C'è un momento particolare in cui capisci che non ci sarà risposta al tuo richiamo. Che non importano i pianti, le urla, le braccia tese verso il vuoto, alla ricerca di un abbraccio o anche solo di un tocco.
Non vi sono orecchie che ti ascoltino, né braccia che desiderano il tuo tocco.
Sei solo, solo al mondo, e il tuo destino è in balia del caso o, ancora peggio, del caos.
È tutta questione di consapevolezza, di lettura dell'aria, della situazione, dello stesso istinto.
Certe cose si sanno, è semplicemente così.
Così, semplicemente, il bambino, dopo urla dolorose e desiderose, mani che han sfiorato solo l'aria, lacrime che non sono state asciugate... solo allora, il bambino si quieta e comprende.
Forse, capisce che bisogna farsene una ragione. Che, tanto, è tutto fiato sprecato.
E lui ha bisogno di tutte le sue forze per affrontare una vita che, da subito, si dimostra tragica e solitaria.
Così, Naruto si quieta, lasciandosi cullare dal movimento ripetuto della culla che lo ospita, stringe le manine rosee, butta fuori l'aria trattenuta dal pianto e lascia che le lacrime si asciughino da sole, raggrinzendo appena la pelle.
Guarda il mondo con occhi attenti, grandi e luminosi.
Ma sa già, a pochi giorni dalla sua nascita, che quel mondo non gli risparmierà nulla. E dovrà studiarlo, farlo suo, per costruire una corazza forte abbastanza da proteggerlo dal male che, inevitabile, lo investirà.
Presto o tardi, la sua vulnerabilità sarà un peso; presto o tardi sarà solo contro il mondo.