Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Neamh Moonstar    13/11/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Crowley non aveva chiuso occhio. Non c'era riuscito.

Ben nascosto sotto le sue ali, aveva sentito la sua aura attorcigliarsi impazzita e aveva drizzato le orecchie per ascoltare ogni singolo fruscio della carta contro sé stessa intanto che l'angelo leggeva.

    Era completamente paralizzato lì, su quel rettangolo di materasso, con tutto l'essere in subbuglio e la testa che continuava a ricordargli le stesse parole: «Hai fatto un ottimo lavoro. Non avevo mai visto bene il cielo di notte ed è, beh, direi che "bellissimo" non rende molto l'idea.»

Quand'era stata l'ultima volta che qualcuno gli aveva fatto un complimento?

Ah, già, si disse poi. È stata Lei il giorno in cui ho finito di riempire il pezzo di universo che mi aveva affidato.

Se la ricordava ancora lì al suo fianco, circondata dalle stesse luci e dagli stessi colori che lui stesso aveva posizionato. Era alta, meravigliosa, mozzafiato: Dio, la vera bellezza, la Madre di tutti. Colei che si era poggiata una mano delicata sul petto e con l'altra gli aveva accarezzato i capelli, guardando il suo operato con orgoglio.

    «È bellissimo, amor mio. Sei stato bravo.»

Quel tono di miele si era fatto appiccicoso dopo la Caduta, trasformandosi in una melma che lo teneva attaccato al terreno. E adesso? Adesso quelle stesse parole erano tornate ma, invece di fargli male, lo avevano accarezzato di nuovo.


La mattina arrivò con una lentezza devastante ma lui decise di muoversi solo una volta sentita la porta della stanza chiudersi. Con cautela uscí dal suo bozzolo di piume e si assicurò di essere di nuovo solo.

Si sentiva come stordito, mise un piede davanti all'altro come se il suo corpo e la sua testa fossero su piani della realtà diversi. Scese le scale ancora mezzo rimbambito e tirò un involontario sospiro di sollievo quando in cucina vide solo Anathema davanti ad una tazza di caffè. Almeno lei sembrava aver dormito, seppur non abbastanza.

    «Sei riuscito a chiudere occhio?» Gli chiese, versando un po' di latte nella brodaglia nerastra e amarognola che tanto le piaceva.

    «S-no, più o meno» fu tutto ciò che Crowley riuscì a rispondere, ancora fermo a pochi metri dall'uscio. A quanto pareva, la sua lingua aveva deciso di andare in vacanza, ottimo. Come se non bastasse, la sua testa si rivelò incapace di fargli capire che non poteva starsene lì impalato a fissare il tavolo.

    A quella reazione, la sua umana aggrottò un po' la fronte: «Ancora scosso dal discorso di ieri?»

    «Discorso?»

    «Con Adam, Crowley. È venuto qui ieri.»

Ah, già: l'Arma e il suo cagnetto della morte. Avevano parlato della Guerra e avevano messo appunto una specie di piano che adesso non riusciva proprio a ricordare. Annuí senza renderse conto, senza nemmeno provare a sistemare i suoi pensieri. L'unica cosa ancora ben chiara nella sua memoria in quel momento era la conversazione sul tetto di quella notte, la chiacchierata con lo sguardo verso le stelle...

Un'ondata di silenzio lo ridestò abbastanza dalla sua trance da fargli incontrare gli scuri occhi indagatori di Anathema che lo fissavano.

    «Cosa?» Chiese riprendendo un po' del tono infastidito che metteva su in certe occasioni. Per qualche strano motivo, però, gli sembrò ben poco convincente.

    «Non ho mai visto la tua aura in questo stato» rispose lei, alzando un sopracciglio. «Sembra che voglia picchiarti. Che ti prende? Hai avuto una specie di incubo?»

    Prima che Crowley potesse ribattere, una voce incuriosita gli arrivò alle spalle: «Incubi? Davvero?»

Il demone sentí un ipotetico colpo di frusta raddrizzargli la schiena e si girò, la gola chiusa e il fiato sospeso. Ovviamente era Aziraphale: se ne stava sotto l'arco della porta con un libricino tra le mani e il capo leggermente inclinato, le pozze celesti perennemente fisse su di lui. Sembrava preoccupato a giudicare dalle ondine che gli solcavano la fronte, forse persino un po' - decisamente tanto - stranito dalla reazione del rosso. Doveva aver passato la nottata della sua vita a leggere e nascondere le sue preoccupazioni nei paragrafi. Sicuramente aveva un aspetto radiante - o almeno così sembrò a Crowley, il quale si rese conto di sembrare uno straccio bagnato in confronto al volto morbido e riposato che aveva davanti.

Avrebbe voluto dire qualcosa, magari sorvolare in modo stizzito sulle immagini terribili che alle volte avevano effettivamente popolato la sua mente durante la notte, ma le parole morirono ancor prima di arrivargli alla bocca. Sentí il bisogno impellente di scostarsi dalle iridi immacolate della sua controparte ma qualcosa - ancora non riusciva a capire cosa - rese il compito un'impresa titanica.

Quando finalmente ci riuscí, mandò una silenziosa ma supplicante richiesta di aiuto ad Anathema, la quale aveva ormai un talento naturale nel tirare il suo demone fuori dai guai.

    La giovane sospirò e si rivolse ad Aziraphale con un sorriso dolce e rassicurante. «Non preoccuparti» disse con un tono che il demone capí essere un tentativo di mascherare qualcos'altro. «Alle volte gli capita. Finisco di fare colazione e-»

Ma Crowley non aveva nessuna intenzione di aspettare oltre. La presenza dell'angelo stava diventando quasi insostenibile, mandando la sua aura in una spirale di confusione non indifferente.

    Con uno scatto, prese poco cerimoniosamente la sua umana per un braccio e ordinò: «Salotto. Adesso. Vieni.»

    Aziraphale si scostò dalla porta con la facciotta contrariata. «Potresti almeno chiederle "per favore"» ammoní, intanto che gli altri due gli passavano davanti.

A rispondergli fu solo Anathema, la quale alzò gli occhi al cielo e scosse la testa in un silenzioso e rassegnato: "Lascia perdere, è un caso perso".


La luce del mattino avvolgeva la stanza in una luce calda ed accogliente, come se nel mondo niente di catastrofico stesse per accadere. A rompere la pace fu proprio Crowley, il quale mollò Anathema, chiuse la porta e vi ci si poggiò sopra come per paura che questa potesse cadere e lasciarlo scoperto.

    L'umana incrociò le braccia e lo fissò seria: «Nessun incubo, vero?»

    «Ma che incubo» protestò il demone lanciando le braccia per aria e andando a tuffarsi sul divano.

    L'altra non si scompose. Andò a sedersi sul bracciolo vicino alla testa di Crowley, accavallando le gambe. «E allora che cos'hai?»

Ovviamente non ci fu bisogno di dire che l'Apocalisse non c'entrava niente: era solo una paura tenuta - per ora - sotto scacco da quel qualcosa che il rosso stava ora cercando di riassumere in parole.

Fallendo.

    «Non lo so» rispose infatti, sospirando e buttandosi un braccio sugli occhi.

    «Sai, una volta un saggio disse: ”Ciò a cui non sai dare un nome non esiste”» affermò l'altra, poggiandosi la testa su una mano.

    Crowley si scoprí un po' il volto e le rivolse una smorfia: «E questa dove l'hai trovata? In un libro di filosofia da quattro soldi?»

    Lei ignorò il sarcasmo. «Che ti ha detto Aziraphale di cosí sconvolgente?»

Che domanda. Fino a quel momento non c'era stata cosa che Aziraphale avesse fatto - o detto - che Crowley non avesse trovato sconvolgente.

    Ritirandosi nuovamente dietro al suo avambraccio - come se ciò bastasse a nascondere le sue emozioni - il rosso brontolò: «Non mi ammazza quando può, mi parla come fossi il suo vicino di casa, mi salva dalle grinfie di Beel...» Elencò, indugiando un po' su cosa aggiungere alla lista. «Mi fa i complimenti» concluse poi, tornando sulle parole che ancora echeggiavano imperterrite nella sua mente.

    Ad Anathema scappò una mezza risata: «Hai appena scoperto cosa fanno gli amici, complimenti.»

    «Geniale» commentò Crowley con un tono aspro rivolto solo ed esclusivamente a sé stesso: un demone incapace di gestire un tipo di relazione genuino. Difatti: «E cosa dovrei fare adesso?» Chiese, conscio del fatto che quel tipo di cose non erano per lui, non più. Non dal giorno in cui aveva tagliato i ponti con il Paradiso.

    «È questo il bello. Non devi fare assolutamente niente» affermò l'umana.

Il rosso le rivolse uno sguardo interrogativo, alzandosi sui gomiti. Non era certo di voler gestire la sua giostra interiore cosí, semplicemente aspettando che passasse.

    Anathema, ovviamente, decifrò quell'espressione al volo. «Intendo dire che ad Azi piaci già cosí, ne abbiamo già parlato. Perciò rilassati e sii te stesso.»

Lo disse con una genuinità disarmante ma al demone parve di ascoltare un'eresia bella e buona. Come poteva una bestiaccia strisciante come lui piacere ad un essere luminoso, educato e piacevolmente fuori di testa come Aziraphale? Già era strano sapere che una mortale lo aveva effettivamente considerato un amico, figurarsi un angelo.

Rimase a bocca semi aperta per un attimo, considerando il baratro che c'era tra il: "non mi stai antipatico" e il: "ti voglio bene".

    «E lui piace a te» lo stuzzicò poi Anathema, strappandolo ai sui ragionamenti. «Quello che provi, serpe maledetta che non sei altro, si chiama affetto

Crowley si costrinse a ricacciare indietro un rimbecco, finendo per produrre una serie di stentate e mezze ingoiate consonanti che fecero ridere la sua umana.

Affetto... si era quasi dimenticato della sua esistenza. Per chi avrebbe dovuto provarlo, in fondo? Non aveva più Dio né qualcuno che potesse fargli riacquisire quel tipo di sentimento. Fino ad allora aveva solo odiato il suo Regno, odiato Beel, odiato Hastur, odiato il suo Signore, odiato gli scontri con il Paradiso... Forse si salvava Anathema, e iniziò a chiedersi perché con lei non si fosse mai sentito cosí scombussolato.

    «È strano che te ne sia reso conto solo adesso, sai, dopo tutto ciò che è successo e ciò che ci siamo detti» riprese quest'ultima. «Mi siete sembrati molto uniti negli ultimi giorni.»

Aveva una strana espressione in viso: un crocevia tra la tenerezza e lo sguardo furbetto.

    Crowley si rabbuiò: «Stai insinuando qualcosa. Si vede lontano un miglio.»

    Lei fece spallucce: «Forse. Fatto sta che dovresti fare pace con te stesso, Crowley. Perché non ti apri un po' e non gli racconti un po' più di te?» Mentre parlava si era messa a fissare le punte dei suoi stivaletti con aria di apparente disinvoltura, sistemandosi le pieghe della gonna. «A meno che tu non l'abbia già fatto» concluse.

    Il rosso balzò a sedere: «Sssai benissimo che l'ho già fatto, non è vero?»

    La maschera dell'umana cadde del tutto e rivolse al suo demone un sorrisetto sincero: «No, volevo giusto la conferma.»

Crowley sentí le guance avvampare e, quasi senza accorgersene, si trasformò e andò a rintanarsi sotto un cuscino - combattendo contro la superficie del divano, la quale non era esattamente adatta allo strisciare di un serpente. Provava un misto di rabbia, imbarazzo e frustrazione che ribolliva sommessamente tra le sue squame, facendolo sentire ridicolo ed impotente.

    Anathema riprese a ridere. Non era una risata di scherno, anzi: era quasi dolce. «Quindi non si tratta tanto di ciò che lui ha detto a te, ma di ciò che tu hai detto a lui» affermò, alzando appena il cuscino.

Il demone sibilò, rendendosi conto di quanto fosse vero. Aveva detto ad Aziraphale della Caduta, delle stelle e, cacchio, gli aveva persino proposto di fuggire insieme.

Come cazzo ti è venuto in mente? Si rimproverò.

Poi si ricordò della risposta di Aziraphale.

    «Beh, facciamo così: se davvero vediamo che le cose vanno male, ce ne andiamo.»

Non aveva detto di no.

Adesso come la sera prima, la prospettiva gli parve allettante.


Lentamente, tornò alla sua forma solita e il cuscino gli cadde dalla testa, finendo tra le braccia di Anathema. Questa lo poggiò per terra e vi ci sedette sopra in attesa che Crowley si aprisse anche con lei.

Con un sospiro, il rosso sentí che - almeno per stavolta - non aveva nessuna intenzione di scappare. Sentí anche che per stavolta non si sarebbe rivolto alla sua umana con scherno, rabbia o sarcasmo, ma sincerità.

Cosí le raccontò tutto. Le raccontò persino di quella sera sotto la pioggia, del modo in cui Aziraphale lo aveva protetto prima dall'acquazzone e poi persino da uno dei suoi superiori appena usciti dall'Inferno. Confessò persino la paura di averlo perso a seguito dell'attacco di Adam e cane da compagnia. Approfondí la loro chiacchierata sulla Caduta, del tentativo di dare un'occhiata all'aura splendente dell'angelo e di come si fosse accorto del conforto di cui aveva bisogno solo osservandolo. Provò a spiegare - e qui inciampò più volte - delle emozioni che aveva provato: la voglia di raccontare, la voglia di fuggire, lo sconvolgimento di quel singolo complimento... Ogni cosa rotolò fuori dalla sua bocca in ordine sparso, dando voce a quel rimescolamento che la sua aura continuava a fare di tanto in tanto e che non riusciva a spiegarsi.

    Anathema non si mosse né lo bloccò. Ascoltò in silenzio quasi religioso, paziente e concentrata. Poi, quando Crowley si sentí di aver condiviso tutto - riaccasciandosi, stavolta di pancia, sul divano - annuí pensosa. «Sai, ho una teoria» disse poi, «ma se te la dicessi, mi uccideresti.»

    Crowley sbuffò, facendo svolazzare una ciocca di capelli: «Nah, non ne ho le forze. Potresti insultarmi pesantemente e uscirne viva.»

    Lei sorrise: «Normalmente ci farei un pensierino, ma per stavolta passo.»

E normalmente il demone avrebbe fatto una smorfia, ma anche lui optò diversamente e alzò gli occhi al cielo, in attesa di sapere cosa la sua umana avesse dedotto da quella confessione che ancora bruciava sulle sue guance.


La teoria di Anathema si rivelò effettivamente sconvolgente.


~•°•~


Nella sua testa c'era una lotta impari tra le parole che stava cercando di leggere e quelle che cercavano di ripetergli il piano di Adam. La parte ragionevole di lui si era messa a ricordargli di quanto poco mancasse e di quanto sarebbe stato saggio rimanere concentrato sul presente - anche se Aziraphale si conosceva abbastanza da sapere che mettersi addosso ansia ulteriore avrebbe potuto mandare tutto all'aria.

Cosí sospirò e chiuse il libro di botto, incapace di distrarsi come avrebbe voluto. Se ne stava inginocchiato nel boschetto sul retro del cottage, laddove lui e Crowley avevano parlato sotto al cielo plumbeo. I caldi raggi di sole del mattino facevano capolino tra le fronde, riempiendo il prato di chiazze luminose. Sembrava un giorno come tanti altri, anzi: se fosse stato totalmente ignaro dei fatti, l'avrebbe considerata una potenziale bellissima giornata.

    «Dì' un po', ma non eri tu quello convinto che sarebbe andato tutto bene?»

Aziraphale sussultò appena e alzò la testa.

Come era ormai prassi, Crowley se ne stava comodo su un ramo, le ali penzoloni e le braccia conserte. Sembrava essersi tranquillizzato da... Qualsiasi cosa lo avesse turbato poco meno di un'ora prima

    «Ho avuto fin troppo tempo per pensare» rispose l'angelo iniziando a far passare le dita sui bordi della copertina, ora leggermente nervoso.

    Con un balzo fin poco calibrato, il rosso si piazzò accanto a lui. «A chi lo dici...» mormorò solo, evitando il contatto visivo.

Forse era la situazione, forse qualcos'altro, ma Crowley sembrava decisamente diverso quella mattina. Nervosismo a parte, adesso sembrava star facendo di tutto per nascondersi. Persino le lunghe ciocche dei suoi capelli erano ricadute con precisione infinita sul suo viso, cosí che Aziraphale avesse non poche difficoltà a scorgere le iridi dorate che tanto gli piacevano.

Perché sí, gli piacevano. Non sapeva bene quando fosse arrivato a quella conclusione, ma adesso l'aveva fatta sua e gli andava più che bene.

    «Non ti ho mai veramente ringraziato» incespicò il demone iniziando a torturare un filo d'erba. «Sai, per avermi salvato dalle grinfie di Beel.»

    «Non devi» rispose Aziraphale d'istinto. «Non c'è n'è bisogno» aggiunse poi, chiedendosi se lo pensava davvero o se gli facesse ancora un po' strano il fatto che un demone stesse ringraziando un angelo.

    «Avevi detto "a suo tempo" e, beh, se non ora, quando?»

Al biondo scappò un leggero sorriso e fece un impercettibile segno di assenso, un "non c'è di che" che non volle pronunciare per qualche strana ragione. Non sapeva se Crowley lo avesse visto o meno, ma qualcosa gli disse di sí.


Rimasero in silenzio per un po' e l'angelo riaprí il libro senza però iniziare a leggerlo davvero. La sua attenzione rimase puntata verso i due millimetri che, si accorse, separavano la spalla di Crowley dalla sua. Sarebbe bastato un movimento microscopico, un leggerissimo ed impercettibile cambio di posizione perché si facessero male.

Che cosa ingiusta.

Un raggio di sole superò gli spazi tra le fronde sulla sua testa e andò a finire dritto dritto sulla pagina, facendone risplendere il bianco in modo quasi esagerato. Gli venne automatico passarsi una mano sugli occhi - seppur la cosa non gli desse che un vago fastidio - e quando li riaprí, si stupí nel vedere che una grossa e compatta ombra era calata su di lui, mitigando la luce del mattino.

Alzando lo sguardo, Aziraphale vide una delle belle ali corvine del demone distendersi sul suo capo a mo' di ombrello. Quando provò a guardare la sua controparte, però, la scoprí troppo intenta a fissare il prato per notarlo.

Gli stessi raggi che Crowley aveva bloccato gli illuminavano il viso leggermente arrossato sulle gote scarne. I suoi capelli sembravano delle vere e proprie lingue di fuoco e se avesse alzato gli occhi, questi avrebbero brillato - Aziraphale ne era certo.

Sta proprio bene sotto la luce, si disse. Proprio bene. E la cosa era vera sia fisicamente che moralmente parlando.

Quando si esponeva, si apriva e si allontanava dalle ombre che caratterizzavano la sua esistenza, Crowley era proprio genuinamente bello, di quella bellezza semplice e genuina che il biondo prediligeva a quella fin troppo ostentata del Paradiso e dei suoi superiori.


Non potendosi avvicinare ulteriormente, Aziraphale si aggrappò delicatamente alla manica della camicia dell'altro con due dita, stando attento a non toccargli il braccio. Non avrebbe saputo dire perché lo avesse fatto ma all'improvviso si era reso conto di quanto piccoli fossero a dispetto di ciò che stava per accadere. Avevano bisogno della presenza l'uno dell'altro. Avevano bisogno della vicinanza, la stessa che avevano provato la sera prima - e non c'era bisogno di dirlo perché fosse chiaro a entrambi.

Difatti, quel movimento bastò a far voltare Crowley di scatto e fargli affondare le iridi in quelle dell'altro in un moto di sorpresa. Presto, la sua espressione crollò a favore di una seria preoccupazione misto determinazione e paura. Ancora una volta, Aziraphale si chiese come facesse il demone ad esprimere tutte quelle emozioni in un solo sguardo.

    «Senti,» irruppe poi quest'ultimo, la voce roca e le guance un po' più rosee di prima. «Sei ancora convinto di quello che hai detto ieri?»

    L'angelo sbattè gli occhi un paio di volte: «A cosa ti riferisci, esattamente?»

Era una domanda stupida, se ne rendeva conto, ma una parte di lui voleva sapere dove Crowley sarebbe andato a parare.

    «Quella cosa della fuga» mormorò infatti il demone, lottando per non guardare altrove.

    Com'è orgoglioso, ridacchiò l'angelo internamente. Poi scosse la testa con un sorriso: «Non vorrai mica lasciare gli umani qui.»

    «Anathema e i ragazzini possono venire con noi. Per gli altri ci devo pensare.»

La risata che seguí fu abbastanza da alleggerire la tensione.


Aziraphale fece per tornare a leggere, o almeno provarci, ora ristorato dall'ombra di Crowley e le dita ancora ben strette alla stoffa nera, ma un leggero bruciore sulla spalla lo bloccò.

    «Ahia» lamentó, crucciandosi.

    Il demone si soffiò sul polpastrello e lo fissò serio: «Dico davvero. Non sviare sempre dalle mie domande.»

    «Sviare? Io non svio.»

    «E invece sí.»

    Il biondo sbuffò: «Sí che sono ancora convinto di quello che ho detto, Crowley» affermò.

Riaffondò la faccia nella pagina ma poté quasi sentire il demone accanto a lui andare in tilt e farfugliare un: "Bene".


Per un attimo sparí tutto. Non c'era l'ansia, né la preoccupazione né l'Apocalisse, niente. Solo il sole del mattino, il canto degli uccelli, l'aria piacevolmente neutrale della Zona Mediatrice e loro che si facevano ogni secondo un millimetro più vicini.

E ogni secondo l'equilibrio si faceva un pochino più vicino alla rottura definitiva. E la dicotomia iniziava a mettersi a riparo, sapendo che prima o poi quelle due auree che (quasi) si abbracciavano l'avrebbero sconfitta una volta per tutte.


~•°•~


Satana lo guardava con aria soddisfatta e Adam, da bravo figliolo quale cercava di essere, gli sorrise intanto che accarezzava il fianco di un tranquillo e scodinzolante Dog. Se non fosse stato per l'atmosfera, sarebbe sembrato un bel quadretto di famiglia.

    «Sapevo che avresti avuto delle ottime idee» disse il Re dell'Inferno andando ad accarezzare i riccioli d'oro del suo creato. «L'ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto. Eri solo una sferetta di fuoco ma avevi dentro un'energia sconfinata. Plasmarti è stata la cosa migliore che io abbia fatto... Dopo la Ribellione, si intende» ridacchiò.

Adam gli aveva spiegato come avrebbe preferito far iniziare la Guerra. Aveva pensato bene a cosa dire, a come dimostrarsi pronto a lacerare la Terra, ed era felice di vedere che suo Padre stava cadendo in pieno nel tranello. Da un lato si sentiva fiero all'idea di star approfittando dell'eccessiva sicurezza dell'essere che gli stava di fronte - alto, composto e ben vestito in mezzo alla lava e ai lontani urli di dolore. Dall'altro sapeva che, una volta iniziata la battaglia definitiva, il suo lato oscuro avrebbe preso il sopravvento e tutto sarebbe finito in mano ai suoi improbabili alleati.

Si limitò a gongolare sotto a quel tocco freddo e possessivo, intanto che cercava di scacciare un po' delle ansie e delle paure che puntualmente affioravano nella sua mente. E se avesse distrutto tutto prima che ci fosse tempo per agire? E se avesse involontariamente fatto male a qualcuno? E se non fosse stato in grado di trattenersi?

Per fortuna, nessuno di quei pensieri riuscí ad arrivare agli occhi scuri e senz'anima del Ribelle, il quale si limitò ad osservare Adam cosí come si osserva un oggetto di valore che si sa di possedere di diritto.

L'Arma si chiese come fosse possibile dare vita a qualcosa per poi non amarla. Sapeva che gli umani provavano amore ed affetto per tutti i loro figli e per tutto ciò e tutti coloro ai quali dedicavano cura, interesse ed attenzione. Né i demoni né gli angeli lo facevano. Tranne due, ovviamente.

    «Aspetteremo un altro paio di giorni, allora» acconsentí finalmente suo Padre, staccandosi da lui e prendendo a passeggiare per l'enorme stanza buia. «Io non ho nessuna fretta.»

Quelle ultime parole vennero a malapena sussurrate ma l'intero Inferno fu scosso da un leggero terremoto. Persino Dog passò dall'essere calmo e sereno all'emettere un vibrante ringhio.

Adam capí che quello era il segnale: ogni demone sapeva ora di dover fare un conto alla rovescia e da qualche parte, l'Arma ne era convinta, c'era un angelo fuori dalle mura pronto ad origliare la notizia.


~•°•~


Non era un semplice angelo, ma l'arcangelo che da sempre svolgeva quella mansione.

Gabriel percepí la tensione e il tempo che si stringeva nel momento esatto in cui la fortezza oscura si mise a tremare. Scosse la testa, sapendo che Michael non l'avrebbe presa per niente bene e che avrebbero dovuto mettere sotto sopra l'intero Paradiso se avevano intenzione di aumentare le loro possibilità di vittoria.

    «Male, molto male» farfugliò intanto che tornava indietro.

L'aria del lato luminoso della Terra lo pervase come un balsamo curativo. L'aria oscura attorno al quartier generale nemico sembrava essere fatta di melma tanto era intrisa di sete di conflitto.

Il solo pensiero di una possibile vittoria da parte dell'Inferno gli fece venire un ipotetico voltastomaco. Immaginarsi tutto il pianeta in quello stato era un incubo ad occhi aperti.


Raggiunse il suo collega in un battito d'ali. Il generale dalle ali azzurrine era ormai completamente assorbito nell'organizzazione e preparazione del suo candido e ben corazzato esercito, tanto che Gabriel dovette inseguirlo per parlargli.

    «Abbiamo due giorni» disse solo.

    I capelli di Michael si scurirono per un attimo e le sue nocche si fecero candide sull'elsa della sua spada. «Non importa. Sguinzaglieremo ogni singolo angelo se necessario» affermò, freddo e stoico.

Non si scambiarono nemmeno uno sguardo, tanto sapevano di essere già d'accordo.

    «Dov'è Raphael?» Chiese poi il messaggero, sapendo che l'aiuto del loro collega sarebbe stato prezioso ora più che mai.

    «In infermeria. Non so cosa gli sia preso, ma si è catapultato lí e non è più uscito.»

A Gabriel non serví altro. Lasciò Michael al suo lavoro e raggiunse la doppia porta che delimitava la stanza del guaritore. Appena entrò, non si stupí nel vedere Raphael di spalle, volto verso la grande vetrata che dava sulle nuvole.

    «Abbiamo un ultimatum» annunciò, avanzando. «So che i tuoi sono già scesi ma-»

Arrivato un po' più vicino al suo collega, si bloccò. Qualcosa non andava: le piume dorate dell'altro non erano mai state cosí scombinate né i suoi capelli cosí divelti. Spostandosi un po', notò delle ustioni in via di guarigione ricoprirgli le braccia.

    «Che ti è successo?» Chiese sconvolto, andando ad afferrare il polso di Raphael perché si girasse completamente verso di lui.

    Questi si ritirò violentemente, guardandolo con una rabbia che Gabriel non riuscí a piazzare sul volto perennemente pacato del guaritore. «E da quando ti importa? Pensavo fossi troppo occupato a distruggere il mondo.»

    Il messaggero lo fissò impettito, squadrando le spalle d'istinto: «Guarda che io il mondo sto cercando di salvarlo

    «Sí, come no. Ma se nemmeno sapete che faccia abbia l'Arma.»

    «Perchè, tu sí?»

Si fissarono a lungo. Lo sguardo del guaritore pareva di pietra, cosa che fece salire un brivido lungo l'ipotetica schiena di Gabriel. C'era qualcosa che il suo collega sapeva che a lui era sfuggita?

    «Raphael?» Mormorò, un richiamo carico di interrogativi.

Il guaritore non rispose, stavolta. Andò a prendere una spada - una di quelle di Michael? Quando l'aveva presa? - e uscí fuori a passo svelto e infuriato.

Dietro di sé lasciò una lunga ed intermittente scia di piume dorate.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar