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Autore: Federico    09/09/2009    2 recensioni
Come promesso, ecco il seguito di "Tutte le scialuppe in mare", completamente dedicato a Drakul Mihawk. Un giorno Occhi di falco e la sua ciurma incontrano uno strano vascello alla deriva, senza un equipaggio, ma abitato da strane presenze, e da quel momento inizia una serie di fatti inquietanti...Mi racomando, leggetela e fatemi sapere se vi piace, perchè la saga dei balenieri non è ancora finita!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Drakul Mihawk, Supernova
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga dei balenieri'
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Il vascello delle voci

 

Alla deriva

 

Oceano Atlantico,al largo dell’Inghilterra, 20 settembre 1835

“Ancora niente?” domandò gridando Drakul Mihawk “Occhi di falco”, il famoso baleniere.

Parlava inglese, perché il suo interlocutore non era norvegese, e non pretendeva che gli stranieri imparassero la sua lingua madre, in quanto difficile: sulla sua nave gli ordini erano sempre impartiti in entrambi gli idiomi.

“Nulla capo! Sembrano spariti!” replicò l’orientale portandosi la mano agli occhi, anche se il sole era completamente assente.

Apoo era un uomo alto e imponente dai tratti squadrati; aveva una grossa mascella, lunghe e forti braccia e una lunga treccia che spuntava dalla sommità del cranio, mentre indossava una tunica di seta colorata.

Veniva dalla Cina ed era ormai da tempo uno dei membri principali della ciurma di Occhi di falco; era simpatico e benvoluto, sapeva fare un po’ tutto e si esprimeva in un inglese sgrammaticato che faceva sbellicare dalle risate chi lo ascoltava.

Mihawk si girò e prese a percorrere a grandi passi il ponte della “Whale”, un veliero

longilineo e robusto, adatto a lunghi viaggi intorno al mondo, piuttosto veloce e maneggevole rispetto ad altre baleniere e caratteristico per le enormi vele nere, che più di una volta aveva indotto qualche osservatore a scambiarlo per una nave pirata.

Il comandante tamburellava sul legname gli stivali di pelle e si stringeva nel cappotto color cremisi, calcandosi in testa il cappello piumato per evitare che il vento glielo strappasse.

Agganciata al soprabito stava una lunga sciabola dall’impugnatura a due mani, grande quanto lui e preziosa per l’elsa cruciforme decorata con finte gemme e la mortale lama ricurva dipinta di nero.

Il giorno prima avevano avvistato fra i flutti un branco di enormi e pregiati capodogli che nuotava senza curarsi del pericolo; era cominciato un lungo inseguimento, ma dopo varie ore i cetacei si erano come volatilizzati e pinne e code lucenti erano spariti negli abissi.

Nello stesso tempo il tempo andava peggiorando, e si percepiva nell’aria la sensazione di una tempesta imminente.

Sin dall’alba il cielo aveva preso a scurirsi sempre di più, fino a diventare di una lugubre tinta che variava fra il grigio fumo e il nero; le nuvole erano fittissime e del colore della pece, la luce filtrava debolmente fra di esse, speranza di un futuro migliore, e l’oceano era divenuto buio e increspato dalla spuma, immobile, come se sotto la sua superficie si nascondessero innumerevoli mostri.

Il vento soffiava vigoroso, agitando la rossa bandiera della Norvegia in testa d’albero, eppure le onde erano piccole e si infrangevano senza danni sulle fiancate; allo stesso modo si avvertiva un’opprimente umidità ma non pioveva.

 Drakul si voltò e fissò i propri marinai che, intenti ai soliti lavori quotidiani quali pulire il ponte e controllare il cordame, lo scrutavano guardinghi.

“Ascoltatemi!” proclamò a voce alta. “E’ impossibile seguire le prede se le condizioni del tempo non migliorano, e c’è il rischio che si scateni una burrasca! Timoniere, rotta su Liverpool!”.

Ripeté l’annuncio in inglese, e con piacere notò che sul volto degli uomini infreddoliti e accigliati si dipingeva un’espressione di stupore misto a gratitudine.

Il pilota fece girare la ruota del timone e la “Whale” cambiò direzione, dividendo in due con la prua arrotondata le ondate, mentre i gabbiani gridavano attorno alla poppa.

“Stavolta abbiamo fallito, vero signore? Ma non preoccupatevi, la prossima volta il vento e le correnti ci saranno più propizi” commentò saggiamente il primo ufficiale.

Britannico di Bristol, Drake si distingueva subito fra i vari componenti della ciurma per il suo aspetto pittoresco: alto e slanciato, si vestiva sempre con pesanti abiti blu e portava lunghi guanti di pelle dello stesso colore perché freddo, acqua e incidenti non gli danneggiassero le mani.

Sulla testa era costantemente infilato un vecchio tricorno nero che copriva la faccia dell’uomo fino agli occhi per difenderli da luce e neve; il mento pronunciato era solcato da una profonda cicatrice, alla cintura teneva sempre appesa un’affilatissima sciabola d’arrembaggio con l’elsa in bronzo dorato.

Uomo inflessibile e apparentemente privo di emozioni anche nelle situazioni più estreme, sapeva farsi benvolere sia dall’equipaggio che dal capitano.

Nello stesso momento su una delle scialuppe che venivano usate per la caccia era seduto un altro tipo stravagante, intento a osservare con aria smorta ed enigmatica un mazzo di carte, circondato da affilati arpioni e lunghi remi.

Il viso e il petto erano ornati di tatuaggi inquietanti, mentre lunghi capelli biondi ricadevano sulle spalle coperto da un cappotto bianco stretto in vita da una cintura di lino da cui pendeva una spada.

Basil Hawkins era sempre stato eccentrico.

Di lui si sapeva solo che era scozzese e si vantava di poter predire il futuro attraverso quelle carte: gi uomini raccontavano un sacco di storie strane su di lui e se ne tenevano alla larga, ma ad ogni modo ciò non gli impediva di essere uno dei migliori ramponieri del mondo, pari certamente a portoghesi, polinesiani e americani della Nuova Inghilterra.

“Qualcosa di insolito avverrà” mormorò flebile esaminando il mazzo. “Nel futuro di alcuni di noi vedo la morte, morte crudele per via di ferro nemico, stregato”.

“Anche oggi hai esagerato col rum, eh Basil?” domandò Mihawk con finto sarcasmo, anche se nel profondo dell’animo quell’oscura profezia gli aveva instillato una certa inquietudine.

“Il nostro ramponiere gioca a fare il misterioso ma in realtà è semplicemente confuso, dico bene?” chiese Apoo sorridendo a trentadue denti.

Il fiociniere si avvicinò a lenti passi al cinese, quindi lo fissò negli occhi portando la mano all’impugnatura della sciabola e la estrasse per un terzo, sussurrando: “Il mio mazzo non sbaglia mai, e il tuo futuro è nero come il cielo in tempesta”.

Occhi di falco si inserì in mezzo alla disputa frapponendo le proprie mani, ma in quel preciso istante si udì il grido delle vedette che stazionavano sulle coffe per avvistare i cetacei.

Grazie alla propria notevole vista, il comandante poté scorgere a circa un miglio un battello che proseguiva apparentemente senza guida e senza alcuna lanterna accesa.

A occhio e croce l’imbarcazione misteriosa sembrava essere ben più alta e grossa della “Whale”.

Subito cominciarono a fioccare le supposizioni sulla natura del veliero.

Persino Drake, uomo notoriamente tutto d’un pezzo e poco incline a prestare orecchio alle leggende, fu colto da dubbi: “Una nave fantasma, senza equipaggio, condannata a vagare per i sette mari per l’eternità…L’Olandese volante?” si interrogò ricordandosi di quel vecchio racconto.

Anche se era improbabile che quella singolare apparizione potesse rappresentare una concreta minaccia, Drakul ordinò il posto di combattimento.

I marinai, tanto eccitati quanto spaventati, sguainarono i pugnali e staccarono moschetti e picche d’arrembaggio dai sostegni che li tenevano appesi agli alberi e alle fiancate.

“Forse sono pirati che tentano di adescarci con un trucco, oppure il loro equipaggio è stato sterminato dalle malattie…” mormorava il primo ufficiale nell’orecchio del capitano cercando una spiegazione logica, ma Occhi di falco non credeva che ne esistesse una.

Forse la morte tanto cupamente predetta da Hawkins si presentava loro sotto tali lugubri spoglie?

Aguzzando ancora la vista, il baleniere scorse una gran numero di decorazioni sui fianchi e sui ponti del veliero, tante da non saperle neanche quantificare, ma al contempo c’era qualcosa nella struttura del battello che gli risultava strana.

Con un cenno ordinò al membro più anziano della ciurma di avvicinarsi.

“Vecchio Olaf, che ne pensi? Hai mai visto una nave del genere?” gli domandò sottovoce in norvegese, appoggiandosi lo spadone su una spalla.

Il marinaio, un uomo basso e smunto con un benda sull’occhio destro e una guancia solcata da cicatrici, la pelle abbronzata e segnata dalle intemperie, si accarezzò il mento e disse: “Uhm…Credo di aver già visto un vascello simile su una vecchia stampa. Dovrebbe essere un galeone”.

“Un galeone!” pensò stupito Mihawk. “Un tipo di imbarcazione in disuso da almeno due secoli”.

Portando il megafono alla bocca si rivolse più e più volte agli eventuali occupanti della nave fantasma gridando in varie lingue o sparando colpi in aria: concluse che non c’era nessuno.

D’improvviso vide qualcosa luccicare sommessamente e si accorse con orrore che dalla murata del galeone facevano capolino una quindicina di grosse bombarde arrugginite e di fattura antica.

Temendo un assalto di pirati, diede disposizione di sparare: sottocoperta i marinai addetti spinsero polvere nera e palle di ferro nelle bocche dei cannoni e li misero in posizione.

“Fuoco!” gridò Mihawk abbassando di scatto la sciabola, e metodicamente le canne metalliche tuonarono una dopo l’altra, vomitando fiamme e sbuffi di denso fumo.

Lo strano veliero fu sventrato dalla bordata che fece volare da sotto il parapetto schegge lignee.

Dato che non ci fu risposta, il norvegese ne concluse che la nave era disabitata e si mise a osservarla in ogni dettaglio.

Era lunga circa una volta e mezzo la baleniera e molto più alta sulla superficie dell’oceano; gli alberi si ergevano dritti e ad essi erano fissati pennoni da cui pendevano nere vele strappate; la prua era molto più elevata del ponte ed era ornata con sculture di balene e squali; la poppa era della stessa altezza ed era decorata con teschi, ossa e tartaruga marine, mentre sulla sua sommità la statua

di un tricheco era affiancata da due delfini; le fiancate erano percorse da riproduzione di foche ed elefanti marini; sotto i parapetti si alternavano bassorilievi di granchi e conchiglie, in parte distrutti dalle cannonate, mentre i portelli dell’artiglieria rappresentavano bocche di pescecani e draghi.

“E’ impressionante! Sembra una cattedrale galleggiante!” commentò a bocca aperta Olaf, mentre Hawkins aggiunse: “Non ho mai visto nulla di simile…E’ bellissima”.

“Chi l’ha costruita doveva amare molto gli animali marini” notò Drakul che scrutava con il cannocchiale le insegne; sui quattro alberi sventolavano bandiere inglesi, scozzesi, spagnole, francesi, portoghesi, olandesi, turche, russe, danesi, tedesche, tutti vessilli di vari secoli prima, quando d’improvviso, senza che in coperta apparisse nessuno, qualcuno issò su tutti gli alberi bandiere nere con teschi e ossa: il Jolly Roger, il simbolo della pirateria.

Come se non bastasse, d’un tratto uno dei cannoni che fuoriusciva dalla prua del galeone si alzò meccanicamente e con un boato tremendo sparò: il proiettile seguì sibilando una traiettoria curva e sorvolò la poppa della “Whale”, atterrando in mare con uno spruzzo fragoroso.

Due pessimi presagi in pochi istanti, pensarono tutti, superstiziosi o meno.

“Se hanno fatto fuoco significa che quella bagnarola non è del tutto deserta” esclamò Occhi di falco, poi roteò un rampino e lo scagliò, facendolo impigliare intorno a un pennone e usandolo per saltare agilmente sull’altro vascello.

“Olaf, Drake, Apoo, Hawkins, con me! Voglio vedere cosa c’è sotto”.

I quattro suddetti lo raggiunsero in breve tempo, armati di spade e pistole per ogni evenienza.

“Io e Basil andremo a esplorare questa carcassa sottocoperta, voi restate all’entrata del boccaporto e avvertiteci se dovesse capitare qualcosa” spiegò concisamente, al che i tre di guardia sorrisero.

Il comandante e il ramponiere si calarono con una scaletta nell’apertura, finendo per essere inghiottiti dalle tenebre.

Entrambi alti, pallidi e pesantemente armati, chiunque li avrebbe potuti scambiare per gli spettri vendicativi di antichi bucanieri.

Il corridoi in cui camminavano era deserto e in apparenza in ordine: il legno era in buono stato di conservazione, gli oggetti metallici coperti da un velo di ruggine, mentre falle si aprivano ovunque.

Eppure era come se là intorno aleggiasse una fredda e malvagia presenza.

D’un tratto a entrambi sembrò di scorgere un figura guizzare nell’ombra, e Basil si avvicinò cauto con l’arpione in mano: aprì la porta e da questa gli piovve addosso un orribile scheletro ammuffito.

Lo scozzese trattenne a stento un grido e si scrollò di dosso quel mucchio di ossa, ragnatele e abiti consunti, quando si udì un altro rumore.

Davanti ai due volteggiava, avvolto da un alone biancastro simile a una fiamma, un antico archibugio puntato dritto verso di loro.

Un’invisibile mano premette il grilletto
  
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