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Autore: _uccia_    22/10/2022    0 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                                     ---------------VICTORIA-----------------

 
Nata con la vocazione di essere una nuova opportunità residenziale al di fuori dei storici palazzi della città di San Pietroburgo, era finita per essere simbolo di degrado.
Questa poteva essere il titolo della locandina pubblicitaria di Piazzale Lenin nel cuore del rione. Una piazza che con l'omonima, ben più conosciuta e meravigliosa Piazza Lenin della città per bene, non aveva nulla a che fare.
Un complesso abitativo costruito in un lugubre quartiere della città tra il 1962 e il 1975 dall’idea di un architetto desideroso di farsi conoscere nel panorama russo e per dare risposta alla crescente domanda di abitazioni a basso costo per fasce economicamente svantaggiate.
Palesemente una scopiazzatura della architettura sovietica, anche se in molti la definivano "reinterpretazione".
Le strutture vennero realizzate disponendosi a ferro di cavallo attorno a uno spiazzo grande quanto un campo da calcio. L'idea di progettazione era quella dell'Exisenzminimum, una corrente architettonica per la quale l’unità abitativa del singolo nucleo familiare sarebbe dovuta essere ridotta al minimo indispensabile.
Questo avrebbe comportato sì una spesa costruttiva ridotta, ma anche il massimo utilizzo degli spazi comuni, dove la collettività avrebbe dovuto integrarsi.
Il complesso era originariamente composto da 7 edifici su un’area di 115 ettari.
Due di questi erano stati demoliti nel 1997 e nel 2000, i restanti risultavano composti da corpi di fabbrica paralleli tra loro. Grossi blocchi uniti da ballatoi e rampe di scale, lunghi 100 metri e alti 45 con 14 piani l’uno. Strutture portanti realizzate in cemento armato con elementi prefabbricati.
Vero orgoglio della Federazione.
Da quello che ne sapeva Victoria, ciascuna abitazione era di dimensioni piuttosto contenute e standardizzate, 50 metri quadrati all’interno, con terrazza esterna di 10 metri quadrati.
Si chiedeva come si riuscisse a vivere in un pollaio.
Un fischio acuto la riportò con l'attenzione al centro della piazza dove si trovava, la partita era ricominciata.
I ragazzini tredicenni di quel rione avevano organizzato una partitella di calcio, cinque contro cinque usando un vecchio pallone di cuoio spellato della Nike. Duro e pesante come un sasso.
Victoria non aveva voluto sentire ragioni e con l'aiuto di un Nicolaj interprete al quanto contrariato, aveva ottenuto l'ingaggio da difensore.
Non si sentiva più le mani dal freddo, i guanti di lana spessa le davano gran poco sollievo. Il respiro le usciva a sbuffi congelati dalla gola, le gocce di sudore le facevano venire la pelle d'oca lungo la schiena.
Le guance e il naso erano di un rosso accesso.
Ma si stava divertendo.
La partita iniziò, i ragazzini erano ordinati, ben educati a non correre tutti insieme dietro alla palla. Si passavano il pallone e mantenevano la loro posizione. Se poi uno prendeva un calcio la scena a terra era d’obbligo.
Le azioni si susseguivano incalzanti, gli avversari erano più bravi. Partì un tiro a palombella, il portierino bassetto poté soltanto guardare la palla entrare in porta.
Victoria si unì agli ululati di disappunto e alcune madri dei ragazzetti, al limitare della piazza, applaudirono o si unirono alle rimostranze.
Andava tutto bene, Victoria lo percepiva. C'era un buon clima di divertimento.
Aveva detto a Nicolaj di farsi da parte, di aspettarla alle porte dell'unica grande uscita della piazza senza attirare troppo l'attenzione su di sé e la sua aria losca da teppista.
Piazzale Lenin era perfetto, non aveva creduto alle parole di Nicolaj quando in auto erano passati lì davanti la prima volta:
"Non é di nessuno. Volkov non ha messo occhi sopra, prima di ampliare vuole rinforzare suoi punti strategici".
"Com'é la gente di quì?". Aveva chiesto la ragazza dal sedile posteriore della vecchia auto di Nicolaj.
"Ha fame", fu la tetra risposta. "Ma non é in buona posizione per business, troppo grande. Troppa gente. Non é nella politica di Siberiano".
Victoria non era d'accordo, la Camorra aveva prosperato in quartieri come quello. Le Vele di Scampia ne furono state l'esempio per anni, prima della riqualificazione e i cantieri che ne erano conseguiti.
Ma Victoria capiva quello che il suo accompagnatore le lasciava intendere.
Volkov il troppo teso.
Volkov il paranoico, lo schivo, il senza finestre in casa.
Volkov il solo.
"Gooool!!", urlò lei d'impeto. Fino a perdere il fiato e infilando la palla fra i due mattoni messi a mo' di porta ai lati del piccolo portiere avversario.
I ragazzini attorno a lei cominciarono a saltellare, prendersi per i fondelli, ridere ed esultare ma poi... tutto si fermò.
Parvero tutti pietrificarsi sul posto, smisero di sorridere e con apprensione si voltarono tutti verso il cancello d'entrata della piazza. Un rombo tonante di auto sportiva aveva risuonato tra le mura grigie del comprensorio.
Una madre richiamò il figlio, seguita a ruota da altre due. Un gruppetto di ragazzini più grandi rimasero nel piazzale ma si riunirono tra di loro e parvero valutare il da farsi.
Vasilj Volkov era arrivato e benché non avesse fatto null'altro che scendere dalla sua auto sportiva nera ribassata, tutti nella piazza si misero in allerta come gazzelle in presenza di un leone.
Victoria si sfregò i palmi delle mani fra loro e si strinse nelle spalle in un gesto quasi automatico mentre Nicolaj correva a scambiare due parole con il suo superiore.
Pantaloni della tuta blu scuro, bomberino nero chiuso con la zip fin sotto al mento, cappello con il frontino calato sugli occhi e scarpe da ginnastica. Eppure... Vasilj appariva ugualmente come un signore della guerra.
"Ragazzi...", chiamò speranzosa Victoria in un russo stentato, rivolgendosi ai ragazzini rimasti. "Giochiamo, dai giochiamo".
Un fischio acuto, di quelli che si fanno a labbra tese per attirare l'attenzione di una fica di passaggio.
Qualche secondo, in cui Victoria rimase volutamente di spalle verso l'entrata della piazza. Poi, ancora un altro fischio.
I ragazzini, lentamente tornarono alle loro abitazioni.
Victoria strinse i pugni e si voltò verso suo marito, ancora fermo immobile a gambe divaricate in fondo al piazzale.
Aveva fischiato lui? Certo che lo aveva fatto, per chiamarla.
Lei non avrebbe fischiato così nemmeno a un cane.
Lo vide alzare due dita e farle cenno di avvicinarsi, accanto a lui un Nicolaj a braccia incrociate ed espressione seria.
Razza di schifoso Giuda, bastardo.
Man mano che la ragazza si avvicinava, Vasilj non le staccava quei crudeli occhi grigio cemento di dosso.
Fu una lunga camminata della vergogna fino a lui. Aveva la capacità di metterla a nudo solo fissandola, come se la passasse a raggi X.
Lui non la guardava mai solamente, la esaminava.
Victoria aveva suo malgrado il cuore in gola, quell'uomo le faceva ancora lo stesso effetto di quando lo aveva visto in volto la prima volta all'hangar per aerei alla consegna della merce dall'Honduras.
Fortunatamente non era mai stata incline ad arrossire e non volle spezzare quel silenzio per prima.
"Che fai?", le domandò lui concisamente.
"Li ho visti giocare e ho pensato di unirmi a loro", gli rispose lei con semplicità. "Ma questo, il buon Nicolaj te lo avrà già detto".
Gli osservava ostinatamente il naso sottile e affilato, proprio non riusciva a guardarlo negli occhi.
Lui tirò sù forte con quel naso, se lo grattò e si guardò nervosamente in giro. "Con ragazzini... senza giusta scorta".
"Ho bisogno di riempire le mie giornate!", si ostinò lei.
Nicolaj prese rapidamente congedo levandosi furbamente dai coglioni.
Vasilj infilò le grosse mani tatuate nelle tasche dei pantaloni e si guardò attorno. "Perché sei quì?".
Lei stava per controbattere ma lui scosse il capo e si succhiò un canino.
"Verità!", ordinò.
Era così palese che non fosse il tipo di ragazza sportiva e socievole?
Lei allora gli indicò le alte terrazze, i volti che facevano capolino dalle centinaia di finestre sigillate con lo scotch per tappare gli spifferi. E poi l'unico vero cancello di entrata al piazzale e i tre vicoli laterali che portavano all'esterno del comprensorio, così stretti da far passare solo un uomo adulto per volta in fila indiana.
"Poi hai visto i bambini?", si accalorò lei continuando tutto d'un fiato. Temeva di venire interrotta, aveva forse solo quell'unica possibilità per farsi sentire.
"Visto quanti ragazzini ci sono? La maggior parte non va a scuola e non lavora, passano il tempo a rubare e vandalizzare. Sono minorenni... ne ho visti almeno una trentina".
"Come fai a sapere queste cose?", le chiese lui accostandosi di un passo più vicino a lei.
Lei gli sorrise debolmente. "Gli altri bambini parlano, raccontano di fratelli e sorelle sempre a casa. Di genitori disoccupati, tossicodipendenti oppure sempre a lavoro in fabbriche dove prendono una miseria... hai visto quanto in alto arrivano i terrazzi? Le vedette potranno vedere fino in fondo la strada, possiamo mettere sbarramenti ai tre vicoli di uscita e aprirli solo per le emergenze. I ragazzini possono...".
Il Siberiano le agguantò le spalle in una stretta ferrea. "Ferma", la esortò. "Non faremo niente!".
Victoria si tolse il guanto alla mano sinistra, la sua pelle era diafana in contrasto all'inchiostro del suo personale marchio. Il nome Volkov per sempre a segnarle il dorso, circondato dalla stella Vory.
Appoggiò il palmo in un delicato tocco sull'ampio petto dell'uomo, all'altezza del cuore.
Lui le permise di farlo.
Il suo respiro sapeva di fumo di sigaretta e il suo profumo così personale di calda quercia e chiodi di garofano, si aggrappava al suo gonfio giubbotto imbottito.
"Marito mio..." esordì docilmente inalando dalle narici aria gelida e suadente profumo. "Voglio questa piazza, concedimela. Donala a me e non ti deluderò".
L'espressione di Volkov però non mutò, qualcosa non andava.
Le sue iridi rimasero di pietra, il suo labbro sfregiato un agghiacciante ghigno senza divertimento.
"Con quali uomini? I miei?". Sbottò con falso divertimento. Si scostò da lei e le fece cenno di salire in auto. "Non ora, non oggi...".
Una volta nell'abitacolo, Victoria prese posto accanto a lui sul sedile del passeggero ma Vasilj esitò ancora qualche momento prima di partire.
Mise in moto premendo il pulsante di START ma non fece retromarcia, continuò invece a giocherellare con il suo massiccio anello d'oro nuziale con lo stemma Vory facendoselo girare e rigirare attorno all'anulare sinistro.
"Cos'é successo?", gli chiese con apprensione.
Lui continuava a far girare l'anello. "Il carico..", borbottò sovrappensiero.
"Il carico?", si domandò lei a fior di labbra.
Lui tremò, scosso da una improvvisa ira e si batté l'indice contro il petto.
"Il MIO carico! Rubato, portato via. Polizia preso e andato!". Poggiò la nuca contro il poggiatesta del sedile, fece un respiro, poi fu pronto per partire. "Porto te a casa, poi io incontro Boris Titov".
  
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