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Autore: Bannysenzay    15/11/2022    1 recensioni
Deku riesce a sconfiggere All for One in una battaglia all'ultimo sangue ma, per colpa di uno dei suoi querk, Izuko si sveglia sette anni dopo senza alcuna memoria di chi fosse prima...
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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In quell’istante, nessuno pensò che fosse arrivato un eroe, nessuno si senti felice dall’arrivo di qualcuno in grado di resistere così facilmente a quelle fiamme infernali alla quale nulla poteva porre rimedio.
No, l’unica parola, sfuggita per sbaglio dalla bocca di una studentessa particolarmente frivola fu:
- Mostro –
Quello sembrava, un potere incomprensibile e inconcepibile, nessuno paura verso la morte se si poteva salvare anche una singola vita, qualcuno disposto al sacrificio del suo intero essere.
I capelli resi neri dal fumo, pelle grigia dalla cenere e occhi verdi, così intensi e sinceri che sembravano poterti scrutare nel profondo. Che sembravano sapere chi eri e perché eri lì.
Che sembravano. Tutto in quell’uomo sembrava qualcosa che non era, o forse era ma aveva sepolto in un passato che aveva deciso di dimenticare. Ecco, non era più.
Sicuramente un tempo era stato cattivo e in un altro era stato buono, in un tempo era stato solo e in un altro aveva avuto tanti amici. C’era stato un tempo, passato da chissà quanti anni, in cui si era permesso di sognare. In cui era riuscito a realizzare il suo sogno anche se per un piccolo, ma incommensurabilmente importante, istante, forse il peggiore o il migliore della sua vita.
Questo però non se lo ricordava, non ricordava molte cose.
Ma quella parola, mostro, andava contro tutto ciò che l’uomo aveva sempre cercato di diventare.
Lui aiutava le persone.
Lui rendeva felici le persone.
Non poteva essere un mostro.
Non poteva, vero?
Una lacrima scese lenta dalle guance dell’uomo mentre abbassava le braccia doloranti, il ragazzino dietro di lui piangeva, poteva permettersi di piangere.
“Ricomponiti!”
Pensò l’uomo, doveva ancora sconfiggere il cattivo, salvare gli eroi e gli studenti, dimostrare che non era un mostro. Forse doveva dimostrarlo a sé stesso.
Allora strinse i pugni, si mise in posizione e spiccò un salto fino al villain, che, a causa di qualche eroe ossessionato da caffè che era appena arrivato, non riusciva più ad usare il suo quirk. Sconfiggerlo fu semplice, un pugno e via.
Ma non bastava, non riusciva a smettere di pensare a quella parola.
Così corse, sconfisse tutti i minion che trovava, nei suoi movimenti non c’era più la minima tecnica, solo dolore, dolore e una forza persino a lui sconosciuta. Un istinto che non sapeva di avere, un’abilità di prevedere le mosse dei nemici come se avesse combattuto da sempre, con e senza quirk.
Chissà da quanto tempo aveva quella forza, chissà se un tempo aveva avuto paura di nasconderla agli altri, se aveva avuto paura del giudizio degli altri.
Chissà se era mai stato debole.
SI
Gli rispose il suo subconscio.
Era stato il più debole degli uomini
Ma non lo era più.
Solo quando nemmeno un villain fu in grado di resistere all’oblio l’uomo dalla maschera veneziana si fermò. Era terribilmente stanco, mentalmente almeno, fisicamente…non sapeva, troppa adrenalina in circolo.
E solo quando permise a sé stesso di fermarsi osò voltarsi, chiunque avesse occhi lo guardava, spaventato e preoccupato. Qualcosa di caldo gli scorreva dal fianco ma non se ne preoccupò.
Il ragazzo che aveva salvato aveva smesso di piangere per il troppo fumo finitogli negli occhi, una ragazza con un corno sulla fronte si copriva la bocca con le mani, doveva essere preoccupata per qualcuno, due gemelli, una distesa a terra mentre l’altro cercava di fermarle l’emorragia, avevano gli occhi pieni di gratitudine e lacrime salate.
Una bambina, che meno di tutti sarebbe dovuta stare su quel campo di battaglia, correva verso di lui. Aveva morbidi capelli verdi e occhi smeraldini, gli ricordava qualcuno, gli ricordava una donna che era stata sua madre, tanto, troppo tempo fa.
Non ricordava il suo volto, si era dissolto nelle volute del tempo. Non ricordava la sua voce né il suo nome, non ricordava come lei l’aveva chiamato.
Non ricordava tante cose.
- DEKUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!! –
-Si Kacchan? –
- Diventiamo eroi insieme! Me lo prometti! –
- Sì Kacchan!!! Diventiamo il numero uno e il numero due! –
- Però io sarò il numero 1! –
- E io ti supererò! –
O forse, pensò, ricordava solo quelle cose che aveva paura di dimenticare.
Ricordava il volto di un bambino, un ragazzo che ora doveva essere un uomo, che ai suoi occhi era stato più importante della sua stessa madre.
Allora si girò e le rivolse un sorriso e, prima che potesse raggiungerlo scomparì nel fumo e nella nebbia.
Un eroe dai cappelli biondo cenere comparve l’attimo dopo, pronto a portare aiuto a chiunque ne avesse avuto bisogno.
La scena era quella di centinaia di villain a terra, gli studenti in lacrime e una bambina che sembrava guardare il vuoto.
Il volto inespressivo.
Mai avrebbe capito o pensato quanto sarebbe cambiato se fosse arrivato solo un istante prima, se solo l’avesse incontrato di nuovo.
Se l’avesse fatto tutta questa sofferenza avrebbe potuto essere evitata.
Se solo l’avesse fatto.
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Era passato un mese dall’incidente della gita, la stampa era riuscita chissà come a scoprirlo in un tempo brevissimo e ormai tutti i giornali avevano dato la loro opinione sulla cosa.
Ora, però, nessuno diceva niente, come se niente fosse accaduto. Come se la gente riuscisse a dimenticare tutto in un istante, come se, una volta detto tutto, non ci fosse più bisogno di evidenziarlo.
Perfino la vita degli studenti era tornata normale, o quasi. Erano stati riammodernati i vecchi dormitori, rimasti inutilizzati dalla fine della guerra di All for One, e a tutti gli studenti del corso per eroi era stato chiesto (se non imposto) di trasferirvici.
Mai era venuta con Aiko, del resto la loro casa era andata distrutta e di Deku…di Deku non c’era traccia. Il ragazzo rimaneva sveglio per notti intere non riuscendo a dimenticare, cosa? Beh un po’ tutto, il fumo, il fuoco, le lacrime, il sudore freddo che gelava, gli urli sciagurati di coloro che soffrivano, gli eroi che non riuscivano niente, lui che svaniva nella nebbia, lui che non era più lui. Neanche Shadow si era più fatto vedere.
Li aveva visti quegli occhi freddi e senza anima. Gli stessi occhi di quando l’aveva incontrato la prima volta, in quel vicolo buio e sporco, in mezzo alla spazzatura senza alcuna forza, senza alcuna speranza. No, non era stata la prima volta, eppure non riusciva a convincersi che lui fosse davvero quell’eroe. All’inizio…all’inizio ne era certo, all’inizio non aveva visto quella parte di lui che spaventava, chissà cos’era diventato in quegli anni trascorsi nella parte buia del mondo, chissà se avrebbe ricordato anche quello, e se un giorno quella parte gentile fosse sparita per sempre.
Così passavano le notti, sempre più stanco e preoccupato. Mai faceva finta di non accorgersene, Aizawa faceva finta di non accorgersene, i suoi compagni fingevano, pure loro, di ignorare la verità.
E in quest’inferno erano passati quei trenta giorni, un inferno dolce, dove le fiamme lambivano solo i sogni.
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“Non posso tornare”
“Tornare dove poi?”
“Sono un mostro, non merito la felicità”
“Se non un mostro cosa sono? Chi sono? Sono mai stato qualcuno? Qualcuno si è mai preoccupato per me?”
“Kacchan…dove sei? Chi sei? Perché ricordo solo te? Sei felice? Sei felice più di quando c’ero io? Eri felice quando c’ero?”
Pensieri simili lo tempestavano, impedendogli il sonno. Aveva paura di sognare, nei suoi sogni si nascondeva il suo vero io. A volte sognava un bambino che gli sorrideva, che lo spronava, altre sognava lo stesso ragazzo morto in una città distrutta, a volte sognava il riflesso di un uomo crudele, di un villan, sognava il suo riflesso. Aveva paura dei sogni. A volte non si vuole sapere la verità.
Voleva muoversi, correre, allenarsi, e non voleva fare del male a nessuno. Così rimase lì, in quel capannone abbandonato, a combattere i suoi demoni come se avesse forma fisica, combatteva da alba ad alba fino a non riuscire più a muovere un muscolo, e demoni ridevano, ridevano e ridevano.
Era debole.
Troppo.
O forse era forte.
Ma comunque non bastava.
Non bastava mai.
Perché i suoi demoni sapevano, e la conoscenza è un potere che non si ottiene allenandosi.
Così scelse.
Si alzò, e, nel cuore della notte, si avviò tra i magazzini della periferia, si fermò davanti ad un magazzino particolarmente fatiscente, i vetri rotti e le travi cadenti, si poteva intuire che il tetto fosse rotto e nemmeno un barbone avrebbe osato entrarci per paura di qualche incidente spiacevole. Non sapeva bene perché proprio quel magazzino, nel senso, lui non lo sapeva ma il suo subconscio conosceva qualcosa che lui ignorava.
Si diresse verso una porticina laterale, nascosta dall’edera, era di un materiale scuro che al tatto sembrava un qualche nuova lega. Spinse un interruttore nascosto dalle piante, immediatamente si aprì un piccolo schermo, Deku sollevò la massa di capelli verdi e sporchi per lasciare al sensore la possibilità di analizzargli la retina. Dopo qualche secondo ci fu un clic e la porta si aprì senza il minimo cigolio.
Il capannone era vuoto, pulito fino alla nausea. L’uomo camminò verso un punto ben definito conosciuto solo da lui e spinse una piccola pietra, che, spostandosi, lasciò vedere un altro schermo. Inserì la password, non sapeva bene come la conoscesse, solo…solo era così e basta.
Si aprirono delle scale da suolo e lui cominciò a scendere piano, in allerta.
Appena messo dentro un piede dentro al sotterraneo tutte le luci si accesero lasciando accecato l’uomo, l’intero basamento del capannone aveva le pareti grigio metallo, coperte di schermi che mostravano le telecamere dell’intera città. Sull’ingresso, a destra, c’era una piccola stanza dalle pareti in vetro che fungeva da mini-ospedale, c’era un lettino e tutta l’attrezzatura medica immaginabile, fermo davanti alla porticina (anch’essa in vetro) c’era un robot, spento e con la testa abbassata. Lo sguardo di Deku venne attratto da una parete scintillante non ricoperta dagli schermi, a produrre il luccichio erano le armi, armi e armi di tutti i tipi. Fucili d’assalto e pesanti, cecchini, mitragliette, coltelli da caccia, pugnali, spade, insomma tutto ciò che riuscite ad immaginare.
Attaccate alla parete c’erano delle scatole e Deku seppe che erano granate, bombe e munizioni. Per potersi avvicinare alla parete bisognava passare per una specie di linea nera disegnata per terra, c’era un monitor poco prima della linea e molto probabilmente se non si fosse inserita una password come per la porta si sarebbe saltati in aria o peggio. Molto peggio.
In fondo, verso la fine della struttura c’era una cucina ed una porta con sopra l’insegna del bagno, c’era un'altra stanza, di fianco al bagno, era abbastanza ampia e serviva un codice per accedervi, come con gli altri ingressi. Una volta inserito fu necessaria anche la scannerizzazione dell’iride e l’impronta digitale.
La porta scorrevole si aprì autonomamente, all’interno c’era una sedia con centinaia di monitor attorno e diversi computer davanti, in un angolo c’era un letto e un armadio. C’era anche una porta comunicante col bagno, se si voleva passare dalla camera al bagno non sembrava esserci bisogno della password ma per viceversa probabilmente sì.
Solo allora si accorse di quanto lui fosse sporco e stanco, di come non avesse praticamente mangiato in un mese intero e di come la vista cominciasse a diventare sempre più sfocata.
NO
Impose a sé stesso, non si sarebbe mai disteso su quelle lenzuola pulite senza prima essersi lavato.
E così fece, non aveva mai trovato una lunga doccia d’acqua calda più rilassante.
Avendo troppo sonno per mangiare decise di procrastinare il pasto al giorno successivo.
Adesso sapeva cosa doveva fare.
Doveva aiutare le persone.
E, se non poteva essere un eroe, era già stato un vigilante, no?
Ma Shadow era una persona che cacciava i criminali per sé stesso. No, lui avrebbe aiutato le persone.
Shadow, Deku e Jin non c’erano più.
Lui era diverso.
Non aveva bisogno di un nome.
- Benvenuto a casa, signor No One –
Fu l’ultima cosa che sentì prima di cedere all'oblio.
NOTE:
Okey okey lo so ci ho messo una vita!!!
Cmq eccomi qui quindi alla fine sono perdonata no? 
😉😉😉
Boh non è che abbia tanto da dire...solo spero vi sia piaciuto il capitolo! Ditemi se volete qualche piccolo flashback di cose che non influiranno nella storia (Compleanni, feste, giornate a scuola, gite minori, etc...) per qualche mini capitolo in mezzo a quelli principali. Uhhh vabbè alla prossima ciauuuuuuuuuuuuu!!!


 
   
 
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