un mulinello.

Per svariati minuti, fu una lotta alternata tra loro e gli elementi, nel tentativo di portare la giunca verso uno dei migliaia di isolotti dell’arcipelago. La spinta combinata di vento, onde e corrente rendeva difficile persino mantenere dritta la giunca, figurarsi governarla in una direzione precisa.

Infine, la barca si ribellò del tutto alla loro volontà: s’inclinò da un lato sotto la spinta del vento, con le vele scarlatte che si tendevano allo stremo – finché uno schiocco ligneo non si fuse con l’ennesimo tuono. L’albero di prua collassò su se stesso, abbattendosi sul ponte e sbilanciando del tutto lo scafo.

«Chi diavolo ti ha venduto questa bagnarola?!» sbottò Elena, balzando ancora in piedi per riprendere il timone.

«Sully mi aveva assicurato che quel pescatore in pensione di Vung Viêng era un tipo affidabile!» ribatté Nathan, portandosi dietro di lei e piazzando le mani sulle sue per aiutarla.

«Pescatore in pensione?!»

Elena emise un verso esasperato, e lo guardò da sopra la spalla con espressione più temporalesca del monsone. Non ebbe modo di rimbeccarlo, né lui di difendersi, perché un improvviso schianto zittì entrambi. La giunca sussultò sotto di loro, per poi inclinarsi all’indietro e beccheggiare fuori controllo. La ruota del timone, d’un tratto, non oppose più resistenza, molle nelle loro mani.

«Oh, cavolo,» bofonchiò Nathan, sembrando per la prima volta preoccupato. «Quello non era...»

«Il timone, già,» confermò Elena, rassegnata, un attimo prima di udire un gorgoglio tetro. «E lo scafo, a quanto sento. Dev’essere stato uno scoglio.»

«Ma stiamo scherzando?» sbottò Nathan, staccandosi da lei e sparendo nella botola che portava sottocoperta.

«Nate?»

«Arrivo!»

La giunca, o quel che ne rimaneva, cominciò a sprofondare; il mare grosso la schiaffeggiava da ogni lato e il vento sferzava le vele, disarticolandole dalle steccature.

Elena corse fuori dalla cabina quando l’acqua iniziò a invaderla, combattendo contro l’inclinazione sempre più verticale del ponte e contro gli strascichi di pioggia che prese ad abbattersi su di loro, ingrigendo il mondo. No, non c’era speranza di poter in qualche modo mettere in salvo la giunca: stavano affondando, senza se né ma.

Non c’era una scialuppa di salvataggio, su quel trabiccolo?!

«Nate!» chiamò di nuovo, vedendo che tardava a riemergere.


Stava per fiondarsi a recuperarlo, quando lo vide sbucare dalla botola, affannato e coi pantaloni fradici. Si cacciò qualcosa in tasca. Un fulmine colpì l’albero maestro, a un palmo da lui, e Nathan accelerò per evitare il crollo e le lingue di fuoco che sibilavano sotto lo scroscio della pioggia.

«Direi che questo è il nostro segnale,» annunciò, afferrandole la mano.

Elena annuì e la strinse prontamente, seguendo la sua corsa verso la bordata della giunca.

«Abbandonare la nave!» gridò, prima di lanciarsi con lei fuoribordo, nell’acqua color smeraldo della baia.


 

   
 
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