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Autore: Corydona    01/11/2022    0 recensioni
Raccolta di extra di "Dai tuffi al cuore": piccoli spin-off e missing moments sui personaggi di Dtac.
Si possono leggere senza aver letto la storia principale!
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Olimpiadi Romane'
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Con il telefono appoggiato tra la guancia, l'orecchio e la spalla, apre il borsone della piscina e toglie il costume zuppo dalla busta di plastica in cui l'aveva chiuso. «E così stasera vi vedete?»

«Sì... ma sono nervosa. Non so nemmeno quale vestito mettermi. Tu che mi consigli?»

«Sul vestito?»

«Sì!»

Si porta due dita sugli occhi, spremendosi le meningi. Che cazzo di domanda... Come era vestita al suo compleanno qualche settimana prima?

Appoggia il costume sullo stendino lasciato aperto dalla sera prima nel salotto. Scosta la tenda che dà verso la strada. A quell'ora la via si sta facendo buia e trafficata e gli pare di vedere, tra le tante figure femminili, quella della voce che gli parla all'orecchio. «Ne avevi uno nero, giusto?»

Che rincoglionito, certo ne aveva uno... E ricordava benissimo come le fasciava i fianchi e le metteva in risalto la linea delle gambe. Era così bella quella sera, e lui l'aveva fissata a bocca spalancata senza nemmeno farle un complimento.

«Per una prima uscita è troppo serio. Émilien, che faccio?»

«Vacci nuda, apprezzerà.» Si dà una manata sulla fronte, perché le parole gli sono uscite di bocca senza pensare. Coco non merita quelle battute idiote da parte sua.

Ma lei scoppia a ridere. «Mi porto un impermeabile e glielo apro davanti!»

Lui rilassa le spalle, guardando incantato i fanali delle macchine che scorrono di ritorno a casa. Almeno non si è offesa per la sua pessima uscita. Accosta la tenda e indietreggia, ma va a sbattere contro il divanetto e ci cade sopra, finendo con la schiena tra i cuscini.

«Cazzo...»

«Che succede?»

«Niente, sono inciampato sul divano.»

«Quella casa è troppo piccola persino per te

Se ci fosse lei, sarebbe più grande di Versailles. Tutto con lei sarebbe diverso, persino quegli spazi angusti in cui intruppa ovunque al minimo movimento.

«Hai deciso il vestito?» Svicola, perché un nodo alla gola gli impedisce di dare voce ai suoi veri pensieri.

«Mi sa che metto quello nero...»

Émilien sorride, poi incontra il suo riflesso sulla televisione spenta e si vede ridicolo, con le gambe all'aria come un cane a dare consigli alla ragazza che ama per il primo appuntamento con un altro. Si è davvero ridotto come un cagnolino per lei? Possibile che Coco non si accorga dei suoi sentimenti?

«Ci sei?»

«Sì, scusa, ci sono. Con quello nero stai bene.» E sei bellissima.

Colette non parla, dall'altra parte della linea. Non poteva chiedere il parere a un'amica? O a Jean, se proprio aveva bisogno di un'opinione maschile...

«Be'... Grazie.»

«Se ti devi preparare, ti lascio andare.»

«Va bene. Ci vediamo lunedì

Sorride di nuovo, inebetito. La prospettiva di vederla in allenamento gli risolleva il morale. Lì sono in pochi, solo i pochi che parteciperanno alle Olimpiadi. Lui, Coco e Jean.

«Se dovesse andare male... Chiamami.» Glielo dice, ma con tono preoccupato. Non ha idea di chi sia quel tizio, lei non gli ha dato nemmeno un nome da odiare e con cui prendersela. O da cercare sui social per decretare che si tratta di un imbecille. Eppure, dalla descrizione di Coco, non sembrava affatto un imbecille.

«Certo.» Non è una parola di circostanza, dal tono Émilien immagina il suo sorriso. Magari si sta aggiustando gli occhiali sulla punta del naso, o forse li ha appena tolti per infilarsi nel vestito...

Lei chiude la chiamata e lui lascia scivolare con un sospiro il cellulare dal suo orecchio ai cuscini di pelle. Un tonfo sordo lo avverte che ha proseguito il viaggio fino al pavimento.

Bah, sta bene lì, tanto non mi serve.

Si guarda attorno: le pareti spoglie, il mobile del televisore in cui conserva vecchi dischi e i giochi per la console comprata a marzo. Tutto gli sembra così inutile, quella casa è vuota se non c'è sua sorella a tormentarlo con le nuove uscite di moda di cui non gli importa un tubo, se non c'è sua madre a chiedergli quando è che vuole mettere su famiglia e perché se non ha una ragazza non ammette di essere gay; se non c'è Jean per giocare con la Play Station, o Coco a guardarli con disapprovazione mentre loro sfrecciano sui circuiti della Formula 1.

Senza le persone che contano davvero, quel bugigattolo non ha senso.

Si alza in piedi e raccoglie il telefono. Lo sblocca e sullo schermo compare una vecchia foto di quando era bambino con sua sorella Laure che giocava con le onde del mare e suo padre che gli insegnava a nuotare tenendolo a galla mentre lui doveva muovere braccia e gambe. L'arrivo di un messaggio fa vibrare il dispositivo.

"Come stai?"

"Laure, sto bene. Che vuoi?"

Digita velocemente, quasi rabbioso. Poi lo sguardo gli cade sul numero del giorno: venti luglio.

Cazzo, no.

"Scusa" si corregge subito. "Tu come stai?"

Si era sforzato tanto nel non pensarci, che alla fine aveva davvero dimenticato la ricorrenza.

"Sto bene anche io, stasera sono a casa con Antoine e guardiamo un film. Tu sei da solo? Veniamo lì da te?"

Émilien si alza in piedi, sbattendo la gamba contro il tavolino basso. Fanculo.

"No, Laure, non serve. Grazie lo stesso" e aggiunge un cuore per sembrare meno freddo. Per un istante esita, ma poi ci ripensa. Se le dicesse di Coco, lei si precipiterebbe lì con il suo miglior faccino compassionevole. Non vuole essere compatito da nessuno, deve risolvere da solo. Deve stare meglio da solo.

Arriva in cucina e apre tutte le credenze, lasciando le ante dei mobili a mezz'aria come ali di gabbiani. Si gratta il mento, fissando nel lavello i piatti sporchi della sera prima che ancora non ha pulito. Possono aspettare.

Prende il telefono dalla tasca e apre la chat con Jean. "Ci sei stasera? Ti passo a prendere e andiamo in centro."

"Purtroppo no, sono a una cena con i miei. Ci possiamo vedere dopo."

Scuote la testa. Non è da lui fare tardi, Jean-Marc gli avrà risposto così perché ricorda la data.

«Non merito un amico così.»

Appoggia la mano libera sul lavello, poi si gira e guarda nel frigo vuoto.

«Stasera mangio fuori, anche da solo.»

 

***

 

Qualcuno lo scuote sulla spalla, il viso è affondato in qualcosa di morbido e amaro che gli entra in bocca... Terra?

Si gira sulla schiena e le luci accese della Tour Eiffel lo accecano.

«Émilien, sei tu!» Lo squillo di una voce femminile che parla in inglese gli trapassa le orecchie. Si schermisce dall'illuminazione troppo forte con una mano, mentre qualcuno – un uomo? – lo aiuta a mettersi seduto.

«Ti abbiamo visto mentre camminavi fin qui... Sei caduto come un sacco di patate, ci siamo spaventati. Stai bene?»

«Ma chi sei?» Lo butta fuori in francese, è troppo intontito per riflettere in un'altra lingua. Si volta verso la voce e gli pare di riconoscere Valentina Filippi, una tuffatrice italiana con cui ha avuto una breve avventura qualche tempo prima. «Ah, ciao.»

Lei sospira, rincuorata. «Ti senti bene?»

«No.»

«Ti accompagniamo a casa?»

Annuisce, e si fa aiutare dal ragazzo di Valentina a rimettersi in piedi. Guarda la Tour Eiffel, forse qualche coppia fidanzata la sta fissando dall'altro lato proprio come lui, a bocca aperta.

E all'improvviso ricorda.

«Coco...» Cade in avanti sulle ginocchia, senza neanche aver mosso un passo.

«Émilien!» Valentina si china su di lui, accarezzandogli la schiena. «Che succede?»

Lui si porta le mani al viso. Sente gli occhi gonfi, non vuole piangere davanti ad altre persone, non vuole mostrarsi debole; ma non sa per quanto ancora riuscirà a mantenere il controllo. «Coco non mi ama.»

Lei si accovaccia al suo fianco, mentre il suo fidanzato – com'è che si chiama? Fabio? – fa lo stesso.

«Quanto hai bevuto?» gli chiede in un inglese dalla pronuncia britannica.

«Troppo.»

«Fabri, non possiamo lasciarlo qui» sussurra Valentina, in italiano.

«No, portiamolo a casa

Sono a mezzo metro da lui, ma li sente distanti. Qualcosa gli vibra nei pantaloni e cade con il sedere sull'erba nel tentativo di estrarre il telefono dalla tasca. O mantiene l'equilibrio o prende il cellulare. Valentina lo raccoglie e glielo porge.

«Cazzo, no... se era Coco?»

«Coco?»

«È con un altro... è con un altro!» Tira su con il naso, nel vano tentativo di trattenere una lacrima. «Sono un coglione, dovevo dirglielo che la amo.»

I due lo aiutano a rimettersi in piedi e Valentina lo porta sottobraccio lontano dagli sguardi curiosi dei turisti.

«Tu la ami?» gli sussurra, strattonandolo perché non barcolli in mezzo alla strada.

«Lei no, lei non mi ama.»

Lei sposta lo sguardo verso il fidanzato, che si allontana. «Fabrizio sta chiamando un taxi.»

Émilien fissa inebetito l'uomo, che riconosce solo per le fotografie che ha visto di lui e Valentina sui social. Nella testa sente un forte ronzio, si dà un colpetto a pugno chiuso sulla tempia per cercare di riportare silenzio nei suoi pensieri, ma non riesce a ragionare neanche così.

«Émilien, come sei arrivato qui?» Fabrizio è tornato e gli ha posato una mano sulla spalla. Sembra che gli importi di lui, il suo tono è preoccupato.

«A piedi... io volevo solo cenare al locale sotto casa, ma c'era uno sconto sulla birra...» Si ricomposero nella sua mente le immagini della cameriera che gli portava un boccale, poi un altro, poi un altro ancora e chissà quanti dopo. «Poi sono uscito da lì... E non so come sono arrivato qui, ma non me ne frega niente.»

«Adesso ti portiamo a casa, stai un po' meglio con l'aria fresca?»

«Fabri, la stava prendendo anche quando è caduto, l'aria fresca...»

Émilien scoppia a ridere, piegandosi in due, e si appoggia a Fabrizio per non finire con la faccia sul marciapiede. Ride, sotto lo sguardo attonito della coppia italiana, ma non riesce a smettere, perché se lo facesse forse scoppierebbe di nuovo a piangere. E non è quello che vuole.

Si ferma di colpo e si sente venire meno. «Era Coco al telefono?» chiede a Valentina. «Hai visto se era lei?»

«Non ho guardato, vediamo insieme?» Gli parla come farebbe una madre a un bambino.

Lui si sente ridicolo, ma annuisce. Sblocca lo schermo e subito un'altra chiamata è in arrivo. Risponde subito, questa volta.

«Jean?»

«Mi sono liberato di quella cena, ti raggiungo?»

«No, non serve.»

«Ti sento strano, stai bene? Prima non mi hai risposto.»

Guarda Valentina, che lo incoraggia a parlare. «Sì, sto bene, avevo tolto la vibrazione» mente, ma l'amico non se la prenderà. «Scusa... è un momentaccio.»

«Sei sicuro di non volermi lì?»

«Sì, Jean, non ti preoccupare. Non sono da solo.»

«Mi fa piacere. Scusami, la prossima volta mando a puttane qualsiasi impegno dei miei e sto con te.»

Émilien tira su con il naso. «Grazie, Jean.»

Valentina gli sorride, come se volesse dirgli anche lei che quel ragazzino è un tesoro e lui non merita di essere circondato di persone che si prendono cura di lui.

«Devo andare, ti scrivo domani.»

«Va bene. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, io sono qui. Un abbraccio.»

«Buonanotte.» Chiude la chiamata prima che l'amico possa aggiungere altro. Ogni sua parola gentile è una stilettata nel suo animo fragile. «Dovete smettere di preoccuparvi per me.» Abbassa lo sguardo, ma può percepire Valentina e Fabrizio scambiarsi un'occhiata perplessa. È ancora avvolto dalla sensazione di annebbiamento dovuta all'alcol, ma percepisce la realtà amplificata attorno a lui e ogni parola, ogni gesto, ogni movimento, ogni voce lo trapassa e lo scuote da dentro. Come se Bacco stesse suonando il suo corpo scambiandolo per una batteria improvvisata. Si sente rimbombare da dentro per ogni vibrazione esterna.

E piange, perché si rende conto di quanto sia insensato e disperato il modo in cui ha cercato di annegare il ricordo della morte del padre e il dispiacere per i suoi sentimenti non corrisposti.

«É-émilien, possiamo fare qualcosa per te?» Valentina gli passa un braccio attorno alle spalle.

Scuote la testa, e una lacrima scivola dal suo naso all'asfalto. «No, sono un coglione ed è colpa mia... Dovevo dirglielo.»

«Dirle cosa?»

«Vale, lascialo stare.»

Un taxi bianco si ferma davanti a loro. Fabrizio gli apre lo sportello e lo fa salire, e si ritrova a dare il suo indirizzo di casa, scortato come un criminale dai due fidanzati che si siedono uno alla sua destra e l'altra alla sua sinistra. Si copre il volto con le mani: si sente un criminale, nei confronti di quel sentimento che da sobrio non sa nominare.

«E lei pensava che a Budapest volessi farmi Becky...» Si appoggia alla spalla di Fabrizio, che non dice nulla.

«Stai parlando di Colette?» gli chiede Valentina.

«Sì... sono un imbecille.»

«Ma no, non sei un imbecille.»

«E allora perché stasera è uscita con un altro e non con me?»

«Le hai mai chiesto di uscire?»

«Tu usciresti con uno che si è fatto mezzo mondo?»

Lei gli stringe una mano tra le sue e ne accarezza il dorso proprio come faceva Laure quando erano bambini e lui si sbucciava le ginocchia e non voleva farsi medicare da sua madre per non farle scoprire che era sempre il solito scavezzacollo. «Non è importante quando c'è l'amore di mezzo.»

«Cazzate. Io non uscirei con me stesso. Fa bene a frequentare un altro.»

Si riscuote per una brusca frenata del tassista. Come tutti i sabati d'estate, le vie brulicano di traffico e di vita. Émilien si spalma contro il corpo di Fabrizio per guardare fuori i gruppi di ragazzi, con la sciocca speranza di poter vedere Coco. Ma, a essere onesto con sé stesso, lui non ha la più pallida idea di dove sia andata a cena con quel tipo.

«Sei hai la nausea diccelo.» Valentina lo sistema in modo che sia seduto composto. E perché, se proprio deve vomitare, non lo faccia addosso al suo ragazzo.

«No, non ce l'ho. Mi gira solo la testa.»

Nessuno dice più una parola fino a quando il taxi si ferma davanti al palazzo grigio in cui vive Émilien. Lo trasportano fino al suo piano, ma ormai lui si sente di poter tranquillamente camminare sulle proprie gambe.

Caracolla fino al letto e si lascia cadere lì, troppo stanco per dire a quei due che il divanetto si può aprire e che ci sono delle lenzuola nel suo armadio.

 

***

 

Coco scende dalla macchina della madre, con un sorriso splendido su quella bocca sottile. Émilien si fissa a guardarla, trattenendo l'impulso di prenderle il viso tra le mani e baciarla.

Saluta la signora Bonnet con la mano e poi torna a concentrarsi sulla figlia che, zainetto in spalla, sta camminando verso di lui.

«Allora, com'è andata l'altra sera?» le chiede.

Colette scuote la testa. «Lascia stare, non si è presentato.»

Sorride, come un'idiota. Immagina lei delusa davanti a un ristorante ad aspettare un tipo che non risponde al telefono né ai messaggi. Ma poi si rabbuia. «Ti avevo detto di chiamarmi se fosse andata male.»

Lei abbassa lo sguardo e si morde il labbro. «Non volevo sembrare disperata, già mi aveva piantato lui...»

Émilien le accarezza la schiena. «Ma no, non sei disperata. Può succedere. Io, però, ti avrei risposto.»

Sempre che il cellulare non fosse caduto a terra davanti alla Tour Eiffel...

«Grazie. La prossima volta me ne ricorderò.» Gli dà le spalle e si incammina verso l'ingresso dell'Insep, dove entrambi si allenano.

Sorride, salvo poi prendere consapevolezza delle sue parole. La prossima volta? «Hai intenzione di vederlo di nuovo?»

Coco scoppia a ridere, bellissima. «Oh, no. Ma dovresti vedere la tua faccia!»

Anche lui si abbandona a una risata. Stava scherzando e lui c'è cascato come un imbecille. È proprio perso.

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*Angolino autrice*
Eccomi puntuale, come vi avevo promesso. Questo è uno di quegli episodi che volevo approfondire sin dalla primissima volta in cui il genio del male ne parlava con Fiamma. E, a essere onesta, quasi tutto l'extra è stato scritto più di un anno fa, nel settembre 2021.
Spero che vi piaccia, c'è una piccolissima chicca che nei romanzi non è mai stata detta (ma che io ho sempre saputo). Grazie per la lettura!
Cory.

 

   
 
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