Il
vascello delle voci
Alla
deriva
Oceano Atlantico,al
largo
dell’Inghilterra, 20 settembre 1835
“Ancora
niente?” domandò gridando
Drakul Mihawk “Occhi di falco”, il famoso baleniere.
Parlava
inglese, perché il suo
interlocutore non era norvegese, e non pretendeva che gli stranieri
imparassero
la sua lingua madre, in quanto difficile: sulla sua nave gli ordini
erano
sempre impartiti in entrambi gli idiomi.
“Nulla
capo! Sembrano spariti!”
replicò l’orientale portandosi la mano agli occhi,
anche se il sole era
completamente assente.
Apoo
era un uomo alto e imponente
dai tratti squadrati; aveva una grossa mascella, lunghe e forti braccia
e una
lunga treccia che spuntava dalla sommità del cranio, mentre
indossava una
tunica di seta colorata.
Veniva
dalla Cina ed era ormai da
tempo uno dei membri principali della ciurma di Occhi di falco; era
simpatico e
benvoluto, sapeva fare un po’ tutto e si esprimeva in un
inglese sgrammaticato
che faceva sbellicare dalle risate chi lo ascoltava.
Mihawk
si girò e prese a percorrere
a grandi passi il ponte della “Whale”, un veliero
longilineo
e robusto, adatto a
lunghi viaggi intorno al mondo, piuttosto veloce e maneggevole rispetto
ad
altre baleniere e caratteristico per le enormi vele nere, che
più di una volta
aveva indotto qualche osservatore a scambiarlo per una nave pirata.
Il
comandante tamburellava sul
legname gli stivali di pelle e si stringeva nel cappotto color cremisi,
calcandosi in testa il cappello piumato per evitare che il vento glielo
strappasse.
Agganciata
al soprabito stava una
lunga sciabola dall’impugnatura a due mani, grande quanto lui
e preziosa per
l’elsa cruciforme decorata con finte gemme e la mortale lama
ricurva dipinta di
nero.
Il
giorno prima avevano avvistato
fra i flutti un branco di enormi e pregiati capodogli che nuotava senza
curarsi
del pericolo; era cominciato un lungo inseguimento, ma dopo varie ore i
cetacei
si erano come volatilizzati e pinne e code lucenti erano spariti negli
abissi.
Nello
stesso tempo il tempo andava
peggiorando, e si percepiva nell’aria la sensazione di una
tempesta imminente.
Sin
dall’alba il cielo aveva preso
a scurirsi sempre di più, fino a diventare di una lugubre
tinta che variava fra
il grigio fumo e il nero; le nuvole erano fittissime e del colore della
pece,
la luce filtrava debolmente fra di esse, speranza di un futuro
migliore, e
l’oceano era divenuto buio e increspato dalla spuma,
immobile, come se sotto la
sua superficie si nascondessero innumerevoli mostri.
Il
vento soffiava vigoroso,
agitando la rossa bandiera della Norvegia in testa d’albero,
eppure le onde
erano piccole e si infrangevano senza danni sulle fiancate; allo stesso
modo si
avvertiva un’opprimente umidità ma non pioveva.
Drakul si voltò e
fissò i propri marinai che,
intenti ai soliti lavori quotidiani quali pulire il ponte e controllare
il
cordame, lo scrutavano guardinghi.
“Ascoltatemi!”
proclamò a voce
alta. “E’ impossibile seguire le prede se le
condizioni del tempo non
migliorano, e c’è il rischio che si scateni una
burrasca! Timoniere, rotta su
Liverpool!”.
Ripeté
l’annuncio in inglese, e
con piacere notò che sul volto degli uomini infreddoliti e
accigliati si
dipingeva un’espressione di stupore misto a gratitudine.
Il
pilota fece girare la ruota del
timone e la “Whale” cambiò direzione,
dividendo in due con la prua arrotondata
le ondate, mentre i gabbiani gridavano attorno alla poppa.
“Stavolta
abbiamo fallito, vero
signore? Ma non preoccupatevi, la prossima volta il vento e le correnti
ci
saranno più propizi” commentò
saggiamente il primo ufficiale.
Britannico
di Bristol, Drake si
distingueva subito fra i vari componenti della ciurma per il suo
aspetto
pittoresco: alto e slanciato, si vestiva sempre con pesanti abiti blu e
portava
lunghi guanti di pelle dello stesso colore perché freddo,
acqua e incidenti non
gli danneggiassero le mani.
Sulla
testa era costantemente
infilato un vecchio tricorno nero che copriva la faccia
dell’uomo fino agli
occhi per difenderli da luce e neve; il mento pronunciato era solcato
da una
profonda cicatrice, alla cintura teneva sempre appesa
un’affilatissima sciabola
d’arrembaggio con l’elsa in bronzo dorato.
Uomo
inflessibile e apparentemente
privo di emozioni anche nelle situazioni più estreme, sapeva
farsi benvolere
sia dall’equipaggio che dal capitano.
Nello
stesso momento su una delle
scialuppe che venivano usate per la caccia era seduto un altro tipo
stravagante, intento a osservare con aria smorta ed enigmatica un mazzo
di
carte, circondato da affilati arpioni e lunghi remi.
Il
viso e il petto erano ornati di
tatuaggi inquietanti, mentre lunghi capelli biondi ricadevano sulle
spalle
coperto da un cappotto bianco stretto in vita da una cintura di lino da
cui
pendeva una spada.
Basil
Hawkins era sempre stato
eccentrico.
Di
lui si sapeva solo che era
scozzese e si vantava di poter predire il futuro attraverso quelle
carte: gi
uomini raccontavano un sacco di storie strane su di lui e se ne
tenevano alla
larga, ma ad ogni modo ciò non gli impediva di essere uno
dei migliori
ramponieri del mondo, pari certamente a portoghesi, polinesiani e
americani
della Nuova Inghilterra.
“Qualcosa
di insolito avverrà”
mormorò flebile esaminando il mazzo. “Nel futuro
di alcuni di noi vedo la
morte, morte crudele per via di ferro nemico, stregato”.
“Anche
oggi hai esagerato col rum,
eh Basil?” domandò Mihawk con finto sarcasmo,
anche se nel profondo dell’animo
quell’oscura profezia gli aveva instillato una certa
inquietudine.
“Il
nostro ramponiere gioca a fare
il misterioso ma in realtà è semplicemente
confuso, dico bene?” chiese Apoo sorridendo
a trentadue denti.
Il
fiociniere si avvicinò a lenti
passi al cinese, quindi lo fissò negli occhi portando la
mano all’impugnatura
della sciabola e la estrasse per un terzo, sussurrando: “Il
mio mazzo non
sbaglia mai, e il tuo futuro è nero come il cielo in
tempesta”.
Occhi
di falco si inserì in mezzo
alla disputa frapponendo le proprie mani, ma in quel preciso istante si
udì il
grido delle vedette che stazionavano sulle coffe per avvistare i
cetacei.
Grazie
alla propria notevole
vista, il comandante poté scorgere a circa un miglio un
battello che proseguiva
apparentemente senza guida e senza alcuna lanterna accesa.
A
occhio e croce l’imbarcazione
misteriosa sembrava essere ben più alta e grossa della
“Whale”.
Subito
cominciarono a fioccare le
supposizioni sulla natura del veliero.
Persino
Drake, uomo notoriamente
tutto d’un pezzo e poco incline a prestare orecchio alle
leggende, fu colto da
dubbi: “Una nave fantasma, senza equipaggio, condannata a
vagare per i sette
mari per
l’eternità…L’Olandese
volante?” si interrogò ricordandosi di quel
vecchio racconto.
Anche
se era improbabile che
quella singolare apparizione potesse rappresentare una concreta
minaccia,
Drakul ordinò il posto di combattimento.
I
marinai, tanto eccitati quanto
spaventati, sguainarono i pugnali e staccarono moschetti e picche
d’arrembaggio
dai sostegni che li tenevano appesi agli alberi e alle fiancate.
“Forse
sono pirati che tentano di
adescarci con un trucco, oppure il loro equipaggio è stato
sterminato dalle
malattie…” mormorava il primo ufficiale
nell’orecchio del capitano cercando una
spiegazione logica, ma Occhi di falco non credeva che ne esistesse una.
Forse
la morte tanto cupamente
predetta da Hawkins si presentava loro sotto tali lugubri spoglie?
Aguzzando
ancora la vista, il
baleniere scorse una gran numero di decorazioni sui fianchi e sui ponti
del
veliero, tante da non saperle neanche quantificare, ma al contempo
c’era
qualcosa nella struttura del battello che gli risultava strana.
Con
un cenno ordinò al membro più
anziano della ciurma di avvicinarsi.
“Vecchio
Olaf, che ne pensi? Hai
mai visto una nave del genere?” gli domandò
sottovoce in norvegese,
appoggiandosi lo spadone su una spalla.
Il
marinaio, un uomo basso e
smunto con un benda sull’occhio destro e una guancia solcata
da cicatrici, la
pelle abbronzata e segnata dalle intemperie, si accarezzò il
mento e disse:
“Uhm…Credo di aver già visto un
vascello simile su una vecchia stampa. Dovrebbe
essere un galeone”.
“Un
galeone!” pensò stupito
Mihawk. “Un tipo di imbarcazione in disuso da almeno due
secoli”.
Portando
il megafono alla bocca si
rivolse più e più volte agli eventuali occupanti
della nave fantasma gridando
in varie lingue o sparando colpi in aria: concluse che non
c’era nessuno.
D’improvviso
vide qualcosa luccicare
sommessamente e si accorse con orrore che dalla murata del galeone
facevano
capolino una quindicina di grosse bombarde arrugginite e di fattura
antica.
Temendo
un assalto di pirati,
diede disposizione di sparare: sottocoperta i marinai addetti spinsero
polvere
nera e palle di ferro nelle bocche dei cannoni e li misero in posizione.
“Fuoco!”
gridò Mihawk abbassando
di scatto la sciabola, e metodicamente le canne metalliche tuonarono
una dopo
l’altra, vomitando fiamme e sbuffi di denso fumo.
Lo
strano veliero fu sventrato
dalla bordata che fece volare da sotto il parapetto schegge lignee.
Dato
che non ci fu risposta, il
norvegese ne concluse che la nave era disabitata e si mise a osservarla
in ogni
dettaglio.
Era
lunga circa una volta e mezzo
la baleniera e molto più alta sulla superficie
dell’oceano; gli alberi si
ergevano dritti e ad essi erano fissati pennoni da cui pendevano nere
vele
strappate; la prua era molto più elevata del ponte ed era
ornata con sculture
di balene e squali; la poppa era della stessa altezza ed era decorata
con
teschi, ossa e tartaruga marine, mentre sulla sua sommità la
statua
di
un tricheco era affiancata da
due delfini; le fiancate erano percorse da riproduzione di foche ed
elefanti
marini; sotto i parapetti si alternavano bassorilievi di granchi e
conchiglie,
in parte distrutti dalle cannonate, mentre i portelli
dell’artiglieria
rappresentavano bocche di pescecani e draghi.
“E’
impressionante! Sembra una
cattedrale galleggiante!” commentò a bocca aperta
Olaf, mentre Hawkins aggiunse:
“Non ho mai visto nulla di simile…E’
bellissima”.
“Chi
l’ha costruita doveva amare
molto gli animali marini” notò Drakul che scrutava
con il cannocchiale le
insegne; sui quattro alberi sventolavano bandiere inglesi, scozzesi,
spagnole,
francesi, portoghesi, olandesi, turche, russe, danesi, tedesche, tutti
vessilli
di vari secoli prima, quando d’improvviso, senza che in
coperta apparisse
nessuno, qualcuno issò su tutti gli alberi bandiere nere con
teschi e ossa: il
Jolly Roger, il simbolo della pirateria.
Come
se non bastasse, d’un tratto
uno dei cannoni che fuoriusciva dalla prua del galeone si
alzò meccanicamente e
con un boato tremendo sparò: il proiettile seguì
sibilando una traiettoria
curva e sorvolò la poppa della “Whale”,
atterrando in mare con uno spruzzo
fragoroso.
Due pessimi presagi in pochi istanti, pensarono tutti, superstiziosi o
meno.
“Se
hanno fatto fuoco significa
che quella bagnarola non è del tutto deserta”
esclamò Occhi di falco, poi roteò
un rampino e lo scagliò, facendolo impigliare intorno a un
pennone e usandolo
per saltare agilmente sull’altro vascello.
“Olaf,
Drake, Apoo, Hawkins, con me! Voglio vedere
cosa c’è sotto”.
I
quattro suddetti lo raggiunsero
in breve tempo, armati di spade e pistole per ogni evenienza.
“Io
e Basil andremo a esplorare
questa carcassa sottocoperta, voi restate all’entrata del
boccaporto e
avvertiteci se dovesse capitare qualcosa” spiegò
concisamente, al che i tre di
guardia sorrisero.
Il
comandante e il ramponiere si
calarono con una scaletta nell’apertura, finendo per essere
inghiottiti dalle
tenebre.
Entrambi
alti, pallidi e
pesantemente armati, chiunque li avrebbe potuti scambiare per gli
spettri
vendicativi di antichi bucanieri.
Il
corridoi in cui camminavano era
deserto e in apparenza in ordine: il legno era in buono stato di
conservazione,
gli oggetti metallici coperti da un velo di ruggine, mentre falle si
aprivano
ovunque.
Eppure
era come se là intorno
aleggiasse una fredda e malvagia presenza.
D’un
tratto a entrambi sembrò di
scorgere un figura guizzare nell’ombra, e Basil si
avvicinò cauto con l’arpione
in mano: aprì la porta e da questa gli piovve addosso un
orribile scheletro
ammuffito.
Lo
scozzese trattenne a stento un
grido e si scrollò di dosso quel mucchio di ossa, ragnatele
e abiti consunti,
quando si udì un altro rumore.
Davanti
ai due volteggiava,
avvolto da un alone biancastro simile a una fiamma, un antico
archibugio
puntato dritto verso di loro.