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Autore: Manto    09/11/2022    0 recensioni
(Tanti auguri, Edgar Allan Poe!)
Basta un mese per far cadere Richmond nel terrore: tra sparizioni e terribili rinvenimenti, racconti di sussurri in lingue sconosciute e mormorii riguardo entità inumane che dominano le strade e la notte della città, una sorte sempre più buia scende a gravare sui suoi abitanti.
Tra tali orrori, la storia di un ragazzo che con il mistero ci dialoga da anni, ma che ancora non sa cosa può fare veramente.
Fic dedicata all'autore che mi ha preso per mano undici anni fa, e alla sua amata controparte: entrambi, non sapete quanto mi avete salvato.
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edgar Allan Poe, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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VI ☼ Spada e Scudo



 

Nella stanza non si udiva neppure un rumore; qualche volta, appena il sibilo del loro respiro lieve, timoroso, quasi quel silenzio fosse un affare sacro e inviolabile.
Virginia fissava Edgar, e questi rifletteva lo sguardo ansioso della cugina nel volto perplesso; forse non aveva compreso la domanda oppure lei aveva preteso troppo nel porla, pensando di avere una soluzione a portata di mano quando, invece, l’intera faccenda non era risolvibile così velocemente ― anche se in realtà niente era mai stato rapido, neanche giungere a una simile conclusione ― e c’era ben poco da fare, oppure…
«Te ne ha parlato monsieur Dupin?»
«Sì.» lei esitò un istante, quindi si avvicinò di più al giovane. «Sta facendo le sue indagini e prendendo in considerazione anche gli Utilizzatori di Abilità. Se ha ragione, potrebbe essere la svolta di questa storia, magari l’arma di cui abbiamo bisogno! Non… non lo pensi anche tu?»
Lo scrittore rimase in silenzio, immerso in un profondo pensiero.
I secondi iniziarono a scorrere sempre più lentamente.
«Se potessimo sfruttare ciò per salvarci…», ricominciò la ragazzina, ben determinata a spuntarla, ma con il tono incrinato dalla preoccupazione.
«Virginia, se anche fosse come voi due sostenete e io avessi davvero un’Abilità, non ci sarebbe nulla di facile e immediato. Non sappiamo neppure bene come funziona, cosa la scatena, i suoi limiti! Inoltre, se dovessi perdere il controllo su di essa? Se non andasse a buon fine? C’è bisogno di tempo per esserne sicuri…»
«E prima di tutto, bisogna provare. Se queste sono le premesse, non andremo molto lontano.» Le mani della ragazzina strinsero quelle dell’altro in una morsa disperata, implorante. «Dobbiamo tentare, partendo da qualcosa di semplice e sicuro: una storia dove non ci sia pericolo. Potrebbe essere l’unica strada che ci è rimasta.»
Lo scrittore tentò di sfuggire alla presa, e quando non vi riuscì abbassò gli occhi. «In quella dove sei finita tu, la protagonista era morta; e c’era un mistero da risolvere, proprio la causa della sua fine. Qualcuno ti ha strappato da quel mondo prima che tu risolvessi l’accaduto, quindi esiste chi può interferire con le realtà che creo.
Neanche la storia più blanda potrebbe essere un luogo sicuro.»
Virginia scrollò il capo con energia. «Non può essere peggio di questa realtà. Stiamo camminando nella bocca di un vulcano attivo, desideroso di ucciderci; prima o poi ghermirà anche noi… se glielo permettiamo.» Una pausa. «Io non glielo voglio permettere, ma devi desiderarlo anche tu.»
Edgar si alzò in piedi, lo sguardo cupo. «Basta così, ora. Sei troppo stanca per ragionare lucidamente, non riesci e non vuoi capirmi.
Ne riparleremo quando entrambi saremo più riposati.»
Dapprima, Virginia rimase immobile, attonita; quindi, sentendosi profondamente delusa e tradita, indietreggiò dal tavolo tremando in tutto il corpo. «Ovviamente», sibilò, «tu hai già deciso per tutti.»
Senza attendere una risposta, fuggì dalla stanza per rifugiarsi nella propria; ma di certo, non per dormire. Rimase ferma in mezzo alla camera per qualche attimo, pensierosa; quindi, si avvicinò alla parete alla sua sinistra, dove la libreria seguiva l’angolo ed erano state qui riposte le ultime opere scritte da Poe, e afferrò la prima su cui pose l’occhio. «Se non hai il coraggio di seguirmi… allora andrò da sola», mormorò, aprendo il volume e scorrendo le pagine, iniziando a leggere. 
Nei primi minuti non accadde nulla, ma la ragazzina continuò a procedere; tuttavia, con sua grande perplessità, niente mutò. Nessun nuovo scenario, nessuna realtà confusa, nessuna entità sconosciuta a venirle incontro.
«Avanti», sibilò, riponendo il libro e prendendone un altro, «so di avere ragione, posso farcela! Dai, cos’è che non funziona?»
«Che cosa sta succedendo qui?», intervenne Edgar, entrando in stanza e fissando la cugina.
Questa gli lanciò solo uno sguardo colmo di rabbia e non si fermò, tuffandosi immediatamente in un altro volume.
«Fermati, stai facendo una follia!», le disse lui, raggiungendola e prendendola per le spalle.
Con uno scatto, lei si liberò e lo spinse via, poi indietreggiò per allontanarsi dal cugino. «Forse sì, ma di certo non ho paura di prendermene le responsabilità!»
«Virginia, ragiona! Non sappiamo neppure―»
Passarono solamente quattro secondi, nemmeno il tempo di formulare un pensiero, dal momento in cui la fanciulla aprì il terzo libro a quello in cui venne circondata da una luce dorata che si sprigionava dalle pagine stesse.
I suoi occhi furono avvinti dalle parole, mentre fasci di lettere e frasi iniziarono a sprizzare dalla carta e a vorticare nella stanza come fiori rapiti da un tornado, e il corpo prese a sfaldarsi al pari di un soffione.
«VIRGINIA!»
Come se l’anima fosse stata divisa dalla carne e osservasse ogni cosa da fuori, lo scrittore udì la propria voce gridare e vide sé stesso afferrare la ragazzina per la vita e cercare di stringerla mentre questa gli scivolava tra le dita; subito dopo, anche il suo sguardo venne ghermito dal libro, come tutta la sua persona.
«Ma cosa…» In un estremo lampo di percezione, Edgar si rese conto che stava svanendo, catturato da una forza che lo conduceva nello stesso luogo dove stava portando Virginia, e di non sapere cosa ne sarebbe stato di loro.
Solo di questo si accorse, poi il buio; e quando la luce dorata svanì, nella casa non era rimasto più nessuno.


Edgar non vide subito le nubi, ma comprese di esservi a contatto appena sentì il forte respiro del vento e le voci che portava con sé; perché così aveva iniziato il racconto.
La città di Edina era bellissima se guardata dall’alto campanile, lo sapeva; come tale l’aveva descritta[1], e per questo non si stupì affatto quando sentì Virginia trattenere la voce per la sorpresa e tendersi verso le arcate che gettavano sull’ampio cielo e il mare che riluceva oltre le distese campestri.
Lo scrittore aprì gli occhi quel tanto per scorgere l’espressione incantata di sua cugina e trattenerla maggiormente per la vita, quindi strinse i denti e sperò, sperò a lungo e con forza, rifugiandosi nelle più disparate preghiere.
Che cosa stavano facendo lì?
Perché, perché?
Gli altri stavano già dando loro la caccia? Li avevano sentiti? Erano riusciti a entrare anche loro? E dov’erano?
«Edgar, mi stai mozzando il fiato.»
«Scu-scusami.» Lo scrittore sciolse la presa sulla ragazzina, che prese un forte respiro e avanzò di qualche passo verso l’arcata più vicina, intoccata da qualsiasi pensiero dell’altro. Due mondi diversi.
«Che meraviglia», sussurrò lei mentre si sporgeva appena, le mani saldamente ancorate a una delle colonne e nessuna paura nel corpo. 
L’aria le sollevava i riccioli con sbuffi gentili e si rapiva qualcuno dei suoi capelli per donarlo alle nuvole, e a quella vista Edgar spalancò gli occhi e le domande tacquero, seppur solo per un momento.
E se ci fossimo solamente noi due e nessuna entità ci avesse seguito?
Se stessi temendo per nulla?
«La tua capacità inventiva è spaventosa», la sentì mormorare prima che lo sguardo si volgesse al proprio, di volto, «non credo che tu te ne renda pienamente conto. Tutto questo è bellissimo.»
«Guardati intorno prima di dirlo. Valuta bene lo spazio e ciò che vi è.»
La ragazzina corrugò la fronte e si voltò per gettare una lunga occhiata al paesaggio che si estendeva pigramente sotto ai suoi piedi, così calmo nell’alba e luminoso; vagò con gli occhi lungo le strade ancora silenziose, per i viali ricchi di fiori, sui palazzi e le chiese che lanciavano i loro pennacchi verso la luna che svaniva e lasciavano che il nuovo giorno si specchiasse dentro le loro finestre dai mille colori, sulle onde lontane; e infine osservò la pietra che la circondava. «Qualcosa è successo… sì, proprio in questo luogo.»
Edgar assentì, e allora sua cugina fece un ampio sorriso. «Permetti che sia io a risolvere il mistero? Voglio scoprire quanta della tua genialità scorre anche in me. Posso?»
Il giovane fece per replicare a tutta quella euforia, ma alla fine non lo fece e, invece, annuì appena. «Almeno, concedimi di aiutarti.»
La proposta venne accettata, e senza perdere altro tempo Virginia iniziò a valutare il luogo. Il campanile non era grande; vi stavano comodamente entrambi e in posizione eretta, tuttavia quello si esauriva in pochi metri e non aveva alcun ballatoio a proteggere i visitatori da un possibile passo falso. Lo spoglio ambiente in cui si trovavano non era l’apice: la vera e propria punta, accessibile tramite una botola posta sopra il loro capo, ospitava le campane, e l’attenzione di Virginia si concentrò sulle corde di queste.
Esse erano enormi, polverose e aggrovigliate come serpi, un intreccio indissolubile che la potenza del vento riusciva a scuotere solamente di un poco; tranne una sezione, che rimaneva completamente e stranamente immobile, quasi qualcosa la stesse tenendo strettamente o appesantendo. Questo qualcosa doveva essere ben avviluppato in quel gomitolo, conservato dentro di esso come un tesoro.
La ragazzina fissò suo cugino, e questi ricambiò lo sguardo senza svelarle nulla; allora, lei avanzò e si chinò sulla matassa, iniziando a districarla e svolgerla con sempre maggiore velocità e un senso d’urgenza.
La quantità di polvere e sporcizia presente nel luogo indicava che il campanile non venisse più frequentato e che le campane erano ferme da solo il Signore sapeva quanto, parte di una chiesa abbandonata o semplicemente non più in grado di suonare; e per quanto ciò gettasse una luce meno idilliaca sul posto, Virginia non mostrava alcun segno di disgusto nel sporcarsi le mani e le belle vesti con la vita che proprio lì aveva trovato un passaggio e una sosta. Completamente rapita dal luogo, dall’idea di essere in una delle storie di suo cugino e dal fatto di aver avuto ragione sull’intera situazione, chiunque, ombra amica o presenza ostile, avrebbe potuto coglierla di sorpresa senza alcuna difficoltà; quel mondo stesso, tuttavia, sembrava guidarla con mano ferma, come se fosse stato scritto apposta per lei. Anche se non l’avesse chiesto, solamente Virginia avrebbe dovuto risolvere i misteri che le si sarebbero parati innanzi.
Come lui aveva prospettato, la ragazzina era ben lontana da questi pensieri e, nell’impeto del momento, arrivò anche a spostare una gamba dello scrittore dal suo cammino, mettendolo a lato del suo percorso e continuando a districare le corde con alacrità; ma quando l’intero involto si aprì improvvisamente e cadde con un tonfo sordo ai suoi piedi, allora qualcosa iniziò a mutare in lei: dapprima sorse un’espressione più sorpresa che spaventata dall’avvenimento, quindi il respiro prese a rallentare a mano a mano che gli occhi riconoscevano ciò che avevano davanti per quello che era davvero… e infine, dopo un istante d’immobilità, il grido.
Virginia saltò indietro come scottata da viva fiamma e retrocedette fino allo scrittore, tremante; nel volto, l’orrore che nessuna delle sue storie era mai riuscita a farle provare con tanta forza.
Edgar le circondò le spalle con un braccio e la strinse al petto, e questa volta lei non sfuggì ma, anzi, si premette contro di esso con maggior energia. «Lo so, lo so; per questo ti avevo detto di guardare bene lo spazio intorno a te. La scena importante non è il paesaggio, ma chi ci ha preceduto nel guardarlo… e che non se n’è mai andato.»
Lo scrittore catturò gli occhi dell’altra e le indicò le numerose orme impresse sul pavimento, due serie delle quali appartenenti a loro; la terza, più sbiadita, s’interrompeva per sempre vicino all’ammasso ora fin troppo chiaro. «Tutti gli elementi sono qui; li dobbiamo solamente collegare. Te la senti di proseguire?»
La fanciulla non riusciva a spostare gli occhi dalle corde, l’espressione sbarrata, e quasi si accasciò su sé stessa quando il giovane la lasciò andare e lei provò a fare un passo in avanti. «Sì… sì. Mi sono solo fatta cogliere di sorpresa, ma non capiterà più. Andiamo.»
Con lentezza e dopo essersi assicurata che Edgar la seguisse, riuscì ad avvicinarsi nuovamente a ciò che l’aveva spaventata, e qui prese un forte respiro prima di chinarsi su di esso.
Il cadavere, afflosciato come una bambola abbandonata, scivolò nella sua ombra senza lasciar fuori nemmeno un’unghia di sé; a giudicare dalle forme e dalle vesti era un corpo femminile, e solamente il colore livido della pelle, in principio di disfacimento, e una discreta macchia di sangue sul corpetto segnalava l’avvenimento finale della vita umana, mentre il fatto che fosse privo di capo venne alla luce quando le corde furono completamente spostate ― questa volta, con minor impeto di prima.
«Non vedo la testa da nessuna parte, ma credo che sia stata mozzata da un’arma estremamente affilata: la ferita non presenta slabbrature ma un taglio netto, preciso. La vittima potrebbe non essersene neppure accorta.
E manca anche quella, l’arma…», mormorò Virginia mentre osservava il cadavere e poi lanciava occhiate intorno, «l’assassino si è portato via i propri strumenti e un ricordo?»
«Se fosse stata una quarta persona, avresti visto altre orme.»
«Ma di certo non è stata l’aria, né si è decapitata da sola! E qui non vedo nulla di tagliente contro cui la vittima possa essere inciampata… né tracce di sangue, fatta eccezione per la macchia sulle vesti.»
«Qui, appunto.»
All’unisono, i due ragazzi alzarono il capo e lo fissarono sulla botola.
Virginia allungò le braccia verso l’alto, come se volesse raggiungere l’apertura; quindi, le abbassò e il suo volto assunse un’espressione pensierosa. «La vittima era alta, molto più rispetto a me… quasi quanto te, oserei dire. Se tu dovessi alzare le braccia, riusciresti a raggiungere il pavimento superiore con le mani e, dandoti una spinta, potresti issarti almeno per metà fino a lassù. Se fosse quello il luogo del delitto? 
… Edgar, da bravo, mi presteresti le tue spalle?»
Il ragazzo rimase immobile per un solo istante, quindi chinò il capo di lato. «Ne sei sicura? Potrebbe essere più pericoloso di quanto sembri.»
Virginia annuì, prima con qualche resistenza poi con sempre maggior forza. «Ne sono consapevole, ma ti ho chiesto di farmi provare a risolvere il mistero e voglio tentare, o almeno arrivare il più a fondo possibile. Non sono sola: posso farcela.»
Lo scrittore non trovò modo di replicare e, delicatamente, prese Virginia sulle proprie spalle. Se sua cugina riponeva una tale fiducia in lui, poteva dubitare? Poteva farlo più del necessario?
Intorno a loro, solamente il vento: nessuna presenza estranea, nessuna calamità se non quella rappresentata dal mistero da risolvere.
«Bene così, mi sto avvicinando con la testa alla botola… con calma. Quasi… ancora un poco… ci sono!»
Il giovane sentì le mani della ragazzina appoggiare sul pavimento superiore e il peso sulle spalle calare un poco quando, facendo leva sulle braccia, quella si sporse oltre l’apertura con tutto il busto; la immaginò volgersi intorno, intenta a valutare ogni cosa, e infine sentì il picchettio delle dita su una spalla, seguito dal tono eccitato della fanciulla. «Non ci sono solo le campane, ma anche un orologio! Si trova proprio sopra di me, tanto che lo sfioro con la testa, e le sue lancette mi pizzicano la nuca, specie quella dei minuti, e… e sembrano insanguinate!» 
«Direi che ci siamo! Vedi altro?»
Una pausa. «Sì… la testa mancante. Si trova a qualche metro da me, e dalle macchie sul pavimento sembra che sia rotolata per un pò prima di fermarsi. Ce ne sono tantissime.»
«Dove si trova quella più larga?»
«Proprio qui, dove sono io. Sotto l’orologio…»
Lo scrittore tacque, in attese che la cugina giungesse alle opportune conclusioni; e intanto sorrise tra sé e sé, ormai certo di come il sangue comune non avesse fallito nemmeno in quel caso.
«… E se è così, non esiste un colpevole umano: la vittima ha voluto, probabilmente, vedere che cosa ci fosse qua sopra e quindi ha sporto la testa oltre la botola.
La curiosità e la meraviglia del panorama le hanno impedito di accorgersi di quello che stava per accadere, oppure si è incastrata e non è più riuscita a scendere; ma è stato l’orologio a ucciderla, quando è scattata la mezz’ora e la lancetta dei minuti le ha tranciato la testa di netto!»
Appena la giovane ebbe pronunciato tali parole, la stessa luce dorata che avevano incontrato qualche minuto o ora prima avvolse l’intero campanile e lo annullò dentro di sé. Né lei né Edgar ebbero il tempo di sorprendersi: non videro più nulla e rimasero immobili per la sorpresa, e non si mossero nemmeno quando la vista si assestò e né la città né il cielo comparvero ai loro occhi, bensì la casa di Perry e il verso solitario di una civetta che si aggirava nelle campagne intorno a Richmond.
Erano ritornati indietro, a casa.
Virginia fu la prima a riaversi, sbattendo le palpebre e, immediatamente dopo, lasciando che il volto si aprisse in un largo sorriso. «Ci-ci siamo riusciti! Edgar, ce l’abbiamo fatta per davvero!»
Al contrario della ragazzina, il giovane sembrava ancora congelato e terribilmente pallido, quasi la sua anima fosse rimasta nel mondo che avevano appena lasciato, e accolse l’abbraccio impetuoso di sua cugina come un automa; messosi a sedere con l’aiuto della compagna, rimase in quello stato per ancora qualche istante, quindi respirò con forza e parve riprendersi.
«Cugino… va tutto bene? Ti porto un bicchiere d’acqua?»
«S-sì. Credo di averne davvero bisogno, ti ringrazio.»
Le ossa erano pervase da un tremito inarrestabile e la testa faticava un poco a concentrarsi e razionalizzare tutto ciò che vedeva; non provava nausea o malessere di alcun tipo, ma il senso di straniamento e la confusione gli martellavano i pensieri. Si sentiva come se avesse appena commesso qualcosa di proibito e terribile, seppure non fosse questo il caso; ma tramite quella che era la sua Abilità ― non c’era altro modo di definirla, e da quel che sapeva su di esse… sì, quella era proprio un’Abilità ―, aveva cambiato per sempre la realtà, propria e altrui.
In quella faccenda c’erano più incognite che certezze, ma se voleva venirne a capo doveva partire dai fatti più chiari: in determinate condizioni, chi leggeva i suoi scritti veniva trasportato dentro di essi.
Era ormai sicuro che a Virginia fosse successo per due volte e la ragazzina avesse dovuto vivere negli ambienti e nelle condizioni che erano stati descritti, ma il finale non era stato uguale: nel primo caso, qualcuno era penetrato nella storia e aveva trascinato sua cugina fuori da essa senza che la vicenda venisse conclusa; nel secondo, il ritorno alla realtà ― ma anche quella all’interno dei suoi libri lo era… ― era stato determinato dalla risoluzione del delitto.
Quindi, tranne che per intervento soprannaturale, chiunque fosse finito nel libro per propria o altrui volontà avrebbe potuto liberarsi da esso solamente districando la matassa del mistero? Se così fosse stato, giungere alla verità era la chiave e l’arma per combattere l’Abilità, e di conseguenza anche il suo possessore. 
Tuttavia, perché si era manifestata solo in quel momento? E come?
Ma prima… prima c’era qualcosa d’altro che doveva fare.
«Virginia?»
«Sì? Arrivo subito.»
«Io… io ti chiedo perdono. Sei stata la prima a comprendere le potenzialità della mia Abilità e a credere in essa; perché avevi ragione e ce l’hai tuttora. Dobbiamo continuare a metterla a prova e scoprire i suoi limiti, se vogliamo sfruttarla a nostro favore e sapere come farlo.» Ci fu una pausa; la ragazzina non replicò mentre usciva dalla cucina e porgeva al giovane l’acqua richiesta, e questi riprese: «Tante cose sono ancora poco chiare, ma a forza di tentare scopriremo la verità. Sono sicuro di ciò.»
«Mi hai fatto male, prima», mormorò la fanciulla, «quando mi hai messo da parte e non hai creduto in me. E peggio ancora, non hai creduto in te stesso: non hai avuto fiducia né verso l’una né verso l’altro.
In quel momento avrei potuto odiarti, se non ti volessi così bene da annientare anche il principio di un pensiero simile.»
«Lo so. Sono stato cieco.»
«E avevi paura.»
Edgar annuì, giocando nervosamente con il bicchiere. Improvvisamente si sentì meglio, al pari di un peso che si scioglie e concede finalmente riposo. «Come anche ora… ma forse non più così sciocco.»
Un sospiro. «Deve essere la piaga del genere maschile, la sciocchezza», esclamò infine Virginia, prima di aggirare il cugino e abbracciarlo da dietro, per poi solleticargli lievemente il collo. «Ma per questa volta ti perdono. Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare… e comunque, anche io ho avuto paura prima, e ne ho tuttora.» La presa si allentò appena, per poi farsi nuovamente forte. Il tono, invece, si abbassò. «Non avevo mai visto un cadavere, solamente gli scheletri dissotterrati da te; ed è stato… strano. Inaspettato, anche più inquietante di quanto immaginassi, ma non solo. Più che altro… mi ha fatto orrore che sia morta da sola.
Così come ero sola io nella torre dove mi sono svegliata, e dopo… dopo
Edgar le strinse le mani con dolcezza, lasciando che la forza di parlare venisse meno. Andava bene così, aveva già compreso il necessario. «Ti prometto che presto tutto finirà, con il tuo aiuto», le sussurrò, «e ne usciremo insieme. Mi hai aperto gli occhi, e ora so cosa possiamo fare.
Ne usciremo insieme, sì.»
«Lo prometti davvero, Edgar Poe?»
«Con tutto il mio essere, Virginia Clemm. E se ora sei abbastanza in forze, preparati: abbiamo alcuni viaggi da fare.»
La ragazzina gli diede una leggera pacca sulla spalla, quindi lo precedette verso la libreria e guardò dentro di essa per qualche istante, prima di voltarsi verso il cugino. «Beh, in verità ora tocca a te scegliere la destinazione! Mi sembra un tuo diritto.»
Edgar sorrise, quindi armeggiò con qualcosa che teneva sulla scrivania e si affiancò alla ragazzina. «Se ti fidi di una simile guida…»
«Assolutamente, non vorrai metterlo di nuovo in dubbio!»
«Allora andiamo.»


Nessuno dei due lo vide, né forse avrebbe potuto farlo: ma dopo quelle ultime parole non furono gli unici a muoversi.
Mancava poco all’alba, e proprio per quello il cielo era immerso nella tenebra più spietata: e nelle tenebre striscianti, nel grumo informe e inestricabile quale è il mondo quando la luna si addormenta e il sole tarda a prendere il suo posto, qualcuno era in attesa e aveva occhi che vedevano a fondo, artigli per predare, una bocca per sorridere alla Sorte e al suo compimento.
Finalmente, i giochi potevano iniziare davvero.




 

NOTE

[1] Nella vicenda narrata qui ho preso spunto da un racconto specifico, “La falce del tempo”.


ANGOLO DI MANTO

Salve!
Bene, ora posso dirvi che siamo ufficialmente arrivati a *guarda la scaletta e deglutisce* al terzultimo capitolo della storia! -2 alla fine! Ovviamente, ora ci manca il botto finale.
Ovviamente, la direzione non risponde di possibili variazioni alla scaletta. Nemmeno un po’.
Un abbraccio,

Manto

 
   
 
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