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Autore: EllyPi    17/11/2022    0 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arrivarono dopo qualche giorno nel Farthen Dur, atterrando all’alba, seguendo alcune luci di grandi torce poste sulla sommità della montagna, probabilmente apposta per loro.
Alcune guardie erano appostate a quell’apertura, e appena li videro, s’impettirono ancor di più, per incutere più soggezione ai nuovi arrivati. Eppure, Derrel era poco più basso di loro, già alla sua età. Iniziarono a smontare dal dorso di Castigo, liberando bisacce e la pesante cassa contenente le uova.
Huaaa, sono davvero piccoli i nani!” , mormorò il bambino.
Murtagh fulminò con lo sguardo Derrel per l’impudenza. Gli dispiacque, perciò si promise di scusarsi con lui in separata sede e spiegargli il motivo del rimprovero non verbale, ma non poteva permettere di iniziare quella visita con il piede errato.
Persino il commento di un cucciolo di umano avrebbe potuto essere ritorto contro di lui.
Il giovane si mise una mano sul cuore, piegandosi in avanti in saluto. “Io sono il Cavaliere Murtagh. Chiedo udienza al vostro re e ospitalità per il tempo necessario a testare il vostro popolo con le uova di drago al mio seguito. Mi manda Eragon Bromsson, Cavaliere dei draghi e membro onorario del vostro popolo.”
Le guardie si scambiarono un’occhiata, digrignando i denti. Una sparì attraverso una porta più piccola intagliata nell’enorme portone - che avrebbe potuto far passare anche un drago di dimensioni più piccole di Castigo attraverso di essa - , poi tornò con aria insoddisfatta.
S’inchinò al cospetto di Murtagh. “Il re vi permette il passaggio.”
“Vi ringrazio.” , disse facendo per issarsi il baule con le uova sulle spalle.
Un nano fece un movimento, a disagio, e sparì attraverso un tunnel laterale.
“Aspettate!” , gli ordinò. Rimasero fermi in piedi, le gambe del Cavaliere che presero a tremare leggermente sotto il peso immane del baule: ogni uovo di drago aveva il peso di un bambino umano di circa dieci estati. Con sua delizia, il nano ritornò con un carretto, anche questo coperto in foglia d’oro e incastonato di gemme. Orik aveva organizzato il suo arrivo perché fosse confortevole, in vero costume nanico, nonostante lui si comportasse come un sovrano scorbutico con l’umano.
Poggiò la cassa, aiutato dalle guardie, che aprirono il portale dopo aver verificato la presenza delle uova all’interno del contenitore.
“Deduco che ci sarà dunque concesso il colloquio con il re…” , disse Murtagh con nonchalance.
“Sì. Ci occuperemo noi di scortare il lord umano nei vostri appartamenti, perché il re desidera vedere solo uno di voi umani per volta, quest’oggi.” , illustrò una guardia coperta da un’armatura dorata di squisita fattura, di sicuro dalla funzione solamente decorativa.
Murtagh ringraziò, affidando loro anche i suoi bagagli scarni.
Prese il bambino per una spalla. “Comportati bene mentre attendi il mio ritorno.”
Derrel sospirò. “Credevo di essere parte della delegazione dell’Ordine dei Cavalieri, non di dover badare alle nostre cose.”
Il Cavaliere gli sorrise. “Lo sarai, te lo prometto. Ma prima devo incontrare il nostro ospite e sistemare alcune questioni burocratiche da adulti.”
Il piccolo annuì comprensivo, prendendo a seguire le guardie cariche delle loro bisacce.
Ne apparvero altre da oltre il portale, chiedendogli di avanzare. Presero a tirare il carretto per numerosi cunicoli che si fecero man mano più illuminati da torce d’oro che sembravano sole liquefatto.
Davanti alla sala del trono, dovette oltrepassare un’ennesima porta completamente ricoperta di un mosaico di pietre preziose rappresentante la montagna-città dei nani.
Lo fecero entrare, annunciandolo, e subito vide il re sul suo trono illuminato da un’apertura nella roccia sopra di lui. Era abbigliato nel colore regale dei nani, il grigio scuro, con preziose pietre cucite sulla fascia che gli circondava le spalle, stringendo la pelliccia che gli faceva da mantello.
Era più agghindato di quando lo aveva rivisto alla corte della regina Nasuada, probabilmente per sovrastare Murtagh, che nei suoi abiti da Cavaliere - per quanto pregiati e ricamati - risultava piuttosto semplice.
“Re Orik, grazie per avermi accolto nella vostra bellissima città. I miei complimenti: lo sfarzo che dimostrate è degno del vostro onore millenario.” , si congratulò come gli aveva suggerito di fare Eragon. Murtagh si accorse che in piedi aveva gli occhi all’altezza di quelli del re. Quello poteva essere un affronto, però purtroppo non gli era possibile modificare la sua altezza eccessiva, ereditata da Morzan, per non far sfigurare il re dei nani.
Sta’ calmo, Orik non vorrebbe mai ritrovarsi in guerra con tutti i popoli di Alagaesia per aver ucciso un Cavaliere perché lui si è sentito sminuito nel suo ruolo da una quisquilia come la tua statura. , lo tranquillizzò Castigo, che stava vedendo tutto attraverso il Compagno.
Non ci sarebbe alcuna guerra per me… Verrebbe di sicuro liquidato come un incidente, verrebbe trovato un nuovo marito per Nasuada - di sicuro più benvoluto del sottoscritto - e mio figlio diventerebbe il figlio cadetto di mia moglie. , lo interruppe l’umano, mentre Orik aprì la bocca per parlare.
Sei paranoico. Non ti accadrà nulla, finché avrai Eragon e Nasuada dalla tua parte. Ora ascolta attentamente il re, se non vuoi davvero fare una pessima figura. , lo rimbeccò il drago.
“Ecco arrivato al mio cospetto il messaggero della mia amica, l’uomo che non ha nemmeno la spina dorsale per pretendere il titolo di re, dopo aver sposato la regina. Figlio di Morzan, mi chiedo come tu sia riuscito a generare quel principe - che, per via della sua orrenda somiglianza a te, non si può nemmeno dire non sia tuo per metà - , senza palle.” , lo accolse con tono passivo-aggressivo Orik, alzando gli occhi in quelli dell’umano - non come si dovrebbe guardare con stima il Compagno-di-Cuore-e-di-Mente di un drago, ma come si studia con sufficienza l’ultimo dei reietti di Alagaesia - . Murtagh trattenne l’ira, sorridendogli invece.
Non dovresti ribattere all’uomo che ti odi di più in Alagaesia…
Dovrei lasciare che mi insulti e basta? In questa stessa montagna sono stato imprigionato, la prima volta che venni qui, solo per essere stato riconosciuto. Per le colpe di mio padre, prima ancora che io ne avessi commesse di mie! , si lamentò con tono acuto.
Bene, ed è proprio perché alla tua seconda visita hai delle colpe gravi quanto questa montagna, che dovresti cercare di usare la diplomazia. Sei un lord, sei abituato a difenderti cortesemente da tutta la vita.
“Non posso pretendere il trono per me, poiché nessuno vorrebbe vedere il figlio di Morzan, appunto, con una corona in testa.” , si concesse di ribattere, con pacatezza tuttavia.
“Ho incontrato tuo padre, e mi duole dire che abbia generato uno smidollato che di lui ha ben poco. La sua sete di potere, se fosse stata trasmessa anche a te, non avrebbe guardato in faccia nessun giudizio altrui. Non era certo un burattino di Galbatorix come lo sei stato tu.”
“Mio padre ebbe la fortuna di non essere mai costretto attraverso al suo Vero Nome a compiere tutti i desideri del re.” , ammise, “Era suo servo, sì, ma non suo schiavo come sono stato io.”
Orik fece un gesto con la mano, scacciando le sue parole. “Sempre a giustificarti, figlio di Morzan.”
Certo che è davvero odioso con quel suo tono. , si concesse il rettile rosso.
Forse se glielo dicessi tu - un rispettabile drago - capirebbe di esagerare, persino se il capro espiatorio della sua cattiveria repressa è il figlio di Morzan. Farebbe meno male una stilettata!
Castigo ridacchiò. Proponigli di essere trafitto, magari si tranquillizzerebbe definitivamente. Ci penserò io a guarirti.
Se non avessi un figlio a cui pensare, non esiterei a proporre tale resa dei conti. Ma non voglio rischiare.
Sii convincente come sa essere una meretrice conscia di non essere attraente fisicamente. , gli consigliò.
Seppur schifato dai toni del drago, Murtagh tornò a concentrarsi sul re dei nani. “Chiedo scusa, Maestà. Spero un giorno di potervi convincere della bontà delle mie intenzioni.”
“Vedremo. Ora abbiamo ben altro di cui occuparci. Le uova sono giunte con voi?” , rispose seccamente il nano.
Murtagh indicò il baule con un gesto ampio di braccio. Il nano posizionato di fianco al baule lo aprì per permettere al re di vedere il contenuto. Il sovrano si alzò con lentezza, si avvicinò e si protese sul baule, poi annuì soddisfatto tornando verso il suo trono.
“Dunque sarai mio ospite, anche se controllato dai miei migliori soldati ogni istante, per evitare altri affronti al mio popolo.”
Il giovane moro piegò il busto in avanti. “I miei ringraziamenti. Impiegherò qualche giorno al massimo per testare il vostro popolo, ma è compito vostro indire un’udienza per tutti gli abitanti di Tronjheim, poiché vengano al cospetto delle uova.”
Orik acconsentì. “Serve altro all’emissario dell’Ordine dei Cavalieri?”
“Avrei una richiesta personale, Vostra Maestà.” , disse il giovane dai capelli corvini.
Il re terminò il suo tragitto in silenzio, addirittura rallentando per quanto possibili di più il passo. “Una richiesta personale?” , si assicurò di aver udito bene il nano, parlando oltre la spalla, noncurante della maleducazione di quell’atteggiamento.
“Sì, magnanimo sovrano.”
Il più basso si sedette sul trono abbandonandosi ed emettendo un rumore secco, come di un sacco lanciato sopra una pila di suoi simili. Schioccò le dita per sollecitare il moro a parlare, così Murtagh non perse la sua occasione. “Richiedo un unico accesso al cimitero reale.” , disse con delicatezza, per non sembrare sfrontato.
Ma Orik scattò comunque in piedi nuovamente, estremamente infuriato, come indicavano le vene che si erano ingrossate sulla sua fronte bianca. “Osi tu, Regicida, voler entrare nel luogo dove mio padre riposa per l’eternità?”
Il Cavaliere si inginocchiò per la prima volta dall’incontro col sovrano, abbassando anche gli occhi sul pavimento. “Non intendo mancare di rispetto a un luogo sacro. È stata la regina Nasuada a domandarmi di portare gli ossequi al suo defunto padre.”
Il nano rimase in silenzio per un istante, probabilmente interdetto sul da farsi. Non poteva - nonostante non avrebbe certamente voluto dare accesso all’omicida del precedente re al luogo del suo riposo - rifiutare una richiesta tale della salvatrice di Alagaesia.
Rimase in silenzio qualche istante solamente, poi con sorpresa di Murtagh acconsentì.
“Ma vedi di recarti subito nel cimitero, le sue porte al tramonto vengono sigillate, e in più questa sera arriveranno tutti i miei sudditi, e indirò un banchetto per celebrare i Cavalieri dei Draghi che ci hanno liberati dalla schiavitù di Galbatorix.” , lo ammonì e squadrò con supponenza, alle ultime parole, come se volesse escluderlo da coloro a cui si riferiva, ovvero Eragon e Arya - seppur lei all’epoca non fosse ancora un Cavaliere - .

 

I nani coperti di armature lo lasciarono solo davanti a una statua. Il silenzio in quel luogo era strano, quasi inquietante. Murtagh si sentì come se le statue lo stessero osservando. Si fece coraggio, avanzando fino a incontrare la scultura del padre di Nasuada. Sfoderò la spada, piegandosi a terra e sporgendo la lama in avanti, appoggiata sui palmi, effettuando un saluto militare di rispetto. “Capo Ajihad, mi prostro a voi, per dimostrarvi la mia sincera fedeltà.” , ripeté come aveva fatto centinaia di volte, però con Galbatorix, ogni volta però sforzandosi. Quella fu l’unica volta che riuscì spontaneamente a piegarsi davanti a un comandante militare, che non fosse Nasuada.
Dopo lunghi istanti, rinfoderò Zar’roc, rimanendo tuttavia in ginocchio. Alzò gli occhi sulla statua dell’uomo che una volta aveva la pelle d’ebano, ricordandosi la sua figura chiaramente, nonostante avesse incontrato più volte la principessa in sua vece.
“Mio signore, sono venuto a dirvi che vostra figlia - che vi ama immensamente - ha compiuto la missione che avete iniziato prima di lei.” , prese un profondo respiro, ricacciando la voce che gli urlava di non essere stupido a credere che una statua di pietra lo avrebbe udito, “E anche a riportarvi gli ultimi accadimenti.”
Si fermò, quando un sasso si staccò dal soffitto di pietra, cadendo davanti al Cavaliere.
Guardò in alto, verso l’apertura circolare da cui filtrava la luce del sole. Vide l’ombra scura di Castigo bloccare per un istante la luce. Tranquillizzato che il soffitto avrebbe retto al passaggio del drago, tornò a rivolgersi alla statua, che teneva tra le mani un cofanetto di metallo, dentro cui Murtagh sapeva esserci conservate le ceneri del suo padre acquisito.
“La pace è stata ottenuta, finalmente. E il giovane Cavaliere in cui avevate posto la vostra fiducia, ci ha liberati dalla schiavitù di Galbatorix. Quel giovane, devo dirvelo, è mio fratello. Non un figlio di un Traditore come me, ma del vostro caro amico Brom e di mia madre Selena.”
Rise tra sé seccamente. “Sono sicuro che per la vostra indole, avreste dato comunque fiducia a lui così come a me, prima di scoprire della sua vera paternità.” , alzò il palmo con la cicatrice argentata, mostrandola agli occhi di pietra della statua, “Anche io lo sono diventato, alla fine. I figli si sono trasformati nei padri, e io ho dovuto combattere Eragon e compiere atti indicibili.”
Spostò lo sguardo a destra, alla statua proprio accanto, di Hrothgar. Le sue mani fremettero, inumidendosi di sudore, ma al posto di quella sostanza trasparente, gli sembrò nuovamente di essere tornato indietro alle battaglie, quando il sangue che gli copriva i palmi era così tanto da rendere scivolosa l’elsa di Zar’roc. “Mi dispiace...” , mormorò ricacciando le lacrime.
Abbassò il capo, passandosi la mano tra i capelli per tranquillizzarsi. “Tornando a vostra figlia... Lei è oggi la migliore dei sovrani che Alagaesia abbia mai avuto, ne sono sicuro. Ha a cuore il benessere dei suoi sottoposti, e lavora instancabilmente per risanare le voragini causate da Galbatorix.”
Rise amaramente tra sé. “Ma come lo so io? Beh, vostra figlia ha ereditato da voi la fiducia nella bontà nascosta nelle persone e, come voi, mi ha accettato dopo aver avuto la dimostrazione che avevo a cuore la sua causa.”
Prese il cordone al suo collo, estraendolo dalla casacca. Le monete luccicarono alla luce del sole.
“C’è anche un’altra verità da svelarvi: oltre alla fiducia, vostra figlia mi ha fatto il dono di innamorarsi di me, quando anche in me nasceva quello stesso sentimento. Così siamo arrivati a stare insieme, nonostante le avversità del Destino. Spero possiate proteggere, detto questo, nostro figlio, vostro nipote.”
Un fruscio a qualche statua di distanza lo fece bloccare. Guardò oltre le gambe di pietra di Ajihad, non vedendo nulla. Espirò a lungo, rendendosi conto di essere troppo teso, pieno di timore che qualcuno ascoltasse le parole dettate dal suo cuore, al suo padre di legge.
“Siccome voi non eravate presente al nostro matrimonio, io sono venuto qui oggi per giurarvi che proteggerò vostra figlia e il nostro piccolo a costo della mia vita, e quella del mio Compagno.”
Ci fu silenzio, e un altro sasso cadde dal soffitto. Riabbassando gli occhi, li fece fermare in quelli di pietra del Capo dei Varden, che pareva ora lievemente indurito nei lineamenti. “Lo so che non avreste mai voluto che vostra figlia sposasse un uomo deplorevole e dalla cattiva reputazione, ma ormai ciò che è accaduto non può essere cambiato.” , emise un colpo di risata, “È stata lei a inculcarmelo in testa, quando non volevo accettare di averle rovinato la vita per una seconda volta, ma Nasuada non ha intenzione di smettere di lottare nemmeno ora che si potrebbe pensare che abbia raggiunto l’apice della sua vita.”
Spostò le monete dentro la casacca, riavvicinandole al suo cuore. “È un portento, e l’ammiro moltissimo. La amo così tanto che sarei disposto a perderla, se lei mi chiedesse di abbandonarla.”
Una voce in lontananza, femminile, gli rispose: “Se anche questa donna vi ama come voi amate sinceramente lei - come mi fa capire il tono emozionale della vostra voce - , non vi chiederà mai di abbandonarla.”
Murtagh scattò in piedi, sporgendosi oltre le statue più frontali, per scoprire se si trattasse di un fantasma o di una persona vivente. Di sicuro, vista l’inflessione della lingua nanica in quella comune che aveva udito, si doveva trattare di un membro del popolo delle montagne. Non per suo sollievo, una giovane nana in carne e ossa era raggomitolata dietro una statua. Se fosse stato un fantasma, avrebbe riportato le sue parole intime nella tomba con sé, ma i vivi erano più problematici riguardo la discrezione nel rivelare gli altrui sentimenti.
“Che cosa ci fate qui?” , le chiese.
“Mi nascondo. Una bestia squamata mi cerca.”
Murtagh piegò il capo di lato. “Il mio drago non è a caccia di nani, ve lo assicuro.”
“Non sto parlando di draghi, ma di un-” , lo corresse, ma fu interrotta da un’ombra che si proiettò su di loro, oscurando anche tutte le statue di quell’enorme cimitero di figure in pietra.
Come ha fatto Castigo a entrare per quell’apertura senza rompere il soffitto?! , si chiese Murtagh, sfoderando Zar’roc istintivamente e stagliandosi prontamente davanti alla figura.
Non è mia la colpa, io sono fermo esattamente dove mi hai lasciato! , protestò il rettile rosso.
Se non sei tu, allora che razza di-?
“Cavaliere, il Fanghur sta atterrando!” , lo richiamò l’essere femminile.

Un tonfo fece rimbombare la stanza, comprese le orecchie del giovane umano. Sapendo di non poter attendere che i suoi sensi si ristabilissero, perché un animale non avrebbe certo atteso i suoi comodi prima di attaccare, alzò la lama rossa, incontrando i denti del rettile. Dalla polvere alzata spuntava una testa triangolare - più simile a quella di un serpente rispetto a quella dei draghi, ma anche molto più piatta e senza corna - aperta sui due. Il colpo aveva fortunatamente bloccato in diagonale la bocca dell’animale, incastrandosi tra i denti superiori e quelli inferiori. Il Fanghur non riusciva a chiudere o aprire la bocca per liberarsi. I suoi occhi giallo-verdastri, l’unica parte colorata di quel corpo grigio e sinuoso, come una biscia, si mossero sull’umano che con tutta la sua forza lo premeva lontano, attraverso la spada.
Hai davvero incontrato un Fanghur! , esclamò Castigo, vedendo la scena attraverso gli occhi del suo Cavaliere.
Se oserai mai più prenderti gioco di mio figlio quando si incanta a osservare le novità per lui del mondo, Castigo, giuro che cercherò un modo per rompere il nostro legame! , sbraitò Murtagh mentre si dimenava per allontanare il rettile, Sei o non sei un drago, ovvero il più importante degli animali magici? Non puoi intervenire e quietare questa bestia?!
Il drago rimase in silenzio un istante, forse colpito nell’orgoglio. Non posso, i Fanghur hanno vissuto in queste montagne per cento anni, mentre quelli della mia specie venivano decimati e poi ridotti a un numero che si potesse contare sulle dita di una vostra mano... Anche facendo ricordo alle vecchie leggi, Amico mio, lui probabilmente non mi ascolterebbe, perché la mia autorità non mi precede, e in più non posso recarmi da te per incutergli timore con la mia stazza. , mormorò infine. Murtagh strinse leggermente le labbra, rattristato assieme al suo Compagno: non solo era praticamente solo al mondo, ma la sua autorità era valida ancora solo negli esseri intelligenti e pensanti.
L’altro rettile, simile a un serpente con zampe, si era liberato della spada scattando all’indietro, mentre il Cavaliere teneva Zar’roc saldamente nelle sue mani. Sono intelligenti?!
Dall’occhio accecato dalla furia animalesca non si sarebbe potuto evincere questa sua caratteristica, che probabilmente sarebbe potuta costare la vita a un avversario meno esperto di Murtagh.
Sono un ramo parallelo dell’evoluzione di noi draghi, perciò qualcosa di ammirevole devono averlo. In più Eragon ci ha insegnato che un clan di nani li alleva come animali-guida. , ragionò Castigo con lucidità, mentre il Compagno menava fendenti in aria, cercando di colpire l’essere molto veloce che aveva di fronte.
Il Cavaliere si voltò appena per attirare l’attenzione della nana, che tremava dietro di lui. “Questo Fanghur credi che sia stato inviato dal Dûrgrimst Fanghur?”
Lei annuì in fretta, stringendosi i pugni sotto al mento all’ennesimo attacco, che Murtagh rallentò con la magia. Almeno, il rettile non ne era immune.
“Lo hanno mandato per uccidermi, perché ho rifiutato un invito a cena della moglie del loro capo.” , gli spiegò la nana.
Murtagh sgranò gli occhi allibito per la permalosità dei clan nanici, mentre si chiedeva dove fosse posizionato il cuore di quel rettile lungo. Forse, dietro le zampe anteriori, che doveva essere un posto riparato dai colpi e all’incirca a metà del corpo, per servirlo piuttosto bene con il sangue pompato dall’organo.
Così, dopo la sua breve valutazione, Murtagh parò un altro colpo delle fauci del Fanghur, ferendolo all’occhio sinistro. È la tua occasione! , gli suggerì Castigo.
L’umano corse quando più velocemente poté, ritrovandosi dietro la zampa del rettile, mentre questo cercava di arrotolarsi per vederlo con l’occhio destro, l’ultimo rimastogli.
Alzò la lama rossa, che luccicò alla luce che filtrava dal soffitto, come se stesse supplicando il suo possessore di farle assaggiare il sangue dell’avversario.
Un gesto secco, e il rettile emise un sibilo lunghissimo mentre rimaneva immobile, in preda all’irrigidimento dovuto al dolore in tutto il corpo. Poi, si accasciò per terra in mezzo ai rottami di pietra delle statue distrutte, le ceneri tenute negli scrigni sparse ovunque. Murtagh si voltò indietro, controllando velocemente che la statua di Ajihad fosse ancora in piedi, come fosse stato il proprio, di padre.
La nana si alzò sulle sue gambe, correndo da lui. Si rigettò in ginocchio davanti ai suoi stivali, mentre ancora Murtagh stava scrollando il sangue dalla lama cremisi.
“Vi ringrazio, mio salvatore!”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi.” , disse distrattamente, mentre si voltava verso l’entrata del cimitero. “Dove diamine sono andate le guardie che mi hanno scortato?!” , imprecò tra sé.
Immaginandosi che si stessero solo nascondendo impaurite, poco dopo il ritorno della quiete, i nani in armatura fecero capolino con il volto bianco, infatti.
“Siamo qui!” , gridò loro, muovendo un braccio oltre le statue, per farsi vedere.
Si tirarono dritte, impietrendosi nuovamente, poi corsero da lui. “Chi c’è con voi, figlio di Morzan?”
A quel nome, la donna impallidì. Il giovane umano cercò di tranquillizzarla, facendole vedere i palmi disarmati.
“Una donna del vostro popolo.” , disse loro senza urlare, essendo ormai già giunti al loro cospetto. Quando i loro occhietti porcini si posarono sulla nana, sbiancarono, iniziando a parlare tra loro in modo concitato, come stessero valutando un grave problema.
“La conoscete?” , chiese interrompendoli Murtagh.
Loro scossero il capo, poi tirando la nana in piedi. Si parlarono in nanico velocemente, senza che Murtagh potesse comprendere con la sua rudimentale conoscenza di quella lingua impossibile.
Nel mentre, il Cavaliere si accucciò accanto al capo del Fanghur, dispiaciuto per averlo ucciso, in fondo. Non so come sia riuscito mio padre a uccidere dei draghi… Mi dispiace aver tolto la vita a questo rettile solo perché assomiglia vagamente a loro.
Castigo cercò di rincuorarlo mandandogli un sentimento di supporto.
“Dobbiamo recarci dal re, immediatamente, prima che scoppi una guerra tra clan.” , lo informò una guardia. Murtagh sospirò, allargando le braccia a indicare di non potersi certo opporre. A quel punto, desiderava solo ricongiungersi con Derrel, per tranquillizzarlo di non averlo abbandonato e per assicurarsi del suo buon trattamento da parte degli ospiti.
Si mossero per i tunnel scavati e illuminati, la nana che non si muoveva dal suo fianco di un solo pollice, finché Murtagh non tornò per la seconda volta quel giorno nella sala del trono.
“Vostra Maestà, v’è un problema.” , disse in tono formale un nano corazzato, inchinandosi al re.
Il nano sul trono si sedette più dritto, vedendo l’essere femminile. “Ovvero?”
La guardia si avvicinò strisciando sulle ginocchia, salendo poi i gradini, fino a parlare in un corno che il re estrasse all’arrivo del sottoposto, con la parte più sottile nel suo orecchio, di modo che potesse udire solo lui. Murtagh riuscì a percepire le parole in nanico, capendone solo alcune, che assieme però non erano sufficienti a formare un discorso sensato.
“Lasciateci soli, devo interrogare il figlio di Morzan da me, per verificare che le due versioni coincidano.” , ordinò il sovrano, allora le guardie si inchinarono e si congedarono. La nana uscì dalla sua posizione semi-nascosta dietro le gambe del suo salvatore, osservando il nano dal basso con la piccola bocca deformata nella forma di puro stupore. Forse era la prima volta in cui si trovava di fronte al capo di tutti i loro clan.
Re Orik fissò senza riuscire a proferire parola la nana, mentre il Cavaliere sgranava gli occhi, percependo la tensione di attrazione tra loro.
Questo è degno di essere raccontato a Nasuada! , gongolò Castigo.
Shht, devo concentrarmi a capire questa lingua difficilissima! Sta’ in silenzio, per favore.
“Come ti chiami?” , chiese il sovrano infine, trovando un po’ di coraggio. In confronto al tono che aveva riservato a Murtagh, nel riferirsi alla nana, sembrava un bambino impaurito, quando sgridato dal padre.
“Nepenthe, vostra Maestà.”
Orik sbiancò sentendo il nome, che evidentemente nella sua lingua aveva qualche significato particolare, poi saltò giù dal trono, dimostrando la sua prestanza fisica.
Murtagh osservava i due con le braccia conserte, internamente solleticato dall’idea che Orik non fosse solo il burbero re che aveva conosciuto.
Il nano dalla barba rossa le volteggiò piano attorno, un paio di volte, studiandola. Infine alzò gli occhi sul Cavaliere. Murtagh tornò dritto.
“Sei sicura di essere stata salvata da quest’umano?”
La nana annuì delicatamente. Orik sbuffò, confondendo Murtagh. Eragon aveva giustamente saltato le tradizioni di corteggiamento e innamoramento dei nani, non dovendosi lui sposare con un essere femminile dell’altra razza.
“Questo fa di te una protetta del Cavaliere.” , le confermò grevemente. Murtagh deglutì per il tono che aveva usato, più che per aver compreso veramente le implicazioni della cosa.
Orik gli andò di fronte. “Per il nostro popolo l’onore è tutto, e la protezione è sacra.”
“Anche per noi umani, vostra Maestà.” , gli rispose il Cavaliere con sincerità, seppur confuso e voglioso di sapere quale sarebbe stata la sua - la loro - sorte.
Orik scosse il capo, facendo tintinnare il metallo intrecciato nella barba, e al contempo sbiancare il Cavaliere. Perché lo stava contraddicendo?
Si spostò lentamente sul suo trono, nuovamente. Prese la sua spada, mettendola in verticale, con la punta che toccava appena la piattaforma, scavata in un blocco di puro oro, come il trono.
“Normalmente salvare una fanciulla significa doverle continuare a donare protezione per il resto della vita, attraverso il vincolo del matrimonio.”
Murtagh per poco non si mise a ridere. Se anche il suo popolo avesse avuto quella stupida usanza, un soldato o un cavaliere avrebbero dovuto avere infinite mogli. O forse, nel popolo nanico era talmente una rarità, da poter imporre questo genere di rituale in seguito a un salvataggio senza incorrere nella poligamia imposta.
L’umano piegò il capo di lato. “Io una moglie già ce l’ho. E il mio popolo non ammette io ne prenda un’altra.”
“Nemmeno il nostro, non siamo rozzi selvaggi, a differenza di quanto ti sia sempre stato inculcato dalla tua ignorante madre! Quello che ti sto imponendo, Cavaliere, è di proteggerla per sempre.”
Murtagh ignorò l’offesa a lady Selena, e si mise una mano sul cuore, avanzando di un passo. “Se permettete, vostra Maestà, posso domandarvi se la protezione può essere trasmessa?”
Un bagliore illuminò gli occhi di Orik. Questo annuì con forza.
Murtagh prese la mano della nana, guardandola dall’alto negli occhi. “Io dovrò abbandonare queste montagne al più presto, e voi dovreste seguirmi a Illirea, la capitale degli umani. Se trovassimo qualcun altro dall’onore intaccabile che possa proteggervi qui a Trondheim, cosa ne pensereste?”
Lei rimase un attimo allibita, quando Murtagh spostò il volto su Orik. Questo stava sorridendo compiaciuto - ma la sua espressione tornò seria quando anche l’essere femminile lo guardò - .
“Mio re, chi potrebbe proteggermi? Ormai sono l’obiettivo designato dei Fanghur.”
Orik sbatté una mano sul pettorale coperto di metallo, producendo un gran frastuono che rimbombò nella sala. “Chi ha forza e onore maggiori del vostro re? Dirò al clan Dûrgrimst Fanghur di tenere a bada le loro bestie, o la mia ira ricadrà su di loro. Vi prometto, giovane creatura, di avere per sempre a cuore l’obiettivo di evitare che tale scempio accada di nuovo, e che la vostra vita in particolare non sia mai più messa in pericolo.”
La nana emise un gridolino di giubilo, lusingata. Si voltò verso il Cavaliere. “Accetto la nuova protezione che mi offrite, Cavaliere dei Draghi.”
Murtagh annuì con un raro sorriso, poi si bloccò colto da un pensiero: tra tutte le tradizioni naniche trasmessegli da Eragon, non v’era di sicuro nulla riguardo la situazione in cui si trovava.
Si schiarì la voce e alzò il capo per guardare il re. “Perdonate la domanda, re Orik, ma temo di non essere preparato a quanto dovrò fare in seguito. Nepenthe è dunque già vostra protetta?”
Orik arricciò il naso e socchiuse gli occhi. “Sì, anche se probabilmente il clan dei Fanghur è ancora sulle tracce di questo splendido essere.” , rifletté andandosi a sedere sul trono.
Si grattò il mento con la mano tozza, pensando avidamente.
“Questa sera annuncerò ufficialmente di aver salvato e preso come protetta Nepenthe, durante il banchetto che abbiamo organizzato mentre eri a parlare con la statua di un morto - sì, lo ritengo alquanto patetico, Cavaliere - per la popolazione nanica che sarà tutta riunita.”
Murtagh si trattenne dal digrignare i denti. “Non sarebbe opportuno che mi venga riconosciuto il merito del salvataggio, Maestà? In segno di riconoscenza e ammenda verso il popolo nanico.”
Orik sgranò gli occhi e spalancò la bocca. “Credi davvero, figlio di Morzan, che basti questo a vendicare la morte di mio padre?!”
Il Cavaliere esitò. “Non intendevo questo. So che non potrete mai perdonarmi, ma so altresì che la perdita del vostro re è questione personale per ogni membro del popolo, dunque speravo di dimostrarmi così voglioso di lavorare per ottenere il vostro perdono.”
Nepenthe prese la gonna tra le dita e fece una riverenza per introdursi cortesemente nel discorso. “Sire, pensate di dimostrare perdono verso coloro del clan Dûrgrimst Fanghur che hanno mandato quella bestia a uccidermi o rapirmi?” , chiese impudentemente al sovrano.
Orik alzò le spalle. “Non posso iniziare una guerra interna, perciò immagino di sì.”
Un luccichio brillò negli occhi della nana. “Dunque dovreste dimostrarvi ugualmente disposto alla giustizia anche verso un Cavaliere dei Draghi.”
Il re sospirò a lungo, non contento di certo, ma colpito dal colpo della donna. “Allora annuncerò pubblicamente il fatto per quanto accaduto realmente.”
“Vi ringrazio, Meastà.” , dissero assieme l’umano e la nana.
Orik, scontento come un bambino, li congedò.

 

Murtagh si guardò intorno negli appartamenti che gli avevano riservato, in un dedalo di cunicoli reali, abbastanza isolato. Erano i soli abitanti, e Castigo aveva spazio sufficiente per sé in una grotta calda quanto il cuore di un vulcano.
Stai bene qui? , gli chiese quando lo vide, con affetto come sempre materno.
Il drago annuì, aprendo gli occhi color rubino sulla nana. È stato per salvare lei che mi hai scambiato per un serpente volante? , chiese con la sua solita punta di acidità dovuta al suo animo permaloso.
Sì, e ti chiedo scusa.
Vedrò se accettare.
La nana aveva seguito Murtagh senza paura, forse perché già la vita l’aveva rischiata per quel giorno. S’inchinò al drago, come aveva sentito di dover fare nelle leggende antiche che si tramandavano fortunatamente in ogni popolo di Alagaesia ancora.
“Nepenthe, questo è uno degli unici tre draghi viventi su questa terra: Castigo.” , lo presentò.
“Nome interessante.” , commentò lei prima di presentarsi.
Si scambiarono qualche battuta che Murtagh non ebbe interesse di ascoltare, avendo assistito centinaia di volte alle presentazioni del suo drago.
“Ti spiegherò il suo nome assieme alla mia storia - alla mia vera storia, in caso dovessi aver già udito delle voci false sul mio conto - , se vorrai ascoltarla. Ma prima ho bisogno di rinfrescarmi, il viaggio è stato lungo.”
E vorrei contattare mia moglie per non farla stare in pensiero, ora che sono giunto in casa del mio più grande nemico…
Lei annuì, seguendolo di nuovo per i cunicoli, le guardie una decina di piedi sempre dietro di loro.
La stanza era semplice ma ben arredata, con una tenda che divideva due locali. Dietro d’essa, spuntò Derrel. Corse incontro al Cavaliere, abbracciandolo alle gambe. “Cavaliere Murtagh! Pensavo vi fosse accaduto qualcosa di grave, e di non poter mai più venire in missione con voi! Mi è giunta voce dopo il pasto che foste stato attaccato…” , piagnucolò dispiaciuto.
Murtagh gli poggiò le mani sulle spalle. “Sono un Cavaliere, non è così facile scalfirmi!” , lo rincuorò, ma il suo tono di voce suonò troppo freddo per la stanchezza, e il bambino si staccò da lui di scatto, rimanendo ritto e timoroso in attesa di ordini.
Gli presentò Nepenthe, poi si sforzò di raccontargli quanto accaduto, facendo tornare la luce negli occhi del bambino.
“E il re? Com’è?”
“Potrai chiederlo a Nepenthe, che è sicuramente più avvezza al suo sovrano del sottoscritto.” , si rivolse poi a entrambi, “Perdonatemi, ma ho delle urgenti mansioni burocratiche da espletare.”
Lasciò il bambino e la nana a parlare, lei doveva essere l’equivalente di una ragazza un poco matura umana. Li sentì parlare affiatati, attraverso la tenda.

 

Tornò da loro dopo aver parlato con Nasuada attraverso lo specchio, decisamente di umore migliore. “Scusatemi: la regina Nasuada, mia moglie, attendeva ancora nostre notizie. Non è bene far attendere una regina.”
“Quindi voi siete il marito della Regina Suprema?” , chiese in un sussurro Nepenthe dopo essersi fermata a ragionare su quel nome, incredula.
Murtagh annuì.
“Sapevo il nostro re fosse coraggioso, ma mai mi sarei immaginata che avrebbe avuto l’ardire di tenere testa così a un individuo più potente di lui.”
Il sopracciglio corvino del Cavaliere si alzò sulla sua fronte. “Più che tenere testa, mi sta sfidando. Come sai, io sono anche il figlio di Morzan e colui che ha ucciso Hrothgar. Orik sta cercando di farmi perdere la pazienza, per avere un pretesto per uccidermi e vendicarsi finalmente. Una motivazione che nemmeno mia moglie potrebbe mai rimproverare.”
La donna scosse il capo. “Noi nani non dimentichiamo, ma non siamo così banali. I pensieri che descrivete sono tipici degli umani, dettati dal loro rancore e dall’ira che ribolle dentro di loro - e lasciatemelo dire, che con gli umani ho convissuto fino alla fine della Guerra - .”
Murtagh fece spallucce. “Non sto insinuando che Orik sia una persona spregevole, ma ha sicuramente una dose sufficiente di rancore nei miei confronti da volermi stuzzicare, se non offendere.”
Derrel s’intromise. “Lord Murtagh ha salvato la mia reputazione, non è un uomo che abbia a cuore i dissapori.”
“Ti ringrazio, Derrel, per le tue parole lusinghiere. Tuttavia non ho bisogno di essere difeso. Ho le mie colpe, e Orik ha il suo odio giustificato.”
Nepenthe annuì. “Vi comprendo, mio salvatore, ma vi assicuro che il nostro re oggi mi è sembrato assolutamente di buon umore.”
Il Cavaliere strabuzzò gli occhi, trattenendosi da scoppiare a ridere. “Se lo dite voi, dolce dama, vi crederò.” , concluse lui invece, molto diplomaticamente.
Si alzò, incitandoli a iniziare i preparativi per la festa.
Vestì se stesso e successivamente il suo piccolo aiutante, che bonariamente lo lasciò armeggiare con tessuti e bottoni. Gli donò una spilla con un drago, rendendo il bambino contento e orgoglioso come non mai.
Quando entrambi furono pronti, andò oltre la tenda per richiamare Nepenthe, che nel frattempo aveva ricevuto degli abiti da festa regalati dal re in persona, siccome i propri erano rimasti nella sua casa natale. O nella sua grotta, per quanto ne sapesse Murtagh di abitazioni naniche. Con curiosità osservò gli indumenti cerimoniali da festa del popolo ospite, rimanendo stupito di quanti pochi strati di tessuto avessero i loro abiti. Tuttavia, i tessuti erano di fattura elfica, lucidi e vistosissimi. Alle maniche e sulle estremità della gonna, aveva dei pizzi surdani.
“Siete molto bella, Nepenthe.” , si complimentò con lei.
Per quanto non fosse certamente di suo gusto, era innegabile che quella nana era delicata ancora e quindi meno diversa da un’umana.
Lei ridacchiò. “Aspettate di vedere se mi dovesse crescere la barba!” , rispose lei imbarazzata.
Murtagh rimase lievemente allibito per i gusti nanici, ma d’altronde conosceva un elfo che per vanità si era trasformato praticamente in un lupo dal pelo blu. Ed era altresì vero che non sapeva cosa pensassero gli altri popoli delle pratiche e dei gusti estetici umani, dunque scacciò il pregiudizio e le mise una mano sulla schiena - non riuscendo a prenderla a braccetto per colpa della differenza eccessiva di altezza tra i due - e l’accompagnò all’esterno, Derrel al suo fianco dall’altra parte.

 

Il raduno per la festa fu indetto in un luogo che, una volta giuntovi, fece perdere un battito al cuore del Cavaliere: si trattava del luogo dove aveva visto per l’ultima volta Ajihad e Nasuada che li salutava, anni prima. Il luogo da cui si diramava il tunnel in cui era stato tradito e rapito dai Gemelli. Rispetto all’ultima volta che lo aveva visto, però, v’era stata eretta un’enorme statua d’oro del Capo dei Varden. Fu felice per l’amata, perché suo padre era ricordato tanto quanto era apprezzato. V’era una distesa di tavolate e un brulichio di nani da mettere prurito, le luci delle torce calde che mettevano aria di feste estive. La scorta l’annunciò, portando Murtagh e Derrel al tavolo del re, che era rialzato. Fecero salire il bambino, e poi indicarono a Murtagh il suo posto d’onore, accanto a Castigo, abbastanza in disparte. Derrel si bloccò allora.
“Anche il Cavaliere Murtagh è un lord.” , fece notare, “Merita di sedere assieme a noi anch’egli.”
Il silenzio divagò al tavolo per qualche istante, nessuno che riusciva probabilmente a trovare parole sicure per indicare che l’adulto non fosse benaccetto.
“È giusto il mio collocamento, Derrel. Il mio titolo non ha un corrispettivo tra i nani.” , disse allora, con un sorriso caldo ma finto.
Il bambino avanzò, seppur doveva aver compreso che se il titolo di Murtagh non aveva corrispettivo tra i nani, allora nemmeno il proprio. “Va’.” , lo spronò Murtagh, per poi fare una riverenza accennata e dirigersi verso il suo Compagno, che gli era mancato.
Finalmente sei qui per un po’ di conforto… , lo salutò con affetto.
Castigo sbuffò. Vorrei avessi più a cuore te stesso. Non potranno sempre metterti i piedi in testa tutti in questo modo.
Murtagh sospirò amareggiato. Non questa sera, Amico mio… Non ho intenzione di pensarci nuovamente.
Ricevette un buffetto delicato al petto dal grande muso cremisi.
Si sedette al suo tavolo, già imbandito con pietanze naniche e idromele di tre tipi diversi, osservando i piccoli esseri divertirsi e iniziare la festa.
In realtà al suo arrivo doveva essere già iniziata, perché la musica aleggiava nell’aria e poteva udirla già dalla stanza che gli avevano dedicato, mentre si preparava per l’evento.
Alcuni individui erano anche già alticci, e si arrampicavano ai tralicci che coprivano il corridoio tra le tavolate e fungevano da sostegno per candelabri sospesi d’oro massiccio.
Assaggiò qualche cibo, trovandoli gradevoli anche se piuttosto speziati rispetto alle pietanze umane che, in confronto ancora al cibo elfico che era totalmente scondito, tendevano a essere semplicemente più salate o acetate.
A Castigo erano stati destinati un cinghiale e un cervo interi, oltre a una botte di birra intera.
Non ho mai provato l’ebrezza dell’alcol se non attraverso i tuoi sensi, Murtagh. , sentenziò fiondandosici a capofitto, dopo che l’umano l’ebbe avvertito di non esagerare con l’alcol.
E va bene, un barile non dovrebbe sorbire troppo danno sulla tua mole di peso.
Stai dicendo che sono grasso? , scherzò il rettile.
Murtagh si voltò per squadrarlo con estrema lentezza dalla testa alla punta della coda. Beh, non si può certo dire che tu sia piccolo…
Il drago gli ringhiò. Sai cosa è piccolo, Murtagh? Il tuo c-
Non è assolutamente vero! , l’interruppe il Cavaliere arrossendo.
Vuoi fare a gara? Tiralo fuori! , lo sfidò il drago, alticcio.
Il Compagno roteò gli occhi. Come puoi pensare che il mio gingillo possa competere con il tuo? È la proporzione che conta!
Castigo snudò i denti in quello che sembrò un sorriso di scherno. Vincerei comunque.
Non importa la tua opinione, ma quella delle donzelle.
Il drago ridacchiò di gusto, facendo voltare tutti per un istante, anche se tornarono ben presto alla loro goliardia, visto che il ringhio non era stato seguito da nessun pericolo o attacco da parte del rettile. Credo che nessuna si sarebbe mai lamentata del tuo ‘gingillo’, per paura di essere impalata su una forca - che forse avrebbero sentito meglio - .
La mano del giovane andò d’istinto sul pomolo di Zar’Roc, che però non poté snudare - nemmeno per schernire il Compagno - . Nasuada è l’unica che sia onesta con me e non si è mai lamentata.
Forse perché non aveva termini di paragone prima di te e del tuo ‘gingillo’.
Smettila di chiamarlo con quel tono, mi metti a disagio! , sbottò, E comunque non sono certo il più dotato d’Alagaesia, ma anche durante la valutazione alla nostra prima notte di nozze ufficiale, erano tutti piuttosto soddisfatti.
Ritorniamo al mio punto: chi mai oserebbe dare contro al figlio di Morzan e marito della loro regina?
Murtagh aggrottò le sopracciglia. Lo chiederò a Nasuada personalmente, al nostro ritorno.
Potresti pentirtene…
Sta’ zitto. , sibilò il giovane.
Non lo farò, perché sono l’unico che abbia il diritto di distruggere la tua autostima e riderne di gusto.
Il Cavaliere si voltò per guardarlo nell’occhio in cagnesco. Dovresti aiutarmi ad avere più autostima, non il contrario!
Il drago alzò le spalle. Lo faccio, quando serve. Ma quando serve a me divertirmi con te, colgo l’occasione come ora di poterti torturare senza che tu possa chiedere aiuto piagnucolando alla tua mogliettina.
Quindi ammetti di aver paura di Nasuada? , chiese sornione il giovane.
Nepenthe si avvicinò a lui, interrompendo il battibecco mentale, dopo averlo osservato da lontano con circospezione tutta la sera. “Siete il mio salvatore, non credete che i miei simili vorranno conoscervi?”
Murtagh si grattò la nuca. “Non credo proprio.”
La nana pestò i piedi, per poi allungargli la mano. “Andiamo, la mia famiglia vuole conoscervi.”
L’umano lanciò la spugna e la seguì verso un gruppo di nani di ogni età che la salutarono, vedendoli avvicinarsi. Contrariato, Murtagh fu presentato alla famiglia di Nepenthe, in piedi accanto a uno dei tavoli lunghi più vicini a quello del re - che era stato lì posizionato strategicamente da Orik, che aveva interesse palese verso la nana - , piuttosto centralmente dove sia stava svolgendo il festeggiamento più vivo.
Il padre e la madre della nana gli offrirono doni d’oro che lui fece di tutto per rifiutare cortesemente, non volendosi approfittare di loro. “Non bisogno di oro, siccome ho sempre goduto di un possedimento piuttosto fruttuoso.”
Il nano dalla barba grigia storse il naso. “Il vostro oro è di minore qualità rispetto al nostro! Questo che vi offro Cavaliere, è purissimo e viene coniato direttamente in miniera!” , sentenziò porgendogli un baule d’oro.
Murtagh scosse il capo, ma testardamente gli anziani gli impedirono di rifiutarsi ulteriormente.
“Padre, la mia salvezza non ha valore, per questo il mio salvatore non può accettare.” , intervenne la nana più giovane in suo soccorso. Il genitore s’illuminò e si quietò.
“Un uomo degno della nostra gratitudine eterna.” , esclamò con voce possente la madre di Nepenthe. Murtagh notò fosse un essere molto elegante, abbigliata in un abito di velluto color terracotta, decorato con gioielli con smeraldi enormi, il tutto sormontato da capelli riccissimi e più scuri addirittura di quelli del Cavaliere, per quanto possibile. Nonostante fosse lontana dai canoni di bellezza del giovane umano, la trovò nobilmente bella. Aveva la stessa fiera bellezza di Nasuada, ma di cui poche altre nobili erano dotate.
Colse l’occasione per farle i complimenti e ingraziarsela. Anche il padre della sua protetta era un individuo dai capelli castani, anche se dai riflessi rossi, accentuati ancor di più dalle torce.
Dietro di loro, era seduta in modo estremamente posato un’altra nana dai capelli così biondi da sembrare quasi bianchi, così come le ciglia e le sopracciglia stranamente non si scostavano da quella chiarezza. Notando il suo sguardo incuriosito, Nepenthe gli presentò la sorella, ma il suo tono tradiva una leggera tristezza. “Lei è la mia sorellina, Alba.”
Nell’udire il suo nome, la giovane bionda alzò gli occhi e Murtagh notò vagassero quasi completamente ciechi, come quelli di suo nonno Flaithrì. Aveva le pupille di un azzurro tendente al viola, talvolta al rosso, che gli fecero ricordare un bambino che aveva incontrato quando anche lui ne era uno.
“È un piacere, salvatore di mia sorella, conoscervi. Perdonate se non sono capace di guardarvi negli occhi, ma i miei non funzionano poi così bene.”
Si sporse per prenderle la mano. “Conosco la vostra condizione e posso donarvi occhi più acuti, se vorrete.”
Lei si bloccò per qualche istante, grandi lacrime che minacciarono di riversarsi. Eppure, quando il Cavaliere iniziò a pensare che avrebbe accettato, Alba scosse il capo. “Non avrò bisogno di vedere il mondo, se mia sorella non sarà più vicina a me.”
La madre annuì con tristezza. “Nepenthe è sempre stata la persona che più si è curata di lei, dopo di me. Sarà diverso ora, senza di lei.”
Murtagh comprese e si scusò per l’impudenza.
Gli venne offerto da bere, ma fu l’unico dei cinque che non toccò la bevanda. Genitori e Nepenthe, invece, l’ingollarono velocemente.
Questa diede un bacio alla sorella sulla guancia, poi chiese la possibilità di congedarsi.
“Dovrai chiederla al tuo salvatore, d’ora in poi.” , le ricordò la madre.
Nepenthe annuì lievemente triste, poi s’attaccò al Cavaliere e lo portò in una camminata in cui salutò trionfante chi incontravano. Completarono il giro, poi si sedettero come una doppietta al tavolo riservato alla nana dal re in persona.
“Dunque ora sposerai re Orik, secondo le vostre usanze?” , le chiese rompendo il silenzio.
La nana, già alticcia di alcol, aggrottò le sopracciglia. “Non così facilmente! Dovrà conquistarmi, anche se è un re. Anzi, proprio perché è un re!” , biasciò.
Murtagh ridacchiò. “Mi sembra giusto… beh, andrò a cercare da bere.”
Nepenthe non ebbe la lucidità per indicargli il tavolo più vicino - che era davvero vicino - per colpa dell’alcol, perciò il Cavaliere fu lieto di potersi liberare delle troppe attenzioni che aveva già ricevuto - positive e negative - .
Vagò fingendo agli occhi di tutti di avere qualcuno da rintracciare nella folla a ogni costo, fino a trovare un posto dove riposare le sue lunghe gambe. Conversò brevemente con Castigo, siccome venne interrotto nuovamente: Orik in persona lo raggiunse. Aveva un piccolo otre di vino in mano.
Murtagh sedeva sul basamento dell’enorme statua di Ajihad, con lo sguardo in alto verso il suo volto severo ma giusto.
“Finalmente posso guardarti negli occhi, Cavaliere.” , gli disse disgustato, “Pensavo di rivederci di più tuo padre, ma i tuoi occhi non sono orrendi come i suoi…”
“Oltre alla cattiveria che emanavano, erano anche orribilmente policromi, me li ricordo bene.” , confermò apatico il Cavaliere.
“Sì, beh, comunque quel colore non dovrebbe stare nelle pupille di un essere vivente. È innaturale. Il cielo e gli zaffiri sono blu, inanimati e perciò freddi…”
Murtagh si ricordò di non aver mai visto un nano dotato di occhi celesti. Si chiese se esistesse qualcuno con quella caratteristica.
“Mi dispiace vi infastidiscano. Esattamente come la mia presenza.” , scoccò una frecciatina l’umano. Orik sorprendentemente non si offese.
Prese un sorso della bevanda e si sistemò accanto a lui. “Ecco, così non dovrò vederli, ma potrò comunque udire quanto hai da dire, Cavaliere.”
Murtagh apprezzò avesse usato con lui quell’appellativo onorifico con tono neutro, per una volta.
Vide con la coda dell’occhio Orik guardarsi intorno, forse in cerca di qualcosa di frivolo di cui dialogare. Tuttavia Murtagh non si spiegava ancora perché il re si fosse scomodato proprio per attendere un po’ del tempo dell’umano, seppur suo ospite onorifico e degno del tempo del sovrano.
“Ti piace come ho risistemato il regno?”
“Non sono un architetto, perciò non posso giudicare espertamente. Ad ogni modo sì, apprezzo lo sfarzo e i monumenti atti a ricordare la battaglia che si è combattuta qui.” , rispose con cautela il giovane.
“Oh sì, la battaglia che si combatté qui fu epica. All’epoca stavamo tutti apprezzando la tua presenza, figlio di Morzan...”
Il giovane alzò un sopracciglio, pronto a udire nuove parole di scherno nei suoi confronti, a cui non avrebbe potuto rispondere a tono, ma solo con finta cortesia e compostezza. Sua madre sarebbe stata fiera di lui per il contegno che aveva imparato ad avere negli anni.
Orik inspirò a fondo prima di continuare, facendo addirittura un piccolo sussulto mentre i suoi polmoni spingevano fuori l’aria che si sarebbe trasformata in parole: “Voglio proprio sapere se tu non sia riapparso per ricominciare il ciclo tutto daccapo… Farti accettare e poi pugnalarci tutti alle spalle di nuovo, intendo…”
Nel suo tono lo scherno era stato sostituito da un inquietante timore.
Il moro scosse il capo. “Non ho modo di dimostrarlo, ma non sono qui per tradirvi. Non esiste più un padrone che mi possa far compiere atti indicibili, anche contro la mia volontà.”
“Bene. Ricordati che la tua libertà è un dono - perché se stesse a me decidere, ti avrei già rinchiuso in gabbia per non liberarti mai più - , e la fiducia va ripagata con la fedeltà.”
“È il posto giusto per non dubitare nemmeno di un secondo che la mia vita ora sia meglio di quanto non sia mai stata.”
“Spiegati meglio.” , lo incalzò Orik.
“In questo luogo mi è stato fatto dono di fiducia la prima volta, seppur sapendo che razza di uomo mi abbia generato. È stato uno dei pensieri che mi ha addolcito gli incubi per tante notti, assieme al volto di Nasuada, che più di tutti - oltre a Eragon - ha deciso di valutarmi ancor prima di giudicarmi.”
Indicò poi la caverna che aveva concluso la sua permanenza tra i Varden per sempre.
“Qui è dove sono stato rapito, e l’orrore è poi iniziato nuovamente. Anzi no, peggio di quanto non sia mai stato prima…” , confessò al sovrano, “Ho maledetto la mia esistenza, ho sperato di morire per molto tempo, eppure il Destino mi ha mantenuto in vita… Forse perché dovevo espiare le mie colpe soffrendo come un cane, per poi poter risalire verso la superficie.”
Orik gli porse il suo vino. “Per dimenticare il dolore.”
“Perché?”
“Perché cosa?” , chiese confuso il re.
“Perché, seppur mi odiate, mi state offrendo un sollievo per il dolore.”
Orik inspirò a lungo aria dal suo minuscolo naso a patata. “Ricordo lo sguardo triste del giovane Murtagh. Ricordo lo sguardo colpevole del giovane Murtagh dopo la Guerra, persino attimi dopo aver ucciso mio padre.” , deglutì, “E quello sguardo mi tormenta. Vederti mi mette a disagio da sempre, seppur io ti odi per quello che hai fatto a Hrothgar e a Nasuada.”
Un pensiero gli balenò in mente. Si voltò per guardare l’altro dritto in volto, infuriato. “Sono stato colto da un dubbio: hai per caso ucciso anche Ajihad?”
Murtagh sobbalzò stupito dell’accusa, poi piegò le spalle in avanti e scosse il capo. “Non lo avrei mai fatto. Non a Nasuada. L’ho amata dal giorno in cui è venuta a visitarmi in quella cella per la seconda volta, poi la terza e così via. Non me lo sarei mai immaginato da lei! Una principessa che veniva a trovare sinceramente un reietto come me.”
Orik espirò a lungo, abbandonando la schiena attorno all’oro della statua. “Questa tua risposta ha placato in parte il mio risentimento.”
“Vi ringrazio.”
Il nano scosse il capo. “No, io ringrazio te. Mi hai tolto alcuni pensieri che mi tormentavano la notte. Non avrei potuto dormire sonni tranquilli temendo ancora che Nasuada condividesse il letto con l’assassino di suo padre.”
“Non avrei mai osato uccidere un uomo come Ajihad. Avrei piuttosto sacrificato la mia vita, in nome di quel barlume d’amore verso Nasuada che era appena nato.”
Il re scacciò le sue parole con la mano tozza e callosa. “L’hai già detto, e non posso verificare quanto dici. Ma mi rincuora sapere della tua innocenza, almeno.”
“Io invece sono rincuorato di poter ritornare a Illirea sapendo che mi odiate un po’ meno.”
Il più basso rise di gusto. “Non esagerare, ragazzo. Il fatto che non ti odi di più non significa che ti odi di meno.”
Murtagh annuì. “Ho commesso io un errore di interpretazione.”
“Della lingua comune?” , rise ancora il re, alzando le spalle e bevendo un sorso profondo di alcol che si era portato con sé. “Mi fai ridere, Morzansson.”
Il giovane si alzò in piedi, stanco. “Vi ringrazio per le parole, ma ho bisogno di sgranchirmi le gambe.”
L’altro non fu contento. Gli afferrò la mano, per trattenerlo. “Ascoltami bene, Cavaliere: sì, sto cercando di istigarti a sfoderare la tua vera natura mentre sei qui, perché preferisco che tu ti mostri per quello che sei veramente ora, piuttosto che un giorno, magari da solo nel letto della mia amica Nasuada, e che rimandi questa terra nel baratro.” , confessò con lo sguardo ardente.
Il giovane lo fissò di rimando con occhi sbarrati. “Io… non devo dimostrare la mia sete di sangue, perché non c’è mai stata: è per questo che a Uru’Baen venivo torturato e mosso a piacimento nel corpo da Galbatorix in persona! Io non amavo la mia vita prima, non l’ho nemmeno mai sopportata!” , si lasciò scappare una lacrima tra i sussurri, che asciugò in un baleno con la mano libera, “Non avrete da me nulla se non mansuetudine, perché questo è ciò che sono sempre stato, la mia vera natura, sin quando da bambino ho sopportato il dolore della ferita inflittami da mio padre, continuando a fingere di lodarlo con i miei precettori.”
“Quindi ciò che sei non è un uomo mansueto, ma una foglia che si abbandona al vento e lo asseconda!” , l’accusò l’altro.
“Se così volete definirmi lo accetterò. Ma io credo di essere ben diverso da una foglia in balia degli altri: io sono malleabile come l’acciaio, ma difficile da spezzare ed estremamente duro. E soprattutto l’arma migliore che gli esseri intelligenti abbiano mai forgiato, per questo tutti cercano di piegarmi al loro servizio. Ma io sono fedele a me stesso, come la spada che è fedele solo all’uomo che la impugna, alla fine.”
“È anche la migliore arma per offendere, una spada.”
“Dipende da come viene usata. Ora sono libero, e ho acquisito l’impugnatura della mia stessa forza, della mia stessa pericolosità, giurando di utilizzarla per difendere la stabilità e la libertà dei popoli di Alagesia. Anche diventando io stesso schiavo di nuovo di un giuramento.”
Il re lo fissò a lungo negli occhi, poi si alzò in silenzio, scuotendo il capo. Lo superò, in direzione del suo palco rialzato. “I tuoi occhi, Murtagh, continuano a inquietarmi come la prima volta: la tristezza e la determinazione che si combattono perennemente mi spiazzano.” , decretò allontanandosi definitivamente.
Il giovane, rimasto solo, espirò sonoramente. Si accorse che le mani gli tremavano leggermente.
Che diamine mi succede quest’oggi? , sbuffò tra sé.
La sua coscienza rossa e squamata gli offrì il suo sguardo saggio: Ti sei confrontato con il tuo più grande nemico, Murtagh. Non rimproverarti per le tue reazioni corporee…
Il giovane scrollò le spalle. Non è certo Orik il mio più acerrimo nemico. Egli è morto da tempo ormai.
Vide l’enorme capo voltarsi verso di lui, per permettere a grandi occhi di rubino di trafiggerlo con la loro eloquenza. Il nemico che combatterai ora e per sempre, mio Amico-a-due-gambe, è la paura. Non che sia solamente una tua prerogativa combatterla, ma tu vieni bloccato da essa ancor prima di poter agire, di poter sfruttare le tue abilità per sopravvivere. Sei potente nel corpo e nella forza di volontà, mia Altra-Metà, ma a volte lasci che la paura ti renda più impotente del bambino che hai generato, al momento della sua nascita prematura.
Il Cavaliere fu colpito da quelle parole, cominciando davvero a comprendere le sue emozioni che quel viaggio gli aveva suscitate.
Vagò per un tempo indefinito, i suoni ovattati e le orecchie che fischiavano leggermente per colpa dei pensieri rumorosi.
Incappò nel suo protetto, che era intento a litigare con un nano, da quel che sembrava.
Murtagh accorse prima che fosse troppo tardi e accadesse un incidente diplomatico - e non per colpa sua - .
“Buonasera, mastro, posso aiutarvi? Mi sembrate infastidito dal comportamento di lord Derrel.”
Il nano annuì con ampi gesti. “Oltraggiato, addirittura.”
“Per quale motivo?” , chiese il Cavaliere guardando prima l’essere basso e poi il piccolo umano.
“Non ha assaggiato alcuna mia pietanza, preparata appositamente per lui, da almeno due portate!” , piagnucolò con forte accento nanico che marcava la sua pronuncia della Lingua Comune.
“È un bambino ancora, dovete scusare se il suo stomaco non può contenere tutte le vostre prelibatezze.” , lo giustificò il Cavaliere.
Il nano alzò un sopracciglio, poi indicò un bambino del loro popolo. “Lui non ha lo stomaco sufficiente per contenere tutto quello che vi abbiamo offerto, ma vista la stazza dei vostri bambini, dovrebbe essere capace di mangiare quanto un nano pressoché adulto.” , sentenziò l’essere barbuto.
Murtagh si ritrovò spiazzato. D’altronde aveva ragione, anche se ricordava la fame che aveva quando era un ragazzo: molto più forte e insaziabile di quella di cui era dotato ora, siccome le energie derivate dal cibo dovevano servigli a crescere definitivamente.
“Le vostre proporzioni sono corrette, tuttavia un ragazzo ha più appetito di un adulto, e anche se il mio compagno è già cresciuto quanto un vostro giovane nano, vi assicuro che ha uno stomaco piuttosto contenuto.”
Il cuoco sbuffò, abbandonando un po’ di cipiglio. “È tutto pelle e ossa, in effetti.”
Indicò una coscia di cinghiale sfilacciata. “Almeno finite quella. I sacrifici dei nostri coabitanti di questa montagna non devono andare sprecati.”
Murtagh giurò che si sarebbero impegnati, ma il nano non se ne andò finché anche lui non si fu seduto per mangiare. In effetti, aveva solo spiluccato le pietanze portategli al suo tavolo isolato, dando a Castigo i suoi avanzi.
Trovò delizioso quel cibo, decisamente più elaborato di quello riservato a lui.
“Allora, Derrel, ti stai godendo la serata?” , chiese piano al bambino.
Questo scrollò le spalle, spostando il cibo nel suo piatto, non riuscendo proprio più a ingoiare null’altro.
“È stato tutto decisamente… interessante.”
Il Cavaliere gli circondò le spalle con un braccio. “Avevi mai partecipato a un evento ufficiale, prima? Magari con i tuoi genitori?”
Derrel scosse il capo.
“Mi dispiace non esserti stato vicino, allora.”
Il bambino sorrise. “Re Orik è stato molto gentile con me. Aveva ragione Nepenthe.”
Come no…
Gli occhi del bambino s’illuminarono a un pensiero. “Abbiamo anche ballato, io e lei!”
Murtagh gli sorrise di rimando. “È di tuo gradimento?”
L’altro scosse prontamente il capo.
“Il ballo, intendo.”
“Oh!” , esclamò arrossendo il piccolo, “Sì, credo che in futuro - se dovessi partecipare ad altre serate come questa - non mi dispiaceranno, finché ci saranno musica e qualche ballo.”
“Molto bene!”
Finito un po’ del cibo nel piatto dell’adulto, il nano gli versò un boccale enorme di una qualche bibita alcolica tipica. “Bevete e vi lascerò stare. Avrete reso onore alla mia ospitalità.”
Murtagh bevve quasi in un solo sorso, seppur senza sembrare rozzo, la bevanda, che in realtà scivolò giù piuttosto facilmente.
Un’altra canzone suonò, e Derrel scattò in piedi per ballare. Il protettore gli fece cenno affermativo col capo, che prese a girargli per l’alcol.
Il vorticare dei ballerini lo infastidì. Si coprì gli occhi con una sola mano, inspirando con forza. Forse si addormentò anche per qualche istante, perché il ballo gli sembrò cortissimo e al contempo infinito.
Al termine si alzò, cercando di non barcollare, udendo le risa del suo drago nel vederlo così. Raggiunse Derrel senza sembrargli minaccioso, e lo richiamò con sé.
Nepenthe, che teneva ancora strette tra le sue mani quelle del bambino, s’intromise.
“Lo riporterò io indietro sano e salvo. Ve lo prometto, Cavaliere!”
Murtagh sospirò, non avendo voglia di controbattere, e accettò. Poi si diresse, seguendo la folla che stava già defluendo dalla grande stanza, verso i suoi appartamenti.
Si spogliò e buttò sul letto, borbottando per le dimensioni di questo. Trovò comodo solo appoggiare il collo alla testiera in legno, e le braccia aperte su questa, come una croce.
Il sonno lo colpì istantaneamente, tanto che non riuscì a contattare Nasuada.

 

 

Murtagh si risvegliò con un gran mal di testa, maledicendo la serata precedente. Oltre all’alcol che gli aveva procurato la testa pesante, essere più alto di un umano medio di parecchio, non aveva aiutato con il mal di schiena: aveva dormito nella più assurda delle posizioni in quel letto creato per esseri alti la metà - se non un terzo - di lui. La nana, ufficialmente una sua protetta, apparve da dietro la tenda che divideva quella stanza da una attigua. Il Cavaliere arrossì vedendola.
“Buongiorno, Cavaliere” , lo salutò allegramente.
Murtagh si tirò la coperta verso i piedi, per meglio coprire il suo corpo nudo. “È già ora di ripartire?”
La giovane annuì e al suo fianco apparve Derrel, già vestito di tutto punto per il viaggio. “È presto, milord, ma dobbiamo accompagnare la nostra ospite dal re.”
“Perché non te ne occupi tu, mentre io vado a recuperare le uova?” , gli suggerì.
Nepenthe sbatté i tacchi a terra. “Perché voi siete il mio protettore!”
Murtagh sospirò. “Non ho proprio voglia di vedere il re anche oggi… In più siete già più protetta del re che mia.”
La giovane sospinse Derrel oltre la tenda, percependo il malumore dell’umano adulto. Si avvicinò poi al letto, sedendosi accanto a lui. “Cosa vi turba, Cavaliere?”
“Vorrei non essere mai giunto qui.” , rispose laconicamente, “Questo posto mi porta a galla brutti ricordi.”
“L’ospitalità del mio popolo non è stata degna della prigionia sotto il governo di Ajihad?” , scherzò lei. Murtagh si morse il labbro. “È stata molto calorosa. Forse anche più di quanto non mi aspettassi e non meritassi.”
“E quindi se non siete scontento delle cure del popolo nanico, cosa è andato storto nella vostra permanenza? Vi sto tediando con la mia presenza? O facendo sprecare tempo prezioso?”
“No, è che…” , fece una lunga pausa in cui espirò più volte tutta l’aria che aveva in corpo, “Ho iniziato a ricevere il perdono per le mie colpe dalle persone da cui più lo anelo - e non solo ora, ma da quando ho deciso di rivestire i panni di Murtagh Morzansson - , ma non da Orik.”
La nana lo guardò seriamente. “Avete ucciso senza motivo suo padre.” , disse lucidamente, ma senza risentimento nel tono.
“Non fu senza motivo, in realtà. A ogni modo non mi avrebbero compreso, se avessi detto che il re si aspettava da me una dimostrazione di forza degna del suo precedente Cavaliere fedelissimo, il suo stesso figlio. Fino ad allora mi riteneva capace di eseguire solo le sue imposizioni magiche, perché al mio primo incarico non feci altro che fuggire davanti alla realizzazione delle atrocità che avrei dovuto compiere.”
La nana annuì. “Sono a conoscenza della vostra storia - e posso comprendere i motivi delle vostre azioni, seppur non perdonarle - , ma vi assicuro che re Orik non vi sta prendendo di mira - almeno senza un motivo, a differenza di quanto non abbiate fatto voi con suo padre -"
Murtagh emise un colpo di risata. “Mia moglie mi ha detto lo stesso dopo averla torturata e fatta soffrire, nonostante l’amore che provassi per lei.”
“Stavo dicendo:” , continuò lei fingendo di non essere stizzita di esser stata interrotta, “…per rendere la vostra vita un inferno, quanto più sta cercando di capirvi, Cavaliere.”
I loro occhi s’incrociarono per qualche istante, intensamente. Ci fu un lungo e pregno silenzio, in cui il giovane capì che nonostante fosse tornato prima di aver guarito le sue ferite e sapesse che avrebbe dovuto farlo da sé - sostituendo il tempo - , avrebbe dovuto continuare a soffrire: in modo diverso, meno violento e ingiusto, eppure la sofferenza sarebbe stato il sale che avrebbe bruciato la sua carne, ma che l’avrebbe anche resa insensibile via via, fino a curarla definitivamente. Era un pensiero amaro, ma estremamente lucido, privo di paura al pensiero del percorso della sua guarigione.
Il moro sbuffò, tirandosi in piedi finalmente e prendendo a vestirsi. “Ti ringrazio, Nepenthe. Se c’è una cosa che avere una presenza femminile stabile al mio fianco mi ha insegnato, è che è giusto ascoltare voi donne: quello che avete da dire è estremamente lungo e tortuoso, ma anche estremamente vero e importante.” , disse con lusinga.
Lei scosse il capo. “Non avete capito nulla, allora.”
“Come?!”
“Non è perché sono una ‘donna’ che fa di me un essere più saggio. È vero che sin dall’infanzia sono le nostre madri che ci mostrano la via del mondo, e lo fanno accompagnandoci, non gettandoci in pasto al Destino come i nostri padri, ma la nostra saggezza risiede solamente nel poter riflettere ed esprimere il nostro pensiero senza temere di risultare deboli.” , sospirò seria, “Voi uomini siete incastrati in un’armatura che vorrei poter vedervi abbandonare, prima o poi. Anche Orik, a esempio, vi ha raggiunto ieri sera per dirvi di sicuro di più delle parole dure che mi riferite esservi scambiati. Avete intenzioni da agnelli, ma alla fine vi comportate come arieti.”

  
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