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Autore: Soul of Paper    09/10/2022    4 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 76 - Breccia


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Imma… Imma… Imma!”

 

Una voce lontana, poi un poco più vicina, sempre più vicina, fino all’urlo che squarciò il buio da cui era avvolta e, tutto d'un colpo, una luce l’accecò.

 

“Imma! Imma, mi senti?”

 

Non lo vedeva, ancora no, la vista che ondeggiava nei colori dell’arcobaleno, come se tra lei ed il resto del mondo ci fosse stato piazzato un caleidoscopio gigante.

 

Percepì però la mano che stringeva la sua e ricambiò, mentre finalmente quelle particelle multicolore si diradarono, lasciando il posto solo all’azzurro di due occhi che la guardavano con un terrore che la riscosse del tutto.


“Imma, mi senti? Riesci a sentirmi?”

 

“E come faccio a non sentirti se urli così, Calogiù!” esclamò, anche se le orecchie le fischiavano ancora un po’.

 

Sollievo negli occhi di Calogiuri, mentre di botto il panico la invase insieme a ricordi sparsi di nero, rosso, di polvere da sparo, che si fecero sempre più nitidi.

 

“Che è successo?! La bambina, io-”

 

“Tranquilla, Imma. Sei svenuta, ma non sei caduta a terra e… non dovresti aver preso colpi sull’addome. Per sicurezza Mariani ha chiamato la ginecologa, mentre cercavo di farti riprendere, e tra qualche minuto dovrebbe essere qui per visitarti, prima di andare.”

 

“In… in che senso, Calogiuri? Andare dove? In ospedale?” chiese, ancora confusa, guardandosi però un attimo intorno e notando i visi preoccupati di Mariani e… Mancini? Che ci faceva lì?

 

Ma, ripensandoci meglio, li aveva visti entrambi prima di notare-

 

Un conato di vomito e si sentì sollevare, un tessuto freddo sulla testa ed una bacinella di plastica tra le mani, mentre vomitava bile ed acqua.

 

Le sembrarono attimi eterni e allo stesso tempo brevissimi, prima che lo stomaco smettesse di contrarsi, quasi al ritmo con alcuni colpi nelle viscere che le fecero male e bene insieme.

 

“Si muove! Si muove, scalcia! E per una volta un po’ di casino te lo becchi pure tu, signorina!” esclamò, la mano sull’addome per tranquillizzarla, la risata di Calogiuri nella sua, gli occhi pieni di lacrime e non solo per lo sforzo.

 

Ed era così grande il sollievo di sentirla, viva dentro di sé, che quasi ignorò l’imbarazzo di essersi mostrata così debole davanti a tutti e-

 

“Francesco!” gridò - e altro che panico - almeno finché un “Im-ma” scandito in quel modo che la faceva sciogliere, un risolino ed un miagolio non raggiunsero le sue orecchie.

 

Vide Mariani abbassarsi e sollevare qualcosa - l’ovetto! - e dentro c’erano Francesco, che la guardava curioso, più bello del sole, ed Ottavia, che gli si era appollaiata addosso, quasi come per proteggerlo, e che alternava leccate alle manine di lui con miagolii rivolti a lei.

 

Altro che nodo in gola, mannaggia pure a lei!

 

“La dottoressa dice che tra cinque minuti dovrebbe esserci,” li informò poi Mariani, dopo aver poggiato l’ovetto sul divano, vicino a lei, con il suo solito sorriso rassicurante, anche se un po’ meno del solito, “poi possiamo prepararci per andare.”

 

“Ma… ma se tanto devo andare in ospedale, perché viene qui mo?”

 

“Non in ospedale, Imma, a meno che non sia necessario. Dobbiamo andare in un’altra casa, questa non è più sicura. Il dottore ne sta cercando una e-”

 

“De Luca la sta cercando in realtà. Lui e Ranieri stanno predisponendo tutto per il vostro trasferimento. Per ora dovrebbe essere un alloggio temporaneo, qua nella capitale. Poi… bisognerà valutare se… se non sia il caso che vi allontaniate di più, almeno per un po’. Ma, viste le sue condizioni, dottoressa, immagino che preferiate, se possibile, avere accesso alla vostra ginecologa di fiducia. Per questo le abbiamo chiesto di raggiungerci, insieme ad Irene. E poi troveremo un modo di organizzare le visite. Sperando, come ha detto il capitano, di poterle evitare il ricovero, visto che dovrebbe essere piantonata.”

 

“Ma come piantonata?! Ma quanto… ma per quanto sono stata incosciente?”

 

“Qualche minuto… cinque al massimo, ma… ma il dottore e Mariani sono stati davvero rapidissimi e si sono attivati subito, mentre ti prestavo soccorso. Non ti devi preoccupare e-”

 

“E lo sai che questa frase mi fa preoccupare almeno tre volte tanto, Calogiuri! Forse pure dieci stavolta. Cioè voi, belli belli, avete già deciso tutto qua, e io che sono? Un pacco postale? Questa è casa nostra e-”

 

“E non è più sicura, Imma. Lo sai anche tu. Come sono già stati qui torneranno. La porta andrà cambiata e dovremmo avere un plotone davanti all’ingresso per poter stare tranquilli, e forse non basterebbe nemmeno quello. Non che non ci toccherà comunque una scorta, ma-”

 

“La scorta?! Ma che stiamo scherzando? A me basti tu e-”

 

“Ma io non basto, Imma. Non questa volta. Ci è andata bene che… che forse voleva essere soltanto un avvertimento, o forse hanno capito che sarebbero arrivati i rinforzi, ma… la porta era a tanto così da cedere. E tu non devi avere stress e preoccupazioni in questi mesi: dobbiamo pensare a te, alla piccoletta, e anche a Francesco. Non possiamo correre altri rischi e traumi, lo sai.”

 

Cerco di deglutire, anche se quella specie di palla in gola non si spostava.

 

Aveva ragione. Razionalmente lo sapeva che Calogiuri aveva ragione. Ma l’idea di abbandonare quella casa, casa loro, il loro nido e rifugio per tanti anni bellissimi - nonostante tutti i problemi - e vivere come dei ladri in fuga… era come dargliela vinta a quei bastardi.


“Lo so a cosa stai pensando, dottoressa. Ma in questo momento, la più grande vittoria per Romaniello, i Mazzocca e gli altri sarebbe quella di… di…”

 

Non riuscì a finire la frase, ma non serviva. Gli aveva letto nel pensiero, così come lui a lei.

 

“Va… va bene…” riuscì solo a dire, la voce che le si spezzò, prima di una carezza sulla guancia e di trovarsi avvolta in un abbraccio che, nonostante tutto, aveva sempre il potere di tranquillizzarla.

 

Ce l’avrebbero fatta, insieme. Dovevano farcela.


Quanto era vero che si chiamava Imma Tataranni.

 

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“Eccoci qua…”

 

Fece passare per prima Imma, subito dopo a Mancini e Ranieri, e la seguì, l’ovetto in una mano e il trasportino di Ottavia nell’altra.

 

Chiudevano la fila Mariani, Irene, Ranieri e De Luca.

 

Si erano divisi su diverse auto ed avevano fatto infiniti giri per la capitale, finché finalmente si erano ritrovati lì, in un appartamento in pieno centro storico.

 

Al suo sguardo sorpreso, De Luca aveva spiegato che era zona di ambasciate e ministeri, quindi piena di agenti in incognito già di suo, e in più di turisti. La presenza di una scorta o di persone nuove non avrebbe dato nell’occhio come in altri quartieri. Certo, non avrebbero praticamente potuto uscire o quasi, ma di quello ne erano già consapevoli anche prima di lasciare la loro casa.

 

Ma sperava di poterci tornare, in un giorno non troppo lontano, quando l’incubo del processo sarebbe finito e tutti loro avrebbero potuto tornare a respirare.

 

L’importante ora erano Imma, Francesco e la bimba che, per fortuna, a sentire la ginecologa, stava benone.

 

Lo shock però era stato tanto ed avevano bisogno di una tranquillità che temeva davvero non avrebbero potuto avere, non prima che i Romaniello ed i Mazzoca fossero stati definitivamente condannati.

 

E forse nemmeno dopo.

 

“Se avete bisogno di qualsiasi cosa, noi siamo a disposizione,” offrì Mariani con un sorriso preoccupato.


“Sì, stiamo individuando una scorta tra i miei uomini più fidati e la predisporremo quanto prima. Fino ad allora io, Mariani e Ranieri faremo a turno e-”

 

“E noi dobbiamo concentrare tutte le energie sul maxiprocesso,” intervenne Imma, interrompendo De Luca, “è l’unico modo per sperare di uscire da questa situazione e-”

 

“Dottoressa, lei ha ragione, ma manca ancora tempo all’udienza, tra poco cominciano le vacanze estive e-”

 

“E chi ha tempo di pensare alle vacanze, dottore?!” esclamò, interrompendo Mancini, “qua altro che vacanze e-”

 

“Intendo dire le vacanze in procura e non solo. La città si svuoterà, inevitabilmente e… e, almeno per le settimane principali di agosto, sarebbe meglio se vi allontanaste da Roma, in un posto dove dare meno nell’occhio. Magari una località di mare, che sarà piena di turisti. Possiamo organizzare la scorta e-”

 

“E potreste venire a Bari o nei dintorni,” si inserì Ranieri, con un tono che voleva essere rassicurante ma risultava comunque teso, “possiamo trovare un alloggio lì. Così sarete vicini sia a Matera, dove avete dei contatti, sia ai miei di contatti e-”

 

“Ma certo!”

 

Era stata Imma a parlare: incrociò il suo sguardo che aveva quella decisione di quando aveva avuto un’intuizione geniale delle sue.

 

“Ho avuto un’idea. Forse folle ma… potrebbe funzionare,” spiegò, con quel sorrisetto che era la sua croce e la sua delizia.

 

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“Secondo te hanno capito?”

 

Sospirò, sollevandosi un attimo gli occhiali, mentre osservava Mariani guidare con la sua solita precisione.

 

“Non lo so. Immagino avessero altri pensieri per la testa. E poi chi conosce meglio Calogiuri sei tu.”

 

“Ma forse tu conosci di più Imma. Anche se è meglio che non ci penso troppo,” ironizzò lei, con un tono ed un’espressione che, se fosse stato lui al volante, avrebbe fermato la macchina per darle un bacio.

 

Forse anche più d’uno.

 

“Non lo so… Imma di solito capisce tutto ma… aveva molto altro a cui pensare. Piuttosto è il capitano che mi preoccupa. Lui era molto stranito quando ci ha visti, ed avrà avuto più tempo per riflettere."

 

“Ma Ippazio era preoccupatissimo per Imma e poi… e poi di solito lui è uno che lo capisci al volo. E, anche adesso che siamo andati via, non mi è sembrato sospettoso. Non per come lo conosco, almeno.”

 

“Speriamo… anche se… per come sono messi al momento… non potrebbero dirlo praticamente a nessuno. Quasi.”

 

“Secondo te quella di Imma è veramente una buona idea?”

 

“Non lo so… è un po’ rischiosa, Chiara, ma… ma effettivamente potrebbe funzionare. E della capacità di Imma di giudicare le persone mi fido molto.”

 

“A parte quando si trattava di Calogiuri,” lo punzecchiò di nuovo, facendogli la linguaccia, tanto che, non appena arrivarono al primo semaforo rosso, le afferrò il viso per restituirle il favore.

 

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“Davvero non ti posso nemmeno vedere?”

 

“Ma che ti sei ciecata o non ti funziona la telecamera, Valentì?”

 

“Mamma! Lo sai cosa voglio dire! Vederci di persona!”

 

Erano in videochiamata. Lei dall’appartamentino minuscolo in cui li avevano piazzati, Valentina dal suo monolocale.

 

“Meglio di no. Almeno per qualche tempo, forse fino all’udienza. Non voglio farti correre rischi inutili, Valentì, né a te, né a tuo padre, né a nessun altro.”

 

“Papà è preoccupato, mamma, e molto, ma-”

 

“Ma lui, Rosa e Noemi saranno ben sorvegliati, almeno per il periodo delle vacanze. Sia qua, sia a Matera. Chi mi preoccupa sei tu, Valentì!”

 

“Lo so, mà, ma… è proprio necessaria la scorta? Chi vuoi che ci vada in Inghilterra, in Scozia ed in Irlanda in questa stagione?”

 

“Dammi retta, Valentì, è meglio così. E poi dovrebbero essere agenti giovani, no? Magari fate pure amicizia.”

 

“Sì, come no!” sospirò di nuovo la figlia, mostrandole dal cellulare i due carabinieri - un ragazzo e una ragazza che sicuramente non avevano più di venticinque anni - impegnati a parlarsi fitto fitto.

 

Ma erano stati selezionati da De Luca e Ranieri, quindi dovevano essere in gamba.

 

“Dai, vi fate una bella vacanza prolungata, così festeggiate il diploma di Penelope e poi, quando le acque si calmano un poco, ci potremo incontrare. Non farmi preoccupare pure tu, va bene?”


“Sì, perché sono io che ti faccio preoccupare mo, mà. Non tu che ogni due minuti te ne succede una, e che mo c’hai pure quei bastardi che ti inseguono! Cerca tu di non farmi preoccupare e non fare di testa tua, come al tuo solito!”


“Senti chi parla! Mannaggia a te, Valentì, la prossima volta che ti becco…!” la minacciò con una mano alzata, seppure il sorriso ed il tono commossi la rendessero ben poco credibile.

 

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“Come?!”

 

“Mi dispiace, Melita, ma… ma non è sicuro, né per te né per lui. Quindi…”

 

“Ma quanti mesi starete via? Per quanto non potrò vederlo?!”

 

Era stato praticamente un grido - Melita aveva recuperato quasi del tutto almeno la voce - e Francesco, che le era in braccio e che stava cullando dopo l’ennesima canzone, si era messo a piangere dallo spavento.

 

O forse una parte di lui capiva e gli sarebbe mancata? Difficile dirlo.

 

Di sicuro però capiva benissimo la rabbia e la paura di Melita, dopo la visita improvvisata e veloce, seguita dall’annuncio che sarebbe stata l’ultima per un tempo indefinibile.

 

“Non lo so, Melì, non lo so e capisco come ti senti, ma-”

 

“Non credo che tu possa capire!” lo interruppe bruscamente, due lacrime che le rigarono le guance, mentre riprendeva a cullare Francesco, che continuava a piangere.

 

“E invece sì. L’idea di non vedere più Francesco… non sai quanto ci abbiamo pensato. O forse lo sai. E capisco che per te, che sei qua bloccata a letto e… con quello che lui significa per te… lo so che è dura. Ma… ma anche la DIA, la procura e l’assistente sociale ritengono che sia la cosa più sicura. Dopo che ci sarà l’udienza potremo stare più tranquilli. Forse anche prima e-”

 

“E, nel frattempo, magari lui si scorda di nuovo di me e perdiamo tutti i progressi fatti!”

 

Era disperata e la capiva, eccome se la capiva, anche se una parte di lui non avrebbe mai voluto lasciar andare Francesco, non dopo tutti i progressi che stava facendo anche con loro.

 

Ma Melita aveva solo lui, era tutto il suo mondo e glielo stavano togliendo un’altra volta.

 

“Possiamo fare delle videochiamate. Possiamo registrare la tua voce e fargliela sentire, fargli sentire te che canti. Ti prometto che non permetteremo che si dimentichi di te, va bene? E… e magari quando saremo più liberi noi, anche tu sarai più in condizioni di… di insomma… di potertene occupare meglio e di fare più cose con lui. Noi ti abbiamo fatto una promessa e non molliamo né te, né lui. Mi credi?”

 

Melita si morse il labbro, in un modo che gli ricordava sua sorella quando erano piccoli, ma poi annuì e scoppiò a piangere.

 

D’istinto, senza pensarci, l’abbracciò, mentre anche Francesco tra loro piangeva.

 

Forse era un’imprudenza, ma era sicuro che Imma, alla quale lo avrebbe ovviamente raccontato subito, avrebbe fatto lo stesso al posto suo.

 

E anche l’assistente sociale, che insieme a Mariani li spiava dalla finestra tra il corridoio e la stanza di terapia semi intensiva, gli fece un cenno di assenso.

 

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“Imma!”

 

Un mare di capelli neri davanti agli occhi ed un abbraccio che quasi la travolse, ma senza nemmeno sfiorarle la pancia.

 

Diana! - fu il primo pensiero, a parte Calogiuri, che era sempre così attento.

 

Ma quel profumo di gardenia, sicuramente costosissimo, non era della sua ex cancelliera e forse unica vera amica. E nemmeno quelle braccia più ossute, nervose quasi, che però la stringevano con dolcezza.

 

Era il sentimento che ci stava dietro ad essere simile, eppur diverso. E tutto stava in quella parola, sorellanza, che la spaventava molto e alla quale non era proprio abituata.

 

E però lì stava e a quel posto e a lei aveva pensato, nel momento del bisogno.

 

“Stai bene? Non sai quanto sono felice che tu abbia deciso di venire qui!”

 

Come se, al solito, le leggesse nel pensiero - quasi come solo Calogiuri riusciva a fare - Chiara si staccò e le sorrise, continuando però a tenerla per le spalle, mentre alternava lo sguardo tra i suoi occhi e la pancia sempre più prominente.

 

“Sta crescendo, eh? Tutto bene? Tu stai bene? Che immagino lo spavento che ti sei presa, che vi siete presi, e con la gravidanza proprio non ci voleva!”

 

“Sto bene. Stiamo bene,” la rassicurò, mettendosi una mano sulla pancia e sentendo, immediatamente, un calcetto di conferma, per fortuna non troppo forte, “la piccola calciatrice qua è tosta!”

 

“Ma… ma è una bambina?”

 

Il modo in cui la voce di Chiara si spezzò e gli occhi scuri si velarono di lacrime, la fecero sentire in colpa per non averla avvisata della scoperta. Non ci aveva pensato.


“Sì, sì, è una bambina. Tutte femmine qua! E pure con un bel caratterino, che te la raccomando!” confermò, percependo una mano sulla schiena e voltandosi per vedere Calogiuri che sorrideva, orgogliosissimo come sempre.

 

E poi lo vide abbassarsi leggermente verso l’ovetto nel quale il principino stava comodamente spaparanzato e pronunciare, “pure tu mica scherzi, vero, Francé?”


Non avrebbe mai saputo dire cosa la commosse di più. Se il tono di Calogiuri, se il risolino di Francesco ed il modo in cui allungò la manina per stringere un dito di lui, se lo sguardo sempre più adorante che gli riservava e che era ovviamente pienamente ricambiato.

 

“Insomma… un maschio e una femmina. Un po’ per uno. Ne avrete di lavoro da fare!”

 

“Eh… in realtà… bisogna vedere per quanto ce l’avremo ancora con noi, il signorino. Anche se… col fatto della protezione… abbiamo dovuto stoppare le sue visite con la madre biologica. Forse fino all’udienza. Quindi…”

 

Deglutì, mentre coglieva nel tono di Calogiuri sia il dispiacere che il senso di colpa. Per via della gravidanza e del fatto che fosse meglio evitare di andare per ospedali, gli aveva dovuto delegare le visite a Melita. E non doveva essere stato facile per lui. Le venne un moto di tenerezza, a ricordare il modo preoccupato con il quale le aveva confessato di aver abbracciato Melita piangente.

 

Lo aveva proprio terrorizzato nei mesi del distacco tra loro e da un lato meglio così… dall’altro… le sembrava così sciocco col senno di poi temere Melita o chiunque altra, quando lui dimostrava ogni giorno non solo a lei, ma anche a Francesco e alla loro piccolina, di chi fosse perdutamente innamorato.

 

E lo sembrava ogni giorno di più, mannaggia a lui, pure se le pareva impossibile. Ma, del resto, anche per lei era lo stesso ed era una cosa inspiegabile, che andava ben oltre quella familiarità che veniva con il tempo, la convivenza e mo il dividere la responsabilità di un bambino e della gravidanza.

 

“Comunque, sono davvero felice che tu abbia accettato l’invito, anche se in circostanze non proprio felici. E che ti sia fidata a venire qui.”

 

Le parole di Chiara la riportarono alla realtà e cercò di ricambiare il sorriso luminoso che le stava rivolgendo, anche se le toccò confessare, toccandosi la fronte, “in realtà… in realtà ammetto che… che è anche perché credo che sia l’ultimo posto nel quale ci verrebbero a cercare. Insomma… come diceva Poe… se vuoi nascondere qualcosa, devi tenerla bene in vista. Però-”

 

“Però sei qua. E questo conta. E che ti fidi di me!” la interruppe Chiara, per nulla offesa, con un altro sorriso, e si sentì afferrare per un braccio e condurre verso il salone principale, “io posso andare e venire da Matera e da Roma, non ti devi preoccupare, non starò sempre qua tra i piedi e-”

 

“Ma no, Chiara, questa è casa tua e mica ti vogliamo cacciare, no! E poi è così grande che, volendo, potremmo pure non vederci mai. Io… lo sai che non sono molto socievole ma… ma credo che possiamo convivere tutti tranquillamente per il tempo necessario. Poi, se invece non ti senti sicura, per via delle mie circostanze, e se non vuoi rimanere qua insieme alla scorta che ci hanno appioppato, lo capisco.”

 

Chiara, come lei, rivolse lo sguardo ai carabinieri che erano stati loro assegnati, che stavano portando i bagagli ed occupandosi di mettere ancora più in sicurezza il casale.


“Ma no, figurati. A me fa solo che piacere avere un poco di compagnia. E poi… e poi non lascerei i cavalli per troppo tempo da soli. Ma magari potete occuparvene anche voi, no?”

 

“I cavalli con la gravidanza forse non sono una buona idea…” intervenne subito Calogiuri, apprensivo come non mai, specie dopo lo scampato pericolo.

 

“Ma mica da cavalcare. Poi ormai sono tranquille, anziane. E sono sensibilissime, come tutti gli animali: sicuramente percepiranno la gravidanza e possono aiutare a rilassare davvero tanto. Sono meglio di una terapia.”

 

Il meooooooowwww un poco offeso ed incazzoso di Ottavia, dal suo trasportino, li fece scoppiare a ridere.


“Che fai la gelosa pure tu, mo, Ottà? Tu rimani la migliore terapia, tranquilla, almeno quando non scassi tutto lo scassabile peggio di papà tuo.”

 

Un altro meeeeowwww indignato e Calogiuri si abbassò del tutto per liberarla ma lei, per tutta risposta, le salto in braccio e ci si rifugiò, peggio di Francesco.


Del resto, era tutto nuovo per lei. E per loro.

 

“Tranquilla, Ottà, dopo ci facciamo un bel giro della casetta qua. E poi cerchiamo di capire come fare coi cavalli, a parte che dubito che vorrai uscire.”

 

“In ogni caso sono abituate coi randagi della zona. Sono docilissime, veramente, sono sicura che andranno d’accordo.”

 

“Eh, ma lei non è docilissima, per niente.”

 

“Da qualcuno avrà pure preso…” scherzò Chiara, sempre più divertita, “e comunque… comunque riguardo alla convivenza… di sicuro dovrò andare almeno qualche giorno a Roma da Andrea. E non solo per lasciarti più tranquilla, ma perché… c’è una novità.”

 

“Una novità? E cioè?” chiese, preoccupata, che di solito le novità dei Latronico non erano buone.

 

Chiara però sorrise in un modo, se possibile, ancora più luminoso, che le ricordava i sorrisoni di Valentina da piccola, estrasse il cellulare da una tasca e, dopo averci armeggiato un poco, le mostrò una foto.


“Ma… ma…”

 

Era Barbara Spaziani ed era chiaramente incinta. Non al mese che era lei, ma non doveva esserci poi così tanta differenza, a giudicare dalla pancia nuda e mostrata con orgoglio sotto ad una maglietta sollevata, probabilmente per la foto da mandare a-

 

“Sì, divento nonna. Mi fa ancora un po’ effetto a pensarlo ma… ne sono molto felice. E quindi sto cercando di andare a Roma il più possibile, per godermi un po’ la gravidanza e dare una mano se serve. Andrea è felicissimo, dovresti vederlo!”

 

“E non mi ha detto niente!” esclamò, non riuscendo però ad essere risentita, perché capiva benissimo la discrezione nei primi mesi.

 

E ora, forse, anche quanto si era infervorato su tutto il discorso su Salvo e sulla paternità.

 

“Sì, però mi ha detto di avvisarti e… volevano venire qua a trovarci, originariamente, ma… viste le tue circostanze, immagino sia meglio di no. Però, quando sarai più libera, mi prometti che facciamo un bel ritrovo di famiglia? Anche dopo che nasceranno e-”

 

“Ma sanno già il sesso?”

 

“No, e non lo vogliono sapere. Dicono che vogliono che sia una sorpresa.”

 

“Contenti loro… comunque ne sono molto felice per te e per loro, davvero. Anche se… se mi fa un po’ strano immaginare che mia figlia e… e un mio pronipote saranno praticamente coetanei.”

 

“E che vuol dire? Che sei ancora giovane tu e in formissima. Te lo puoi permettere eccome! Beata te!”

 

Forse era solo la sua immaginazione ma, dietro al sorriso e all’abbraccio, percepì come una nota malinconica.


E si ripromise di fare ciò che sapeva fare meglio: indagare.

 

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“Tutto bene? Non dirmi che ti annoi. Anche se in effetti Camden Town è più per me come zona.”

 

Sospirò, addentando un altro morso dell’ottimo hamburger che avevano preso e bevendo un sorso di birra, sedute su una panchina, mentre i due della scorta mangiavano in piedi poco distante.

 

In effetti Penelope aveva fatto molto più shopping di lei, ma non era quello il punto. E nemmeno avere i due angeli custodi sempre presenti.

 

Prese il cellulare e lo mostrò a Penelope: l’ennesimo articolo su sua madre, con tanto di foto rubata, per fortuna a Roma e prima che fosse messa sotto scorta, mentre scappava da casa sua.

 

E se i fotografi probabilmente erano stati avvertiti da gente in combutta con quelli dell’agguato, la cosa peggiore erano gli articoli che accompagnavano le foto e che circolavano online, per non parlare dei commenti sotto gli articoli.

 

Gente che si prendeva la briga di criticare sua madre per come fosse sfatta - che voleva vederli loro all’alba dopo una notte insonne e con un risveglio del genere - che sottolineava la differenza d’età con il giovane capitano dell’arma - nella versione migliore - o il giovane toyboy, nella peggiore.

 

Per non parlare di quelli che ipotizzavano su quanto fosse in là con la gravidanza, in base all’ampiezza della pancia, o quanti chili avesse preso o, ancora peggio, se il feto, così lo chiamavano, fosse in salute.

 

E poi c’erano i peggiori, quelli che pontificavano sull’opportunità di una gravidanza a quell’età, su come sua madre fosse un’irresponsabile per aver cercato una gravidanza, mettendo a rischio il bambino, sia con la sua età che con il suo lavoro. Come se fosse colpa sua se qualcuno cercava di attentare alla sua vita.

 

L’articolo in questione era proprio uno di quelli, sparato su un social, con sotto una sfilza di commenti di mammine indignate, a sottolineare quanto loro fossero virtuose e la sua degenere. Più i soliti commenti dei maschi, di solito over quaranta, che scrivevano il peggio su Calogiuri, nemmeno avesse rubato la loro di moglie, e che gli davano dello scemo per essersi fatto incastrare - anche se alcuni poi davano della scema a sua madre che avrebbe dovuto non solo mantenere il bimbo, ma pure il toyboy carabiniere a vita.

 

“Vale, lo capisco che ti dà fastidio. Ma devi ignorarli. Lasciali parlare.”

 

“E che cosa risolvo, eh? Ormai sono settimane che si sa che mamma è incinta e questi continuano. Va bene che in questa estate di notizie sui vip veri ce ne sono state poche e quindi si devono sfogare… che dove stanno un divorzio milionario dove volano stracci e orologi di lusso, o le corna di qualche influencer quando servono? Ma mo basta. Voglio fare qualcosa.”

 

“E che vuoi fare, Vale? Non dobbiamo far sapere dove siamo, lo sai, e inoltre questa roba continuerà a circolare, che tu lo voglia o no.”

 

“Voglio farli vergognare un po’. Se non i frustrati che scrivono a gratis, almeno gli idioti che lo fanno a pagamento. Spero scarso, visto come scrivono, che il cognome di Calogiuri lo avrà azzeccato uno su cinque, forse, che nemmeno le sorpresine negli ovetti. A parte gli strafalcioni di grammatica, che a mia madre piglia un colpo solo per quelli, manco per il contenuto.”

 

Penelope sorrise e sospirò, mangiando l’ultimo boccone dell’hamburger e scuotendo il capo con un “quando fai così sei uguale a tua madre!” che non avrebbe saputo se prendere come un complimento o un insulto.

 

Ma aveva un piano: doveva solo trovare il tempo di realizzarlo, tra un’escursione e l’altra. Cosa non facile visto che, anche quando rientravano presto, Penelope aveva sempre argomenti molto convincenti con cui distrarla.

 

Per fortuna.

 

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“Mi sembra che si sia un poco calmato. Anzi, che si siano un poco calmati.”

 

Sorrise, perché non si riferiva certo alle cavalle - che non solo erano femmine ma davvero sante, per come si lasciavano pulire e spazzolare senza il minimo nitrito di protesta - ma a Calogiuri e Francesco, che avevano smesso da poco il primo di guardarle preoccupato, il secondo di piangere.

 

Una delle cavalle che non stavano pulendo, per fortuna, aveva preso in simpatia Francesco, nonostante i suoi lamenti dovessero essere un tormento per le sue povere orecchie. A dispetto del senso di conservazione, si era avvicinata per annusarlo e farsi dare un po’ di carote da Calogiuri. Francesco, piano piano, aveva osato accarezzarla e mo sembrava felice come una pasqua.

 

Ottavia invece, mica scema, non era ancora mai uscita dal casale, dopo aver passato i primi due giorni praticamente attaccata a lei, non capiva se per proteggere se stessa, lei o entrambe le cose insieme.

 

E manco ci stavano le oche!

 

“Eh… almeno loro…”

 

“Dovresti provare a rilassarti un po’ anche tu, Imma. Possibile che neanche questo faccia effetto?”

 

“Non lo so… è già tanto poterlo fare senza avere Calogiuri col fiato sul collo, che mi implora di restare seduta e non fare sforzi. Per fortuna che sei medico, guarda: a sapere ti chiamavo prima!”

 

Chiara rise ma rispose semplicemente, “quando vuoi!” continuando con la spazzolata.

 

Le avrebbe dovuto fare un monumento perché, ogni volta che Calogiuri esagerava con le preoccupazioni, interveniva lei con la scienza, sottolineando cosa fosse effettivamente rischioso e cosa invece poteva essere addirittura benefico per la tranquillità della madre e della nascitura e per il corretto sviluppo del legame emotivo con la bambina ed il suo benessere psicofisico.

 

E Calogiuri, come sempre rispettoso verso chi ne sapeva più di lui in qualche campo, aveva ceduto di fronte ai dati snocciolati da Chiara.

 

Imma si chiedeva, essendo la… sorella - le faceva sempre strano anche solo pensarlo - oculista e non ginecologa, se alcuni di quei numeri e di quelle scoperte se li fosse inventati di sana pianta o come fosse così aggiornata in materia. Se si era fatta qualche lettura solo per lei e la bambina, magari. In ogni caso, il monumento rimaneva meritato, pure se non se lo poteva permettere.

 

“Comunque sei fortunata, Imma. Anche se è un po’ troppo apprensivo. Ma sarà un papà meraviglioso, anzi, lo è già. E non ho mai visto un uomo innamorato di una donna come lui di te. Ti guarda come se fossi più che una divinità.”

 

Percepì il calore sulle guance, anche se ne era consapevole pure lei di che fortuna sfacciata avesse avuto a vedersi assegnato il giovane appuntato Calogiuri, ormai tanti anni prima. Che di Calogiuri al mondo uno ce ne stava, anzi, pure che ce ne fosse uno già era un miracolo che andava contro ad ogni legge sulle probabilità.

 

“Lo so che sono fortunata, lo so bene. Anche se, con questa gravidanza, ogni tanto mi fa saltare i nervi, Calogiuri è la cosa più bella che mi sia mai capitata. A parte Valentina e la piccoletta qua, si intende, ma-”

 

“Ma è diverso. Lo so. Per quanto amo immensamente i miei figli ma-”

 

“Ma non hai mai pensato di trovarti un altro compagno? Di rifarti una vita? Tu dici di me, ma anche tu sei ancora giovane - per quanto possiamo esserlo io e te - e sei una bellissima donna, elegante, distinta, gentile, non ti manca niente proprio. E, se ha trovato qualcuno che la sopporta una scassambrella come me, figuriamoci tu!”

 

“Il problema non è trovare qualcuno, Imma. Il problema è… è riuscire a fidarsi. E gli uomini forse mi hanno deluso troppo, fin dalla nascita.”

 

Il tono di Chiara era amaro, amarissimo e lo capiva, la capiva. Tra il padre, il fratello e quello che poi era successo con il suo matrimonio… mica era facile.

 

“Senti, come sai, io sulla fiducia sono messa pure peggio di te. Che… che, fino anche solo a qualche mese fa, non avrei mai pensato di poter stare qua a parlare così con te. Ma è successo e… e non sta andando poi così male, no?” le toccò ammettere, perché Chiara con i suoi sorrisi, i suoi silenzi rispettosi e schivi, ma anche il suo umorismo ed il suo essere così affettuosa, era una specie di strano misto tra una Diana senza i decibel di troppo e Calogiuri se non fosse stato innamorato di lei, fosse nato donna ed avesse studiato da ragazzo.

 

Che il solo pensiero le dava i brividi e non piacevoli ma… ma il carattere di Chiara funzionava bene con il suo, le era quasi complementare, pur essendo anche lei una donna forte, su quello non aveva dubbio alcuno.

 

“No, non è così male. E sono molto felice che… che tu abbia deciso di darmi una possibilità, Imma. Anche se lo so che la strada è ancora lunga.”

 

“E anche io… diciamo che non mi sono pentita di avertela data la possibilità. Ma anche tu dovresti dartela, non con me, intendo, che su di me sei stata persistente in un modo che mi fa pensare che la testa dura non l’ho presa solo da parte di madre. Ma anche con gli uomini… finché non fai un passo e non ti lasci un poco andare, non lo sai cosa può succedere. Può andare male, sì, ma magari anche quello può andare meglio di come credi, no?”

 

“Forse…” la vide sospirare, mentre finiva di levare il crine in eccesso dalla spazzola.

 

“Non che tu abbia bisogno di un uomo, è chiaro, anzi, ma… si vede che un po’ ti manca e… e con tutte le occasioni che ci possono essere: mo magari che vai a Roma più spesso… di sicuro qualcuno interessante e alla tua altezza lo puoi trovare, no?”

 

“Eh… magari… tipo il tuo procuratore capo, Mancini, no? Non è mica male!”

 

Per poco non si strozzò con la saliva e le venne da tossire un paio di volte. Per fortuna la cavalla rimase docile e fece segno a Calogiuri con una mano di non preoccuparsi e di restare dov’era.

 

Chiara, che le stava dando un paio di colpetti sulla schiena, rideva.

 

“Sto scherzando, Imma. Figurati se corro appresso a uno che non solo era innamorato di mia sorella, ma forse lo è ancora.”

 

Mannaggia a lei, mannaggia, che la percettività era di famiglia e pure la propensione allo sfottimento e-

 

E fu in quel momento, con quel pensiero, che un qualcosa di indefinito le si fece improvvisamente chiaro in testa.

 

Non sapeva se essere più preoccupata o più sollevata, se quello che pensava era vero. Ma tutto avrebbe avuto improvvisamente molto più senso, gli elementi combaciavano e si incastravano alla perfezione.

 

E quando succedeva, non era quasi mai una coincidenza.

 

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“Che fai? Non vieni a letto?”

 

Penelope le si era appena piazzata davanti, in un pigiamino stile punk che aveva preso a Camden e che era un’enorme tentazione.

 

Ma prima c’era una cosa più importante da fare.

 

“Ancora qualche minuto, sto finendo di scrivere.”

 

“E a chi?” chiese Penelope, e il retrogusto di gelosia in quelle parole, da lei che era sempre così easy, le fece segretamente piacere.

 

“A tutti,” rispose e, allo sguardo interrogativo di Penelope, le mostrò il lungo post che stava rileggendo.

 

Sono disgustata, non solo come figlia ma come donna, di continuare a leggere articoli su mia madre, dove si parla di lei soltanto per il gossip e come se fosse un fenomeno da baraccone o un’irresponsabile.

Io sono orgogliosa di mia madre, orgogliosissima, esattamente per com’è, anche se il suo carattere forte a volte ci ha fatto e ci fa discutere. Ma non la cambierei mai per nulla al mondo: sono felice di avere avuto e di avere un esempio come lei. Di una donna che non ha mai rinunciato ad essere se stessa, alla sua idea di femminilità e alla sua felicità. Una donna che ha avuto il coraggio di fare scelte controcorrente e scomode, per essere onesta con se stessa e con quello che sente. Ma, soprattutto, una donna che lavora instancabilmente da quando era ragazzina e faceva i turni in fabbrica per potersi permettere di studiare. E lavora così bene da far paura a tanta gente che, pur di fermarla, la perseguita e la minaccia anche adesso che è in gravidanza.

E voi giornalisti e leoni da tastiera, invece di parlare di questo, di questa vergogna vera, invece di supportarla e di scrivere degli enormi risultati che ci sono stati nei processi che ha portato avanti, vi preoccupate solo se avrà fatto l’inseminazione o meno, se l’ovulo è il suo o no, se lo crescerà bene, se si mette i tacchi un centimetro troppo alti, o se si veste in modo troppo appariscente, o se si trascura troppo, di quanto è grossa la sua pancia e di quanti mesi sarà.

Perché è a questo che siamo ridotte noi donne: a un ventre. Quando non siamo un oggetto sessuale, ma pur sempre un oggetto, un’incubatrice.

Il peggio è stato leggere tutte le donne che continuano non solo a permetterlo, ma a far parte di questo meccanismo e ad alimentarlo, invece di pretendere di essere viste come persone.
Quando riusciremo a liberarci da questo maschilismo che ci è stato inculcato? Quando potremo parlare di una donna come faremmo per un uomo, per il suo valore e non solo per la sua estetica o la sua morale?

 

“Ammazza, Vale!”

 

“Non ti piace? Pensi che sia troppo?” le domandò, un po’ preoccupata, perché aveva scritto di getto, senza tanto pensarci.

 

“No, no, anzi, è bellissimo. Tu sarai orgogliosa di tua madre ma… ma dovresti esserlo di te stessa. Io lo sono.”

 

Si trovò stretta in abbraccio di quelli che solo Penelope le sapeva dare e che le trasmise la forza necessaria per staccarsi, pigiare l’icona di invio e pubblicare il tutto.

 

“E mo, possiamo pure andarcene a letto,” proclamò, mollando il cellulare sulla poltrona e trascinando Penelope, che rideva, fino all’angolo del materasso, per poi buttarcela sopra e metterla a tacere con un bacio.

 

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“Ecco qua. Mi raccomando, la pancia-”

 

“Ho il costume intero, Calogiù, e non sarai una di quelle sciroccate su internet, che pensano che la bambina possa bollire dentro la pancia se sto al sole.”

 

L’espressione terrorizzata di Calogiuri fece scoppiare a ridere sia lei che Chiara, che scosse il capo e si affrettò a precisare, “non succede niente, Calogiuri. Poi in acqua staremo al fresco e le hai messo così tanta protezione solare che le ci vorranno tre docce per toglierla.”

 

Calogiuri divenne più rosso che se si fosse ustionato, mentre lei lo abbrancò per il braccio con un “vieni qua!” e ricambiò il favore, distribuendogli la crema sulla schiena con enorme accuratezza, volutamente.

 

Che soffrisse un poco pure lui!

 

Calogiuri, più bordeaux dell’uva americana, si allontanò leggermente da lei e Chiara, che ancora sorrideva, per andare ad osservare il piccoletto che riposava sotto l’ombrellone e coperto da un altro ombrellino più piccolo, come un pascià.

 

“Vuoi una mano per la schiena anche tu?” si offrì poi Imma con Chiara, che fece uno sguardo molto sorpreso ma annuì.

 

Era un poco strano quel contatto fisico, effettivamente, ma a parte Calogiuri - che la crema era autorizzato a spalmarla solo a lei e agli infanti - c’erano soltanto gli uomini della scorta, che li avevano accompagnati, nonostante fossero su una spiaggia praticamente privata, vicina alla cascina e poco conosciuta.

 

“Vi ho portato qualcosa da bere e-”

 

Il ragazzo della scorta, con le lattine in mano, si interruppe ed abbassò gli occhi verso la sabbia, imbarazzato, visto che lei aveva slacciato il retro del costume di Chiara per distribuire meglio la crema.

 

Le ricordò un poco Calogiuri la prima volta che la vide in spiaggia. Ma lui era alto e moro, sì, ma con gli occhi scurissimi e, nel giro di qualche giorno al sole, era pure diventato abbronzatissimo. E poi aveva sì un marcato accento ma calabrese, catanzarese per la precisione, se non aveva sentito male.

 

“Tranquillo, puoi pure lasciarle qua. Ma grazie mille, non ti dovevi disturbare,” rispose Chiara con un sorriso, anche se notava che anche lei fosse un poco in imbarazzo, forse vista la sua posizione, in tutti i sensi.


“Figuratevi! Ah, dottoressa, vi ho anche trovato due gonfiabili, che ho sentito che li volevate, e poi un galleggiante per il bambino. Ha anche la protezione dal sole e ho verificato che fosse a norma per i dodici mesi. Ho preso una pompa per gonfiarli e si sta ricaricando. Appena sono pronti ve li porto.”

 

Ammazza, che efficienza! - pensò e notò con la coda dell’occhio che Calogiuri, però, ne parve un poco poco infastidito, il suo gelosone preferito, e lo guardava letteralmente di traverso.

 

Lo riprese per il polso e lo fece sedere accanto a lei sull’asciugamano che copriva la stuoia, piantandogli un bacio sulle labbra e godendosi il suo ancora maggiore imbarazzo, per non parlare di quello dell’altro giovane carabiniere.

 

Che infatti si dileguò, ma tornò dopo poco con un vassoio con su un sacchetto di carta chiuso e dei bicchierini di plastica pieni di un liquido lattiginoso marrone chiaro e ghiaccio che riconobbe come-

 

“I caffè alla leccese, nel suo non ho messo lo zucchero, dottoressa, che mi pare che non lo gradisce,” proclamò, rivolgendosi a Chiara che gli sorrise annuendo, “per la dottoressa Tataranni invece decaffeinato. E poi vi ho preso i pasticciotti. Per la dottoressa Tataranni l’ho chiesto ben cotto. A lei invece l’ho preso con crema e amarena, giusto?”

 

“Che memoria! Ma facevi il cameriere prima di fare il carabiniere?” gli sorrise Chiara, colpita da tutte quelle premure.


“No, no, in realtà no,” si imbarazzò un po’ il ragazzo, in un modo che le ricordò di nuovo Calogiuri, almeno fino a che, dopo essersi allontanato con un “con permesso!”, lo beccò diverse volte a guardare Chiara e soprattutto il costume di Chiara in un modo che il Calogiuri dell’epoca non si sarebbe mai permesso. Non solo, manco gli sarebbe venuto in mente, ingenuo com’era, anche se l’occhio sul famoso costume azzurro gli era caduto. Ma su di lei a quei tempi ancora no.

 

Qua invece… il ragazzo pareva essere più sveglio, anche se, almeno, non era uno sguardo viscido, ma sicuramente interessato.

 

Così, quando il carabiniere tornò con i gonfiabili in braccio - una specie di unicorno gigante per lei, il cui collo e la criniera arcobaleno facevano anche un poco da parasole; una conchiglia che sembrava uscita dalla Venere del Botticelli per Chiara, più il mini gonfiabile per Francesco - lo ringraziò sentitamente con un, “grazie… come hai detto che ti chiami?”

 

“Appuntato Greco Luca, dottoressa,” rispose lui, facendo quasi un mezzo saluto militare, mentre Calogiuri era sempre più infastidito.

 

Avrebbe dovuto fargli un discorsetto, che la gelosia qua lo accecava proprio, se non notava ciò che lei notava.

 

“Allora grazie, appuntato, comodo comodo. Chiara, andiamo a farci un bagno? Calogiuri, Francè lo tieni tu un attimo e poi magari ci raggiungete? Che non può stare troppo al sole e… e poi di te in acqua mi fido poco, lo sai.”

 

“Va bene… anche se… con la bambina non-”

 

“Ho capito: manco i giochi in acqua si possono più fare. Almeno qualche schizzo è consentito dal medico curante?”

 

“Assolutamente sì, basta che non bevi,” rise Chiara, trascinandola con sé verso il mare un poco mosso ma abbastanza trasparente.

 

Arrivarono un po’ più al largo e salirono sui materassini, aggrappandosi con una mano alla maniglia di quello dell’altra, per evitare che si allontanassero con le onde.

 

“Dovremmo procurarci una corda per legarli per la prossima volta,” propose Chiara, mentre si stendeva più comodamente, e sì, sembrava veramente una venere che nasceva dalle acque.

 

Lei invece una scema su un cavallo cornuto arcobaleno, ma sarebbe piaciuto di sicuro anche a Francesco.

 

“Eh… possiamo chiederlo a Greco. Se glielo chiedi tu, te la trova di corsa.”

 

“In che senso?”

 

“E dai, Chiara, non dirmi che non hai notato come ti guarda - anche se lo fa con discrezione - e come è premuroso con te!”

 

Chiara divenne color peperone istantaneamente.

 

“Ma no, ma che dici? Io penso che sia premuroso con te, perché sei incinta e ti deve proteggere. E infatti pure il tuo mare- anzi, capitano era un po’ geloso.”

 

Le venne da sorridere perché sì, manco lei si era ancora abituata al nuovo titolo e, visti i ricordi di un mangiatore di salamelle seriale che le riportava alla mente, probabilmente non ci si sarebbe mai abituata.

 

“Calogiuri è sempre un po’ geloso, anche se si fida molto. Ma fidati pure tu che gli sguardi non erano per me, anzi: ho visto benissimo chi e dove guardava.”

 

Chiara si parò il viso con una mano ed Imma le schizzò un poco d’acqua per farglielo scoprire.

 

“Imma! E secondo me hai visto male.”

 

“Secondo me no. Facci caso, Chiara.”

 

Ma lei sbuffò.

 

“E anche se fosse? Mi sembra giovanissimo, di sicuro più giovane del tuo Calogiuri. Io sono pure più vecchia di te e-”

 

“Non ero giovane? Che siamo giovani e vecchie a comando, quando ti fa comodo a te?”

 

“Lo sai cosa voglio dire, Imma: è un bel ragazzo sì, ma è un tuo sottoposto e-”

 

“Mio. Non tuo.”

 

“Va bene, ma… è giovane e adesso per questi giorni state qua, ma poi probabilmente non lo rivedrò mai e-”

 

“E potrebbe essere appunto un’occasione per rimettersi in gioco senza troppo impegno, no?”

 

“Parlò quella che ha avuto due uomini in vita sua praticamente!”

 

Fu il suo turno di arrossire e di chiederle, “ma come lo sai?”

 

“Sei mia sorella. Anche se volevo e voglio che sia tu a raccontarmi della tua vita, ovviamente ho fatto qualche ricerca. Come le hai fatte tu su di me. Ero troppo grande rispetto a te per ricordarti dagli anni delle scuole ma… nessuno ha mai parlato di fidanzati prima di Pietro. E magari qualcuno sui giornali ci sarebbe pure finito, in caso, no? Che pur di avere un po’ di attenzione, arrivano a raccontare cose pure quelli che è dal battesimo che non vedi.”

 

Fu il suo turno di sospirare: effettivamente aveva ragione.

 

“E che c’entra? A me è andata bene di trovare prima Pietro e poi Calogiuri, anzi benissimo. Ma sei una donna indipendente, adulta, vaccinata, perché non ci fai un pensiero?”

 

“Io con un carabiniere?” quasi mormorò, ma poi scoppiò a ridere.


“Che c’è? Pensi alle barzellette sui carabinieri? Ce ne sono alcuni così, eh, effettivamente, pure più di qualcuno, ma questo mi sembra sveglio e-”

 

“No, no, pensavo solo che… se dopo di te pure io mi mettessi con un carabiniere… nostro padre si rivolterebbe nella tomba. Non che non se lo meriti.”

 

Fu un colpo al cuore quel riferimento, anche se fatto con nonchalance, e Chiara lo notò, perché si affrettò ad aggiungere un, “scusa, forse non sei pronta a scherzare su questo argomento e-”

 

“No, no. Mi fa un poco strano ma… scherzare sulle cose è il modo migliore per esorcizzarle. E allora, che aspetti a far vedere i sorci verdi a… insomma…”

 

Chiamarlo papà non le riusciva proprio, forse le sarebbe stato per sempre impossibile, anche perché non lo era stato mai.

 

Chiara le strinse la mano, al posto del materassino, e fece un altro sorriso un poco malinconico, “diciamo che ci penso, Imma. Ma non prometto niente.”

 

Sì, erano proprio di famiglia.

 

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“Vale! Ma hai visto?!”


“Che cosa?” le domandò, uscendo dal bagno dove si era fatta una doccia, lo stomaco che brontolava.

 

Del resto era ormai più che ora di pranzo ma la sera prima Penelope le aveva fatto fare le ore piccole e poi le era arrivata addosso tutta la stanchezza arretrata dai giorni precedenti, in cui, per la tensione, aveva dormito poco o niente.

 

“Il tuo post, Vale: è andato in tendenza. Guarda qua!”

 

Prese il cellulare di Penelope ed effettivamente il suo post aveva un numero spropositato di like e commenti.

 

“Se sono insulti…”

 

“Ce n’è qualcuno, ma ne ho visti altri molto belli. E poi… ti hanno ricondivisa anche dei giornalisti e alcune riviste online. Pure un paio di account di talk show, anche se adesso dovrebbero essere in vacanza.”

 

Rimase a bocca spalancata mentre Penelope le mostrava le ricondivisioni, una addirittura del talk show più importante della tv di stato, che aveva virgolettato il suo scritto e messo una sua foto sotto, aggiungendoci un commento su quanto, alla sua giovane età, avesse dato una lezione di civiltà, coraggio e apertura mentale.

 

Il viso le si fece di fuoco: non si aspettava di certo un riscontro del genere, non era per quello che aveva scritto quel post, anzi.

 

“Devo avvisare mamma… non pensavo esplodesse così, magari mi farà storie e-”

 

“Mi sa che non hai visto il commento più in alto…” le sorrise Penelope, tornando al suo post ed aprendolo.

 

E lì, in cima, con un’altra valangata di like c’era il commento di Imma_Tataranni, l’account che sua mamma aveva creato per fare quel famoso post contro gli hater e che non usava mai. Non pensava ne avesse nemmeno più i dati d’accesso.

 

Ma invece era lì, con la sua immagine profilo di lei a braccia incrociate, che guardava verso la fotocamera in un modo che doveva sembrare neutro ed invece era un po’ incazzoso - sicuramente scattata da Calogiuri all’epoca.

 

Ma ciò che le fece saltare un battito era il messaggio:

 

Non potrei essere più orgogliosa di te di così. Ti amo. Mamma.

 

Sua madre non era una dal complimento facile, anzi, ed il fatto che glielo avesse scritto addirittura, nero su bianco e in pubblico….

 

Si trovò ad asciugarsi gli occhi senza neanche rendersene conto.

 

“Forse la dovresti chiamare… anche se dobbiamo chiedere la linea criptata agli sbirri.”

 

Sorrise a Penelope, che continuava a soprannominare così la loro scorta, anche se in realtà, aperta e positiva com’era, c’aveva fatto molto più amicizia di quanto non ci si fosse nemmeno sforzata di fare lei.

 

Annuì e stava per andare in rubrica a selezionare il numero della scorta, quando le apparve la notifica di un messaggio privato.

 

Si stupì un po’ perché, dopo tutti i casini che erano successi con la storia di lei e Penelope, aveva limitato i messaggi privati a chi seguiva lei stessa.

 

E per fortuna, o si sarebbe trovata la casella intasata.

 

Quindi la toccò ed osservò il circolino con la foto di un uomo abbronzato e dalla folta chioma nera, dall’aria familiare.


“Ma questo è quel giornalista, no? Com’è che si chiama F…”


“Frazer!” finì per Penelope, aprendo il messaggio, la cui anteprima restituiva solo un Buongiorno Valentina che le suonava tanto formale.

 

Buongiorno Valentina.

Spero tu stia bene considerato tutto quello che sta succedendo. Sono Paul Frazer, non so se ti ricordi dell’intervista che feci con tua madre. Ho letto il tuo post e l’ho ricondiviso con la testata di news per cui lavoro: mi è piaciuto moltissimo.

Ti andrebbe di fare un’intervista? Anche non ora se sei in vacanza, quando vuoi. Penso che potrebbe interessare a molti spettatori e spettatrici.

A presto spero!

 

“Però! Mi diventi famosa, Vale!” scherzò Penelope, che poi però tornò più seria con un, “che hai intenzione di fare?”

 

“Se adesso mi metto a dare interviste, mia madre altro che essere orgogliosa, mi disconosce. E poi i giornalisti… lui sembra affidabile e credo che lo pensi anche mia madre ma… non vorrei tirare troppo la corda. E poi chissà quanto potremo tornare in Italia.”

 

“Sì… credo tu abbia ragione.”

 

Penelope sembrava da un lato delusa e dall’altro sollevata. Ed era la stessa sensazione sua.

 

Buongiorno Paul,

la ringrazio molto ma non credo che sia il caso che io rilasci interviste e poi ho già detto tutto quello che pensavo.

Grazie per la ricondivisione e per aver pensato a me!

 

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“E comunque l’unicorno è fighissimo, dottoressa!”

 

“Ti ho già detto che devi chiamarmi, Imma, Penelope. E ti ringrazio ma non l’ho scelto io.”

 

“E chi allora?” chiese invece Valentina, dallo schermo della videochiamata.

 

“Uno della scorta, gentile,” rispose e le venne da ridere all’udire il “anche troppo!” brontolato da Calogiuri nell’orecchio.

 

Era seduto alle sue spalle sul galleggiante, cingendole la vita ed il pancino sempre meno ino, mentre reggeva in braccio anche Francesco, che sgambettava felice nel suo mini galleggiante con tanto di paravento, manco fosse veramente un principe.

 

Quando Calogiuri l’aveva raggiunta con Francesco ed il cellulare, avvisandola della chiamata della figlia, Chiara si era eclissata con una scusa per lasciarli soli.

 

Ed ora stava sulla spiaggia, dove il bel Greco, che si era tolto la maglietta ed era rimasto in boxer e sì, il fisico da dio dell’Olimpo ce l’aveva tutto, le aveva portato della frutta fresca e lei sembrava avergliene offerta un po’. Si era seduto vicino a lei a mangiarla e stavano chiacchierando amabilmente.

 

E brava Chiara!

 

“Insomma… il mare- anzi, il capitano è geloso?”

 

“Sempre! Ma tua madre sa che sono geloso di tutto,” rispose Calogiuri a Valentina, con un tono orgoglioso, e poteva percepire il suo sorriso anche non potendolo vedere.

 

La citazione fu un colpo al cuore.

 

“Ma spero che tu sappia che non hai motivo di esserlo. Anche se faccio bene a tenerti un po’ sulle spine…” lo sfotté, girandosi per fargli l’occhiolino e beccandosi un bacio.

 

“Ecco, ora mi passerà l’appetito e manco ho ancora fatto colazione, mamma!”

 

Si voltò per fare il segno di attenta a te! a Valentina, facendola ridere.

 

“Non ho più molta batteria, Valentì, devo andare ma… grazie per la difesa, pure se non serviva. E non serve nemmeno che ti esponi ancora, va bene? Lo sai che c’ho le spalle larghe, anche se tra poco saranno superate dalla pancia.”

 

“Mica posso lasciarti tutto il divertimento, mà. Però tranquilla, scriverò solo se proprio mi fanno incazzare. Un saluto a te, al capitano, al piccoletto e pure alla piccoletta. A proposito, avete deciso il nome?”

 

“No,” risposero all’unisono lei e Calogiuri: con tutto quello che era successo, chi aveva avuto il tempo di pensare ai nomi?

 

“A presto! Fate i bravi!”

 

“Anche voi, mi raccomando a te, Valentì!”

 

Una linguaccia e la comunicazione si interruppe.

 

“Grazie di avermi avvisato, Calogiù. Sia della chiamata mo che del post prima. Che se aspettava me e la mia dimestichezza coi social, Valentì stava fresca.”

 

“E figurati! A questo serve un futuro marito più giovane, no?”

 

“Che fai, il social media manager gratis?”

 

“Anche…” rise, prima di darle un altro bacio, mentre il piccoletto con degli ululati faceva capire di voler essere rimesso in acqua.

 

A quanto pare gli piaceva e non ne aveva paura come aveva temuto.

 

Quindi, facendo attenzione a non ribaltarsi, ce lo riappoggiò e Calogiuri scese dal materassino per sorvegliarlo meglio, una mano sul galleggiante del piccoletto e una sul suo.

 

Lo vide guardare verso la battigia ed il bel Greco, un po’ corrucciato.


“Almeno mo lo hai capito che è interessato a Chiara e non a me? Per quello è gentile.”

 

“Sarà… ma è comunque un po’ troppo gentile. Ma Chiara ricambia? O gli devo fare un discorsetto da superiore?”

 

La cavalleria e l’istinto di protezione di Calogiuri erano proverbiali e gli diede un pizzicotto su una guancia.

 

“Credo che non le dispiaccia, da come gli parla, ma… ha un po’ di dubbi sulla differenza d’età. Io le ho detto di provarci senza troppo impegno, se vuole. Vedremo…”

 

“Diciamo che io e te sul non troppo impegno non siamo molto capaci, dottoressa,” scherzò, e si sentì accarezzare la pancia in un modo da farle tornare il nodo in gola.

 

“No… pure se ci ho provato all’inizio. Chiara mi sa che è ancora peggio di me ma… al massimo, quando saremo più liberi, dovrò provare a presentarle qualcuno più vicino alla nostra età. Non so, tipo Martino o De Luca o un altro degli amici di Mancini.”


“Ci manca solo Mancini cupido, ci manca!”

 

“Non dirmi che sei ancora geloso pure di lui, Calogiù!” lo sfottè, con gli occhi alzati al cielo.

 

“Sono geloso di tutti, dottoressa, l’ho già detto e lo ribadisco. Però, seriamente no, mi fido di te. Ma ci manca solo che, dopo Pietro con mia sorella, ci troviamo Mancini con la tua. E poi sembra una di quelle soap opera che piacciono tanto a mia madre.”

 

“In effetti… ma, fossi in te, starei tranquillo, Calogiuri. Non penso che Mancini sarebbe interessato a mia sorella Chiara.”

 

“In che senso? Pensi che stia ancora appresso a te?”

 

“No, no, penso che… penso che ci possa già essere qualcun’altra che gli interessa.”

 

“E chi?”

 

“Non Chiara Latronico, Calogiuri. E per il resto, se non hai notato niente, mi avvalgo della facoltà di non rispondere fino a quando avrò ottenuto più elementi, prima di fare nomi. A proposito, dovremmo cominciare davvero a pensare al nome per la piccoletta. Ma non ho idee.”

 

“Nemmeno io. Ma sono sicuro che arriverà, al momento giusto arriverà. Come sempre quando si tratta di me e di te.”

 

Si sporse per dargli un bacio, ma finì per cascare rovinosamente in avanti, l’unicorno maledetto che si era ribaltato, trovandosi tra due braccia che la tirarono a galla, impedendole di affondare del tutto.

 

Come sempre succedeva con Calogiuri.

 

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“Che c’è Vale? Guarda che dobbiamo finire la valigia, che domattina partiamo presto per Edimburgo."

 

“Scusa, ma è che mi ha scritto di nuovo Frazer.”

 

“E che vuole? Insiste ancora per l’intervista?”

 

“No, no, però… leggi qua.”

 

Ciao Valentina,

per favore dammi del tu, se no mi sento ancora più vecchio di quanto già sono.

Capisco il tuo desiderio di riservatezza e di tutelare tua madre, quindi non insisto sull’intervista. Però scrivi molto bene, l’avevo notato già nei post che avevi fatto in passato su tua madre.

Hai fatto qualche scuola in particolare? Perché è un talento che credo dovresti coltivare, se ti va e ti può interessare.

Alla prossima!

 

“Qual è il problema? Ha scritto delle cose belle, no?”

 

“Sì, sì, anche troppo.”

 

“In che senso? Non ti fidi e pensi che sia un modo per convincerti a fare l’intervista?”

 

“No… no… non credo sia quello. Non lo so… è che… ho come una sensazione strana. Non spiacevole ma strana.”

 

“Basta che non ti innamori di sto Frazer e scappi con lui!” scherzò Penelope, anche se c’era pure una nota seria in fondo al tono di voce.


“Sì, ci manca solo uno che potrebbe quasi essere mio padre. Pure se a papà gli piacerebbe essere così figo alla sua età. Ma no, non è quello, non ti so spiegare.”

 

“Va beh… facciamo la valigia e intanto ci pensi?”

 

Sospirò: Penelope, nonostante l’animo artistico, a volte era la voce del pragmatismo, che a lei su certe cose mancava.

 

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“Imma!”

 

La vocetta la colse di sorpresa quasi quanto l’abbraccio, che ormai le arrivava in vita.

 

Ricambiò come poteva, incontrando dopo poco il sorriso di Bianca che proclamava, un poco timida ma felice “la pancia sta crescendo! Si può dire, vero?”

 

“Certo che si può dire! E menomale che cresce.”

 

Ricambiò il sorriso e le accarezzò i capelli, ma poi guardò confusa verso Irene e Ranieri che stavano all’ingresso, già richiuso dalla scorta.

 

“Non pensavo che…”

 

“Lo so che ti aspettavi solo me e Ranieri ma… Bianca voleva venire a salutarti e a vedere il mare, che non l’ha mai visto. Quindi l’ho portata con me, se per voi va bene.”

 

“Certo che va bene, ma… non sarà rischioso?” sussurrò piano Calogiuri, esprimendo anche il suo pensiero, ma Irene fece spallucce ed aggiunse un, “non più del solito!” abbastanza amaro.

 

“E poi… abbiamo la scorta personale…” proseguì, rivolgendo lo sguardo a Ranieri, in un modo che le sfuggì un “lo sapevo!” al quale Calogiuri e Bianca la guardarono interrogativi, Ranieri ed Irene imbarazzati.

 

“Che cosa?” le domandò Calogiuri.

 

“Niente… niente… perché non fai gli onori di casa, Calogiù? Che intanto avviso Chiara che ci serve un’altra stanza per stanotte.”

 

Fece un segno a Irene che era un glielo devi dire tu! e si avviò a telefonare a Chiara, uscita per lasciare loro un po’ di privacy per gli aggiornamenti sulle indagini, anche se  ufficialmente per delle commissioni urgenti.

 

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“Ci sono novità?”

 

“Purtroppo no. Le analisi balistiche su proiettili e bossoli non hanno dato alcun riscontro, se non che sono state delle semiautomatiche da 9mm, della marca e modello più diffuso in Italia. Due esemplari diversi, ma che non hanno trovato corrispondenza col database.”


“Erano in due quindi? O forse anche in tre col basista?” domandò Calogiuri, i muscoli della mandibola contratti così tanto che temeva si facesse male ai denti.

 

Indubbiamente anche lui stava rivivendo i momenti orribili di quella notte e la paura che si erano presi. Cercavano entrambi di non pensarci, di andare avanti senza rimanere sempre in tensione, anche per via della gravidanza, ma… le notti erano abbastanza insonni e non solo per Francesco - che per fortuna era abituato ai rumori forti e non si era spaventato più di tanto, il che faceva capire che livello di trauma avesse accumulato in precedenza - ma anche per l’ansia latente che li trovassero.

 

Il mare aveva aiutato, così come i cavalli ed il sole: erano stati veramente una terapia.

 

Ma bastavano fino a un certo punto: Irene e Ranieri li avevano riportati dritti dritti alla realtà e nella capitale, pure a più di quattrocento chilometri di distanza.

 

“Sì, è probabile. Purtroppo il cancello del vostro palazzo era quasi sempre aperto e non abbiamo trovato telecamere funzionanti sulla via. Stiamo analizzando quelle situate nelle vie vicine e stiamo facendo passare vetture e moto, però-”

 

“Però probabilmente saranno auto o moto rubate, o entrambe, e anche se le trovate non ci ricaverete molto. Questi sono professionisti.”

 

“Sì. Purtroppo è lo scenario più plausibile,” le confermò Ranieri con un sospiro.

 

“Materiale genetico nulla, immagino? Impronte?”

 

“Purtroppo materiale genetico niente. Un’impronta parziale su uno dei proiettili, forse un errore nell’aprire la scatola o nel riempire il caricatore. Ma sarebbe utile solo per fare un confronto se troviamo un sospettato. Non è sufficiente per una ricerca su un database, sono usciti troppi risultati possibili e, da uno scorrimento rapido, non abbiamo individuato persone che sappiamo essere affiliate con i Mazzocca o con i Romaniello.”

 

“Del resto sono professionisti. Altro?”

 

“No, purtroppo no. In mano abbiamo pochissimo. La… la gatta era quasi sicuramente una randagia ed il sangue ed altro materiale genetico presente erano soltanto suoi. E non c’è altro, se non che, secondo il medico legale, dall’inclinazione dei proiettili nel colpire la porta, chi ha fatto i quattro fori che disegnano una croce potrebbe essere mancino. Ma non è sicuro, è solo probabile.”

 

“E basta?”

 

“Purtroppo al momento sì e dubito usciranno elementi in più. Forse, se troviamo le vetture, riusciremo a scovare altre impronte o materiale ma…”

 

“Ma se sono professionisti staranno già in qualche sfasciacarrozze.”

 

“Possibile, Calogiuri, possibile,” confermò Irene.

 

“Rimane da capire… rimane da capire quale fosse il loro obiettivo. Se intimidazione o altro…”

 

Un silenzio gelido e pesantissimo riempi il salottino secondario dove si erano ritirati, dopo aver lasciato Bianca a fare un pisolino con Francesco.

 

Imma sapeva di aver appena espresso il dubbio fondamentale, al quale o non c’era risposta, o la risposta non sarebbe stata piacevole.

 

“Ovviamente la certezza non la possiamo avere,” premise Ranieri, in un tono che però non prometteva niente di positivo.

 

“Ma?” lo sollecitò, con un altro sospiro.


“Ma… a parte il tentativo di sfondamento della porta, probabilmente fatto perché la serratura era più complicata da rimuovere del previsto e ci stavano mettendo troppo tempo, gli strumenti usati per smontare la serratura erano di precisione. Il meccanismo poi si è rovinato per i proiettili e lo sfondamento ma… di base sarebbe stato un lavoro pulito. Attrezzatura da veri professionisti. E… a giudicare dai segni sul legno, lo sfondamento è stato compiuto con un percussore simile o uguale a quelli in dotazione alle forze dell’ordine. Con rivestimento in plastica per attutire le scintille ed evitare il rumore metallico. Insomma…”

 

“Insomma hanno cercato di fare un lavoro il più silenzioso possibile e… se non ti fossi svegliato…”

 

Calogiuri deglutì e si sentì la mano stretta a morsa ancora prima che la guardasse. C’erano andati veramente vicini a fare la fine dei topi in trappola.

 

Troppo vicini.

 

E, il peggio, era sapere che un posto veramente sicuro non c’era ed in mano non avevano praticamente nulla.

 

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“E tu, come ti chiami?”

 

Chiara era tornata dalle commissioni nel tardo pomeriggio e li aveva raggiunti in giardino, dove stavano mangiando un gelato procurato da un altro della scorta, visto che il dio Greco aveva accompagnato Chiara - avrebbe dovuto farle un interrogatorio dei suoi.

 

Dopo aver salutato Ranieri ed Irene, si era avvicinata a Bianca, che la guardava con gli occhioni scuri spalancati.

 

Bianca, regale come la madre, aveva posato il cucchiaino nella coppetta, si era alzata in piedi e le aveva esteso la manina con un solenne “io sono Bianca, molto piacere!”

 

“Il piacere è mio, Bianca, io sono Chiara,” rispose, divertita, ricambiando la stretta.


“Ma questa casa è tua? E anche quei cavalli grossi?”

 

Chiara sorrise ed annuì, precisando, “sì, ma sono cavalle. Un po’ anzianotte. Ti fanno paura? Perché sono buone, garantisco, anche se un po’ in sovrappeso.”

 

“Non so… non è che mi fanno paura… è che sono tanto grandi… non so se mi voglio avvicinare.”

 

“E mica devi decidere subito, prima c’è il gelato da finire.”

 

Bianca sorrise e sì, si vedeva che Chiara era mamma e che coi bambini ci sapeva molto fare. Era paziente e dolce come… come coi pazienti.

 

E con te, Imma! - le ricordò la voce della sua coscienza, Diana, per l’occasione.

 

“Ma… ma tu sei una collega di mamma e di Imma?” domandò poi Bianca, prendendo tutti in contropiede.


“No, no. In realtà io… cioè…”

 

“Chiara è mia sorella, Bianca.”

 

Praticamente tutte le mascelle presenti cascarono quasi a terra - forse compresa la sua - Chiara che aveva gli occhi lucidissimi e sembrava sull’orlo di scoppiare a piangere.

 

Non se lo aspettava nemmeno lei di dirlo così, ad alta voce, ma era la verità.

 

“Che bello! Io purtroppo non ho un fratello o una sorella ma mi piacerebbe! Francesco piangeva tanto quando lo tenevamo noi, ma è stato bello,” proclamò Bianca; Irene e Ranieri si strozzarono sul gelato praticamente all’unisono.

 

Temette che la voce dell’innocenza, anche se non sdentata e stentata come quella di Noemi, li avesse fregati, ma Bianca subito spostò di nuovo l’attenzione su di sé con un, “però non vi assomigliate molto. Ma forse… forse somigli un po’ a Valentina, sì, ecco a chi somigli!”

 

Il cuore le si fece caldo caldo e, non fosse che non la voleva spaventare, l’avrebbe stritolata in un abbraccio.

 

Chiara, una lacrima che scendeva sulla guancia destra, invece, annuì, visibilmente felicissima.

 

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“Allora, ti va di provare ad accarezzare i cavalli?”

 

Era stata Irene a porre la domanda, dopo che Calogiuri lo aveva proposto.

 

Bianca rimase per un attimo immobile ma poi fece segno di sì con la testa, aggiungendo, “possiamo portare anche Francesco, però?”

 

“Allora andiamo ad accarezzare quella cavalla lì, che con Francesco ormai sono amici.”

 

“Ma è alta, come faccio?”

 

“Se vuoi vi prendo in braccio, tutti e due, se te la senti,” propose Calogiuri, con un tono timido che la fece squagliare assai di più dei trentasette gradi all’ombra.

 

Di nuovo un attimo di esitazione, ma Bianca annuì e Calogiuri, che ormai le forze le aveva recuperate quasi del tutto, la prese in braccio e poi si fece aiutare da Chiara a prendere in braccio anche Francesco - che lei non lo poteva più sollevare.

 

Temette per un attimo il disastro ma tutti e tre, belli sorridenti, si avviarono verso la matrona delle cavalle e, dopo qualche minuto di assestamento e familiarizzazione, Bianca le stava porgendo le carote ed aiutando Francesco ad accarezzarla, la manina nella sua.

 

A giudicare dai nitriti, la cavalla pareva al settimo cielo e anche Irene, che sembrava aver appena subito un attacco di rinite allergica.

 

Un suono un poco strozzato ma non era Irene, stranamente, no, era Chiara.

 

I loro sguardi si incrociarono e Chiara sorrise.

 

“Che c’è? Se pensi che Calogiuri sarà un buon padre…”

 

“Poco ma sicuro. Ma non è per quello, Imma… è che… è che pensavo che… se solo le cose fossero andate diversamente, in un mondo parallelo magari, avremmo potuto essere io e te da piccole, così.”

 

Altro che la rinite allergica e il nodo nella gola!

 

Prima di prenderne coscienza, si trovò a stringere Chiara in un abbraccio forte, fortissimo e liberatorio che sua sorella - perchè quello era, incontrovertibilmente - dopo un momento di stupore, ricambiò con la stessa intensità.

 

“Noi andiamo a fare due passi intorno alla proprietà…”

 

Le parole di Irene le giunsero a malapena all’orecchio, così come il rumore di passi che si allontanavano.

 

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“Certo che la sorella di Imma si tratta bene: è tutto bellissimo qui!”

 

Stavano facendo due passi intorno al casale, nella vegetazione mediterranea che lo circondava e sì, c’era un qualcosa di estremamente affascinante in quegli ulivi, in quella terra riarsa ma fertile, che sembrava uscita da un film biblico.

 

“Anche tu mi devi trattare bene!” rispose però, perché doveva tenerlo sulla corda anche lei, non solo Bianca, che in quello era davvero molto abile.

 

“Io ce la sto mettendo e ce la metterò tutta, anche con Bianca. Ma… a proposito… quando… quando pensi che potremo dirle di… di noi due?”

 

“Quando potrai dirlo anche a tua moglie.”


“Ex moglie.”

 

“Ex o non ex… voglio capire come reagirà e come reagirai tu, prima di coinvolgere ancora di più Bianca.”


“Se stavo rimandando era solo per non darti casini prima del tempo, ma posso dirglielo quando vuoi. Anzi, visto che siamo già in Puglia posso fare un salto a Bari a dire tutto prima ai ragazzi e poi a lei… e poi quando vuoi te li vorrei presentare, se se la sentono.”

 

“Lo sai che la prenderanno malissimo, sì? E forse non è il caso di rovinare loro le vacanze. Però d’altro canto con la scuola… potrebbe risentirne il rendimento e… che c’è?” si interruppe per domandargli, perché la stava guardando in un modo strano.

 

“No, è che… mi fa strano sentire che ti preoccupi dei miei figli, della loro istruzione. Strano ma bello.”

 

“Sarà bello per te, per loro temo molto meno,” sospirò, anche se un po’ intenerita, “già non sarà facile sapere che loro padre ha un’altra donna che non è la madre. E sicuramente lei gli dirà che siamo stati amanti, per metterteli contro e-”

 

“E la voglio anticipare, infatti. Almeno con quelli più grandi che… che hanno capito e possono capire che io e Nicoletta non stavamo bene insieme e che ricordano la nostra prima separazione, anche se breve. Voglio spiegare loro tutto: che non la amavo più da molti anni ma che sono tornato per senso del dovere verso loro fratello, sbagliando, perché ormai l’amore non c’era più e mi ero innamorato di te. Che non hai fatto nulla per allontanarci, anzi, e che non ci siamo sentiti per tanto tempo ma non potevo più continuare a mentire a me stesso su ciò che provavo. E che non voglio che un giorno loro facciano il mio stesso errore, di rimanere in una relazione senza più amore, perché non si fa il bene di nessuno e si soffre soltanto di più tutti quanti.”

 

Deglutì a fatica: non era sicura che i figli di Lorenzo l’avrebbero presa benissimo la confessione, però… però il suo coraggio era da ammirare ed era consapevole che era pronto ad affrontare tutto quello anche per lei.

 

Si trovò ad afferrarlo per il colletto della polo indossata per l’occasione e a piantargli un bacio sulle labbra.

 

Nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere rapido, casto, ma forse quelle parole, forse l’atmosfera, forse il lungo viaggio insieme, fianco a fianco, ma c’era una strana elettricità nell’aria, che li portava a non riuscire a staccarsi, non del tutto.

 

All’unisono, come in una delle loro operazioni speciali, scorsero con la coda dell’occhio una specie di sgabbiotto per gli attrezzi. Sorridendosi sulle labbra, con un cenno di intesa lo raggiunsero rapidamente, mano nella mano, e ci si infilarono, richiudendovicisi con un sospiro di sollievo, nonostante il buio quasi pesto ed il caldo tremendo.

 

Ripresero a baciarsi, trovandosi spinta nella foga verso una parete, dove però c’era un qualcosa di appuntito che la portò a spingerlo via per un attimo, per poi riprendere sulla parete opposta. Lui che mugugnava, se perché anche lì ci fosse un qualche oggetto contundente o se per il piacere chissà, ma iniziò a slacciargli gli ultimi bottoni del colletto della polo e poi-

 

Luce!

 

Luce, una luce accecante che la abbaglio per più di un attimo, gli occhi che bruciavano, finché una voce che strillava, “mamma??!! Lorenzo??!!” la fece andare nel panico più totale e lo mollò del tutto, cascando indietro ed evitando solo per un soffio gli spuntoni che, mentre cercava di rimettersi dritta, notò fossero di un rastrello.

 

Lorenzo era bordeaux e più terrorizzato di lei. Finalmente Irene riuscì ad adattare abbastanza le pupille da vedere lì, col suo vestitino candido in mezzo a tutta quella luce, Bianca, che li fissava con la bocca spalancata.

 

“Bianca, io-”

 

“Ma… ma vi stavate baciando?!” domandò, in un altro mezzo urlo che altro che panico, le stava venendo da vomitare.

 

“No,” provò a esordire ma, quando sua figlia incrociò le braccia con lo stesso sguardo che aveva lei stessa quando un sospettato provava a mentire, si corresse, “cioè sì, ma… cioè possiamo spiegare.”

 

“Ma… ma sembrava un bacio vero, come quello dei film!”

 

Mica tanto come quelli dei film! - per fortuna, però, Bianca era molto innocente.


“Ma che succede qua?!”

 

Il capanno degli attrezzi si fece bollente come le sue guance all’udire la voce delicata di Imma ed al vederla avvicinarsi, Chiara alle sue spalle. Notò solo in quel momento un’altra chiazza rosa-azzurra che invece era già vicina al capanno ed era Calogiuri, con in braccio Francesco.

 

Bastò uno sguardo per capire che anche lui aveva visto il bacio come quello dei film: probabilmente era venuto lì con Bianca per cercare qualcosa per le cavalle.

 

“Mamma e Lorenzo si stavano baciando!” declamò Bianca, con una chiarezza ed un uso del diaframma degni di un corso di teatro, che probabilmente pure la cara Nicoletta di Bari l’aveva sentita.


Imma non parve tanto sorpresa - del resto aveva già capito - Chiara di più, ma entrambe fissarono prima loro poi Bianca con preoccupazione.

 

“Ti… ti possiamo spiegare…” provò a rilanciare, sperando che non la prendesse troppo male, perché le scuse ormai erano impossibili da trovare.

 

“Ma quindi vi volete bene e siete fidanzati?”

 

Le venne da sorridere ma le venne pure un colpo per la solennità di quella parola che la spaventava moltissimo.


“Diciamo che… ci vogliamo bene, sì e… e stiamo insieme… per i fidanzamenti c’è tempo. Volevamo aspettare di essere sicuri che… che funzionasse tra di noi prima di dirtelo. Se… se non ti sta bene o se sei arrabbiata lo capisco, ma-”

 

Un urlo la interruppe ed era Bianca che si era lanciata addosso a Lorenzo.

 

Per un secondo temette che, oltre che da lei, avesse preso fin troppo esempio da Imma e Noemi e che lo volesse menare, ma invece uno scioccato Lorenzo la afferrò in qualche modo e se la trovò attaccata al collo, che lo abbracciava come un koala.

 

Quello sì, l’aveva imparato da Noemi.

 

Il nodo in gola divenne un ingorgo che nemmeno la tangenziale di Milano all’ora di punta e-

 

“Allora.. allora davvero starai sempre con noi?”

 

“Finché… finché mi volete sì, te l’ho già detto.”

 

“E allora adesso sei il mio papà?”

 

La saliva le finì di traverso che per poco non si strozzava e per fortuna Bianca sapeva reggersi per bene, perché anche Lorenzo traballò pericolosamente.

 

Incrociò per un secondo gli occhi marroni di Imma che brillavano tra il divertito ed il commosso ed un sorrisetto della serie e mo sono cavoli vostri!

 

“Con calma, Bianca, con calma: per fidanzamenti e cose tipo la paternità c’è tempo.”

 

“Per ora posso essere tipo… uno zio, Bianca, e-”

 

“No, no! Papà e basta. O papà o niente!”

 

Un altro colpo - non solo di tosse, ma dritto in petto.

 

Da un lato quella presa di posizione la spaventava, dall’altro era orgogliosa, orgogliosissima di Bianca, che le somigliava sempre di più. Anche nell’alzare la posta per capire l’interesse della controparte.

 

Quasi inconsciamente, incrociò le braccia anche lei, sfidandolo a dare una risposta.

 

“Se… se tu mi vuoi come papà e se anche tua mamma mi vuole, ne sarei onorato, Bianca. Tantissimo.”

 

Bianca fece un urlo felice - che per una volta dimostrava la sua età - gli piantò due baci sulla guancia e lo strinse ancora più forte ed idem lui.

 

Si rese conto solamente quando la mano di Calogiuri le porse delicatamente un fazzoletto, che quello che le pungeva gli occhi e le guance non era il sudore, ma lacrime.

 

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“Imma!”

 

Il trapanamento ai timpani e la stretta ursina, il peso che le causò un’immediata fitta alla schiena - ma pure una al cuore - erano inconfondibili, il suo marchio di fabbrica.


“Diana!” sospirò, commossa, ricambiando l’abbraccio con due pacche sulle spalle e sperando sia che finisse presto - per la colonna vertebrale - e mai - per tutto il resto.

 

In ogni caso, Diana si staccò quasi subito, abbassandosi per guardarle la pancia, con quegli occhioni grandi e azzurri che tanto le erano mancati e che si fissarono poi nei suoi con un, “quanto sta crescendo! Posso?”

 

“Certo, ma-”

 

Non fece nemmeno in tempo a dirle non stiamo nell’ingresso, magari! perché Diana già le aveva sollevato la maglietta e percepì le mani calde, caldissime, sull’addome, che la accarezzavano con una dolcezza che… come faceva a dire alcunché senza suonare come una scema?

 

“Ahia!”

 

Ecco, qualcosa era riuscita a dirla, perché la piccoletta, chissà se attratta come sempre dalle voci soavi e mansuete o dalle carezze, aveva deciso di scalciare come saluto e mo stavano in lacrime entrambe. In parte per lo stesso motivo, in parte per ragioni diverse, tipo la testolina di titanio appoggiata sul colon.


Un altro abbraccio, stavolta però evitando la pancia e delicato quasi quanto quelli di Calogiuri. Se lo godette perché le parole per una volta non servivano, tanto da aver stoppato sul nascere persino la proverbiale logorrea della sua ex cancelliera.

 

Alla fine però si dovettero separare. Un sussulto imbarazzato di Diana, che osservava un punto oltre le sue spalle, la fece voltare e notò Calogiuri e Chiara, che le fissavano con un sorriso tra il toccato e l’imbarazzato.

 

Chiara soprattutto.

 

Alternò lo sguardo tra lei e Diana, che si fissavano, rendendosi conto che era la prima volta che si incontravano ufficialmente.

 

Si schiarì un attimo la voce, che temeva di avere lo stesso tono strozzato di un certo giornalista dalla zucca un po’ fuori posto - come quelle che spaccava nel periodo di Halloween - e si piazzò perpendicolare ad entrambe, facendo segno a Diana di avvicinarsi.

 

“Diana, questa è Chiara Latronico, mia… mia sorella”

 

Pronunciare quella parola davanti a Diana era ancora più difficile, perché suonava quasi come un tradimento.

 

Ma, a sorpresa, a parte lo squittio commosso di Chiara, Diana fece un sorriso amplissimo e quasi… orgoglioso?

 

“Chiara, questa invece è Diana De Santis. La mia ex cancelliera e-” si interruppe, perché Diana la stava fissando indignata, anche se pure un po’ rassegnata, “e aspetta, Dià. E… forse la mia unica amica, che mi sopporta dai tempi della scuola, tranne quando sono stata troppo insopportabile. E… diciamo che le poche nozioni di sorellanza che sono in grado di applicare, me le ha insegnate lei.”

 

Altro pigolio ed eccallà, l’orsa bruna, di nuovo attaccata al suo povero collo, alla sua povera cervicale e mo pure alla zona lombare.

 

Ma un altro sorriso, oltre a quello di Chiara: il sorriso più bello del mondo e quegli occhi azzurri che amava più di tutti, che brillavano di lacrime e, sì, tanto, tantissimo orgoglio, la ripagarono dell’imbarazzo e della paura provati a mettersi a nudo.

 

Perché, glielo aveva insegnato lui, anche se era per lei la cosa più difficile al mondo, e anche se se lo poteva concedere solo con poche, pochissime persone di assoluta fiducia, era pure l’unico modo per essere felice davvero.

 

Viva davvero.

 

E quello, quel calore che provava in quel momento, quel sentirsi così leggera, valeva pure il peso sullo stomaco e l’acidità extra in gola, che stavano già svanendo, lasciando spazio solo a quelle sensazioni che non si sarebbe scordata mai.

 

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“Che c’è, dottoressa? A che pensi?”

 

Chiuse per un attimo gli occhi, lasciando cadere la testa all’indietro sul telo morbido, sopra la sabbia ancora più morbida.

 

La domanda tipica di Calogiuri ma che la beccava sempre nei momenti migliori - o peggiori.

 

Facendosi scudo con le dita dai raggi del sole, li riaprì o lo trovò intento a studiarla, in quel modo da Calogiuri, e gli sorrise per un attimo, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione a Diana e Chiara che stavano in acqua, senza galleggiante stavolta, giocando con Francesco che, inaspettatamente, si divertiva molto a fare schizzi con manine e piedini, pure senza di lei.

 

Le zie - il solo pensarci e altro che magone! - se l’erano conquistato e sembravano andare pure d’accordo tra loro, per come parlavano.

 

E, anche se temeva un po’ di essere l’argomento principe della conversazione, d’altro canto era stranissimo ma bello vederle così.

 

“Se la cavano bene con Francesco, eh?”

 

“Già…”


“Ma…? Perché c’è un ma, dottoressa, lo sento.”

 

“Ma… ma penso che molto probabilmente sarà la prima e ultima vacanza con lui. Anche se… non propriamente del tutto rilassante e… ed è giusto così ma… mi mancherà molto.”

 

Si trovò cinta per le spalle e con la testa sopra al petto di Calogiuri, in un mezzo abbraccio.

 

“Se c’è una cosa che ho imparato stando con te, dottoressa, è che gli amori grandi, quelli veri, non si perdono. Al massimo si trasformano. E, in ogni caso, Francesco farà sempre parte della nostra vita. E poi… e poi mo, con la piccoletta in arrivo, ci serviranno tutte le energie.”

 

“Lo so, ma… ma quando non esageri con le preoccupazioni mi sei molto d’aiuto, Calogiuri, e sento di potermi godere di più la maternità, non solo quella della piccoletta, ma in generale. Conoscendoti, già so che ci penserai anche tu a rimetterla in riga, la piccola calciatrice, capa tosta come sei. Lo vedo anche con Francesco e Ottavia: diventi sempre più autorevole.”

 

Calogiuri, oltre che autorevole, divenne anche più rosso dell’anguria che si erano appena mangiati.

 

“Quella sei tu, dottoressa…”

 

“Io sono più autoritaria ma, certo, anche autorevole. Forse la tua formula funziona di più, però, almeno coi bimbi…”

 

Un rapido bacio e poi lo vide deglutire, un poco preoccupato.


“Che c’è?”

 

“No, è che… a proposito di Francesco, forse… se ci trasferiremo veramente-”

 

“E certo che ci trasferiremo, Calogiuri: a Roma non ci possiamo più stare, lo sai anche tu.”

 

“Ecco, e allora… e allora… non vorrei che pensassi male ma… e se proponessimo a Melita di venire con noi? In un’altra casa, ovviamente, eh. Però… forse sarebbe la cosa migliore, anche per Francesco, che non so quanto tempo di adattamento gli ci vorrà: ti è così affezionato.”

 

Sospirò, perché sì, ci aveva pensato pure lei, più di una volta.

 

“Diciamo che basta che non facciamo tutti insieme appassionatamente sotto lo stesso tetto e… per il resto… se andasse bene a Melita non avrei nulla in contrario: di te mi fido Calogiuri. Ma occhio a non tirare troppo la corda!”

 

“Agli ordini, dottoressa!”

 

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Mmmm…

 

Sospirò soddisfatto, godendosi i grattini che Imma gli stava facendo sul collo e poi sul viso e poi-

 

“Ahia!”

 

Un dolore tra collo e spalla e balzò seduto, gli occhi spalancati, rendendosi conto dal meoooow di dolore, che non solo stava sognando ma che i grattini - e l’artigliata - non erano di Imma ma di Ottavia, che aveva appena involontariamente lanciato giù dal letto.

 

Incontrò due occhi gialli un po’ incazzosi, pronto a beccarsi altri artigli e chissà quale strigliata. Infatti Ottavia gli balzò addosso - le zampe posteriori sulle gambe, quelle anteriori sul petto - e prese a miagolare e poi a soffiare, in un modo che gli fece temere gli volesse staccare la faccia.

 

Ma no, continuava a fischiare e poi a ruotare su se stessa, e poi a fischiare e miagolare come un’ossessa, che nemmeno con Mancini era arrivata a tanto.

 

“Che succede?” le chiese, anche se non poteva rispondergli e lei saltò giù dal letto e corse verso la porta dove iniziò a grattare.

 

Il primo pensiero sarebbe stato Francesco, ma era tranquillo nel suo lettino, vicino a loro, e stranamente manco si era svegliato.


Stava migliorando col sonno ultimamente.

 

“Ma che succede?” gli fece eco Imma, con tono sonnolento e confuso e la vide con la coda dell’occhio sfregarsi le palpebre.

 

Con la gravidanza era sempre più stanca, dormiva sempre di più e faceva sempre più fatica a svegliarsi.

 

Meooooow MEOOOOOOOW

 

Ottavia ormai era una sirena e, dopo poco, un altro rumore ancora più forte.

 

“Le cavalle!”

 

Le cavalle stavano nitrendo fortissimo, si sentiva anche il rumore degli zoccoli che scalciavano.

 

E il casale aveva i serramenti belli robusti, antiproiettile addirittura - che mica Chiara era una Latronico per niente - e quindi di solito i rumori esterni erano molto attutiti.

 

Il casino reale doveva essere di gran lunga peggiore di quello che potevano sentire.

 

“Con tutto il bene, Calogiù, Ottà è così terrorizzata dalle cavalle che dubito si preoccupi per loro, ma-”

 

“Ma forse si preoccupano tutte della stessa cosa?” finì per lei, il gelo che gli si infiltrava nel petto, “chiamo i ragazzi della scorta.”

 

Prese il cellulare dal comodino, alzandosi in piedi, che fermo non ci riusciva a stare con tutta quella tensione, e compose il numero del referente del turno in corso.

 

Niente, squillava a vuoto.

 

Provò con altri numeri ma niente, niente e niente.

 

“La scorta la chiamo io, Calogiù, tu-”

 

Con un cenno di intesa, si infilò i primi pantaloni che trovò, ci infilò il cellulare, mentre Imma con il suo continuava a chiamare, e si affrettò ad estrarre la pistola dalla custodia in cima all’armadio.

 

“Vado a vedere che succede…”


“Calogiuri, stai attento e-”

 

CRASH

 

Un rumore di un qualcosa che andava in frantumi, forse vetro, forse-

 

“Sono i vasi del porticato questi,” intuì Imma, sempre più veloce di lui e-

 

BANG BANG BANG

 

Spari, tanti spari, troppi spari, talmente tanti da fargli male alle orecchie. Armi automatiche o semiautomatiche, pesanti anche.

 

Si guardarono, paralizzati, in un momento di puro e totale panico. Poi una parte di lui, che prima di conoscere Imma manco sapeva che esistesse, si riscosse ed un unico obiettivo gli si fissò in mente.

 

“Dovete nascondervi in cantina, subito!”

 

La cantina aveva una parte blindata: anche se il casale era stato sempre e solo di Chiara, i nemici del padre erano pure nemici suoi e… la passione per i bunker doveva essere di famiglia.

 

Vide Imma scattare e prendere in braccio Francesco che, col brusco risveglio, cominciò a strillare. Lui abbrancò per la collottola Ottavia, passandogliela.

 

A pistola spianata, cercando di essere sia prudente che veloce, confermò che il piano superiore fosse libero - Chiara se ne era andata a Roma per qualche giorno, per fortuna - e le fece cenno di seguirlo fino al pianerottolo.

 

Dopo aver controllato anche la scala, le diede il via libera a scendere, segnalandole di stare radente al muro, perché sì, stavano sparando e le finestre, per quanto blindate, avrebbero presto ceduto.

 

Le fece segno verso la porta che dava alle scale per la cantina e fece appena in tempo a leggere la protesta nei suoi occhi quando squillò il telefono. Il suo.

 

Ranieri


“La scorta dove cazzo sta?! Qua ci stanno sparando addosso da tutte le parti, mitragliatrici e-”

 

Le parole gli erano uscite da sole, incontrollabili

 

“Lo so, hai ragione, lo so. Ma c’è stato un contrattempo nel dare il cambio.”


“UN CONTRATTEMPO?! ME LO CHIAMI UN CONTRATTEMPO?!”

 

Solo il rumore più forte di spari vicino a lui lo portò a calmarsi ed abbassare il tono di voce, mentre prendeva Imma per un braccio e quasi la spingeva verso la porta, facendole da scudo.

 

“Lo so, i ragazzi del turno di notte per qualche motivo non si sono presentati e…”

 

“E quelli di prima non li hanno aspettati?”

 

“Sto cercando di capire cos’è successo. Intanto sto facendo tornare i ragazzi disponibili e stiamo arrivando con i rinforzi.”


“Stiamo chi, che sei a Bari?”

 

“Tutti quelli che trovo. Cerca di resistere più che puoi.”

 

“Muovetevi!” fu la sua ultima parola - e poco importava che pure Ranieri fosse capitano, avrebbe pure potuto essere generale ed il suo tono non sarebbe cambiato di una virgola.

 

“Imma, la cantina. Ora!”

 

“Ma non puoi fare tutto da solo e-!”

 

“E se rimani ho almeno due preoccupazioni in più, se non tre. Vai in cantina. Per favore. O giuro che ti ci rinchiudo a forza.”

 

Non lo avrebbe mai fatto, lo sapevano tutti e due, ma Imma deglutì, annuì, gli piantò un bacio che sapeva di sale e si infilò nella porta che lui aveva aperto.

 

Scese con lei il tempo necessario per aprirle anche la porta blindata e richiuderla su quel viso che sperava disperatamente di poter rivedere.

 

Fece le scale di corsa ed il rumore degli spari era sempre più forte. 

 

Un fischio vicino all’orecchio ed era un proiettile: le finestre stavano cedendo, mentre la porta scricchiolava sotto ai colpi di un altro percussore.

 

Con la forza della disperazione, spinse i mobili più vicini contro la porta, cercando di bloccarla meglio che poteva.

 

E poi, alla cieca, perché non poteva rischiare di sporgersi - i tempi di ricarica erano impossibili da calcolare senza vedere in quanti fossero - sparò un paio di colpi fuori dalla finestra che aveva ceduto, venendo raggiunto da un lamento.

 

Forse lo aveva preso uno di quei bastardi.

 

Raccolse tutte le munizioni che aveva, troppo poche anche se più che a Roma, per fortuna, ma una pistola contro quella potenza di fuoco poteva fare ben poco. Continuò a sparare dove vedeva aprirsi una breccia, cercando di mantenersi il meno prevedibile possibile, almeno finché un dolore caldo e pulsante ad un braccio lo costrinse a stringere i denti per non urlare e lo notò, quel liquido viscoso, caldo e nerastro che gli colava sulla pelle, macchiando la maglietta bianca.

 

Lo avevano preso, proprio al braccio destro, ma non poteva cedere, non poteva fermarsi. Afferrò una delle tovagliette con pizzo cadute per terra mentre spostava i mobili, la arrotolò e la legò vicino alla ferita, cercando di fermare il sangue. Poi, con l’altro braccio, provò a impugnare la pistola - che tanto la mira era inutile, ma la forza serviva e quel braccio ne aveva molta meno, sparando altri due colpi da un’altra finestra ed udendo un altro grido.

 

Doveva resistere! Doveva resistere! Ma vedeva i mobili cadere e spostarsi da vicino alla porta e… e non avrebbe avuto la forza di piazzarcene altri, la testa che gli girava, il braccio che tremava e bruciava così tanto da sembrargli su uno spiedo, la vista che un poco si stava appannando.

 

Non poteva cedere, non poteva: si costrinse a sparare altri due colpi, cercando di rimanere sveglio, vigile, anche mentre il nero continuava ad arrivargli ad ondate, a levargli la vista e a ridargliela a macchie, per un periodo sempre più breve.

 

Imma! Mi dispiace!

 

Quello fu il suo primo pensiero, e poi alla piccoletta, che non avrebbe probabilmente mai conosciuto, ed una preghiera a quel dio in cui non credeva più da molti anni.

 

Che si salvassero, almeno loro, anche stavolta e non solo quella volta.


Che si salvassero, in qualche angolo del mondo, lontane da lì.

 

Loro, il piccoletto, Ottavia…

 

Una specie di sirena gli sembrò come un segno, ma forse la stava solo sognando.

 

Spari, sempre più spari e… e ruote che sgommavano e urla e…

 

Un urlo ed era il suo nome, gridato con forza, la terra che tremava, e poi un altro urlo, acuto, sottile, ma disperato e terribilmente familiare.

 

“Imm-” provò a pronunciare, immerso ormai nel buio.

 

E poi non sentì più niente.

 

*********************************************************************************************************

 

“CALOGIURI!!!”

 

Scrollò via la stretta di Ranieri, che l’aveva aiutata a salire le scale, mentre il dio Greco si era preso Francesco, che strillava come un ossesso, e trasportava pure Ottavia, che gli era balzata in testa.

 

E che ora, con uno scatto felino, la precedette, raggiungendo in pochi balzi e con dei miagolii strazianti - ma mai come quello che sentiva dentro - il corpo riverso a terra ed il viso pallidissimo del suo Calogiuri.

 

Corse in avanti, incurante della pancia e della fatica, spinta dalla pura adrenalina, e si lanciò in ginocchio al suo fianco, facendosi largo tra i due agenti che già stavano al suo capezzale. Gli prese il viso e constatò con sollievo che era caldo e che nel collo, sotto le sue dita, riusciva a percepire un battito, anche se lento.

 

“Calogiuri!” gridò di nuovo, notando la maglietta bianca dipinta di rosso sul fianco destro, il sangue che colava dal braccio, oltre un laccio di fortuna.

 

“Calogiuri, mi senti?!” urlò, vicino alla sua bocca e sì, respirava, anche se era incosciente - e dove stava l’ambulanza e i paramedici e…?

 

Un’altra sirena e, dopo attimi che sembrarono eterni, un gruppo di uomini incamiciati apparvero dall’ingresso, superando i mobili rovesciati e lei urlò “qua! Qua!” con tutta la voce che aveva.

 

Per fortuna la notarono subito - o ce li avrebbe trascinati a forza - e si posizionarono accanto a lei, facendole segno di fare spazio, ma lei indietreggiò di pochissimo e tenne comunque almeno la mano sana di Calogiuri: non poteva mollarlo.

 

“Che gli è successo? Da quanto è incosciente?”

 

“Non lo so: ero in cantina, ci sono stati molti spari, è andata avanti per un bel po’ e-? Cosa avete visto voi? RANIERI?!” urlò rivolta agli altri agenti e anche al capitano.

 

“Era così quando siamo arrivati, non sappiamo da quanto, ma… ma quando vi ha sentito urlare ha mugugnato qualcosa. E prima apriva e chiudeva gli occhi. Non è da molto che sono chiusi del tutto. E c’è il polso e respira.”

 

Lo piazzarono su una barella, attaccandolo a una sfilza di sensori e macchinari portatili. Li avviarono e sì, il battito c’era, e anche regolare.

 

“Metti un altro laccio e togliamo questo, guardiamo la ferita. Qualcuno sa di che gruppo sanguigno è?”

 

“A-” chiarì, ringraziando tutti gli esami fatti di recente, per rimanere incinta prima, e per l’amniocentesi poi.

 

“Dobbiamo fare una lastra ma non c’è un foro di entrata ed uno di uscita, sembra una ferita netta e non mi sembra di sentire corpi estranei. Credo sia stato preso di striscio al braccio, ma ha perso un bel po’ di sangue ed avrà bisogno di una trasfusione. E poi dobbiamo accertarci se magari nella caduta abbia avuto altri traumi. Immobilizziamogli il collo per sicurezza e mettiamolo sulla barella.”

 

Un fischio fortissimo e le toccò prendere Ottavia per la collottola perché, come avevano provato a mettergli il collare, ancora un po’ e sfilettava le mani degli infermieri.

 

“Tranquilla, Ottà, stanno cercando di aiutare papà, tranquilla!” proclamò, con voce roca e tremante, ma almeno non sembravano esserci altre ferite visibili e quella non era grave e-

 

“I- Imm-”

 

Un singhiozzo le scappò dalle labbra, a quell’unica sillaba farfugliata e il “Calogiuri!” le uscì ancora prima di vederlo socchiudere gli occhi.

 

“Imm-?”

 

“Sono qui, Calogiuri, sono qui!” gridò, stringendogli più forte la mano e le dita che si contrassero nelle sue furono un altro sospiro di sollievo.

 

“Mi senti? Mi vedi?”

 

“Sì. Ma… vedo… a macchie…”

 

“Ha perso sangue, capitano, e ha la pressione molto bassa, al limite. Adesso la portiamo in ospedale e le faremo tutti gli esami ed una trasfusione, va bene?”

 

“Imm- come? La bim-ba? Fran-?”

 

“Stiamo tutti bene, Calogiù, tutti bene, non ti preoccupare. Mo pensiamo a te!”

 

“Viene in ambulanza con noi?” le domandò uno dei ragazzotti, al quale rispose con un’occhiataccia della serie provateci solo a non farmici salire e altro che trasfusione!

 

Fece un cenno a Ranieri, gli porse anche Ottavia e diede un rapido bacio all’ululatore che, giustamente, strillava senza fermarsi. Si sentì infinitamente in colpa per quell’ennesimo trauma e per non poterlo portare con loro.

“Vi raggiungiamo appena possibile, dottoressa, non si preoccupi.”

 

“Ranieri, lo sa cosa penso di quelle tre parole, no?!” esclamò, incazzata nera con lui, con la scorta, con tutto quello che non aveva funzionato, con tutti quelli che avrebbero dovuto proteggerli e invece….

 

Lo lasciò lì, mortificato a cullare Francesco ululante, e raggiunse con le ultime forze l’ambulanza.

 

Si lasciò cadere quasi sul sedile che le avevano indicato.

 

“Imm-”

 

“Shh, Calogiuri, non ti preoccupare, lascia che ti curino adesso.”

 

“Ma… il bracc-?”

 

“Un colpo di striscio, capitano. Le è andata bene e-”
 

“E non è solo fortuna,” intervenne, perché aveva visto la quantità di proiettili a terra, sia dentro il casale che sul terrazzo e in giardino, dove scintillavano in modo inquietante alla luce della luna, “sei stato bravissimo, Calogiuri. Non so come hai fatto a resistere. Ora stai tranquillo, ma resta con me.”

 

Lo vide sbattere un paio di volte le palpebre, probabilmente cercando di metterla a fuoco, la mano buona che la stringeva ancora più forte ed un sorriso gli si tirò sul viso.


“Tranqui-lla, Im-ma. Sto be-ne. Non… è nien-te. Non si-amo mi-ca in un film!”

 

“E manco in una fiction, per fortuna, che se no saresti morto già tre volte! Almeno! Mannaggia a te!”

 

Fece per rilassarsi sullo schienale, ma una fitta al bassoventre la fece piegare in due quasi.


“Im- ma?!” esclamò lui, subito: percepiva tutto pure conciato così, mannaggia a lui!

 

“Ha male?”

 

“Una fitta, qua in basso ma- ahia!”

 

“Meglio fare due controlli anche a lei, a che mese è?”

 

“Im-ma!”


“Tranquillo, Calogiù, tranquillo! Sarà solo la piccoletta che si lamenta per tutti gli sballottamenti!” cercò di rassicurarlo, anche se il dolore era assai più forte del solito, diverso.

 

Ma si sforzò di rimanere concentrata, mentre forniva ad uno dei paramedici tutti i dati sulla gestazione e li sentiva chiamare qualche collega in ginecologia e ostetricia.

 

Non mi fare scherzi, piccoletta, almeno tu!


Nota dell’autrice: Ed eccoci qui alla fine di questo capitolo tra il rosa, il giallo e l’azione.

Imma e Calogiuri l’hanno di nuovo scampata per un soffio ma non senza conseguenze, anche fisiche. Nel prossimo capitolo vedremo a cosa porteranno ed il cerchio si stringerà ulteriormente intorno a loro e alle indagini, in attesa dell’udienza finale, per la quale i Mazzocca-Romaniello si stanno giocando il tutto per tutto.

Vi ringrazio tantissimo per avermi seguita fin qui, per l’affetto con il quale leggete questa storia e per tutti i vostri commenti. Spero che anche questo capitolo non abbia deluso le attese e, se vorrete lasciarmi una recensione e farmi sapere che ne pensate, per me sono davvero preziosissime per capire come procede la narrazione.

Un grazie enorme quindi a chi ha recensito e recensirà ed un grazie particolare a chi ha inserito questa storia nelle preferite e nelle seguite.

Ormai siamo alle battute finali anche della seconda stagione di Imma, giovedì scopriremo come finirà e poi attenderemo notizie sulla terza.

Il prossimo capitolo invece dovrebbe giungere domenica 23 ottobre. In caso di ritardi, vi avviserò come sempre sulla pagina autore.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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