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Autore: Stillathogwarts    18/10/2022    2 recensioni
Malfoy Manor, durante la Seconda Guerra Magica.
Harry e Ron sono costretti ad andarsene, lasciando indietro Hermione.
Il destino della ragazza sembra segnato, quando, all'improvviso, Draco decide di intervenire e portarla in salvo.
DRAMIONE | WHAT IF | (Mini-Long)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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CAPITOLO 8
A Never-ending Cycle





 
 

 





Era di nuovo lunedì e Draco si era presentato al San Mungo sperando che fosse il giorno in cui sarebbe tornato a casa insieme a sua moglie.
Le aveva comprato la sua colazione preferita, sperando di dargliela insieme a delle buone notizie.
Il Guaritore gli si avvicinò non appena mise piede nell’edificio, ma non aveva una bella cera.
Tutto il colore defluì dal volto di Draco, mentre ascoltava le sue parole.
«Signor Malfoy, prima di accompagnarla da sua moglie, dovrei prepararla per quello che troverà una volta varcata la soglia della sua stanza.»
Gli spiegò quello che era successo durante la notte, ma lui non riuscì a metabolizzare quasi nulla di quel discorso. Spinse la porta con timore e quando fece il suo ingresso, la vide seduta sulla poltrona, davanti alla finestra.
«Buongiorno, Hermione» mormorò esitante, avvicinandosi al suo comodino e posando il sacchetto con la colazione su di esso.
Non staccava gli occhi da lei e lei continuava a non riconoscere in alcun modo la sua presenza.
Le si sedette accanto e prese una delle sue mani tra le proprie.
«Hermione?»
Si girò lentamente a guardarlo e gli sorrise. «Ciao. Mi sapresti dire come mai non ci sono più le margherite, lì fuori?»
Le lacrime sfuggirono dai suoi occhi senza che lui se ne rendesse conto.
Era entrato al San Mungo con la speranza di riportarla a casa e ora, in un attimo, non sapeva più se quel giorno sarebbe mai arrivato.
«Mi dispiace», disse solamente.
Lo sguardo di lei si spense e diresse nuovamente l’attenzione all’esterno.
«Non importa», mormorò flebilmente Hermione. «Aspetterò che fioriscano di nuovo.»
§
Potter lo raggiunse non appena ricevette il suo gufo.
Draco non aveva davvero nessun altro da chiamare, ma non sentiva di potercela fare da solo.
Aveva bisogno di qualcuno.
Allora si era abbassato a chiamare persino lui, a farsi vedere sconvolto e vulnerabile da quello che una volta era stato il suo rivale scolastico.
Col tempo aveva quasi iniziato a piacergli, ma il suo orgoglio gli aveva sempre impedito di considerarlo un amico.
Probabilmente per Potter era lo stesso.
Si chiedeva se fosse quello che anche Hermione aveva provato quando erano emersi i suoi sentimenti verso di lui; la difficoltà nel conciliare l’orgoglio con il bisogno; il desiderio di non soccombere a quelle emozioni, ma l’impossibilità di non farlo.
Lo trovava cupamente ironico.
Adesso era lui che poteva contare solo su quello che un tempo aveva considerato un nemico.
Adesso era lui che aveva un suo vecchio nemico come unico amico.
«Cos’è successo?» gli chiese preoccupato e Draco tirò su col naso.
Fissava un punto imprecisato sulla parete bianca della sala d’attesa, mentre gli raccontava quello che il Guaritore gli aveva spiegato qualche ora prima.
«Non ricorda, di nuovo.»
La sua voce era spezzata. «Il Guaritore sostiene che la sua mente si è completamente resettata durante la notte.»
«Cosa significa?»
«Che siamo di nuovo al punto di partenza», sputò fuori in un sussurro appena udibile.
Si coprì il volto con le mani e non protestò neanche quando Potter gli posò una mano sulla spalla per consolarlo e dargli forza.
Merlino solo sapeva quanto ne avesse bisogno in quel momento.
Quando si riprese, lo guardò con aria supplichevole.
«Avrò bisogno di te nei prossimi giorni», ammise a denti stretti. «Non vorrà vedermi.»
Potter annuì e si sedette accanto a lui.
«Hanno qualche idea su come curarla?»
Draco deglutì. «Non sono sicuri di poterlo fare.»
Scoppiò a piangere e non riuscì proprio ad impedirselo.
Perché ora sapeva che non avrebbe mai più riavuto indietro la sua vita meravigliosa con la sua stupenda moglie, che la promessa di felicità rappresentata dal giorno in cui avevano pronunciato il fatidico sì, non era altro che un sogno lontano ormai. Una mera, fragile, illusione.
«Troveremo una soluzione», lo incoraggiò il moro. «Vedrai.»
Un grugnito lasciò la gola di Draco, incontrollato. «Non sono il tipo da false speranze, Potter», asserì freddamente. «Non c’è bisogno di indorare la pillola, con me.»
L’altro annuì, sconsolato.
«Quell’idiota di Weasel non ha intenzione di venire a trovarla?»
«Sai com’è fatto», rispose scuotendo il capo Potter. «Dice che non riesce a vederla con te.»
Il biondino si lasciò andare ad una risata priva di alcuna ilarità. «Probabilmente non dovrà mai più farlo.»
§
Quando Potter lo raggiunse al San Mungo, quel mercoledì, Hermione prese la notizia meglio di quello precedente.
Se era Harry ad assicurarle che Draco non aveva la minima intenzione di consegnarla a Voldemort, lei non poteva fare altro che fidarsi.
Gli fece una domanda per verificare che non fosse sotto Polisucco, però, e Draco sorrise, perché in qualche modo la sua Hermione, quella brillante strega di cui si era innamorato, era ancora lì, nascosta da qualche parte.
Stava facendo di tutto per rimuovere dalla sua mente le urla del giorno prima, l’immagine del disprezzo con cui lo aveva guardato mentre gli intimava di starle lontano. Il disgusto con cui gli aveva detto che non avrebbe mai sposato qualcuno come lui, che non gli avrebbe mai creduto.
L’intervento di Potter era di aiuto, la rendeva più docile, più gestibile.
Riuscivano a convincerla più facilmente in due.
Draco gli tese la videocamera che Hermione aveva comprato tempo prima e gli chiese di registrare un video per poterlo riutilizzare nei giorni in cui non si sarebbe fidata di lui.
Potter acconsentì; era visibilmente triste e affranto anche lui, ma quel giorno sembrava anche particolarmente cauto nei confronti di Draco e il suo atteggiamento guardingo lo insospettì.
«Sputa il rospo, Potter.»
Il Prescelto sospirò, si accomodò su una poltrona e lo invitò a fare altrettanto.
Non parlò finché anche Draco non fu seduto.
«È confermato», gli rivelò. «L’uomo al volante il giorno dell’incidente era sotto la Maledizione Imperius.»
Draco serrò i pugni. «Sospetti?»
«Potrebbe essere stato uno qualsiasi dei Mangiamorte ancora in libertà.»
Il biondino chiuse gli occhi e strinse i denti. «Lo avete già interrogato?»
Potter corrugò la fronte. «Chi?»
«Lucius» specificò gelidamente.
La quantità d’odio che traspariva dalla sua voce mentre ne pronunciava il nome era immane.
«Non può lasciare il Manor e comunque non ha la bacchetta», gli ricordò l’altro. «E non può neanche toccare quella di tua madre, il Wizengamot se n’è assicurato. Non avrebbe potuto-»
«Ha ancora le mani», ribatté Draco con voce fredda e strascicata. «E i gufi. E sono convinto che abbia ancora degli ‘amici’ là fuori.»
Harry allora annuì e sospirò stancamente. «Faccio preparare un mandato per Malfoy Manor.»
§
I tempi per ottenere il mandato erano troppo lunghi per i gusti di Draco, così si presentò davanti al cancello di Malfoy Manor quel pomeriggio stesso.
L’enorme testa che fungeva da tramite con l’interno della casa lo riconobbe immediatamente e spalancò le porte senza che dovesse dire anche solo una parola.
Draco strinse la sua bacchetta tra le dita, così forte che le sue nocche diventarono bianche.
«Draco!» esclamò di emozione sua madre quando lo vide e fece subito per avvicinarglisi, ma lui si scostò bruscamente.
«Dov’è?» domandò con un ringhio. «Dov’è Lucius?»
«Draco, che cosa-»
«Ti ho detto di dirmi dove diavolo è quel maledetto bastardo!» le urlò contro, così forte che lei arretrò e si portò una mano sul petto.
«Draco», esordì la voce melliflua e meschina di suo padre. «Mi era sembrato di sentire la tua voce.»
Draco si voltò di scatto e marciò contro di lui. «Sei stato tu, non è vero?»
Lucius alzò un sopracciglio, fingendo indifferenza. «Di cosa stai parlando, figliolo?»
Lo afferrò per la collottola e lo sbatté contro il muro con violenza. «Non chiamarmi figliolo!» gridò, livido in volto. «E non negare! Non ti è bastato rendere la mia infanzia miserabile e la mia adolescenza un vero inferno, dovevi anche portarmi via l’unica cosa al mondo che mi rendeva felice! Dovevi per forza distruggere la mia famiglia!»
«Non ho idea di cosa tu stia dicendo», replicò atono Lucius. «Non l’ho neanche mai vista quella che tu definisci ‘famiglia’.»
La smorfia di disgusto e di superiorità sul suo volto gli fecero vedere nero dalla rabbia.
«Lo so che sei stato tu! Ammettilo, fottuto bastardo!»
Non aveva la più pallida idea id come avesse fatto a capire che sarebbe andato al Manor ugualmente, né sapeva come fosse riuscito ad entrare, ma all’improvviso la mano di Potter era sul suo braccio, con una presa ferrea e decisa, e la sua voce gli sussurrava frasi all’orecchio con cadenza lenta e accomodante, come se stesse cercando di farlo calmare.
«I tuoi figli hanno bisogno di te», gli sentì dire alla fine, le uniche parole che comprese veramente. «Hermione ha bisogno di te. Se fai qualche stronzata oggi, resteranno da soli.»
Draco lasciò cadere la mano con cui impugnava la bacchetta lungo il fianco, ma continuava a guardare suo padre con un’espressione di puro odio stampata in volto.
Recuperò pian piano lucidità e iniziò ad arretrare lentamente.
«Prima o poi troveremo il Mangiamorte che ha eseguito i tuoi ordini», gli sibilò contro, con un tono che la fece sembrare una minaccia e una promessa allo stesso tempo.
«E ti sbatterò ad Azkaban personalmente.»
Lucius rispose con un sorriso beffardo che gli fece venire da vomitare.
«Chiederò il bacio dei Dissennatori, fottuto pezzo di merda!»
La mano con cui Draco impugnava la bacchetta tremò, ma la presa di Potter era salda sul suo braccio mentre lo trascinava via, lontano da quella casa degli orrori.
§
Ogni lunedì, quando Draco si svegliava, sapeva già che lei non lo avrebbe riconosciuto affatto.
Che tutto ciò di cui le sarebbe importato, sarebbero state le margherite.
Era così da due anni ormai.
Aveva fatto piantare quei fiori in giardino prima ancora che venisse dimessa dal San Mungo, dopo l’incidente, sperando che servissero a tranquillizzarla.
Aveva funzionato.
Le cure a cui veniva sottoposta regolarmente le impedivano di peggiorare, ma i miglioramenti erano stati pochi.
Era più reattiva ora, all’inizio della settimana, ma i successivi due giorni erano spesso un disastro.
Per i primi tempi, Potter si era presentato a casa loro ogni martedì per aiutarlo e sostenerlo durante i tentativi di fare accettare a Hermione quello che c’era da dirle.
Ma quando il piccolo James Potter era nato, Draco aveva deciso che era arrivato il momento di capire come vedersela da solo, che non era più il caso di gravare sul loro amico.
«È mia moglie», gli aveva detto. «Troverò un modo. È una cosa che devo fare io.»
«È come una sorella per me» aveva insistito il moro. «Lo faccio volentieri.»
«Abbiamo approfittato abbastanza della tua disponibilità, Harry.»
Aveva iniziato a chiamarlo Harry, alla fine.
La prima volta era stata quando Ginevra Potter si era offerta di trascorrere le sue giornate con i bambini insieme a Hermione per permettere a Draco di andare in ufficio a lavorare.
Il suo mandato di collaborazione con il Dipartimento Auror, concordato con il Wizengamot durante il suo processo, si era trasformato in un vero e proprio contratto di lavoro, con il tempo.
A Draco l’idea di poter rimediare ai suoi sbagli catturando criminali aveva ridato speranza e vigore, ma ad un certo punto era divenuto un obbligo in tutti sensi.
Non era mai contento di doverla lasciare sola, ma non aveva scelta, perché doveva provvedere alla sua famiglia e perché non avevano ancora trovato il responsabile di quello che era successo a Hermione; non avrebbe trovato pace finché non avesse portato a termine quella sua crociata personale.
I giorni più duri erano i martedì, quando lei gli urlava contro quanto lo odiasse, ma soprattutto le volte in cui non gli permetteva di avvicinarsi ai bambini perché non si fidava di lui.
Ovviamente, lei non avrebbe potuto fare niente a parte cercare di prenderlo a pugni, perché non poteva usare la magia, ma lui si costringeva ad assecondarla, a tenersi lontano, pur di darle un po’ di tranquillità.
I video di Harry che le spiegavano la situazione non sembravano quasi mai calmarla il martedì, né aiutarla in alcun modo ad accettare di essere la moglie di Draco Malfoy.
E anche i sabati delle settimane in cui reagiva particolarmente male erano orrendi, perché lei non faceva che piangere e chiedergli scusa per tutto.
Lui non lo sopportava, perché la colpa restava sempre sua.
Era stata sua zia a incasinare la sua testa e suo padre a toglierle la memoria per gran parte del suo tempo, in fondo.
Era soprattutto la domenica a cui Draco si aggrappava per mantenersi forte, per raccogliere le energie e riaffrontare tutto daccapo il giorno seguente.  
La domenica Hermione era di nuovo sé stessa.
La domenica era il giorno in cui lui tornava a vivere.
§
Hermione sospirò pesantemente e si girò su un fianco; prese a guardare Draco, studiandone i lineamenti, anche se sapeva perfettamente che l’indomani non avrebbe ricordato niente, che avrebbe pensato solo alle margherite.
Lui stava fissando il soffitto, sovrappensiero, ma si voltò immediatamente verso di lei quando la sentì allontanarsi dal suo corpo.
«Dobbiamo parlare», gli disse in un sussurro.
La sua voce era seria, ma anche immensamente triste.
Draco corrugò la fronte. «Non voglio sprecare la domenica sera parlando» protestò, facendo scivolare la mano sulla sua nuca e attirandola a sé. «Voglio fare l’amore con te.»
Hermione rispose al bacio, ma poi allontanò di nuovo il viso da quello di lui.
«Per favore.»
Lui sospirò e si mise a sedere. «Dimmi.»
La vide deglutire e capì subito che quello che stava per dirgli non gli sarebbe piaciuto.
«Devi lasciarmi andare, Draco», iniziò parlando lentamente. «Portami al San Mungo…»
«No.»
La sua voce era categorica mentre quasi le gridava contro il suo rifiuto più totale di assecondare quella richiesta.
«Draco, questo è un inferno!», insisté lei, ferma sulla sua posizione. «Non posso condannarti a vivere il resto della tua vita in questo modo, lo vedo quanto soffri!»
«Ti ho detto di no, Hermione!» ribatté lui. «Ne abbiamo già parlato in passato, non ho intenzione di separarmi da te.»
«Tu meriti di meglio», lo supplicò ancora. «I bambini meritano di meglio!»
Draco si portò una mano sul viso e ringhiò dalla frustrazione. «Tu sei tutta la mia vita, Hermione. Non posso e non voglio rinunciare a quello che abbiamo, anche se posso averlo solo per tre giorni alla settimana!»
«Sei giovane e sei un uomo dannatamente attraente, Draco Malfoy» gli disse Hermione, soffocando il dolore che il concetto che stava per esternare provocava al suo cuore. «Puoi andare avanti, rifarti una vita…»
«Smettila!»
Draco si alzò dal letto, senza sapere esattamente cosa intendesse fare, perché non aveva la minima intenzione di lasciare quella stanza, di allontanarsi da lei.
Era domenica.
«Draco, non puoi continuare a sopportare tutto questo solo perché ti senti in colpa nei miei confronti!»
Draco posò la fronte contro il muro freddo per calmarsi, serrò gli occhi e respirò a fondo.
«Il senso di colpa non c’entra nulla con la mia decisione di restare con te», le assicurò. «In salute e in malattia, ricordi? Lo abbiamo giurato.»
Hermione emise un singhiozzo. «Non voglio tenerti legato a me, bloccato in questa situazione di merda per una promessa fatta in altre circostanze. Non è una malattia normale.»
Il biondino strinse i pugni e si voltò a guardarla.
Perché non capiva?
Non poteva sopportare l’idea di una vita senza di lei.
«Non voglio mai più sentire questo discorso», le disse in tono perentorio quando tornò a stendersi al suo fianco. «Sei mia moglie. La madre dei miei figli. Ti amo. E voglio solo te. Voglio stare solo con te.»
Le prese il viso tra le mani e la guardò con un’espressione tormentata che Hermione gli aveva visto troppo spesso nel corso degli ultimi anni.
Dopo la guerra, aveva sperato costantemente di riuscire a cancellarla dal suo viso.
Ora ne era la causa.
«Noi restiamo insieme, Hermione» mormorò ancora. «Combattiamo insieme.»
Lei chiuse gli occhi, ma le lacrime caddero ugualmente, silenziose.
«Sempre e per sempre», aggiunse con un filo di voce, muovendo le dita dolcemente sulle guance di lei. «Lo abbiamo giurato.»
«Sono solo stanca di vederti stare male a causa mia», bisbigliò triste.
Lo amava così tanto da farle male al cuore.
«Non è colpa tua», le sussurrò. «E credimi, anche solo la domenica con te vale la pena di affrontare tutto il resto.»
Gli permise finalmente di baciarla, di farla sua, e poi gli si accoccolò contro il petto, stringendolo con forza e decisione, affondando il volto nella sua pelle per far sì che il suo profumo la pervadesse interamente.
«Draco», fremette prima di addormentarsi, come era solita fare ogni settimana.
Ci provava sempre a restare sveglia, ma ci riusciva raramente; non importava, alla fine, perché non piaceva a nessuno dei due vederla perdere progressivamente i suoi ricordi durante la notte, comunque.
«Ricordati di alzarti all’alba, martedì. Non voglio rischiare di reagire come l’ultima volta che non te ne sei andato prima che mi svegliassi. Non voglio rischiare di farti del male.»
§
Era il periodo di Natale e Draco poteva finalmente restare con lei tutto il giorno.
Le ferie avrebbero dovuto avere un sapore diverso, ma a lui ormai andava bene anche rimanere sul divano a guardarla.
Il martedì e il mercoledì lei sbuffava spesso quando lo faceva; i giorni in cui non gli lanciava contro la prima cosa che trovava a tiro, almeno.
Spiegarle perché non avesse la bacchetta non era facile e quando lei era priva di ricordi positivi che lo riguardassero, quel dettaglio non faceva che accentuare i suoi sospetti.
Si calmava sempre quando vedeva i bambini, però.
Smetteva di gridare.
Draco poteva sopportare il suo essere guardinga e sospettosa; erano gli insulti che lo ferivano con la forza di mille lame, anche se non lo dava mai a vedere.
Ma Hermione non lo insultava mai davanti ai bambini, in qualche modo se ne premurava sempre.
Anche durante i martedì in cui si ostinava di più a non credergli.
A volte, Draco pensava che il martedì fosse la sua punizione per gli errori passati.
Sirius, Cassie e Lyra avevano un effetto più efficace dei video di Potter nel convincerla che quella era la sua vita, perché somigliavano così tanto a entrambi che non poteva negarlo neanche lei.
Riusciva ad essere fantastica con loro anche se non ricordava niente e la cosa non mancava mai di farlo sorridere, mentre si fermava a guardarli insieme.
Spesso Draco ripensava con una morsa al cuore alla domenica sera in cui lo aveva supplicato di esserci per i bambini quando lei non era in grado di farlo, di non incolpare loro per quella situazione.
«Non l’ho mai fatto», le aveva detto, spiazzato. «Lo sai che li amo con tutto me stesso.»
Lei aveva solo annuito. «È solo che non voglio che tu ti chiuda in te stesso. Non ti fa bene, Draco.»
Ed era il motivo per cui aveva iniziato a vedere uno specialista.
Perché doveva fare di tutto per assicurarsi di mantenere costantemente la sua lucidità, la sua forza. Le sue abilità di occlumante erano essenziali in tal senso.
Lo doveva a lei, ma soprattutto ai loro figli.
Era una vita dura, la loro, ma almeno una volta a settimana poteva essere felice.
Almeno, la domenica tornava sempre.
Almeno, la domenica, Draco poteva averla con sé.
E un giorno, si ripeteva continuamente, era sempre meglio di niente.

 
   
 
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