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Autore: Eneri_Mess    11/10/2022    3 recensioni
Otto anni non sono una vita. Anche se il tempo separa le strade, non è detto che queste non si incrocino di nuovo. Quando però la persona che hai lasciato indietro non è più la stessa, i sensi di colpa sono l’unica radice reale a cui aggrapparsi.
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«Perché sei tornato?»
Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In the middle of our life'
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On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 4




 

Yeah, it was better back when we were kids
Thought we knew everything, we really did
Had no money but so rich

Nobody cared about what we did
Another fight and another kiss
But now it's water under the bridge

[When we were kids - Walking on cars]



 

Nonostante l’umidità e il sole a picco del dopo pranzo, Bakugou sperimentò ancora una volta come la temperatura variasse bruscamente una volta entrati nei vicoli di Wasuno. Il sudore gli si freddò sulla pelle, restituendogli una sensazione simile a un brivido. 

Era in piedi da meno di due giorni. Una pugnalata non era un gran problema comparata a ferite e traumi passati, ma non per questo provò meno fastidio nel camminare e sentirla tirare. Rimase una lamentela inascoltata - come lo sguardo di Todoroki degli ultimi giorni - di fronte a quello che era l’obiettivo di Katsuki. 

Con il cappellino da baseball calato sulla testa e i Ray-Ban sul naso, camminò fino a piazzarsi nella stessa stradina già scena dei precedenti incontri. Si riempì i polmoni al limite. 

«Deku! Io e te non abbiamo finito!» 

La sua voce rimbombò sui muri e fu certo che gli occhi fossero in ascolto. 

«Ehi, segaioli! Andate a chiamare il vostro merdoso capo! ORA!»

Restò in attesa qualche manciata di secondi, avvertendo di ritorno solo il sangue che gli martellava nelle orecchie. Era troppo su di giri e impaziente per attendere. 

«MerDeku! Giuro che scaverò ogni anfratto di questo posto per stanarti!» 

Alla decima minaccia urlata e alla prima esplosione frustrata contro il nulla, il sesto senso di Bakugou avvertì una presenza. Non era Izuku - dubitava di essere in grado ancora di riconoscerlo - ma percepì approcciarsi qualcuno di altrettanto silenzioso nei modi. 

Aggrottò la fronte, tirando su il mento nell’osservare la donna che sbucò con le mani in alto. 

Si scambiarono uno sguardo che lasciò Bakugou con una sgradevole sensazione addosso. Nulla che avesse a che fare con le vibrazioni neutre che emanava, quanto con l’idea che la nuova arrivata avesse compreso più di quanto si trovò a fare lui. 

«Chi sei, bionda? Non tratto con i galoppini» borbottò, sfruttando il momento per registrare il suo aspetto e i segni particolari, come una piccola cicatrice che le deturpava le labbra sul lato della bocca. 

Lei restò quieta, con le dita diafane inerti e a trasmettere l’esatta idea di arrendevolezza che l’intera sua aura emanava. Questo fece incazzare l’eroe senza un motivo preciso. La totale assenza di qualsiasi insinuazione o pericolo alzava in maniera irritante il suo stato di guardia. 

«Deku mi ha chiesto di portarti da lui. È parecchio indaffarato e non può venire.» 

Bakugou comprese molto dalle poche parole di quella ambasciatrice. Sapeva parlare. Non ci fu il minimo tentennamento nel suo tono. Né timore né minacce. Era quello che si sarebbe aspettato da un potenziale braccio destro, che fu il ruolo in cui l’intuito di Bakugou la collocò. In più, aveva pronunciato il soprannome di Deku con una sicurezza e una dimestichezza che fece fremere qualcosa dentro di lui. 

Di fronte alla sua mancanza di repliche, la donna continuò. 

«Ha però delle condizioni per parlare.» 

L’Hero sbuffò. 

«Spara.»

Sulle labbra della donna spuntò un breve sorriso. Ironico, quanto morbido. Bakugou si sentì preso in contropiede. Non la conosceva, ma intuì quanto dovesse essere raro. 

«Grazie per averlo detto.»

E quanto lui avesse appena fatto una cazzata. 

Il sibilo fu troppo breve per evitarlo prontamente. Quando si strappò dal collo l’ago soporifero comprese che fosse tardi per reagire. Le sue mani emisero un blando crepitio, mentre il mondo si rovesciava e diventava buio. 



 

La coscienza tornò con un grugnito che avrebbe voluto essere un ringhio. 

Bakugou sbatté le palpebre diverse volte cercando di mettere a fuoco la cosa più basilare che aveva davanti, ossia il pavimento. Era in cemento grezzo e questo gli diede un primo indizio, mentre strattonava le mani, sentendole sigillate in qualcosa che gli impedì di provocare la minima scintilla. Ne aveva viste a centinaia di manette per criminali con quirk, ma era dal festival scolastico che non ne sperimentava un paio. 

Scrollò testa e spalle per liberarsi dell’intorpidimento residuo e fare un quadro della situazione. Intento che si arrestò appena alzò lo sguardo e si accorse di non essere solo. Di nuovo, non lo aveva percepito.

Deku era a qualche metro di distanza, verso il fondo di quella grande stanza arredata come un ufficio moderno, nonostante di base non sembrasse che parte di un magazzino. L’Hero che era in lui stava già valutando l’ambiente in cerca di punti di fuga - tre porte, una era probabilmente il bagno, le altre due avevano vetri smerigliati, una doveva portare in una seconda stanza e una era illuminata da della luce esterna, mitigata, forse un cortile o uno spiazzo privato - e di quello che avrebbe potuto usare in una colluttazione o per segnalare la propria posizione - diversi oggetti e un telefono fisso. Mentre queste informazioni viaggiavano in background nella tua testa, Katsuki non smise di tenere Deku nel proprio campo visivo. 

Era seduto su una poltrona reclinabile, i piedi sulla scrivania e una pezza umida a coprirgli gli occhi. Come la prima volta, aveva una tenuta sportiva, anonima, e due copribraccia neri, ma nessun altro particolare di rilievo. 

Quando prese un respiro profondo, Bakugou trattenne inconsciamente il proprio. 

«Dimmelo subito» mugugnò Izuku, stiracchiandosi un poco in cerca di una posizione più comoda. «Intendi tornare qui anche dopo che ti avrò tagliato una gamba?»

Katsuki era troppo occupato a squadrarlo per rispondere a qualcosa di ovvio. Era di nuovo in sua presenza e, nonostante questo, nonostante continuasse a ripetere Dobbiamo parlare o Non abbiamo chiuso i conti, ancora una volta si trovò a corto di parole. 

Deku buttò fuori un respiro sfinito, togliendosi la pezza dalla faccia e lasciandola cadere sulla scrivania. Si alzò con indolenza e si trascinò davanti a Bakugou, massaggiandosi la faccia con le dita e sciogliendo i muscoli delle spalle e del collo con qualche movimento lento. 

L’ultima volta che erano stati così vicini Deku lo aveva pugnalato. La precedente invece lo aveva folgorato con una scossa. Eppure, la minaccia alla sua gamba era già sparita dalla mente di Katsuki. Aveva gli occhi fissi in quelli verdi dell’altro, frugandoli in cerca di un appiglio. 

«Sei un Pro Hero ora, Kacchan… non hai del lavoro da fare? Gente da salvare? Catastrofi in cui intervenire?»

«Ho settimane di ferie in abbondanza.» 

Un verso di infastidito vibrò nella gola di Deku. Recuperò una sedia e prese posto davanti a Bakugou, puntellando il gomito su uno dei braccioli e affondando la guancia nella mano per osservarlo. Più precisamente, contemplarlo. Non nascose i suoi processi mentali, lo sguardo pieno di pensieri, ma non ne lasciò trapelare nemmeno uno. 

«Non posso permettermi di stare dietro ai tuoi capricci. Ho delle giornate piene.»

Katsuki si sporse in avanti per quanto le catene glielo permettessero. Anche di più. Lui i limiti proprio non li sopportava, a costo di farsi male. 

«Sei occupato a vendere droga?» 

La fronte di Deku si contrasse, ma non per le accuse. Lo stava studiando a propria volta, ma Bakugou non capì cosa potesse cercare in lui. 

«A vendere droga, anche» replicò con un sorrisetto, quasi stessero parlando di qualcosa di piacevole. Izuku gli andò incontro, chinandosi di più in avanti, entrando in quello spazio che diede a Bakugou l’illusione di poterlo raggiungere. «Ti disturba tanto questa cosa? Spacciare non è negli schemi del Deku che ricordi?» 

Per la prima volta Izuku interruppe il contatto visivo, ma senza rivolgerlo a qualcosa in particolare. La sua espressione si fece meno tesa, ma non si ammorbidì. 

«Posso concederti il dubbio, penso sia lecito. Se a quindici anni mi avessero detto che sarei finito a gestire gli affari in nero di un intero quartiere, avrei faticato a crederci anche io.» Fece spallucce, liquidando l’argomentazione e mettendo su un sorriso sghembo. «Come si dice? Quando la vita ti da limoni…»

«Porti ancora i fiori sulla tomba di tua madre.»

Bakugou stava odiando la propria testa. Se avesse potuto liberarsi di quelle catene, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata sbatterla contro il muro. C’era troppa, troppa confusione. 

Un’ombra calò sul viso di Deku, ma quella linea scolpita sulle sue labbra rimase invariata. 

«È un crimine anche quello?» domandò con un tono dolciastro, amaro, eppure capace di scivolare dentro l’eroe come un liquido corrosivo. «Le volevo sinceramente bene… anche se non cambia quello che è successo dopo che sono rimasto solo.» 

Deku lo fissò e Bakugou non vide in quel volto più nessuno che conosceva. Una copia fisicamente conciliabile con l’età che Midoriya Izuku avrebbe avuto a ventitré anni, ma nient’altro. Nient’altro

Deku si picchiettò un dito sul naso, fingendo di pensare. Sapeva esattamente cosa dire. 

«Hai da ribattere anche su questo, Kacchan? Vuoi pulirti la coscienza con qualche discorso motivazionale?» 

Stava solo sussurrando, eppure l’impressione che l’udito restituì all’Hero fu quello di un urlo. 

Katsuki scoprì i limiti della propria ostinazione. Sostenne lo sguardo di Izuku finché quelle ultime parole - rimasto solo - non finirono di scavargli dentro, raggiungendo un punto scoperto che lo portò ad abbassare la testa, serrando la mascella e digrignando i denti con frustrazione. 

«Perfetto…» concluse Deku. Si chinò ulteriormente in avanti e annullò qualsiasi spazio tra di loro. Con un braccio circondò le spalle di Bakugou. 

Non fu un abbraccio. Fu troppo delicato, privo di consistenza, distante nonostante il contatto esplicito. La bocca arrivò abbastanza vicina all’orecchio dell’eroe da fargli rizzare i capelli più corti sulla nuca nel sentirne il fiato caldo. 

«Kacchan…» sussurrò, volutamente piano, cadenzato, premendo i tasti esatti che potevano conficcare spine lì dove faceva male. «Te lo spiego una volta per tutte: non ci sarebbe proprio nulla che tu potresti dire per redimerti ai miei occhi. O per cambiare qualcosa del passato. Davvero niente.» 

Bakugou non percepì più nessuno dei propri muscoli. Era come se fossero diventati vuoti di colpo, precludendogli ogni reazione, fosse stata anche solo quella di irrigidirsi. 

Il grido che però si spanse in queste cavità, rimbombando con una tenacia quasi fisica, lo riconobbe. Era lui stesso. La sua rabbia, la sua frustrazione, il basilare istinto che continuava da giorni a ripetere Deku è lì. 

Deku è davanti a te. 

Afferra Deku. 

Chiedigli scusa. 

Chiedigli scusa. 

Chiedigli scusa.  

«… lo so che sei una testa dura, Kacchan, ma mi sono stancato di ripetertelo. Ormai non mi importa più nulla. Ti sei fatto una vita, stai lavorando sodo per il tuo obiettivo. Io mi sono arrangiato per conto mio. Quindi perché non torni a ignorare la mia esistenza e facciamo finta che nulla di questo sia mai accaduto? Sconosciuti come prima?»

L’eroe non lo stava ascoltando. Non poteva accettare quel tono conciliante del cazzo. O se lo stava facendo, la risposta gli si lesse in faccia e Deku non sembrò contento. 

«Questa merda… non sei tu.»

Izuku si alzò di scatto. Il suo atteggiamento accomodante sparì dalla sua espressione, mentre la sedia si rovesciava in terra. Per un solo barlume di istante, Bakugou fu certo di vedere dell’ostilità più veritiera, con radici profonde, al di là di tutta la pantomima. Colse dell’odio. Questo riattivò una scintilla in lui, senza che neanche capisse perché lo facesse sentire pronto a reagire. 

«Kacchan… la pugnalata era un avvertimento.» 

Deku lo afferrò per la maglietta e Bakugou ebbe la conferma che, in fondo a quegli occhi spenti, qualcosa si stava agitando. 

«Tu non sai nulla di chi sono!»

Il pugno in faccia fece male. 

«Cazzo! Deku-»

«Sta zitto! Non provare a giudicarmi! O credere di avere qualche diritto per-»

«Deku.»

Furono interrotti. 

L’atmosfera nella stanza diventò pesante all’improvviso, premendo sulle loro spalle e smorzando il loro animo. Allo stesso tempo, l’attenzione di entrambi fu attirata dalla figura sulla porta. Bakugou riconobbe la donna venutagli incontro nel vicolo. Per la seconda volta, sentire la confidenza con cui pronunciò il soprannome di Izuku gli stritolò le viscere. 

Al contrario, Deku sembrò calmarsi di colpo, come se fosse stato premuto un interruttore. Si staccò da Bakugou. Fece un paio di passi indietro, massaggiandosi le nocche con cui aveva cercato di spaccargli il naso - quest’ultimo non si era neanche accorto del sangue che gli stava colando dalle narici - e prese un respiro più stabile.

«Ho tempo di cambiarmi?» e nel dirlo, tornò padrone del proprio tono, della propria presenza, raddrizzando le spalle. La donna assentì, rivolgendo poi l’attenzione al loro ospite. 

«Ohi bionda, Deku è occupato. Smamma» ringhiò l’eroe, non gradendo essere fissato. 

La tipa non si mosse. Bakugou non trovò né ostilità in lei, né la più basilare curiosità. Lo stava solo scrutando, ma ebbe la sgradevole sensazione che riuscisse a vedergli attraverso e stesse prendendo da sé informazioni senza chiedere. 

«Cosa faccio con lui?» 

Deku si allungò sulla scrivania per aprire un cassetto e recuperare un astuccio rigido. 

«Oggi vieni con me, Gin. Mi dispiace, ma ho bisogno di un backup fidato e non ho ancora trovato un sostituto per Tarou» spiegò sovrappensiero, mentre apriva la zip del contenitore e tirava fuori una boccetta e una siringa. «Lui può aspettare qui. Dice che ha preso le ferie, dubito lo verranno a cercare, non subito almeno. Devo finire di spiegargli un paio di cose.» 

Mentre lo diceva, Deku estrasse il contenuto della boccetta con l’ago, dando poi un colpo al cilindro in plastica. Il cervello di Bakugou realizzò che quella roba fosse per lui solo quando vide Izuku avvicinarsi. 

«Che cazzo credi di fare!? Non mi inietterai quella schifezza!» 

L’Hero si agitò tanto sulla sedia che fu sul punto di rovesciarsi, ma Deku lo afferrò dai capelli, obbligandolo a piegare la testa - e Katsuki constatò quanto quelle braccia fossero diventate forti. L’iniezione entrò con appena un pizzico. 

«Manda qualcuno a tenerlo d’occhio» continuò intanto Izuku, mentre osservava l’espressione di Bakugou mitigarsi e il suo corpo smettere di opporre resistenza. 

«Deku… aspetta…» 

L’eroe sentì la testa farsi pesante e la presa sui capelli sciogliersi. Vedeva ancora le scarpe di Izuku - avrebbe potuto dire qualcosa, ma la sua bocca era insensibile e non reagì. Deku parlò e la sua voce fu l’unica cosa nel buio a cui Bakugou si aggrappò. 

«Dicevo. Chiama qualcuno di discreto che lo tenga d’occhio. Solo d’occhio, nient’altro. Non si sveglierà prima di tre o quattro ore. Dovremmo essere tornati per allora.»



 

Ooh, tell me what I’m gonna do now
'Cause I feel a little lost without you
I'm a little bit lost without you
Hear me, hear me out
Tell me what I’m gonna do now
Because I realise now I need you
I'd do anything now to see you

[When we were kids - Walking on cars]



 

Katsuki si svegliò dall’ennesimo sonno sintetico e senza riposo. La tensione nei suoi muscoli era puro nervosismo concentrato, come se una parte di lui non si fosse mai sopita, ma non avesse neanche potuto vigilare la situazione come desiderava. 

Il grugnito che emise somigliò a un gemito. Si diede una scrollata controproducente che portò a sferragliare tutto quello che lo teneva ancorato alla sedia. Un gasp di sorpresa gli arrivò all’orecchio, mettendo sull’attenti la sua coscienza. Non era solo. 

Manda qualcuno a tenerlo d’occhio.

Le parole di Deku gli sfrecciarono in testa come un razzo di segnalazione, illuminando quegli spazi ancora al buio. Alzò la testa di scatto, i denti sbarrati come una bestia pronta a sbranare - catene permettendo

La minaccia si riassunse in un ragazzino di non più di quattordici anni. Seduto a gambe incrociate sulla poltrona di Deku, la testa incassata nelle spalle per lo spavento, aveva le dita strette intorno a una console portatile da cui proveniva una canzoncina troppo gioiosa per accompagnare la situazione. 

Dimentico del gioco, il più giovane sembrò tornare padrone di sé dopo aver deglutito, anche se non accennò a muoversi. 

«H-Hai sete?»

Bakugou aggrottò ancora di più la fronte alla domanda fuori contesto, ma la sua mente era impegnata a ricordarsi dove lo avesse già visto. Lo sguardo guardingo del ragazzino si sovrappose a un ricordo recente. 

«Tu sei il moccioso della rapina. Quello che Deku ha aiutato a scappare.»

Il teenager si ritrasse maggiormente nelle spalle, ma con un sentimento diverso, più simile all’avvilimento. Sviò l’argomento, restano nel presente. 

«Deku ha detto che non devo avvicinarmi perché mordi.» 

Katsuki replicò con uno sguardo confuso. Nonostante l’ennesima sensazione fastidiosa legata al sentire quel soprannome usato da tutti, mise su uno dei suoi ghigni mordaci, prendendosi una pausa dal nervoso che provava. 

«E come farai a farmi bere?»

Il ragazzino si decise a spegnere la console e appoggiarla a caso sulla scrivania, senza smettere di fissare Bakugou e la sua aria di sfida. Era così palese che stesse raccogliendo il proprio coraggio da fare quasi tenerezza. 

«… ho una cannuccia» rispose serio, mentre la sua testa pareva intenta a valutare la distanza da tenere con l’eroe per non vedersi staccato qualche dito. «Dovrai accontentarti di una coca cola, è l’unica cosa fresca che c’è. Deku l’ha comprata per me, ma si è dimenticato di prendere altro. Quindi ringrazia che la divida con te.»

Bakugou si arrese all’assurdità che stava vivendo. I pezzi del quadro generale continuavano a incastrarsi, ma restituivano un disegno incoerente. Passava da una situazione paradossale a un’altra, senza capirne la logicità. 

Quello che desiderava lui non riusciva a stringerlo a parole neanche quando l’occasione - Deku - era davanti a lui. Non sarebbe stato minacciare quel moccioso che lo avrebbe portato fuori dal vicolo cieco dove si era infilato. Anche se la voglia di urlare gli era rimasta incastrata in gola. 

Se ti limiti sempre e solo a sbraitare finirai col mancare informazioni importanti. Ogni tanto prova ad ascoltare e basta!

L'ammonizione di Jirou fu la ciliegina sulla torta che lo fece ringhiare tra sé. 

«Allora? Datti una mossa che ho sete.»

Il ragazzino saltò su a molla. 

«Sai… tu non sembri per niente un eroe.»

Il coraggio di parlare al moccioso sembrò venirgli dall’osservare la bocca di Katsuki impegnata, come se rispondergli a tono - o morderlo - gli fosse precluso in quel frangente. 

«Quando mi sei piombato addosso e mi hai dato la caccia avevi in tutto e per tutto l’atteggiamento di un Villain!» 

Bakugou grugnì di disappunto, ma si limitò a buttare giù la bevanda fresca, trovandola più confortante del previsto. Anche se odiava dover bere dalla stupida cannuccia. Non trattenne un rutto alla fine. 

«Se tu fossi stato a scuola io non avrei dovuto stanarti.»

«Cosa sei, un vecchio?» borbottò il teenager, constatando tristemente che non fosse rimasto neanche un goccio di coca cola. «La mia scuola è piena di bulli, non mi piace. E a Deku va bene così. Mi sta insegnando un sacco di cose.» 

«Come rapinare una banca?» insinuò mordace Bakugou, ritrovando il proprio malumore. 

Si accorse di aver toccato un nervo scoperto. Il sentore lo aveva avuto anche prima, ma ne ebbe la conferma dal disagio del ragazzino, da come tenne occupate le dita stritolando la cannuccia, guardando altrove. 

«… quello è stato un mio sbaglio.»

Katsuki restò in silenzio e in ascolto. 

«Non avevo capito cosa sarebbe successo… avevo sentito Deku e mio padre discutere… sai, nella rapina era coinvolto anche lui… rubare è sempre stato un suo vizio… ero contento che lavorasse per Deku, pensavo bastasse a tenerlo fuori dai suoi vecchi giri…»

Il moccioso fece spallucce, ma sul suo viso c’era una delusione e una tristezza che Bakugou non poté ignorare, anche se lo lasciò continuare senza interromperlo. 

«L’ho seguito stupidamente e una volta lì mi ha chiesto di fare da palo.» Passò a torturarsi un labbro coi denti, dando a intendere un muto Non avrei voluto, ma non sapevo cosa fare. «… giuro che non ho fatto male a nessuno. A Deku non piace quando chi non c’entra niente ci finisce in mezzo.» 

Il teenager si accorse di aver confessato più del necessario quando incrociò lo sguardo dell’Hero. 

«Q-Questo per dire che, insomma, non ho davvero preso parte alla rapina… è vero che forse ho, ecco… un po’ contribuito… ma…»

Katsuki sbuffò. Che situazione di merda… Ma aveva compreso più cose in quelle due chiacchiere che in tre giorni appresso a Deku. 

«Come ti chiami?»

Le spalle del più giovane si afflosciarono. 

«Vuoi arrestarmi davvero?»

Bakugou roteò gli occhi. 

«Moccioso andrà bene come nome.»

«Eeh!? No! Momo! Mi chiamo Momo! Ma il cognome non te lo dico!» 

«È più facile moccioso

Il ragazzino lo fissò a bocca aperta. 

«Tu sei impossibile! Perché ronzi intorno a Deku!?»

L’eroe si sentì pizzicato fastidiosamente dall’allusione.

«Chiariamo una cosa, pulce. Io non ronzo intorno a nessuno. Meno che mai a Deku.»

Di punto in bianco, un pensiero gli attraversò la mente. Qualcosa che aveva messo da parte, ma che ora non combaciava più con quello che aveva sentito in precedenza. L’Hero squadrò Momo da capo a piedi, assottigliando la propria occhiataccia.

«Ohi. Come ti ha punito?»

«Eh?»

«Deku. Cosa ti ha fatto? Aveva detto che avevi avuto quello che meritavi dopo la rapina.» 

Momo lo fissò spaesato, inclinando la testa, ma trasalì e balzò indietro quando la porta dell’ufficio si aprì senza preavviso. 

Deku e Gin erano sulla soglia. Il semplice incrocio di sguardi ribaltò lo stomaco di Katsuki. Un’ombra scura calò anche negli occhi di Izuku, ma prima che l’intera atmosfera ne fosse infettata, quest’ultimo sospirò dalla bocca, spezzando l’impasse sul nascere. 

Deku si grattò la nuca con un atteggiamento molto simile a un Speravo di non ritrovarti davvero qui. L’eroe ringhiò di rimando un muto quanto intuitivo Mi ci hai mollato tu qua, stronzo. 

Momo saltellò verso i nuovi arrivati, ignorando il loro spazio personale nel girargli intorno. Gin gli diede un buffetto sulla testa. 

«Bentornati! È stata una riunione noiosa?» 

«Anche» replicò stanco Deku, mentre si allentava la cravatta. Non staccò gli occhi da Bakugou neanche un secondo, ma non gli si rivolse mai direttamente. «Da quanto è sveglio?»

«Boh, dieci minuti?» e Momo sembrò chiedere conferma all’eroe stesso.

«Quindi la dose era giusta…»

Katsuki aveva la sua espressione più truce. Non replicò a quell’inezia, continuando a cercare di perforare Izuku con lo sguardo. Non gli era sfuggita la menzione di una “riunione” o il completo scuro che indossava e di cui, pezzo dopo pezzo, si stava liberando.  

L’ultima volta che aveva visto Deku conciato in maniera simile era stato al funerale della madre, ma il paragone risultò misero. Davanti a lui c’era un adulto abituato a vestire quei panni con disinvoltura, per quanto si percepisse un vago senso di costrizione. Non sembrava Izuku da nessuna angolazione, ma non poteva neanche dire che ci stesse male. Semplicemente, era fuori luogo. L’ennesimo dettaglio incongruente. 

Nel mentre, Momo si stava dondolando sui talloni, passando lo sguardo tra gli adulti. 

«… cosa ne facciamo di lui? Lo teniamo?»

«Ohi, moccioso, non sono un cazzo di cane!» 

Quello di Bakugou suonò proprio come un latrato. Il suo agitarsi non migliorò la situazione, facendo stridere le costrizioni che lo tenevano bloccato. 

«Toglimi ‘ste catene di merda, Deku! Devo andare a pisciare!»

Izuku finì di arrotolarsi le maniche della camicia ai gomiti per massaggiarsi le palpebre e lasciarsi scappare un nuovo sospiro spossato. 

«Sembri proprio un cane!» rise Momo senza freni, piegato in due, buttando benzina sul fuoco. «Prima ha accettato una coca cola, forse dovrà davvero fare i suoi bisogni!»

Bakugou passò agli ululati incomprensibili, fondendo insieme una sequela di improperi che rimbombarono per tutto l’ufficio.

«Deku…» 

La calma con cui Gin si rivolse al proprio capo in quella baraonda, rimarcando con un muto Cosa ne facciamo? la domanda di ore prima, riportò Izuku sui binari della realtà. 

«Prendi Momo e andate, ormai è ora di cena.»

Per quanto si stesse rivolgendo solo al proprio braccio destro, il sentirlo parlare ridiede calma alla stanza. Deku si ostinò a fissare Gin, nonostante Bakugou lo stesse bruciando con lo sguardo. 

«Finisco di sistemare le ultime cose e mi occupo di lui.» Trovò il contatto visivo con l’ex amico e non fu generoso. «Del cane.»

Katsuki diventò paonazzo. 

«Io ti ammazzo, Deku!»



 

I still call out for you
Oh, I still call out for you
Hear me, hear me
I still call out for you
’Cause I feel a little lost without you
I’m a little bit lost without you
Hear me, hear me

[When we were kids - Walking on cars]



 

Momo fu restio ad andarsene. Riempì Deku di domande mentre raccoglieva le sue quattro cose sparse ovunque, dalla console portatile, a una felpa leggera, una borsa a tracolla e un paio di manga. In tre ore che era stato lì - Una noia a fissarlo dormire! - aveva colonizzato l’ufficio. Izuku fu paziente. O quello, o probabilmente avrebbe drogato tutti per della sana quiete, perché Bakugou non la smise un secondo di abbaiare minacce. 

Quando Gin si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle con un’ultima occhiata, lasciandoli soli, il silenzio che scese fu così intenso da fare male ai timpani. Ma durò poco. 

«Occhio per occhio, eh? Che bluff del cazzo, mezzasega.» 

Bakugou si liberò di quel pensiero dandogli un peso concreto a parole, schernendo Deku in un tono intriso solo in parte di una derisione cattiva. Il resto non fu dissimile dal sollevare una pietra dal fondo umido e trovarci sotto un nugolo di sentimenti aggrovigliati e agitati. 

Non si rese necessario specificare il soggetto. Izuku lo guardò dritto negli occhi, senza dare appigli di essere stato colpito da quell’osservazione. 

«Anche grazie al tuo intervento, Momo si è spaventato abbastanza da capire da sé che non deve più infilarsi in situazioni del genere. E suo padre è stato arrestato. Una punizione più che sufficiente.»

«Seh, me l’ha detto, il moccioso è loquace. Ma meglio che il suo vecchio se ne stia in prigione se l’alternativa è coinvolgere il figlio in una rapina» sentenziò Bakugou, indurendo lo sguardo quando Izuku fece altrettanto, senza ribattere. Anche se non fu una vittoria, l’eroe poté constatare che almeno su una cosa furono d’accordo. Peccato che la quiete non perdurò, perché da dire Katsuki ne aveva tante. «Dovrebbe andarsene a scuola invece di farsi insegnare dall’inestimabile Deku come stare al mondo.»

Izuku alzò il mento, con un sorriso simpatetico ad attraversargli le labbra. La voglia che Bakugou sentì di cancellarglielo a suon di pugni non fu quantizzabile. 

«Nella sua scuola ci sono dei bulli esattamente come lo eri tu. Piccoli megalomani con dei quirk usati in maniera impulsiva e senza supervisione.» 

Non ci fu alcuna indulgenza nella sua voce. Snudò crudelmente una realtà fredda quanto vera.

«Perché non lo incoraggi tu a tornarci? Stringi i denti, la vita è così. Come ti suona, Kacchan?» 

Katsuki non replicò, ma non distolse neanche lo sguardo. Deku invece distese le spalle e la posa. Fu serio, quanto amaro.  

«Momo manca da scuola ormai da tre settimane e neanche ai professori importa qualcosa. Alla fine è solo un ragazzino del quartiere di Wasuno. Dimenticabile.»

Nessuno dei due aggiunse altro. Deku si massaggiò gli occhi con le dita, per poi fissare Bakugou attraverso queste. Dal canto proprio, l’Hero non fece nulla per agevolarlo nella scelta di cosa dire. Lo vide pensare e fu molto diverso dal ragazzino sfigato che conosceva, che non riusciva a tenere le sue elucubrazioni per sé ma doveva esternarle in mormorii invadenti. Aveva l’impressione che l’unica cosa rimasta uguale in Deku fossero solo le lentiggini. 

«Non ho tempo per stare dietro ai tuoi capricci. Posso lasciarti qui e continuare a imbottirti di tranquillanti fino a ridurti in coma per tenerti buono, ma preferirei che te ne andassi.»

«E io preferisco restare.»

Un vicolo cieco. 

Era quello che si stavano offrendo a vicenda. Una gara a chi fosse il più ostinato. 

Deku cedette per primo con un’imprecazione pressata tra i denti. Aprì un cassetto della scrivania e recuperò qualcosa, senza però che Bakugou riuscisse a vedere che cosa fosse. Si avvicinò a lui. 

«Se stai pensando di drogarmi di nuovo-»

«Cosa farai? Mi ucciderai con le mani legate dietro la schiena?» sibilò Izuku con la prima nota di frustrazione reale, completamente intrisa di stanchezza. 

Katsuki trattenne involontariamente il respiro e lo seguì come poté quando si portò alle sue spalle. 

«Ohi-»

Ci fu un click e poi un paio di tonfi pesanti. Bakugou riuscì a flettere le dita, libere. Seguirono le catene, che caddero a terra come serpenti a cui era stata mozzata la testa. 

«Dovevi andare in bagno? È la porta lì a lato.» 

Katsuki fu cauto e incredulo nell’alzarsi. Fissò l’altro da sopra la spalla e, anche a causa di questo, sbandò leggermente, registrando l’intorpidimento residuo dei narcotici, ma tenne lo sguardo fisso su Deku. Girarsi per raggiungere i servizi fu il modo con cui l’eroe scappò di nuovo da un confronto di cui continuava a bruciare le opportunità. 



 

I pochi minuti che aveva passato in bagno non erano stati utili a Katsuki per mettere ordine tra i pensieri. 

Aveva fatto la cosa più basilare, sciacquarsi il viso con dell’acqua gelida, pulirsi in modo approssimativo il sangue secco dal naso e fissarsi allo specchio. Neanche una settimana prima stava vivendo una vita che si era convinto sarebbe rimasta uguale per sempre. Patetico

Asciugandosi la faccia col bordo della maglietta, tornò nell’ufficio. Deku non si era defilato.     

«Spero tu non abbia bevuto l’acqua del rubinetto. Potresti avere problemi di stomaco più tardi.»

Izuku gli indicò una bottiglia iniziata sulla propria scrivania e l’eroe ci si avventò, tracannandone il resto in lunghi sorsi. 

«Prego.» 

Passandosi il palmo sulla bocca per togliersi le gocce residue, l’eroe fissò l’ex amico, appoggiato indolente al muro di fianco a uno schedario, intento a sfogliare un’agenda. Gli si portò davanti in poche falcate e lì si fermò con la propria presenza insistente. Deku non alzò gli occhi. 

«A meno che tu non sia qui per un’indagine ufficiale, questi appunti saranno una noia indecifrabile.»

Katsuki aveva registrato l’agenda per il mero oggetto che era. Il suo focus rimase Izuku. Fece un altro passo e si assicurò di avere controllo su ogni possibile via di fuga. Deku interruppe la lettura, ma non alzò lo sguardo. 

«Intendi andartene?»

«No.»

Nel tempo che l’agenda ci impiegò per cadere ai loro piedi, nella mano di Izuku apparve una lama. Bakugou ne fermò il taglio a pochi centimetri dalla propria gola, in una risposta altrettanto veloce, ma meno precisa. 

Se bloccare il coltello fu un riflesso condizionato dall’esperienza e rapido quanto respirare, i gesti successivi portarono la firma inconfondibile dell’irruenza di Dynamight. 

L’eroe impresse una forza oggettivamente eccessiva nell’imporsi su Deku, allontanando la lama dalla zona vulnerabile e costringendo l’altro contro il muro, con un palmo aperto e premuto sullo stomaco, in una muta, quanto istintiva minaccia di uso del suo quirk. 

Izuku non perse mai lo sguardo di Katsuki. Inarcò la schiena con forza e assottigliò lo sguardo alla smorfia di Bakugou quando il dorso della sua stessa mano, pronta a esplodere, insistette contro la ferita all’addome non ancora del tutto rimarginata. 

«Io lo so che tu non mi ammazzerai» sussurrò Deku, riempiendo quella stasi, la voce carica di sottesi. Sostenere il suo sguardo non fu differente dal prepararsi a ricevere il colpo di un Villain. Bakugou non arretrò neanche col pensiero. «Chi ti dice che io non farò lo stesso se ne avessi l’occasione?»

Il sangue ribollì nelle vene di Katsuki. 

«Non farmi ridere, Deku.» 

Fu un ringhio raschiato, spinto fuori da un ruggito che si bloccò in gola. Non fu divertente, non fu neanche una minaccia. Nel fondo ultimo di quelle parole, opache di rabbia, c’era di nuovo quella viscosità di emozioni che scorrevano senza dargli pace. 

Come era scattato, così Izuku rilassò di colpo i muscoli rigidi. La mano con cui teneva il coltello perse di iniziativa e, dopo qualche secondo, Bakugou la lasciò andare. Si accorse che il palmo sanguinava solo quando lo abbassò e lo vide con la coda dell’occhio, registrandone anche il dolore, per quanto irrisorio. La vocina dell’eroe dentro di lui non fu clemente nel rimproverarlo di aver permesso all’avversario quel vantaggio - perché Deku lo aveva fatto apposta. Sapeva che un palmo ferito per lui era un problema

Di contro, Katsuki non allontanò l’altra mano dal suo stomaco. 

«Cerca di non sporcarmi il completo, è su misura» borbottò Izuku, lanciando un’occhiata al sangue che stava colando lungo il polso dell’eroe. 

«Tu mi devi una giacca di pelle da novemila yen.»

«Ringrazia di essere uscito da Wasuno ancora vestito.»

Bakugou grugnì, masticando un’altra imprecazione. Non stavano andando da nessuna parte. 

Per quanto continuassero a rispondersi per le rime, stavano solo esaurendo il tempo a loro disposizione. Le minacce di Deku stavano perdendo di intensità in fretta e una piccola, marginale zona di coscienza di Katsuki sapeva che stava soltanto tirando la corda. L’opinione di Izuku nei suoi confronti era ancora la stessa e irremovibile. 

Non me ne frega niente

Provocargli quella scintilla di odio gli aveva fatto capire che ci fosse ancora della brace, sotto tutta quella cenere di passato condiviso assieme. Ma, se lo disse onestamente, non era lì per farsi odiare. 

«Mi dispiace.»

Fu tanto facile quanto sgraziato. 

Non lo guardò, non direttamente, ma Bakugou neanche si mosse per liberarlo dalla propria presenza. Anzi, senza volerlo, sentì il proprio palmo irrigidirsi, ancora fermo sull’addome di Deku. Si detestò, ma non si allontanò. 

Izuku non lo respinse. Immobile - rigido - restò appoggiato alla parete, lo sguardo che non tentò di capire cosa stesse passando per la mente dell’eroe, ma fisso in un punto inesistente tra il suo collo e la clavicola. Katsuki lo vide dischiudere le labbra, ma le parole arrivarono dopo un po’. 

«Per cosa ti dispiace? Per tutto?»

Non era la replica che aspettava, eppure la morsa al petto di Bakugou non peggiorò. Abbassò e inclinò leggermente la testa per ridurre quei dieci, o poco più, centimetri di altezza che li separavano, cercarne gli occhi, ma Deku si rifiutò di andargli incontro. 

«Sei diventato noioso, Kacchan.»

Bakugou non apprezzò e sbuffò, ma la rispostaccia gli si fermò sulla punta della lingua nel vedere Izuku abbassare ulteriormente le difese. Non la guardia. Il modo in cui teneva ancora il manico del coltello era guardinga e l’Hero non stentò a credere che al primo - ennesimo - passo falso gli avrebbe aperto un secondo buco in pancia. Tuttavia, Deku si abbandonò completamente contro il muro, facendo emergere una fiacchezza fisica portata allo stremo. 

Katsuki non riuscì a lasciarlo andare. Non in quel momento che la polvere tra di loro si era parzialmente diradata e si intravedeva qualcosa. 

Deku non aveva accettato il suo stentato Mi dispiace, ma non lo aveva neanche rigettato. Era uno spiraglio e Bakugou avrebbe fatto di tutto per spalancare quella porta definitivamente. 

Izuku mugugnò infastidito e l’eroe tornò alla realtà. 

«Ti dispiace?» sbuffò irritato, indicandogli con un’occhiata quella mano insistente sull’addome che lo teneva bloccato. «Comincio ad avere fame.»

Bakugou si decise a fare un passo indietro, lasciando la presa. Per la prima volta in tutti quei disastrosi incontri, la sensazione che il contatto con Deku persistesse, anche se non fisicamente, corroborò per un istante il suo animo. Tanto da fargli ritrovare il proprio ghigno arrogante - che Izuku non gradì, ma non ebbe la forza di ignorare.

«Andiamo. Che cosa si mangia da queste parti?»



 

Dei due, quello che mangiò, anche fin troppo voracemente, fu solo Bakugou. 

Niente di impegnativo, qualcosa che Deku recuperò entrando dal retro di un locale, direttamente nella cucina; lo fece attendere fuori poco meno di dieci minuti, per poi lanciargli in mano un involto di alluminio. 

Che fosse per effetto dei narcotici o perché non aveva pranzato, l’Hero divorò il tutto senza neanche chiedersi che cosa fosse - e le stradine quasi al buio di Wasuno non lo aiutarono a distinguerne l’aspetto. Quando nel silenzio in cui stavano camminando Deku gli fece scivolare in mano anche la propria cena appena spizzicata, Katsuki non fece complimenti a divorarla. 

Per qualche manciata di minuti, camminando fianco a fianco, in quel silenzio scandito da qualche morso e solo da un ciancicato La prossima volta facci mettere più piccante, sembrò tutto normale. Due persone che condividevano uno spazio troppo esiguo per non conoscersi. Immerse in una quiete che si sarebbe potuta scambiare per tacita e reciproca compagnia. 

Aveva i contorni vaghi di una tregua - le spalle basse e la schiena leggermente curva di Deku parlarono più di una resa - ma, per quello che avevano passato negli ultimi giorni, era una scena insperata. Bakugou la accettò per quello che era: un momento indefinito, ma esistente. 

Anche quando furono al limitare di Wasuno e restarono nell’ombra del vicolo, osservando la vita brulicante della strada che si affacciava davanti a loro, Katsuki continuò a stringere interiormente quel filo sottile che si era teso tra di loro. 

Spezzarlo sarebbe stato un attimo. Tuttavia era lì, a testimoniare che anche l’altro capo, dal lato di Izuku, si era legato a qualcosa, creando una connessione. Il compito di Bakugou sarebbe stato di rendere quel filetto una corda solida e poi tirare su Deku dal pozzo oscuro in cui era caduto. 

Perso com’era nei suoi intenti futuri, si accorse solo abbassando lo sguardo che Izuku non era più al suo fianco. Si voltò indietro di istinto, ma il vicolo da cui erano arrivati era deserto e buio. 

Non tornò sui propri passi a cercarlo. Quella giornata era durata abbastanza e il risultato, per quanto meno di quello che avrebbe voluto, gli stava restituendo una sensazione tiepida che gli ammorbidì l’espressione senza che se ne rendesse realmente conto. 

Massaggiandosi il petto sovrappensiero, Bakugou lasciò Wasuno e tornò a casa. 



 

I'm sorry
It's all that I can say
You mean so much,
and I'd fix all that I've done
If I could start again
I'd throw it all away
To the shadows of regrets,
and you would have the best of me

[Best of me - Sum 41]



 

* * *



 

«Ammetto di aver perso la cognizione del tempo - oltre ad aver dimenticato l’agenda in macchina - ma sono abbastanza certo che avessimo un appuntamento al club stasera.»

Deku trasalì. A riportarlo alla realtà fu la voce che lo accolse nei pressi del proprio ufficio. Abbozzò un sorriso, sciogliendo in parte la tensione della giornata. 

«Daisuke…» salutò, terminando gli ultimi passi per trovarsi davanti al nuovo venuto. «Ho avuto un contrattempo» spiegò, portandosi una mano alla nuca e premendo le dita in uno dei punti che sentiva ancora rigidi. «Ma se vuoi possiamo andare ora.»

L’uomo, prossimo ai quaranta, lo squadrò con un’occhiata seria che Deku non sostenne del tutto. 

«È successo qualcosa?»

La leggerezza iniziale fu abbandonata per farsi seria, come anche la postura si fece più composta. Daisuke era una persona dalla presenza discreta, pensierosa il più delle volte, ma in grado di catalizzare l’attenzione quando lo riteneva necessario. 

Deku sospirò, passandosi la mano sul viso e premendosi le dita sugli occhi, lasciandole lì per qualche secondo di riflessione. 

«… nulla di ingestibile» mugugnò alla fine, suonando falso alle proprie orecchie, ma ringraziò la spossatezza che si miscelò al resto del tono e lo rese più coerente. 

«C’entra Akane?» 

Al nome, Izuku si irrigidì e serrò la mascella. 

«No. Non stavolta.» 

Daisuke incrociò le braccia con un altro sospiro condiscendente. Non c’erano spigoli nella sua espressività, ma solo un silenzioso invito.

«Deku… Se non mi dici qual è il problema non posso aiutarti.»  

La consumata saggezza nella sua voce, una nota abituata, calma e incoraggiante, riuscì a superare le difese del più giovane. Ci volle qualche istante ancora, esitante, ma alla fine Daisuke poté fare un passo in avanti, familiare come un padre, e permise a Izuku di appoggiare la fronte alla sua spalla. 

«Giornata molto lunga?» tentò di indagare di nuovo, dandogli una leggera pacca sulla schiena a rimarcare la propria presenza e conforto. 

Deku emise un verso che parve il principio di una breve risata cinica e che si risolse nel buttare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni.

«Più di una.»

«Ho saputo della rapina e che un Hero è entrato a Wasuno inseguendo uno dei tuoi.»

Una sgradevole sensazione si arrampicò dentro Izuku. In meno di un secondo avvertì una morsa alla gola. Il volto di Bakugou gli si piantò nella mente in una sequenza di fotogrammi degli ultimi quattro incontri. Per quanto stanco, il suo cervello elaborò in fretta. Elaborò quel bivio che aveva sperato di non trovarsi a contemplare. 

Non dover fissare in faccia Daisuke lo aiutò. E fu il primo passo

«Sì… Me ne sono occupato e ho calmato le acque subito… però… purtroppo il mio autista è stato arrestato.»

«Capisco. Tarou, giusto? Non era la prima volta che si cacciava in qualche guaio, se ricordo. Stare al fresco gli schiarirà le idee. Ci occuperemo di trovare un nuovo autista presto. C’è altro?»

Deku trattenne inconsciamente il respiro, il cuore a martellargli nelle tempie per quella mezza - anzi, scarsissima - verità. Raccontare, confessare di Kacchan sarebbe stato liberatorio. 

Si ritrovò a meditare in fretta, mentre quei flash non se ne andavano e l’odore dell’Hero - la composizione esplosiva, vagamente dolciastra, del suo sudore - persisteva nella sua mente.

Bakugou era un problema. 

Un problema irrisolto che minava la stabilità della sua vita attuale. Lo faceva innervosire. Gli faceva perdere il controllo dei proprie pensieri. Ogni volta che i loro sguardi si erano incrociati, Deku aveva sentito delle mani frugargli dentro e trovare quelle scatole sigillate di ricordi che aveva seppellito a fatica. 

Tutti i suoi sforzi. Tutti i compromessi. Tutte le rinunce. Tutti gli sbagli. Tutto il dolore

Bakugou rischiava di distruggere ciò che aveva costruito.

Eppure… 

«No, nient’altro» sospirò, strusciando la fronte un’ultima volta sulla spalla di Daisuke, prima di tirarsi indietro. Si stropicciò gli occhi per tenersi occupato. 

L’uomo sospirò con pazienza e un sorrisetto. 

«Allora immagino che possiamo rimandare la nostra serata. Stai morendo dal sonno.»

Deku scosse la testa. 

«Ho bisogno di svagarmi. Andiamo.»



 

* * *



 

Il soffitto della camera era puntinato dai riflessi di luce della città. Le tende scure alla porta finestra erano tirate solo parzialmente, quel che bastava ad avere della privacy senza rinunciare del tutto al panorama. 

Dall’angolo in cui Bakugou era disteso nel proprio letto, gli occhi stavano vagando sui bagliori dei palazzi più alti e sul cielo di velluto blu. Il cellulare appoggiato all’orecchio gli restituì un terzo squillo, ma fu all’interruzione del sesto che Katsuki dovette riaccendere la mente e svuotarsi dal torpore. 

«Bakugou!? Tutto bene!? A quest’ora dovresti dormire!»

La premura gli strappò un sorrisetto che tenne per sé e per l’intimità della propria stanza. Quando parlò ci mise il solito sé stesso. 

«Sei troppo rumoroso. Sei di ronda?»

«Yup! Ma è una serata tranquilla, finalmente c’è un po’ di fresco! Tu invece? Ci sono per parlare, se ti va! So che ti sei preso le ferie finalmente! Ottima scelta! Pianifichi un viaggio?»

Bakugou cacciò una maledizione tra sé. La privacy non esisteva nella sua vita. 

«Non voglio sapere come cazzo lo hai saputo-»

«Ah, è stata Mina! Gliel’ha detto Sero, che credo abbia parlato con Kaminari l’altro giorno, dopo che ha incontrato Iida insieme a Todo-»

Bakugou mise la chiamata in pausa e cacciò verbalmente una bestemmia. A volte aveva l’impressione che la sua vecchia classe fosse un circolo di zitelle ficcanaso e non una squadra di eroi. 

«Dovete farvi i cazzi vostri, porca puttana» riprese. 

Dall’altro capo del telefono, Kirishima si zittì per un momento. 

«C’è qualcosa che non va?» e fu curiosamente serio. «Sembri scosso» aggiunse, ragionando tra sé a voce alta. 

Katsuki si massaggiò gli occhi, prendendo un respiro profondo. Ripensò a quel filo sottile e chiuse la mano a pugno - quella con l’ultima ferita lasciatagli da Deku - con la sensazione di poterlo afferrare per tenerlo vivo. 

«Stai solo zitto e ascoltami» borbottò. «Devo chiederti una cosa.»

Non poté vederlo, ma fu sicuro che Eijirou avesse appena raddrizzato la schiena, mettendosi in una sorta di posa più attenta, come se questo lo avesse potuto aiutare a concentrarsi meglio. 

«Sono qui per te, amico

Bakugou respirò forte con un grugnito finale.

«Perché hai voluto fare amicizia con me alla Yuuei?» 

«Ah-»

Kirishima non fu abbastanza veloce da soffocare per tempo l’evidente sorpresa. Tuttavia, Katsuki era troppo stanco per pressarlo sul momento. Stendersi a letto aveva acuito i residui del narcotico, ma aveva anche permesso alla tensione accumulata di sciogliersi e di fargli abbassare la guardia - o, come avrebbe commentato Sero, renderlo una gelatina

«Ehm, ecco… vuoi tipo discutere per qualcosa che ho detto all’epoca del liceo?»

Bakugou si rigirò nel letto, trovando per caso il telecomando dell’aria condizionata e accendendola. Il primo refolo freddo gli diede un brivido, tenendolo sveglio. 

«Rispondi e basta. Perché me?» 

Kirishima tergiversò. Fece avanti e indietro sul posto, si guardò in giro in cerca di parole, si grattò nervosamente una guancia col dito. A Katsuki bastò chiudere gli occhi per immaginare tutto questo. 

«Be’... perché mi sembravi un tipo interessante…»

«Eijirou.»

Dall’altro lato del telefono, Red Riot ingoiò e sbuffò pesantemente, cacciando un Accidenti tra i denti. Bakugou si rigirò di nuovo nel letto, sentendo un fastidio dettato dall’attesa alla bocca dello stomaco. 

«Ok, ok. Va bene, senza girarci intorno. Non te la prendere, eh? Parliamo di otto anni fa! Fu solo un pensiero del momento, all’epoca…» Kirishima si bloccò, trattenne il fiato e aspettò una qualche replica, ma Katsuki restò muto. «… dicevo. Ecco. La verità è che mi sembravi molto solo.» 

Bakugou corrugò la fronte. 

«Spiegati» non lo disse con irruenza, ma all’amico scappò comunque un altro mezzo verso soffocato. 

«Oh andiamo, ma perché proprio adesso questo discorso…» borbottò l’altro tra sé e sé, non rendendosi conto di aver tradotto a parole il proprio pensiero. «Ok, quando hanno formato la classe eravamo tutti nuovi tra noi - a parte Mina e me, ma non è che ci conoscessimo così tanto anche alle medie. Però, insomma, tu te ne stavi davvero tanto sulle tue. Cioè, anche Todoroki, ma, come dire… a te sembrava mancasse qualcuno.»

Ci fu uno strano suono, veloce, come se Eijirou avesse allontanato al volo il cellulare dall’orecchio, aspettandosi di essere investito da un’esplosione. Non successe. Sia perché era fisicamente impossibile, sia perché Katsuki si ritrovò a fissare spaesato il soffitto della propria camera. 

«… Bakugou? Ehi? Amico? Sei ancora lì? Lo sapevo, ho detto qualcosa che ti ha fatto incazzare. Senti….»

L’eroe lo ignorò. Lo ignorò perché un altro pezzo di quel buco che sentiva dentro si incrinò, lasciando fuoriuscire ricordi e sensazioni che aveva dimenticato - che aveva stipato in fondo, così in fondo da non poter essere aggredito alle spalle quando si fosse distratto. Ma quel tassello andò a unirsi agli altri, di un colore così triste da avere i bordi taglienti. 

Deku lo aveva sempre seguito. 

Da che aveva memoria, Deku era sempre stato lì, qualche passo dietro di lui, una presenza fissa. 

Poi… non c’era più stato. 

Strade diverse, semplicemente. Lui era entrato alla Yuuei e Deku non era stato lì con lui a fissargli la schiena, a chiamarlo, a esserci. Doveva andare così dall’inizio, no? Non c’erano altre possibilità. Quindi quell’emozione che aveva visto Kirishima era… la solitudine?

Gli era davvero mancato? 

«… e quindi ho pensato: Ehi! Anche se Bakugou ha questo caratteraccio e la gente preferisce evitarlo, io sono indistruttibile! Può picchiarmi o farmi esplodere, non mi farà male di certo! E penso che abbia funzionato, no? … ehi?»

Katsuki strinse il cellulare, tornando presente. Si umettò le labbra e si impose di tenere la voce ferma. 

«Quando passi di qui ti offro una birra.» 

«Oh? Oh!? Davvero!? Allora sarà-»

Bakugou chiuse la chiamata e lasciò cadere il cellulare sul letto per avere le mani libere e premersele in faccia. Se fosse stato sufficientemente incazzato con se stesso, qualche scintilla se la sarebbe fatta sfuggire, ma il suo umore era un altro.

Prese un respiro e suonò sgretolato, sofferto, come se l’aria facesse fatica a sgusciare intorno al groppo che gli ostruiva la gola. 

«Maledizione…» 

Con otto anni di ritardo, aveva appena realizzato che Deku gli era mancato. 



 

You were alone, left out in the cold
Clinging to the ruin of your broken home
Too lost and hurting to carry your load
We all need someone to hold

[Someone to Stay - Vancouver Sleep Clinic]




 

To be continued



 

Rieccoci =) Grazie per la lettura!
Un capitolo un po’ più lungo, un po’ più affollato e un po’ più risolutivo. O almeno. Un passetto in avanti siamo riusciti a farlo! Che ne pensate? 

Deku si è arreso davvero? Abbiamo capito che Bakugou è come un piranha, quando ti punta e inizia a morderti è la fine. 

Spero di non disorientare nessuno con tre degli OC che compariranno più di frequente in questa piccola saga. Per cominciare Momo, miccia di tutta la storia. Vogliategli un po’ bene, è piccolo e sarà la gioia di un altro personaggio più avanti UU Poi c’è Gin, che anche lei ha bisogno di tante coccole. Su Daisuke non mi sbilancio, sono curiosa dell’impressione che può avervi lasciato ;) 

Ma la vera stellina qui è Kirishima. È stato davvero un piacere scrivere di lui. Anzi, in realtà ha fatto tutto da solo, creandosi questa scena che in origine non era prevista. Bravo bravo UU 

 

Per chi avesse Spotify, lascio qui il link alla playlist della fanfic. Sto raccogliendo tutte le canzoni di cui leggete le cit, in ordine di apparizione (tranne quelle che si ripetono). Spero possano intrattenervi nella lettura ;) 

 

Alla prossima!
Nene

 
   
 
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