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Autore: Eneri_Mess    16/11/2022    2 recensioni
Otto anni non sono una vita. Anche se il tempo separa le strade, non è detto che queste non si incrocino di nuovo. Quando però la persona che hai lasciato indietro non è più la stessa, i sensi di colpa sono l’unica radice reale a cui aggrapparsi.
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«Perché sei tornato?»
Fissò quel ritaglio di realtà, come la fotografia di un ricordo sovrapposta a quello che sarebbe dovuto essere un tetto vuoto. Non lo era. Kacchan era seduto lì, con l’aria di qualcuno in attesa da un tempo indecifrabile, spoglio di emozioni se non di uno sguardo che aveva già deciso come la storia sarebbe andata avanti.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In the middle of our life'
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On the wrong side of Heaven



 

Capitolo 9




 

And I'll never make it without you
I need a second chance
'Cause I wanna make it about you
I'm making my last stand
It took a moment to say
It wasn't you, it was me
I couldn't let you in

Now I'm ashamed
why I pushed you away from me
Now I'm afraid
it's too late to save again

[Last Stand - Adelitas Way]



 

Dieci minuti alle undici, Bakugou, mani in tasca, mascherina sul viso e un cappello da baseball a mitigare il suo biondo inconfondibile, fissò il palazzo corrispondente all’indirizzo datogli da Deku. 

Nulla di diverso da quello che si era immaginato. Non la struttura più alta di Wasuno, ma forse tra le più fatiscenti. A stringere, non era che un albero come un altro in mezzo a una foresta. 

Non trovò alcuna finestra illuminata - la maggior parte erano o rotte o coperte da fogli di giornale. La vernice si scrostava dal muro e in generale non c’era nulla che indicasse fosse abitato, o almeno agibile. 

Eppure, guardandosi attorno, l’eroe ebbe la sensazione che diverse persone fossero passate di lì. 

Cercò un ingresso e trovò un vecchio atrio devastato e impolverato, qualche cartello sulla pericolosità dell’ambiente e un altro che annunciava l’inizio dei lavori di ristrutturazione, datato quasi due anni prima. Provò a spingere le porte presenti, ma risultarono tutte bloccate e piene di sporcizia come il resto. 

Tornò sui propri passi, girando intorno alla struttura per individuare un altro modo di entrare, anche se la sua mente iniziò a vagliare l’idea che Deku lo avesse mandato in un vicolo cieco di proposito per toglierselo di torno. Ipotesi che scartò con un grugnito; gli sarebbe bastato iniziare a fare casino come le ultime volte per riavere tutti gli Occhi che pattugliavano il quartiere addosso e quindi l’attenzione del loro capo. Lasciò scivolare via il proposito come eventuale piano b.

Camminando, arrivò sul lato opposto dell’ingresso e trovò le scale per uno scantinato. Anche questo aveva un aspetto modesto e abbandonato, ma la maniglia, per quanto consumata, non aveva tracce di sporco. 

Bingo

Misurò il lato del palazzo con lo sguardo, ma anche lì nulla risultò diverso da quello che appariva, dimesso e lasciato a sé. Il suo istinto però si era convinto e fece un passo verso il primo gradino del seminterrato. 

Il gelo fu istantaneo. 

Non sensoriale - molto diverso dal lato destro di Todoroki - quanto dell’inconscio. Qualcosa che premette sull’impulso di sopravvivenza, solleticò la paura, per mettere in allarme il resto del conscio e farlo retrocedere. 

Tuttavia, Bakugou era abituato a fissare i propri timori dall’alto in basso. 

Così fece con quella sensazione, anche quando intorno tutto sembrò distorcersi, diventare non semplicemente più buio, ma tetro. L’aria si appesantì nei polmoni, irrespirabile e asfissiante, mentre le ombre, già troppe, si mossero, lì nella coda dell’occhio, dove non si guardava mai, ma che poteva diventare il nido di tutto ciò che era ansiogeno.

I palmi di Katsuki crepitarono in risposta, provocando scintille di avvertimento, nonostante avvertisse i sensi disorientati. Era indubbio che si trattasse di un quirk, il punto stava nel capire dove si trovasse l’utilizzatore. 

«Vieni fuori che ti ammazzo…» sibilò, caricando l’esplosione. 

Una mano sbucò dall’oscurità, afferrandolo per il polso. 

I muscoli dell’Hero reagirono prima del pensiero. Indirizzò l’attacco, ma si bloccò nel riconoscere due occhi verdi penetranti. 

Deku

Qualche scintilla arrivò alla sua guancia nell’attimo di ritardo in cui l’eroe annullò il proprio potere. Izuku strizzò l’occhio infastidito, ma non successe nulla di più. 

«Lui è con me.»

Deku lo disse distogliendo lo sguardo da Bakugou e mollando la presa. Doveva essere per gli effetti del quirk sconosciuto, ma Katsuki avvertì quel gesto come se ciò che lo stava trattenendo dal cadere in un baratro avesse appena desistito dal salvarlo. Ebbe la sensazione di precipitare, ma tornò semplicemente padrone di sé. Qualsiasi tetraggine sparì e, solo all’ultimo, l’eroe si accorse di un’ombra umanoide, con due punti di luce all’altezza del viso, ritrarsi nel muro del palazzo. 

Bakugou fletté le dita delle mani, le chiuse a pugno e poi le distese di nuovo. La normalità che provò fu fin troppo anormale

«Mi sono dimenticato di specificare che dovevi scrivermi quando fossi arrivato.»

La voce di Izuku fu un ottimo motivo per concentrarsi su altro e archiviare quanto appena successo. Per settare di nuovo uno standard alla realtà e interpretare le ombre per quello che erano.  

«Non ti bastava dire che avevi ospiti!?» ringhiò l’eroe stranito, lanciando un’altra occhiata alla parete scrostata in cui il fantasma era scivolato. «Che cavolo era quella roba?»

«Non è una roba. È una persona. La nostra guardia di sicurezza» tagliò corto Deku, stizzito, per poi accennare con la testa alle scale, senza mai guardarlo direttamente. 

Bakugou si soffermò su quel nostro non riuscendo davvero a immaginare qualcuno a cui riferirlo, non senza un sapore amaro che si infilò tra i denti pressati insieme. 

Lasciò che Izuku lo distanziasse di qualche passo per squadrarlo. Era di nuovo in tenuta sportiva, ma con colori che sposavano la notte; una felpa troppo grande a mascherarne il fisico, arrivandogli a metà coscia, insieme a dei pantaloni morbidi, stretti sopra le caviglie. L’unica traccia di colore erano le scarpe. Non gli scarponcini dalle suole spesse che era solito portare alle medie, ma delle sneakers di un rosso intenso e nostalgico. 

È Deku.

Doverlo ripetere per convincersene acuì quel retrogusto velenoso che dalla bocca gli stava scivolando in gola.

È ancora Deku.

 



 

Le luci ferirono lo sguardo di Katsuki quando superarono l’anticamera scialba dell’ingresso. Insieme a queste, un boato gli esplose nelle orecchie. Dovette concedersi un secondo di sorpresa per rendersi conto del cambio di ambiente.

Il palazzo decrepito era una facciata - avrebbe dovuto intuirlo - per quello che sembrava un club privato. Un fottuto club privato dalle luci psichedeliche e dalla musica spaccatimpani, nuovo come una banconota appena stampata. 

«Ci vuole un po’ per abituarsi» rise Deku dandogli una spallata per superarlo. Anche se l’improvviso contatto fisico lo irrigidì, come se una scossa di corrente lo avesse attraversato, Bakugou non gli abbaiò contro solo perché stava rifasando i sensi, tentando di concentrarli unicamente sulla sua figura per ignorare tutto il resto. 

Non farsi infettare da quel pulsare molesto fu però impossibile; gli sguardi di alcuni dei presenti lo puntarono come dei cani da caccia con una preda. Nonostante la disparità numerica non giocasse a suo favore, Katsuki non provò alcun timore, semmai la malsana eccitazione di voler menare le mani per far abbassare loro la cresta. 

Non ce ne fu bisogno, non quando le stesse occhiate indagatrici si focalizzarono su Deku e l’atmosfera si piegò d’improvviso. Risultò un cambio così netto che Bakugou stesso si trovò a fissare Izuku per capire se in lui fosse mutato qualcosa senza che se ne accorgesse. 

La verità fu più lampante, un rush del sangue nelle vene. 

Rispetto

Puro e semplice rispetto.

L’Hero non vide altro nelle persone presenti mentre Izuku si muoveva tra loro, ricevendo cenni e saluti, ricambiando, dividendo l’assembramento di avventori come- 

Come un capo

Bakugou mandò giù il groppo in gola, l’involontario groviglio di incredulità, e lo seguì.

Si dedicò a osservare e annotare ciò che lo circondava, con l’occhio analitico dell’eroe, ma si trovò sommerso da troppe sensazioni tutte insieme. 

Non era la prima volta che metteva piede in un locale del genere. Non li apprezzava, ma ciò che lo disturbò fu l’idea alla base, la palese constatazione che tutto sembrasse rispondere a un gesto di Deku. Era una prospettiva che metteva ogni cosa fuori posto, scombinando vecchie certezze e mescolandosi invece, fin troppo coerentemente, con le informazioni che aveva raccolto nelle ultime due settimane. 

Deku era a capo di Wasuno

Quel club privato… era suo. 

Quella gente… era la sua gente.

Tentò di concentrarsi. Studiò il bancone del bar, la fila di alcolici sulle pareti, l’invitante scritta al neon - Stop Thinking, Start Drinking, troppo leggera per il tipo di posto - i divanetti, i dettagli. Le persone. Se quelli erano gli abitanti di Wasuno, Bakugou non aveva capito nulla di ciò in cui si era infilato o di che fauna brullicasse in quel luogo dimenticato da eroi e divinità.

Arrivarono all’altro lato della grande sala e uno spazio immenso si aprì di fronte a loro.

Katsuki si trovò a ricredersi una seconda volta. Impalato sul posto, la mascherina arginò solo metà del suo stupore; nascose la bocca aperta, ma non gli occhi. 

Sopra la sua testa non c’era più alcun soffitto. 

O meglio, per diverse decine di metri, era stato ricavato uno spazio conico e i piani salivano tronchi, come sospesi, lasciando una piramide vuota al centro. I livelli più alti, a vederli dabbasso, erano divisi in diverse camere o ambienti dal fondo in vetro, mentre i più vicini, quelli che dovevano andare dal secondo al quarto, erano stati trasformati in tribune, sempre dai pavimenti trasparenti. Tutto per permettere la visuale di quello che era il cuore della struttura.

Alla base del cono, a prendere la porzione più grossa del palazzo, c’erano una serie di ring e gabbie per la lotta libera. Erano di varie dimensioni, recintati da catene tese o vetri, con dedali di corridoi e ballatoi a circondarli per smistare il pubblico. 

Lì la musica erano gli urli, gli schiamazzi, le grida esaltate. Un ritmo per scandire gli scontri. Nulla raggiungeva l’esterno. Ogni singola voce, goccia di sudore, scalpiccio, gemito, spasmo o osso rotto restava confinato in quella sorta di dimensione parallela mascherata da palazzo diroccato. 

Bakugou serrò la mascella. 

Il suo istinto aveva visto bene nell’accorgersi che quel posto era più animato di quello che appariva esteriormente, ma non si era aspettato di finire nella tana allucinogena del bianconiglio e dritto in un paese delle meraviglie underground. 

«Direi che sei rimasto colpito.»

Deku e il suo tono leggero, tinto sugli orli di orgoglio e divertimento, lo ancorò sul posto, come un aquilone recuperato all’ultimo da una folata di vento inaspettata. La sua voce si era smussata, come la sua espressione. Le lentiggini sulle guance pallide di insonnia spiccarono alle luci violacee che si rincorrevano tra loro. Non aveva urlato nel parlare e forse Bakugou gli aveva letto più le labbra che sentirlo davvero. L'Hero si piantò le unghie nel palmo della mano per tornare padrone di sé in quella baraonda. 

«Abbiamo completato i lavori l’anno scorso e siamo piuttosto soddisfatti, anche se è tutto ancora in rodaggio. Non abbiamo neanche un nome definitivo» scherzò Izuku, con un sorrisetto brillante che riportò Katsuki a diversi anni prima. Il contesto, tuttavia, era totalmente sbagliato. «Per ora,» riprese Deku, ignorando cosa gli passasse per la mente, «con il guadagno netto degli introiti di un mese riusciamo a sostenere quasi tutte le cure della clinica di Wasuno.»

L’eroe non collegò i pezzi tra loro. «Introiti?» 

«Le scommesse.» 

Un’ombra fastidiosa si insinuò nel volto di Izuku quanto nel suo tono, rammentando a Bakugou che erano passati otto anni e tutto era cambiato. Deku lo distrasse indicando una delle arene, dove era in atto un incontro. 

«Pensi che la gente lì combatta per spirito sportivo?»

Katsuki grugnì all’ironia nella sua insinuazione, ma non replicò, preferendo concentrarsi sulla lotta. I due contendenti erano furie a briglia sciolta, sgraziati, animaleschi e pulsanti di vita, come il pubblico incoraggiante intorno a loro. 

«Vi divertite così da queste parti?» commentò, trovando fastidioso permettere che l’interesse trasparisse nella propria voce. Al contrario, Izuku sembrò apprezzarlo. 

«In effetti sì.» 

Deku si dondolò sui talloni, le mani seppellite nel tascone della felpa oversize e di nuovo le labbra stirate in qualcosa che sottolineava il vanto per quelle quattro mura titaniche.

«La voce si sta spargendo. Stanno iniziando ad arrivare persone da un po’ tutto il Giappone per i nostri incontri e-»

«Deku.»

Bakugou si irrigidì al suono del nomignolo pronunciato da qualcuno alle loro spalle.

Voltando la testa, trovò Gin, anche se la riconobbe soltanto per lo sfregio sulle labbra. Era del tutto diversa dal braccio destro che lo aveva giocato nel vicolo o che li aveva raggiunti sul tetto quella mattina. 

Un vestito nero da sera si era sostituito ai vestiti più comodi con cui lavorava di giorno, fasciando le curve minute del suo corpo. Spalline sottili, decolté profondo, due spacchi sulla gonna lunga. Katsuki colse l’occasione per osservarla meglio di quanto avesse fatto la prima volta e fermare dettagli che aveva solo inconsciamente registrato fino a quel momento.

Era più bassa di lui, ma arrivava quasi a Izuku; un’altezza non solo fisica, ma sottolineata anche dalle spalle rigide e dalla schiena dritta che faceva risaltare il seno piccolo. Tuttavia, l’attenzione dell'eroe fu attirata dalle forme nere di inchiostro che ricoprivano la pelle nivea delle spalle, della schiena, del petto e lungo il braccio sul lato sinistro del suo corpo. 

Le luci del club non erano l’ideale per distinguere il disegno, ma l’eroe trovò nell’insieme di linee fini e aggrovigliate del tatuaggio richiami agli esseri che popolavano l’inferno giapponese. Non c’era una singola goccia di colore, solo un nero crudo quanto gli sguardi dei dannati che ricambiarono il suo. Ricopriva quasi metà del suo corpo, come il buio di un vuoto lasciato da un morso brutale.

«Gin…» ma Deku lasciò cadere qualsiasi domanda, osservando la silenziosa interazione tra i due. 

Bakugou avevo gli occhi fissi in quelli della donna e non si stupì di trovarci l’inespressività che aveva caratterizzato tutti i loro incontri. Il trucco sul viso era provocante, curato ma, per i suoi gusti, privo di attrattiva. Le labbra colorate formavano una ciliegia matura e gli zigomi avevano quella sfumatura rosata che in altri avrebbe acceso bassi istinti, con i capelli raccolti in uno chignon volutamente disordinato, a incorniciare l’effetto che avrebbe dovuto avere dopo un incontro dove i centimetri si contavano col meno davanti. 

Metà della fauna radunata quella sera avrebbe visto una donna seducente da approcciare; Katsuki ci trovò un'apparenza studiata e qualcuno che, ancora una volta, era in grado di raccogliere con gli occhi quei dettagli personali che sbadatamente le persone dimenticavano di riporre in posti sicuri. Per quanto l’eroe ci provò a tenere alte le proprie difese, lei sembrò capace di infilarsi in quelle fessure e stringere piccole verità. 

Il loro fu uno scambio lungo che Deku non interruppe, studiandolo a propria volta. Fu la stessa Gin ad abbandonare l’intesa - lasciando dietro di sé uno spiffero proveniente da qualche porta che Bakugou non era riuscito a chiudere in tempo

«Devo parlarti un attimo.»

La donna superò l'Hero e si avvicinò a Izuku. Toccandogli la spalla con tre dita appena, gli sussurrò diverse cose all’orecchio. Lui ascoltò con uno sguardo apparentemente perso in alto, annuendo ogni tanto, e Katsuki strinse i pugni nelle tasche dei pantaloni. La musica e gli strepiti si fecero assordanti, ma non furono sufficienti. 

Non diverso dalle spire di un serpente, e dal sibilo di una lingua biforcuta, l’idea di essere un tassello non essenziale solleticò Bakugou in quella zona interiore che di recente era diventata tanto suscettibile. 

Non perse una frazione di secondo di come Deku sorrise e voltò il viso verso di lei. Se Katsuki avesse avuto una fantasia più maliziosa, e meno attenta, vi avrebbe visto l’intenzione di un bacio sfiorato. Capì invece l’intesa, la fiducia, qualcosa di costruito negli anni in cui lui non c’era stato. 

«Grazie del resoconto. Lascio il resto a te, ti spiace?»

Gin assentì e se ne andò con lo stesso passo privo di peso con cui era arrivata. Nonostante l’oro dei suoi capelli, Bakugou la perse tra la folla in un battito di ciglia. 

La spalla di Deku strusciò ancora una volta contro la sua, un gesto così fuori luogo rapportato alla tensione dei loro ultimi incontri, che riagganciò l’attenzione di Katsuki come se avesse sentito lo schiocco di due dita troppo vicino all’orecchio. 

«Saliamo.» 

L’Hero non trovò una ragione valida per non farlo. 



 

Put to rest
What you thought of me
While I clean this slate
With the hands of uncertainty

[What I’ve done - Linkin Park]



 

Presero due rampe di scale, sorvegliate da dei tizi che dovevano essere della sicurezza, per quanto in vestiti casual. Scambiarono un saluto con Deku, per poi fissare Bakugou con un’occhiata inquisitrice, ma l’eroe li superò senza battere ciglio. 

Quel che rimaneva dell’ex secondo piano dell’edificio correva lungo il perimetro in spazi più o meno ampi. Dopo la ristrutturazione appariva simile alla lounge prima classe di un aeroporto. Tutto gridava che quello era lo spazio personale del Capo.

Bakugou calpestò insieme al pavimento anche quella sensazione disorientante, preferendo osservare quello che succedeva dabbasso, oltre la superficie trasparente del piano. Sotto di lui, alcune delle arene secondarie erano gremite di persone e di gente che si sfidava ruggendo. 

Non distolse mai davvero l’attenzione da Izuku, ma non poté neanche negare la costante attrattiva degli incontri ai suoi piedi.

Il casino generale lì arrivava ovattato; questo gli permise di sentire il vago Ooff che si lasciò sfuggire Deku quando affondò nella poltrona a sacco che costituiva una delle sedute di quello spazio privato. Katsuki si guardò intorno, scegliendo il divano di fianco. Riconobbe l’entità della propria tensione da come mantenne la schiena rigida, anche se tentò di rilassarsi. 

«Bevi qualcosa?» 

Alla domanda di Izuku, il barman uscì da dietro il bancone in fondo e si avvicinò per prendere le ordinazioni. 

«Una birra rossa.»

«Per me il solito, grazie.»

La distrazione fu momentanea. Quando il bicchiere da una pinta fu appoggiato sul tavolino, Bakugou lo registrò solo come un movimento innocuo nel proprio campo visivo. Si tolse la mascherina, ma non accennò a prendere la consumazione. Ciò che continuò a guardare fu la lotta animale, i pugni, i colpi di scena dello spettacolo che stava avvenendo al piano terra. 

«Sei silenzioso» mormorò morbido e consapevole Deku, sporgendosi verso di lui per seguire la linea di interesse dei suoi occhi e della fronte aggrottata. 

«Tu partecipi?»  

«Di solito sì, ma ultimamente sono stato impegnato. Ho fatto solo un round l’altra sera.»

Katsuki gli lanciò un’occhiata obliqua. 

«Il motivo del tuo labbro spaccato» e non fu una domanda. 

Izuku si strinse nelle spalle. 

«Se ti rispondessi con un Dovevi vedere come ne è uscito l’altro mi crederesti?»

Bakugou tornò a fissare gli scontri, avvertendo qualcosa pungolargli lo stomaco.

Aveva ragione. Non riusciva a figurarsi Deku mettere al tappeto qualcuno. Il ragazzino gracile, impacciato e con la testa piena di eroi che non era mai riuscito ad avere la meglio, nemmeno una volta. Ma che sembrava sempre un passo avanti.

Si focalizzò su quanti stessero dando loro stessi nelle arene. 

I partecipanti ruggivano come leoni tenuti in gabbie da circo per troppo tempo. Perfino quelli che apparivano più fragili - che sarebbero potuti essere Izuku - stavano smaltendo una furia in corpo adrenalinica e coinvolgente.

L’eroe strinse le dita delle mani tra loro, avvertendo un formicolio famigliare sottopelle. 

La voglia di mettersi in gioco. 

Il bisogno di dimostrare di essere il più forte

«Vorresti provare?»

Alzando il viso di scatto, Katsuki si trovò Izuku a leggergli l’espressione come un manifesto appeso in pubblica piazza. Irrigidì la mascella, i denti che si pestarono tra loro con forza eccessiva. 

«Sono incontri molto stimolanti» continuò Deku. Aveva le palpebre mezze abbassate, passando lo sguardo dall’ex amico alle lotte che si agitavano sotto di loro. «Alcuni hanno dei quirk incredibili.»

Dall’espressione di Bakugou lo scetticismo fu così palese da essere una domanda sottintesa molto fastidiosa. Deku si risistemò comodo nella sua poltrona informe.

«Sul serio pensi che mi tiri indietro solo perché sono senza quirk?»

In assenza di risposte, Izuku si strinse nelle spalle. 

«La regola base è non uccidere. Gli incidenti capitano, ma c’è un codice di condotta» spiegò, facendo vagare gli occhi oltre il pavimento. «Uccidere l’avversario equivale a dire addio a tutto l’ammontare delle scommesse. Ci perdono gli scommettitori, gli sfidanti e il club. È un incentivo più che legittimo ad arrestare un’eventuale sete di sangue.»

«I soldi sono diventati davvero importanti per te?» 

Bakugou parlò di pancia, senza mitigare l’accusa. Era sopraffatto, non lo avrebbe ammesso. Più si addentrava nell’ombra in cui aveva ritrovato Deku, più questa era profonda e avviluppata a lui, in una misura che superava quanto aveva previsto. O più di quanto avrebbe potuto immaginare. Aveva dato per scontato la profondità del mare in cui Izuku stava annegando - o cosa navigasse davvero in quelle acque. 

Wasuno non era che la punta dell’iceberg, mentre quel club privato rendeva più l’idea dei primi metri di acqua gelida che lo circondavano. Cosa ci fosse in fondo era ancora troppo buio per dirlo. 

Deku non sembrò essere stato scalfito dalle parole dell’Hero. Era a suo agio - nel suo regno - più di quanto era mai stato in cima ai tetti nelle ultime tre mattine. Succhiò un sorso di cocktail dalla cannuccia, prima di abbandonare il bicchiere sul tavolo e replicare con un accenno di sorriso. 

«Vuoi sostituire la domanda di stamattina con questa?» 

Il motivo del perché fosse lì fulminò Katsuki apertamente. 

Mi odi?

«No. Voglio la verità. Mi hai risposto con un pacco di stronzate.»

I ring svanirono. Le grida, gli schiamazzi, la musica divennero un rumore bianco. Gli occhi rossi di Katsuki delinearono soltanto Deku e pretesero una risposta. 

Ottenne prima un sospiro, poi una serie di movimenti con cui Izuku sembrò seppellirsi ulteriormente nella sua seduta informe, premendo le labbra tra loro a occhi chiusi, dando un’idea quasi parodistica di come stesse meditando sulla risposta. 

Se fosse successo otto anni prima, Bakugou lo avrebbe sentito blaterare tra sé ragionamenti e ipotesi, ma anche quel suo modo di fare era stato tumulato in qualche fossa dimenticata

Sentire la mancanza di qualcosa che aveva sempre detestato aggiunse una pennellata a quella corda di malinconia che da giorni, senza sosta, si avvolgeva intorno alla sua gola. Katsuki era conscio che lo strattone non fosse ancora arrivato, ma la minaccia era sufficiente.  

«Se, come sostieni, ti ho raccontato un pacco di stronzate» ripeté Deku, calcando sulle sillabe con enfasi. «Equivale a dire che… in verità ti odio?»

Un gong, potente e scenico, riempì il silenzio tra loro, seguito dagli strilli che concludevano uno degli incontri e la proclamazione del vincitore. 

Deku buttò fuori l’aria dalla bocca, portandosi le dita agli occhi e stropicciandosi le palpebre con stanchezza. 

«Avere a che fare con te mi sta facendo impazzire» mormorò arrendevole, privo di ironia, così piano che, di nuovo, Bakugou lo capì dal labiale. Non aggiunse altro, ma si infilò le mani nel tascone della felpa e tirò fuori una caramella incartata. 

Katsuki seguì i suoi gesti senza comprendere. La cartina colorata azzurra cadde in una piega della poltrona a sacco, mentre Izuku osservava la piccola sfera farraginosa che ne era emersa. 

«Kacchan… dire che ti odio significherebbe ammettere che sei stato importante.» 

Ridacchiò. L’amarezza fu traboccante. 

Poi si lasciò cadere in bocca la caramella



 

I know you,
who are you now?
Look into my eyes
if you can't remember.

Do you remember, oh?
I can see, I can still find
You're the only voice
my heart can recognize
But I can't hear you now, yeah.

[Never be the same - Red]



 

Bakugou aveva fatto un errore. 

Aspettare

Aveva creduto di avere la situazione in mano. Che fosse questione di tempo. 

Avrebbe dovuto insistere finché Deku non avesse ammesso ciò che si portava dentro e forzato le cripte dove doveva aver rinchiuso a morire i ricordi. Ciò che erano stati. I sogni. Le promesse infantili. Tutto quello che Bakugou aveva calpestato, spesso strappato, bruciato, ma che doveva esistere ancora. 

Deku era cresciuto, ma non era cambiato

Non ne era più così certo.



 

You led me here,
Then I watched you disappear.
You left this emptiness inside
And I can't turn back time

[Never be the same - Red]




 

«Che cazzo fai!?»

Katsuki gli fu addosso così velocemente che se Izuku fosse stato seduto su una classica poltrona avrebbe ribaltato entrambi.

Gli afferrò la mascella e lo obbligò ad aprire la bocca. La sfera del piercing alla lingua non rifletté alcuna luce. Quella sera era di un nero opaco e fu l’unica cosa che l’eroe trovò. 

La gola di Deku si mosse nel tipico sobbalzo che accompagnava l’azione di deglutire. Gli occhi dell’Hero furono impotenti di fronte al movimento, come una miccia che si esauriva nelle ultime scintille prima dell’inevitabile. 

Izuku iniziò a ridere. Fu un suono tremendo, graffiante, costretto dalle dita che gli premevano contro l’osso della mandibola, affondando nelle guance senza alcuna delicatezza. 

«Una fuga dalla realtà. Si chiama Light Blue Paradise. Dovresti provare.»

Tra le sue dita apparve una seconda caramella. Bakugou la afferrò e la fece esplodere. 

Questo non fermò Izuku dal continuare a riempire l’aria di quel suono orribile. Ah ah ah.

«Eddai!» celiò con la prima nota di un’euforia artificiale. Circondò la vita dell’Hero con le braccia, stringendolo a sé, facendogli affondare le ginocchia nella poltrona a sacco, intorno al proprio busto. «È Sabato sera e ti ho portato nel mio posto preferito! Non vuoi divertirti?» 

Il gesto, il contatto, irrigidirono Katsuki come se si fosse appena lanciato in mezzo alla strada senza guardare e lo avesse realizzato troppo tardi. La presa fu anche troppo forte, eccessiva, e gli tolse il fiato. Di tutto, però, la parte peggiore, quella che gli riempì la bocca di bile, fu l’impressione di avere addosso un estraneo

Si districò con violenza, ma serrando i pugni quando sentì il bisogno di esplodere

«Smettila-»

Deku, ma il nome gli strozzò la gola. Si voltò e inquadrò l’uscita, nonostante ogni fibra del suo essere si rifiutasse di assecondarlo. 

«… me ne vado.»

Lo disse a se stesso. Lo forzò come un comando nei propri muscoli, quando il petto gli si irrigidì sotto la pressione di quei sensi di colpa che erano appena stati alimentati e gonfiati a dismisura dall’ultima cosa che avrebbe voluto vedere. Sopportare. Non era da lui, ma aveva bisogno di aria.

L’importante è capire che fermarsi a volte è necessario tanto quanto andare avanti a tutti i costi. 

La voce di Aizawa suonò con la precisione che aveva sempre avuto, con la fermezza ragionevole di un gesto che diceva Ben fatto anche di fronte a una disfatta. Eppure, Bakugou non riuscì ad afferrare quella consapevolezza se non con l’idea di fuggire. 

«Ho un’idea» esordì Deku, alzandosi a propria volta. «Un’idea che a Kacchan piacerebbe.»

«Stai solo sparando altre stronzate.»

Nessuna verve, nessuna intenzione di dargli corda. La sua mente si ribellò, ruggendo perché lo afferrasse di nuovo, lo scrollasse, gli facesse vomitare lo schifo che aveva dentro. 

Ma sei tu che lo hai spinto in questo buco. 

Si fermò per ascoltarlo. 

«Io e te.»

Deku gli girò intorno. Afferrò i bordi della propria felpa e se ne liberò, facendola cadere in terra. Altre caramelle si sparsero sul pavimento dal tascone. Restò con una canottiera nera e il tatuaggio che aveva incuriosito Bakugou, ma che in quel momento passò in secondo piano quando incrociarono lo sguardo.

«Solo io e te» ripeté Izuku, passandosi la lingua sulle labbra visibilmente secche. «In una delle arene. Come quando eravamo alle medie e ti piaceva picchiarmi.»

Si spostò davanti all’Hero, a un passo di distanza, forse meno, invadendo il suo spazio personale. Quei dieci e più centimetri di differenza di altezza che sembrarono perfetti per incastrarlo sotto i suoi occhi rossi. 

Deku ciondolò, ma in un movimento che seguì un ritmo nella sua testa. Le sue pupille erano due pozzi senza fondo, eppure lui era lì

Si alzò sulle punte e, senza mai sfiorarlo, parlò direttamente all’orecchio di Katsuki. 

«Se vinci… ti dirò quanto ti odio.»



 

And how can I pretend
I've never known you?
Like it was all a dream, no.
I know I'll never forget
The way I always felt
with you beside me

[Never be the same - Red]



 

Bakugou fissò per tutto il tempo la schiena di Deku. 

Aveva imbavagliato l’orgoglio e quelle voci che gridavano quanto tutto fosse sbagliato. Non c’era bisogno che la sua mente lo ribadisse di fronte all’ovvio, come un politico che riempie le necessità dei cittadini di parole. 

Il precipizio sotto di sé, quel bordo su cui Katsuki si era stanziato da quando aveva ritrovato Izuku, non era più un salto nel buio. Era una scogliera a picco su un’oscurità di cui sentiva l'infrangersi contro la roccia consolidata dei suoi sbagli. Erano altre voci che risalivano dal fondo, ma soprattutto erano i sussurri ragionevoli che lo invitavano a lasciar perdere. 

Lui non ti vuole nella sua vita. 

Tu lo consideravi un peso.

Tu avevi timore di lui perché era gentile, nonostante tutto.

Perché non ti lasciava mai andare.

Lo ha fatto. Perché sei qui ancora? 

Quello non è Deku.



 

Una discreta folla si era radunata intorno all’arena scelta da Izuku. 

Il suo soprannome - Deku! Deku! Deku! - stava addensando l’atmosfera, richiamando ancora più spettatori, e Katsuki non si liberò della nauseante sensazione che gli avessero rubato qualcosa. 

Mani in tasca, si chiese perché avesse accettato, mentre osservava Izuku fare cenno a Gin di avvicinarsi. Lei scivolò tra la folla stipata con la leggerezza di uno spettro. Una volta davanti al suo capo, successe qualcosa di simile a prima. 

Anche se il corpo di Deku sembrava indeciso su dove spostare il peso, dandogli una stabilità traballante, appoggiò la tempia contro quella della donna e iniziò a sussurrarle all’orecchio. Se non fosse stato per i capelli disordinati, quel verde che si percepiva anche in mezzo alle luci sfiancanti, le lentiggini rimaste uguali, Katsuki lo avrebbe scambiato per un estraneo. 

L’Hero strinse le dita dentro le tasche dei pantaloni fissando quella complicità, riascoltando nelle orecchie il Deku mormorato dalla donna, disgustato nel rivivere nella propria mente i pochi secondi in cui Izuku lo aveva giocato con quella finta caramella.

Era stata tracciata una linea di confine. O meglio, Deku aveva chiuso una porta che né a spallate né facendola esplodere si sarebbe aperta. 

Bakugou, quella sera, in quel club - nel mio posto preferito, come aveva detto Izuku - scese a patti con la consapevolezza di non sapere cosa fare per raggiungerlo, come farsi ascoltare. 

L’aver accettato il suo invito a scontrarsi era stato soltanto un modo per sfilacciare e tendere all’estremo un tentativo fallimentare. Qualsiasi cosa Deku avesse risposto alla sua domanda - quanto ci voleva a sbattergli in faccia un “Sì, ti odio”? - avrebbe avuto un impatto più amaro dopo quanto successo, molto diverso da ciò che si era figurato se avesse avuto la conferma quella mattina. 

Deku arrabbiato, con quel senso di vertigine per cui non riusciva a controllare la situazione e che gli urlava contro, sarebbe risultato molto più attendibile e gestibile di quell’altra faccia di Deku. Il cervello forzatamente inibito, scollegato, e il sorriso di chi ha perso tutto e balla sulle note di una sinfonia suonata da strumenti senza corde. 

Izuku e Gin rivolsero gli occhi su di lui e Bakugou aggrottò la fronte e raddrizzò involontariamente la schiena, alzando il mento. Ad avvicinarsi fu soltanto la donna.

«Seguimi.»

Katsuki lo fece, in maniera troppo automatica per i suoi standard, ma si fermò e si voltò indietro quasi subito, verso Deku. Aveva avvertito il suo sguardo addosso e lo trovò lì, a fissarlo, anche in quel momento in cui più di un avventore lo circondò per parlargli. Fu solo dopo che l’ultima schiena gli precluse la vista che l’eroe riprese a camminare dietro Gin. 



 

«Se tieni a quei vestiti, lì puoi trovare un cambio della tua misura.»

La donna gli indicò una rella a vista con diverse tute, ma Bakugou lasciò vagare lo sguardo. 

«Sto bene così.»

Si liberò del cappello da baseball e poi fu il turno della giacca e della maglietta scura, restando anche lui con solo una canotta. Erano in una sorta di spogliatoio. Uno di almeno cinque, a giudicare dalle porte che aveva superato. Lo stile era moderno e nuovo come tutto il resto, sottolineando ancora il contrasto con il grigiore e l’abbandono del quartiere. 

Gin si mosse leggera di fianco a lui. Anche con i tacchi non produsse quasi nessun rumore e questo stranì l’eroe, ma il suo sesto senso perseverò nel rifiutarsi di tenere la guardia alta in sua presenza. L’ostilità mancava, ma le occasioni di coglierlo di sorpresa erano una platea densa e silenziosa. 

Osservò i suoi gesti nell’avvicinarsi a un mobile appeso con due sportelli neri, quadrati e molto grandi. Le ante scivolarono sui cardini senza un fiato e rivelarono una rastrelliera che, per l’ennesima volta, strappò a Bakugou un pezzo di sorpresa. 

Allineate in quattro file, più di venti maschere lo fissarono con le loro fessure cieche. 

«Deku chiede che tu ti copra il viso. La mascherina che hai non basta. Non vuole che qualcuno disturbi il vostro incontro riconoscendoti come l’eroe Dynamight.»

Katsuki la percepì a metà. Tra le maschere, di una fattura attenta al dettaglio, cura che le rendeva realistici volti distorti, caricaturali o orrorifici, aveva riconosciuto una copia di quella da coniglio indossata da Deku il giorno della rapina. I pezzi, a modo loro, stavano componendo un puzzle di cui Bakugou non aveva ancora definito i bordi.

Mise da parte quel pensiero. Gli schiamazzi della folla eccitata stavano arrivando fino a lì, o era la sua immaginazione a incalzarlo. Si avvicinò alla collezione e gli bastò solo una seconda occhiata per decidere, allungare la mano e contemplare quello che sarebbe stato il suo volto per quella notte. 

Grigio, striato di nero e con la dentatura accuminata snudata e serrata in un ringhio sospeso nel tempo. 

Gin richiuse le ante, per poi fargli cenno verso l’uscita.

«Ti spiegherò le regole mentre torniamo di là, ma prima mi serve un’ultima cosa» disse, accostando la porta dello spogliatoio. 

«Con che soprannome vuoi essere presentato?»



 

Il solo annuncio dell’incontro aveva catalizzato metà dell’attenzione del club. Tutto per il nome di Deku. 

Mentre gli ultimi preparativi venivano approntati, Katsuki restò quieto nel proprio angolo di ring, con un fastidio arrampicato addosso come un parassita gigante. Sentiva i bisbigli tanto quanto sentiva le voci tonanti. Le scommesse correvano su delle probabilità basate unicamente sulle occhiate che lo raggiungevano come zanzare noiose. 

Bah, pensa di fare a pezzi il Capo con quei muscoli?

Non l’ho mai visto da queste parti, sembra promettente, ma il suo avversario è Deku!

Voglio ripassarmelo contro il muro del bagno quando sarà finita e sarà ridotto un colabrodo, eheh. 

Disgustoso, ma nulla che anni di notorietà come Hero non gli avessero insegnato a sopportare. Il pubblico era molesto a prescindere, incapace di tenere lingua, mani e fantasia a freno. 

Quando l’arbitro e annunciatore si portò al centro del ring, la folla si distrasse, scoppiando in un boato.

«Gentaglia di Wasuno, siete carichi!?» vociò il conduttore, amplificato dal piccolo microfono a lato della guancia. 

Bakugou si sentì trascinare contro la propria volontà in quella bolgia di schiamazzi, avvertendo l’atmosfera calda arrivargli addosso alla stregua di un ferro rovente. 

«Aprite le orecchie! A sfidare Deku, Protettore di Wasuno e Sesto Comandante del Loto Nero, sarà lo sconosciuto Ground Zero! Mai sentito!? Neanche io! Cosa ne pensate!? Sarà all’altezza di raggiungere il nostro Capo!?»

Quelle parole scivolarono in Katsuki in maniera molto diversa da come la gente assiepata al limitare dell’arena le accolse. Cercò la propria rabbia, il proprio orgoglio, un qualsiasi bandolo lo portasse alla reazione che avrebbe dovuto avere. 

Strinse solo echi indistinti nella propria testa. Gesti e frasi di un Bakugou apertamente sfidato che rimarcava la propria presenza e la promessa di una vittoria perfetta in meno di cinque minuti. Non esternò nulla, se non un Tzé attutito dalla maschera. 

«Iniziate a scaldarvi!» continuò l’annunciatore. «Sarà un incontro esplosivo! Un match quirk versus quirkless! Avete tre minuti per chiudere le scommesse!» 

L’Hero si riebbe come se gli avessero gettato addosso un secchio di acqua fredda. 

«Ohi!» ma la sua voce fu sovrastata dalla burrasca di quelle circostanti. Marciò verso l’arbitro. «Che cazzo hai detto!?» 

Qualsiasi calore e fomento avesse appena usato l’uomo con la folla svanì nell’attimo in cui si rivolse all’eroe, liquidandolo come seccatura con una sola occhiata. 

«Non ti è piaciuto qualcosa?» sbuffò, coprendo il microfono con il palmo. «Fatti un nome da queste parti e diventerò il tuo migliore amico. Vedi di restare al tuo-» 

«Cos’è questa storia del quirk!?» 

L’espressione dell’arbitro prese una sfumatura stupita, per quanto rimase apertamente menefreghista. 

«Guarda che sei tu quello in vantaggio, di cosa ti stai lamentando?»

«Non combatterò col quirk!»

Riconoscersi nella propria voce fu disorientante, ma Bakugou avanzò di ancora un passo, intimando un Ritira quanto hai annunciato con la sola presenza. L’arbitro non sembrò impressionato e fece spallucce. 

«Cazzi tuoi, lupetto. Libero di farti pestare come ti pare. Il Capo ha riferito che non ti saresti risparmiato, ma a questo punto immagino sarà il contrario.»

«Ci sono problemi?» 

Katsuki si voltò verso Izuku e qualcosa lo attraversò, irrigidendolo. Avrebbe voluto ammettere fosse la propria collera, ma la morsa allo sterno parlava di altro. 

«Che diavolo hai in mente!?» 

Deku non smise di sciogliere i muscoli del collo a occhi chiusi, l’espressione lontana dalle preoccupazioni che stavano assorbendo l’Hero. Lo guardò socchiudendo appena una palpebra.

«Mi piace la maschera. Hai intenzione di sbranarmi?» e si leccò le labbra come se la prospettiva fosse invertita. «Ti avevo promesso un incontro come alle medie, no?» continuò in un sussurro che fosse udibile solo a loro. «Ti risparmiavi quando mi facevi esplodere al tempo? Io lo ricordo diversamente.»

«Ti ammazzo!» ruggì Bakugou d’istinto, sragionando e afferrandolo per la canotta. Deku si lasciò trascinare come una bambola, un’espressione che sarebbe potuta essere quasi stupita se non ci fosse stata l’ombra della droga a rosicchiarne l’autenticità. L’arbitro si mise in mezzo con un gesto deciso, dividendoli. 

«Si inizia al gong, testa calda. E se non ti è stato spiegato, qui non si ammazza nessuno.» 

Gli puntò un dito al petto, premendo con decisione, ma Bakugou stava ancora fissando Deku oltre la sua spalla. Persino la minaccia che seguì non fu sufficiente a distrarlo. 

«Prova solo a uccidere il Capo e tua madre non avrà un cadavere su cui piangere.» 

Bakugou schiaffeggiò via la mano dell’arbitro senza rispondere.

Era saturo e teso. Odiò ogni istante, ogni respiro, ogni sibilo. 

Izuku si era voltato, tornando al suo posto, dando attenzione soltanto a quanti si erano appesi alle catene e invocavano l’inizio dell’incontro, ignorando Katsuki.

Era di nuovo scivolato via. 



 

Tutto, ogni cosa, era stata una pessima idea.

Ed era colpa di Bakugou.



 

I'm caught inside the memories,
the promises are yesterdays
and I belong to you.
I just can't walk away

[Never be the same - Red]



 

I riflessi di Katsuki lo videro arrivare prima che la mente lo cogliesse. 

Le mani scattarono - formicolarono, come entità a sé, desiderose di esplodere - ma tutto quello che fece l’Hero fu arrestare l’impatto della ginocchiata diretta alla propria faccia. 

Il gong smise di vibrare in quell’istante, come l’ultimo rintocco della mezzanotte, segnando il definitivo inizio dello scontro. La bolgia indistinta che li circondava si sgolò nella scia di quell’esordio repentino. 

Bakugou fissò Izuku sovrastarlo attraverso i fori della maschera. Era in controluce, una sagoma fatta di ombre in cui si distinguevano gli occhi verdi - penetranti, famelici, in caccia dell’obiettivo

Un fremito attraversò l’eroe. 

Quello non poteva essere Deku

Katsuki tese i muscoli delle braccia, le dita si irrigidirono fino a fare male, e lo respinse indietro. Il suo urlo di frustrazione si perse in mezzo a tutti gli altri, mozzato dalla maschera. 

L’agilità con cui Izuku atterrò sul pavimento del ring gli rammentò i movimenti con cui lo aveva visto saltare da un tetto all’altro. Le suole impattarono dolcemente, mentre i muscoli erano già al lavoro per veicolare la forza dell’atterraggio in un nuovo slancio. 

Deku era veloce e Bakugou se lo ritrovò addosso in un quarto di secondo. 

Fu l’Hero in lui a leggerne le mosse - a prendere il controllo - e a parare. La sua mente stava glitchando nel tentativo di collegare i ricordi a quello che stava succedendo. Non c’era un singolo filo che portasse dal fragile ragazzino con le lentiggini a quel giovane di ventitre anni che si muoveva come un professionista. 

Era un misto di forza ibrida e arti marziali che sfruttavano ogni parte del corpo, come una chimera. Le mani alla stregua di serpenti scattanti e che rischiavano di morderlo, di tranciare la pelle, non solo di colpirlo. Le gambe erano le zampe di un leone, rapide nello stare dietro la preda e dolorose se ne raggiungevano un fianco scoperto. In tutto, quegli occhi verdi, spalancati e fissi su di lui, erano come canini snudati sulla sua nuca, pronti a incidergli la pelle. 

Parò un altro colpo al volto, ma invece di rispondere lo allontanò da sé. 

«Forse hai scelto la maschera sbagliata, Kacchan…» commentò Izuku, il disappunto inciso nelle sue parole come nel suo sguardo. «Il lupo è un predatore, ma mi sembra che tu stia solo scappando. Hai dimenticato come si fa?»

L’insinuazione si infilò sottopelle come uno spillo fastidioso, una spina invisibile, e alimentò quella voce iraconda dentro l’eroe che lo stava spronando a fare sul serio. A buttare per terra l’avversario. A sovrastarlo e rimetterlo al suo posto, dietro di sé, a vivere delle sue briciole - un perdente

«Crepa!» 

Attaccò, cadendo preda di se stesso, della confusione e di una rabbia che non trovava sbocchi.

Avvertì nitidamente il colpo andare a segno e le mani bruciare. La folla ribaltò la propria eccitazione molesta con un coro deluso, ma Bakugou li lasciò inascoltati, sentendo invece l’errore braccarlo. 

Non si trattava più solo dei propri sensi di colpa, dell’aver ritrovato Izuku in una situazione impensabile, di non avere più presa sulla propria mente e sulle emozioni che lo attraversavano. 

Era tutto sbagliato.

Suonò come una frase riduttiva e limitante. Non mise un punto, non diede alcuna prospettiva. 

Era sbagliato aver perso di vista ciò che desiderava

L’orizzonte verso cui rivolgersi, verso cui tendere - essere il numero uno

Deku era una foschia scura e si era parato di fronte a ciò che Katsuki voleva raggiungere. In quei dieci giorni, l’eroe non aveva che perseverato nell’attraversarlo, stringendo fumo, spargendolo e ottenebrando la propria realtà. 

Ma non voleva arrendersi.

Perché anche Deku era ciò che desiderava, o non sarebbe stato lì a tentare di cambiare le cose. 

«Che colpo, gente! Ground Zero è esplosivo nel vero senso della parola! Chi ha scommesso contro di lui - sottoscritto compreso - ha tremato! Deku! In piedi! Salva i nostri risparmi!»

Izuku rise. 

Schiena a terra dove era caduto, tra un respiro e l’altro riempì il ring di una risata cupa e ricca di un divertimento sintetico, innaturale. Con una delle mani, annerite dall’aver cercato di attutire la deflagrazione, si frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un piccolo involucro. 

«Sei troppo teso, Kacchan! Ho qui un’altra caramella! La vuoi?»

Bakugou ci vide rosso. 

Gli fu addosso in un battito di ciglia, lasciando ammutolita la platea, ma non trovò sorpresa nel viso di Deku.

Come se si stesse muovendo a una velocità diversa, Izuku sgusciò via prima che l’eroe riuscisse ad afferrargli la mano. Svicolò al suo fianco, sfiorandolo appena - facendogli provare un calore rovente che solo in parte era temperatura corporea, il resto era quella soglia di otto anni di non detti pronti a ustionare - e gli assestò una ginocchiata nel fianco, togliendogli il fiato e invertendo la dinamica. 

Katsuki finì a terra e Izuku lo guardò dall’alto in basso.

«Ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti sul tetto?» 

Deku non mosse gli occhi dai suoi. Due specchi vuoti dietro cui vagavano figure spettrali. Le dita tirarono i lembi della cartina azzurra, provocando un suono di plastica fuori luogo. 

«Tieni gli occhi fissi sul passo successivo, non su cosa vuoi raggiungere. Vale anche qui. Perché non ti stai impegnando?»

La seconda sfera di droga sparì oltre le sue labbra, lasciando dietro di sé un sorriso guasto. 



 

They say you never know
what you have until it's gone
These memories
keep me wide awake
I know it's been too long

[Won’t let go - Fivefold]



 

C’erano momenti del proprio lavoro che Bakugou non ricordava nitidamente. 

Il sangue correva sempre veloce. Spesso fluiva fuori dal corpo invece che nelle vene. Il dolore di una ferita diventava il rumore di fondo di un locale affollato - quando non lo sentivi più dovevi preoccuparti che la vita non ti chiudesse la porta in faccia. Erano frangenti in cui la testa si faceva leggera e l’esperienza lasciava il timone in mano all’istinto. 

Vinci

E salva

Erano i due imperativi alla base dei comandamenti personali di Katsuki.

Il secondo gli era stato scolpito dentro con pazienza dalla Yuuei, dalle battaglie sul campo, dalle grida di quanti non potevano tenere la testa alta e guardare in faccia il nemico. 

Vincere rimaneva però il Verbo che muoveva i suoi muscoli, le sue ossa. Un ordine innato che la sua volontà imponeva alla mente nell’elaborare una strategia, al suo corpo perché la eseguisse. 

Quella notte, nel cuore nascosto di Wasuno, Bakugou non trovò il conforto corroborante dell’istinto urlargli di vincere

Colpì una volta e incassò tre, quattro volte tanto. Parò, si difese, e intanto lasciò che la corrente lo trascinasse. Permise a Deku di trovare i punti scoperti delle proprie difese. Non perché lo volesse, ma perché non sentiva quel brivido che gli avrebbe dato vincere

Salva

Salva

Salva

Ma cosa c’era rimasto da salvare di Izuku?



 

«Ecco il Deku che tutti conosciamo, gente! Che siano le battute finali per Ground Zero!?» 

Katsuki attutì l’impatto col suolo aiutandosi con i palmi, ma ebbe bisogno di un attimo per quietare la scossa nervosa che lo colse. Quando rialzò la testa, vide l’arrivo di un calcio e tutto si fece nero per qualche istante. 

Nulla che già non conoscesse, fece solo dannatamente più male dentro

Si contorse in terra per rialzarsi, ma un peso sullo stomaco gli svuotò il fiato dai polmoni e lo inchiodò dov’era. 

Fissò Deku seduto su di lui. Il respiro gli rimbombò nella maschera, mischiandosi al tramestio che aveva nelle orecchie. 

Il pubblico e l’arbitro stavano contando. Alla rovescia. 

Ma lui sentì altro. 

Sentì cinque dita stringersi sul collo in una morsa. 

Otto

Poi avvertì dolore e la testa sbattere contro il pavimento, nonostante fosse già steso. 

Era stato un pugno, dritto in faccia, attutito malamente dalla fattura solida della maschera. 

Sette

Ne arrivò un altro e le prime schegge partirono. 

Il calore e l’odore del sangue invasero i sensi di Katsuki. 

Sei.

Gli occhi cercarono di focalizzarsi. Videro le nocche di Izuku insanguinate. Videro la sua maschera. Quel volto trasfigurato da otto anni di abbandono. Le incrinature. I bordi limati dal tempo, spezzati, taglienti. Ciò che si era perso. 

Cinque.

«Izu-»

Un altro pungo. E un altro.

Quattro

Pugni. Sangue. Pugni. 

Tre.

«Deku non si sta risparmiando…!» 

Due. 

La stretta si fece meno serrata, ma i colpi no. 

Uno.

Il gong



 

Katsuki non perse conoscenza. Non subito.

Voci, cori, urla, dolore, dita, calore, altro dolore, qualcosa di salato, tanfo di sangue e sudore, Izuku. 

Il respiro di Deku contro la faccia. Seguì i suoi tentativi di incanalare l’aria e al tempo stesso ricordarsi di deglutire. Era rumoroso, ma Bakugou non lo trovò fastidioso. 

Faceva tutto così male che la soglia dell’insofferenza non aveva più una traccia definita. Non riusciva a muoversi. Neanche voleva. Più in basso di così non era mai caduto. 

Eppure, il baratro si stava solo approssimando. 



 

I have burned my tomorrows
And I stand inside today
At the edge of the future
And my dreams all fade away

[Burn my shadow - UNKLE]



 

«Ho vinto io…» 

Un mormorio raschiato, perché Deku non sembrava in grado di trattenere aria a sufficienza. 

«Ma voglio risponderti lo stesso, Kacchan… rispondere alla tua domanda…»

Katsuki ebbe un fremito alle palpebre peste, ferite dai frammenti della maschera. C’era del rosso agli angoli della sua visuale. In mezzo, Izuku era di nuovo l’ombra più scura di se stesso. 

Mi odi?

«Io non ti odio.»

Lo sappiamo entrambi che è una cazzata.

Un altro respiro.

L’ultimo che Bakugou ricordò. 

«Io… vorrei che tu non esistessi.»



 

And I, I'm starting to see
Maybe we're not meant to be
There's still time to turn this around
Should we be building this up
instead of tearing it down?
But I keep thinking
maybe it's too late

It's like one step forward
and two steps back
No matter what I do
you're always mad,
and I, I can't change your mind
It's like trying to turn around
on a one-way street
I can't give you what you want
and it's killing me

[Not meant to be - Theory of a deadman]




 

To be continued

 

Vi adoro. Grazie per i commenti, mi hanno tirata tanto su di morale *love* 

Ci siamo. Oddio, ci siamo davvero, il prossimo è la fine di questa parte. È corso tutto troppo velocemente? Vorrei avere Right Hell già pronta, ho così voglia di scrivere che odio come di recente le mie settimane scivolino via male per il lavoro e altro, sigh. 

In questo capitolo c’è uno dei trope che finisco sempre col riproporre, quello delle Arene di lotta libera. L’ho usato in One Piece, in Voltron… alla fine torno sempre qui! E mi sono accorta a posteriori che la scena del match inizia davvero come quella di Shang Chi, manco me la ricordavo, il mio subconscio lavora davvero in silenzio! XD 

Che dire, qui Deku mostra uno spaccato della sua vita, uno dei più importanti… ma non il più importante, eeeh. Però intanto qualche micro info l’ho mollata in giro. Che dite? 

A martedì/mercoledì prossimo…! 

Nene

 
   
 
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