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Autore: Kodama_    06/11/2022    2 recensioni
[AtsuHina | 3100 parole | realismo magico]
“Shouyou-kun, fai una magia.”
Shouyou sorride e fa apparire dal nulla un girasole.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Girasoli e altre cose gentili


Ogni tanto, arriva la malinconia.
Atsumu non può farci nulla: non può anticipare quello schianto nello stomaco, quella corda improvvisa che gli si stringe attorno al collo. La tristezza si manifesta abbondante e pesante, gli scroscia addosso come una cascata di vetro. Atsumu si paralizza, congelato, e l’acqua affilata lo ferisce, scava dentro la sua pelle, le sue ossa, goccia dopo goccia.
Atsumu non è abbastanza. Esistono al mondo persone migliori, più brave. Questa consapevolezza esiste perennemente, dondola sottovoce nascosta da qualche parte dentro il suo cervello - lontano, lontano. Il più delle volte rimane sopita, acquattata, indolore, come una nebbiolina impalpabile. Atsumu sa che c’è: la percepisce tutt’intorno, ma non la sente, e questo gli permette di continuare ad allenarsi e di farsi trascinare via dalla ferocia dei suoi sogni, perché crede visceralmente in se stesso, nella luce bruciante del sole. Poi però, all’improvviso, la consapevolezza si risveglia, e comincia a urlare. Urla e urla e urla incessantemente, una sirena che pulsa dentro il cuore, vespe nelle orecchie. Atsumu si ricorda che non diventerà mai il migliore. Si ricorda che ci sarà sempre qualcuno più bravo di lui, non importa quanto si alleni, o quanto sangue sputi. Ed è una tragedia, per uno che ha sempre voluto essere il superlativo assoluto, per uno che ha sempre voluto ingoiare il mondo intero e il cielo e diventare grande, grandissimo, il più grande di tutti. Quella condizione, quella condanna immutabile è una ghigliottina, un coltello piantato dentro con cui può solo imparare a convivere. Ed è così crudele. È così crudele e brutale che tu non possa cambiare nonostante l’impegno, nonostante sia disposto a sacrificare tutto.
“Atsumu-san?”
Atsumu sgrana gli occhi. Shouyou lo fissa preoccupato.
“Stai bene?”
“Sì, perché?”
Shouyou scrolla le spalle. “Sei rimasto a fissare il vuoto per un bel po’.”
Atsumu si guarda intorno. Sono nello spogliatoio, non c’è nessuno oltre a loro. Si sente odore di bagnoschiuma.
“Dove sono gli altri?” domanda, infilandosi la maglia che stringeva in mano. Ha le braccia coperte di brividi. Sta congelando.
“Se ne sono andati,” risponde Shouyou. Poi si siede vicino a lui. “Fai sempre così quando va male un allenamento?”
Atsumu gli scocca un’occhiata risentita, ma poi se ne pente e la ingoia via. Shouyou non gliel’ha chiesto con malizia.
“Più o meno,” dice, un po’ imbarazzato. “È solo che ogni tanto… ogni tanto diventa tutto troppo.”
Shouyou continua a fissarlo. Forse si aspetta che Atsumu continui a parlare, ma non ne ha intenzione.
“Capisco,” dice infine. “Ti piacciono i fiori?”
“Immagino di sì. Perchè?”
“Hai un fiore preferito?”
Atsumu riflette per qualche istante.
“Il girasole, credo. Ha dei colori stupendi.”
Un po’ come te, pensa d’istinto. Sente le orecchie arrossire.
“E mi piace che si giri verso la luce.”
Shouyou fa un sorriso larghissimo.
“Anch’io adoro i girasoli. Ora chiudi gli occhi.”
“Perché?”
“Fallo e basta. Non ti fidi?”
Atsumu si fida. Perciò obbedisce.
“Okay. Ora puoi riaprirli.”
Atsumu apre gli occhi, e trova Shouyou che gli porge un girasole enorme.

*

Perdono la partita, e Atsumu quella stessa sera comincia a perdersi dentro la sua stanza. Semplicemente, non sa dove andare. Né con gli occhi, né con le mani, vorrebbe solo scomparire, scomparire e dimenticare. C’è così tanta vergogna dentro ai suoi polsi, scorre a grappoli. Prima Atsumu si vedeva incrostato di gioielli e diamanti, adesso invece vorrebbe solo affondarsi le unghie nella faccia e strapparsela via, vorrebbe limarsi per diventare sottile come un fantasma, invisibile e privo di ombra. Atsumu è mortificato da se stesso. Mortificato dalla sua voce, dal suo corpo. Si sente grosso e ingombrante e mostruoso e così stupido.
“Atsumu-san?”
Shouyou bussa. Atsumu rimane in silenzio.
Con un leggero cigolio, gli occhi spalancati di Shouyou fanno capolino dalla porta socchiusa. Atsumu gli scocca un’occhiata storta dal letto, poi sbuffa.
“Sto bene,” borbotta. “Fra poco vengo a mangiare.”
Shouyou non dice niente. Non gli crede. Si siede accanto a lui e rimangono in silenzio, ad ascoltarsi respirare.
Atsumu chiude gli occhi. Shouyou gli accarezza il collo. Atsumu percepisce le sue dita scorrere lungo la giugulare, sino ad arrivare alla clavicola. Le sue mani sono tiepide e morbide. Gentili. Hanno quel tipo di gentilezza rara che si prende un po’ di dolore e in cambio restituisce salvezza. Atsumu neanche la ricorda, l’ultima volta che qualcuno l’ha accarezzato così.
Poi non sente più nulla. Shouyou alza la mano, e Atsumu avverte un brivido gelido.
“Fallo di nuovo,” dice.
Shouyou gli poggia di nuovo le dita sul collo, ed è subito sollievo. Traccia ghirigori lungo la sua mascella, dietro l’orecchio, sulla fronte, fra i capelli.
“Sono morbidi,” osserva Shouyou, stupito. “Sai, credevo che i tuoi capelli fossero più… ispidi.”   
Atsumu spalanca gli occhi e lo fissa in cagnesco. “Ispidi,” ripete. “I miei capelli.”
Shouyou sembra un po' spaventato. “Sì, cioè, per le decolorazioni. Pensavo che fossero tipo, non lo so, i porcospini.”
I porcospini. Atsumu lo guarda e pensa di volergli mordere le guance. Morderle forte, bucherellarle con i canini. Vuole mangiarle. Si mangerebbe tutto Shouyou, se potesse. Oppure se lo ficcherebbe nella curva del collo e si addormenterebbe così, abbracciato a un raggio di sole.
“Stai provando a consolarmi?”
“No,” risponde immediatamente Shouyou. Atsumu lo fissa scettico. Shouyou sospira.
“Un po’,” ammette infine. “Ma mi piacciono davvero i tuoi capelli. Sono soffici. E belli.”
Atsumu vorrebbe dirgli: i tuoi sono belli. Voglio toccarli. Voglio affondarci la faccia dentro e respirare.
“Shouyou-kun,” gli dice invece. “Mi fai il tuo trucco di magia?”
“Non è un trucco,” risponde Shouyou piccato. “È magia vera. Chiudi gli occhi.”
Atsumu obbedisce. Quando li riapre, Shouyou stringe fra le mani un bouquet di girasoli. Atsumu esclama stupito, e si tira a sedere di scatto.
“Non ci posso credere. Non ci posso assolutamente credere.”
Afferra sconvolto il bouquet. I fiori sono veri, soffici, e sono tanti.
“Adesso mangi qualcosa, per piacere?”
Atsumu annuisce, ancora incantato. Magia vera o meno, Shouyou con quel trucco spettacolare riuscirebbe a far innamorare chiunque.
E infatti, pensa Atsumu, mentre si alza dal letto stringendosi i girasoli al petto. Shouyou sorride. E infatti.

*

Atsumu va in bagno per fare la lavatrice. Shouyou lo segue come una piccola ombra.
“Shouyou-kun, perché mi stai seguendo?”
Shouyou fa spallucce. “Non ne ho idea.”
“Okay.”
“Okay.”
Atsumu si accuccia sulle piastrelle fredde del bagno e svuota il cesto dei panni sporchi dentro la lavatrice. Shouyou si accuccia accanto a lui. Le loro ginocchia si sfiorano. Atsumu sente le orecchie accaldarsi. Dalla finestra si intravedono i muri spenti dei palazzi e un triangolo di cielo grigio scuro, gonfio di acqua. Pioverà. Atsumu odia la pioggia. Ed è sicuro che non piaccia troppo neanche a Shouyou.
Prende l'ammorbidente al limone - quello che Sakusa dice sempre che puzza di chimico - e versa dentro mezzo tappo. Shouyou annusa l'aria come un cane da tartufo.
“Mi piace il tuo ammorbidente,” dice. “Mi piace un sacco l'odore che hanno i tuoi vestiti.”
“È per questo che me li rubi?”
Shouyou ghigna sfrontato. “Te ne sei accorto?”
“È un po' difficile non accorgersi delle maglie che mi spariscono dall'armadio. All'inizio credevo fosse colpa di Bokuto, ma lui non mi prenderebbe mai i vestiti di nascosto.”
Shouyou non dice nulla e si stringe le ginocchia al petto. Delle volte sembra minuscolo, come in quel momento, schiacciato fra il muro e il corpo di Atsumu e la lavatrice. Ma è sempre luminoso, e caldo. Atsumu vuole strofinargli il muso contro la curva del collo. Vuole stringerlo ed essere stretto e perdere se stesso fra la voglia di essere curato e la voglia di essere distrutto. Vuole che Shouyou abbia bisogno di Atsumu come Atsumu ha bisogno di lui. Vorrebbe allacciarselo addosso, perennemente. E lo sa che è un pensiero egoista, lo sa che le persone non appartengono a nessuno, eppure Atsumu crede che riuscirebbe a contenerlo. Dentro di lui c’è abbastanza spazio per accogliere l’oceano intero. Atsumu ha così fame che lo inghiottirebbe tutto. E Shouyou starebbe bene, comodo, fra le sue costole. E Atsumu starebbe bene, felice, con il sole nello stomaco.
“Lo sai, potresti chiedermelo. Di prestarti i vestiti, intendo,” dice Atsumu, attivando il lavaggio.
“E se poi mi dicessi di no?”
“Non potrei mai dirti di no. Nessuno riesce a dirti di no.”
Shouyou sorride, poi gli poggia la guancia sulla spalla. I suoi capelli sono morbidi contro il suo collo. Atsumu trattiene il fiato, avvampa e il mondo intorno comincia a brillare, scoppiettante di colori. Quello stupido bagno, striminzito anche per una persona sola, all’improvviso diventa il posto più miracoloso sulla faccia della terra. C’è l’oro, c’è il colore del mare al tramonto. Shouyou riflette la luce come se fosse un caleidoscopio. Fa paura. È meraviglioso. Fa paura. È meraviglioso.
La lavatrice gira e gira e gira, un po’ come il suo stomaco.
“Shouyou-kun, fai una magia.”
Shouyou sorride e fa comparire un girasole. Questa volta, non gli chiede di chiudere gli occhi.

*

“‘Samu, lo sai che Shouyou-kun è un mago?”
Osamu sorride e scuote la testa, mentre modella gli onigiri.
“Davvero?” domanda, rivolgendosi a Shouyou.
Shouyou ride. “Davvero.”
Atsumu è felice. È così felice che gli trema la pelle, come se fosse fatta di farfalle colorate. È anche un po’ ubriaco, ma questo non è importante. Shouyou è un mago perché fa apparire i girasoli dal nulla, girasoli veri, gialli, arancioni e splendidi. Atsumu se li ritrova ovunque: sotto al letto, sulla scrivania, sul davanzale, nel borsone, dentro le tasche delle giacche. Comincia a ritrovarseli persino a colazione: ogni tanto, Atsumu prende la scatola di cereali ancora mezzo assonnato e ci trova dentro dei girasoli enormi. E allora esclama: ‘ma che cazzo?’, e comincia a ridere sorpreso, e dopo un po’ sente Shouyou che comincia a ridere dalla sua stanza, e allora Bokuto corre in cucina e osserva stupefatto il mazzo di girasoli che Atsumu stringe in mano e urla: ‘E QUELLI DOVE LI HAI TROVATI?’. E Atsumu risponde che non lo sa, non lo sa per davvero, erano dentro la scatola dei cereali. Poi ne offre uno a Bokuto con un inchino profondo e ne lascia uno davanti alla porta di Sakusa perché sa che lo fisserà disgustato ma poi lo raccoglierà e li metterà tutti insieme dentro un vaso.
C’è così tanta gentilezza, in quei momenti. Così tanta casa. Atsumu ogni volta si sente più integro, intatto, come se Shouyou gli stesse cucendo addosso - stesse cucendo addosso a tutti loro - delle piccole luci, dei salvagenti brillanti.
Osamu serve loro altri onigiri. Atsumu chiude gli occhi. Ci sono Shouyou, suo fratello, il ristorante di suo fratello, le voci entusiaste dei clienti, il sapore del cibo. È tutto così perfetto. Si sente così grato.
“Voglio vedere anche io,” dice Osamu a Shouyou. “Puoi fare una magia anche per me?”
Shouyou scuote la testa. “Mi dispiace molto, Osamu-san. Ma le magie posso farle solo davanti a lui.”
Shouyou indica Atsumu. Atsumu si spiaccica la faccia contro le mani e avvampa. Osamu ride, ride, ride.

*

Ogni tanto, non puoi scappare. Non importa quanto il mondo sia grande, rimane comunque una prigione. Ogni tanto, Atsumu se lo ricorda. L'aria comincia a mancare. Sbarra gli occhi e fissa il soffitto della sua stanza con un unico pensiero che vortica affilato nella mente: devo uscire, devo uscire, devo uscire - ma per andare dove? Non c'è scampo. Le sbarre sono ovunque. Le sbarre sono i muri della tua casa, le sbarre sono tutto quello che vedono i tuoi occhi: il tuo riflesso sconvolto allo specchio, il cielo, la terra, la tua stessa testa.
Piove. Atsumu ascolta il ticchettio sregolato dell’acqua che picchietta sulla strada e contro il vetro della finestra. Si ostina a non sbattere le palpebre, e gli occhi cominciano a bruciare. Ogni goccia si frantuma come cristallo. Quanto è fragile la pioggia. Quanto è fragile Atsumu, pronto a polverizzarsi al minimo soffio di vento. Delle volte, la debolezza della carne umana lo paralizza. È agghiacciante quanto lo scorrere del tempo riesca a logorare un corpo.  È agghiacciante quanto lo scorrere del tempo sia veloce.
Atsumu si alza dal letto. Si infila una felpa, le scarpe da ginnastica, il cuore che palpita e palpita e palpita, zuppo di paura.
“Dove vai?”
Shouyou è seduto al tavolo. Lo fissa stringendo in mano mezza mela morsicata.
“A correre.”
“Ma diluvia. Ti ammalerai.”
Atsumu neanche gli risponde ed esce. Non è per cattiveria, ma deve cominciare a correre ora. Deve cominciare a scappare. Quel senso di prigionia lo soffoca, si è avvolto intorno al suo collo come un rampicante, le spine conficcate nella giugulare, in bocca un pugno di vermi gonfi, brulicanti.
Atsumu comincia a correre forte, come se qualcosa lo inseguisse. Schiva le persone sui marciapiedi ed evita le strade con i semafori, corre finché l'aria non comincia a bruciargli i polmoni, corre sempre più forte perché vuole stancarsi, ha bisogno che la fatica surclassi tutta la paura che continua a sgorgare a fiotti, senza controllo.
“Atsumu-san!”
Atsumu si ferma e Shouyou lo afferra per un polso.
“Che è successo?”
Shouyou ha il viso arrossato per la corsa. La pioggia gli scorre copiosa lungo le guance. Atsumu vuole leccarla via. Dev'essere dolce. Ha fame. Vuole mettersi a piangere.
“Niente,” risponde Atsumu. Ma non prova a liberarsi dalla sua presa. Rimane immobile, la pioggia sulla fronte, lungo la gola, la paura mutata in sconforto, un tipo di sconforto denso e abissale, in cui sarebbe così facile lasciarsi annegare. Atsumu si sente miserabile. Un foglio di carta sciolto. Vuole scomparire.
La stretta intorno al suo polso diventa gentile: Shouyou gli accarezza le vene con il pollice, poi trova le sue dita e le stringe. Si fissano per qualche istante, zuppi di acqua sul marciapiede, immobili come statue.
“Posso farti stare meglio,” gli dice Shouyou a un certo punto. “Posso fare una magia.”
Atsumu sorride. Inghiotte quella gentilezza come se fosse miele. È tiepida, viva, magnanima, Atsumu si sente come una falena che svolazza intorno a una lanterna.
“Lo sai che adoro i tuoi girasoli. Ma non credo che adesso possano servire a qualcosa.”
Shouyou scuote la testa. “Posso fare una magia diversa.”
Poi Shouyou gli afferra il viso a coppa. Lo tiene fermo mentre si solleva sulle punte e lo bacia. È dolce, all'inizio, e la disperazine si zittisce perché la sorpresa è troppa, si riversa dentro Atsumu come una valanga luminosa. Le labbra di Shouyou sono morbide. Sanno di sole, di sabbia bagnata. Poi Shouyou lo bacia più forte, la gentilezza lascia spazio al desiderio, al bisogno impellente di mangiare, di essere mangiati.
“Andiamo a casa,” gli mormora Shouyou in bocca. “Per favore, andiamo a casa.”
Atsumu si sfila la felpa, gliela butta in testa, e tornano indietro.

*

Shouyou lo bacia. Shouyou lo bacia tante volte. Atsumu lo vede nudo e ogni volta si chiede come faccia la sua schiena a riflettere tutti quei colori. Come faccia il suo corpo a essere opalescente anche al buio. È come se fosse avvolto in uno strato di estate.
Atsumu impara a conoscerlo con i denti. Gli morde le spalle, le braccia, i fianchi, la curva del collo, le labbra, le cosce. Morde e traccia una mappa mentale a furia di microscopici fori, di graffi, di carezze. Costruisce Shouyou tastando e leccando un osso dopo l’altro. Non si lascia sfuggire un dettaglio, un centimetro di corpo, lo ingoia fino all’ultima goccia, e in cambio si lascia usare, divorare. Shouyou può fare di lui quello che vuole, finché gli continuerà a respirare addosso.
Shouyou è sempre lì, soprattutto quando Atsumu ha più paura del buio e del peso della vita. Gli tocca il collo o gli stringe la mano o gli bacia la fronte, lo alleggerisce con la sua tenerezza. È difficile sostenere qualcuno senza farlo sentire debole, però Shouyou ci riesce, ci riesce sempre.
Una notte, Shouyou gli poggia l’orecchio sul cuore.
“Posso addormentarmi così?”
Atsumu gli dice di sì, poi gli chiede perché.
“Perché la magia è soprattutto qui.”
“Qui dove?”
Shouyou picchietta il dito in mezzo alle sue costole. “Qui. Ovunque.”
Atsumu pensa: porca puttana. Lo amo. Poi si sente un idiota per averlo fatto. Poi però lo pensa ancora, e ancora, e ancora, e capisce che è vero. Lo ama immensamente, pericolosamente, egoisticamente, completamente, e in altri miliardi di modi enormi e commoventi e viscerali. Nella sua testa si baciano sempre, anche quando sono lontani.
“Shouyou,” gli dice quindi un’altra notte. Shouyou respira pesantemente, la guancia premuta contro il suo petto. “Ti amo.”
Shouyou continua a dormire.

*

Shouyou conosce i suoi biscotti preferiti. Ogni tanto glieli porta in camera e poi li sgranocchiano insieme sporcando di briciole le lenzuola, mentre vedono un film o una registrazione di un match di pallavolo. Shouyou sa che Atsumu, ogni tanto, ha bisogno di essere tenuto stretto, perché c’è troppa incertezza, troppa solitudine che lo annichilisce da una vita. Sa anche che Atsumu, ogni tanto, ha bisogno di sentirsi dire che è meraviglioso e insostituibile, perché ci sono dei giorni in cui si odia al punto che vorrebbe solo svanire nel nulla, in silenzio. Shouyou, ovviamente, glielo dice sempre: che è meraviglioso e incantevole e amabile. E lo guarda con gli occhioni spalancati e incuriositi e pieni di gioia, e tutto nel linguaggio del suo corpo sembra dire grazie. Ad Atsumu, alla vita, al sole che sorge, alla possibilità di poter dire ‘oggi’ e ‘domani’. E quell’entusiasmo è inestimabile e commovente.
Anche Atsumu conosce i biscotti preferiti di Shouyou. E sa che, ogni tanto, è Shouyou quello che si ritrova imprigionato sotto un peso amorfo e dirompente.
Così Atsumu fa del suo meglio per soffiare via la tristezza. Anche se non è un mago, prova a trasmettergli gentilezza, a trasformarsi in una bussola. Gli prende la mano e prova a diventare primavera.
“Shouyou-kun,” gli dice una volta, mentre gli versa il caffé nella tazza. “Vuoi venire a casa mia?”


Atsumu lo porta a Hyougo. Poi prendono un treno, e poi un bus. Quando scendono dal bus, Atsumu stringe la mano di Shouyou e gli dice di chiudere gli occhi. Shouyou obbedisce. Camminano così per un po’, Shouyou ridacchia e inciampa mentre Atsumu si domanda come faccia una persona a fidarsi completamente di un’altra. È una sensazione rarissima, preziosa.
Quando finalmente arrivano, Atsumu sorride.
“Ora puoi aprire gli occhi.”
Shouyou apre gli occhi e trova dei girasoli. Trova un campo intero di girasoli che lo abbraccia. Sono ovunque, alti, brillanti, con la corolla rivolta verso il cielo.
Shouyou ne accarezza uno. Poi inspira e spalanca le mani sotto il sole abbondante, sotto l’estate.
“Atsumu-san,” gli dice. “Ti amo anche io.”


Note d'autore
GRAZIE MILLE PER AVER LETTO. Avevo davvero bisogno di gentilezza perché ogni tanto la solitudine diventa davvero troppo pesante e sono sempre più convinta che l'unica cosa che possa aiutarmi è qualcuno che mi stringa la mano, ma siccome non c'è nessuno ho deciso che avrei dato tutto alla atsuhina - MALEDETTI STRONZI, HANNO TUTTO DALLA VITA, il fluff l'amore la fortuna la fama spero che caghi loro addosso un piccione, davvero.
Nel testo sono presenti riferimenti vari alla poesia: “Believing Hands” di Taslima Nasrin. Scusate gli errori di battitura ma la mia testa è completamente fusa. GRAZIE PER AVER LETTO!!!! LOVE YOU ALL!!!!
See ya! ♥
   
 
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