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Autore: Sappho    17/11/2022    1 recensioni
Condannata dagli Dei per non aver compiuto il suo destino Athenodora lascia la sua casa per cercarlo altrove.
Genere: Angst, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athenodora, Caius, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Precedente alla saga
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Aveva lasciato Roma mentre la città si tingeva dei colori caldi del tramonto. Tra le strade illuminate dai raggi dorati del sole nessuno si era voltato a lanciarle una seconda occhiata. Così era scivolata fuori dalle mura, abbandonando quello che aveva per raggiungere un luogo, e una persona, di cui conosceva soltanto il nome. 

 
Era successo dieci anni prima, quando era ancora la bambina da poco introdotta a corte dopo essere cresciuta nel tempio dedicato alla Dea Madre.
All’epoca conosceva tutto quello che c’era da sapere sulle piante che crescevano nei boschi, sui veleni che poteva ricavarne e su come sopravvivere nella notte più scura e ritrovare la strada del tempio dopo l’iniziazione, quando i lupi la rincorrevano tra gli alberi attirati dal sangue di cui era stata cosparsa, ma non sapeva nulla su come vivere nel palazzo, circondata da nobili, consiglieri e soldati.
Era arrivata a Roma quando la città stava ormai stretta tra le mura di Romolo, spaventata all’idea di appassire soffocata dalla pietra priva di vita, per ricredersi alla vista delle piante che si facevano ostinatamente spazio tra vie e case, dei colli che abbracciavano la città e del fiume che la attraversava e che le riportavano alla mente il tempio. Era sopravvissuta alla corte, inizialmente protetta dal divertimento di Tarquinio di fronte alla sua goffaggine, fino a diventare una giovane nobile tra le altre, indistinguibili ragazze tutte uguali: istruite per non dare troppo nell’occhio e abili nelle arti perché potessero essere messe in mostra quando necessario.
Una sera era stata mandata a cantare per l’ospite d’onore. Era un uomo basso che si distingueva per la sua pelle bianca come la neve e la straordinaria bellezza dei suoi lineamenti e a corte la sua presenza aveva provocato uno scompiglio mai visto.
Si era fatta largo tra gli schiavi che si affrettavano tra i corridoi discutendo a mezza voce tra loro e poté soltanto cogliere che il motivo era che qualsiasi cibo fosse stato offerto all’ospite questo lo aveva rifiutato senza neppure assaggiarlo. Tita scuoteva la testa.
«Se non sarete in grado di dare qualcosa che voglia mangiare a quell’uomo sarete voi ad essere il suo pasto.»
«Lascia stare le storie, vecchia» sbottò Iulo, spingendo da parte la madre ed interrompendo con la sua sola presenza l’andirivieni degli schiavi «se non vuole carne o pesce, che gli siano portati dolci di Cuma e frutta e se non sa apprezzare neppure quelli può bere il nostro vino e vedrete che lui e gli Dei non avranno nulla da dire sulla nostra ospitalità.»
Athenodora li superò chinandosi per passare sotto il braccio sollevato di Lide e attraversò il corridoio in penombra che portava alle stanze dove gli ospiti di riguardo venivano intrattenuti. Spinse da parte la tenda ed entrò nella sala circolare cercando di non attirare l’attenzione su di sé, camminò di fretta lungo il muro fino ad arrivare al suo posto mentre due schiave si spostavano per farle spazio.
In quel momento l’ospite sollevò lo sguardo su di lei.
Rimasero a fissarsi a lungo prima che Athenodora si riscuotesse e abbassasse gli occhi.
Prese un lungo respiro ed iniziò a cantare.
Aveva appena la consapevolezza di quello che le accadeva attorno mentre lo faceva, dondolava piano la testa mentre cantava, i lunghi capelli intrecciati con foglie d’oro che ne seguivano il movimento, e, quando non teneva gli occhi chiusi, il suo sguardo si concentrava sui mosaici ai suoi piedi.
Conosceva abbastanza bene quello che avveniva in quelle serate da interrompersi esattamente nel momento in cui entravano i ballerini accompagnati dalla lira. Si risollevò accettando il vino speziato che le veniva offerto, attorno a lei gli schiavi continuavano a portare vassoi carichi di cibo da cui i consiglieri reali si servivano afferrando con le mani datteri e pezzi di carne fino a che i piatti non erano svuotati, allora venivano rapidamente sostituiti da altri colmi fino all’orlo dando l’impressione che nel palazzo il cibo non potesse mai avere fine. E sembrava allo stesso tempo che nessuno attorno al tavolo potesse mai cessare di avere fame.
Ad eccezione dell’ospite, lo strano uomo, infatti, non sembrava attratto dalle pietanze che gli erano presentate e si limitava a rispondere brevemente alle chiacchiere attorno al tavolo mentre seguiva, con pigro interesse, lo spettacolo preparato per lui.
Athenodora riprese a cantare poco dopo, avrebbe proseguito finché non fosse finita la serata, diverse ore più tardi.
All’improvviso uno schizzo di sangue arrivò davanti ai suoi piedi. Scattò in piedi con gli occhi sgranati accorgendosi solo in quel momento del silenzio che la circondava, subito dopo cominciò a rendersi conto del massacro attorno a lei. Schiavi e consiglieri erano tutti morti, i corpi abbandonati sul pavimento. Accanto a lei le due schiave tra cui era seduta erano accasciate contro il muso i lunghi colli di cigno piegati dove erano chiari i segni di un morso.
Erano rimasti solo lei e l’ospite, l’uomo lasciò andare il corpo di Iulo che si afflosciò sul pavimento, il gladio, inutile, ancora stretto tra le dita. Incapace di muoversi potè solo guardare il mostro di fronte a lei che le si avvicinava, camminando lento con la grazia di un predatore da cui non sarebbe riuscita a sfuggire.
«Non interromperti, continua a cantare ti prego.»
Fece come le era stato detto e poco dopo lui unì la sua voce alla sua, un baritono basso che la fece inciampare nel canto. Immediatamente si accigliò e Athenodora riprese a cantare con la voce che le tremava appena.
«Sono estremamente sazio ora» le aveva sollevato il mento con la punta delle dita e le aveva osservato la gola, sospirò di disappunto «ma conosco chi ti apprezzerebbe e non posso negare un dono come te ad un vecchio amico, ascoltami bene adesso.»
Aspettò che lei lo guardasse dritto negli occhi. Athenodora si accorse in quel momento che avevano lo stesso colore del sangue e dovette imporsi in fretta di non reagire a quell’orrore.
«Andrai da Aro dei Volturi e gli dirai che sei un dono da parte di Photios» per un momento le parole le parvero affondare come uncini nella sua mente ma poi la loro presa scivolò lentamente ma l’uomo non parve accorgersene, anzi sembrò che in quel momento qualcosa come la compassione lo attraversasse e aggiunse, la voce più morbida «e non avrai paura. Mi hai capito ragazza?»
Lei annuì lentamente e lui parve soddisfatto, la lasciò andare e si voltò uscendo dalla stanza.
Athenodora rimase ferma in piedi, sola nella stanza con i cadaveri disposti attorno a lei come una macabra offerta.
   
 
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