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Autore: EllyPi    21/11/2022    0 recensioni
Dopo la morte del tiranno Galbatorix ognuno prese la sua strada, due donne sedevano sui loro troni, due cavalieri alla ricerca di qualcosa. Il destino a volte porta a risultati diversi da ogni speculazione e previsione. Come procederà la storia di Alagaesia dopo la pace?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castigo, Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nasuada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando uscì dai tunnel nella montagna, scegliendo appositamente di percorrere a ritroso la strada che anni prima aveva completato assieme a Eragon e Saphira, la vista della vallata fu la goccia che fece traboccare il vaso di quel miscuglio di emozioni che era stato quel tuffo nel passato. Si asciugò le lacrime che gli imperlavano i lati degli occhi velocemente, i passi a breve distanza l’uno dall’altro di Orik che risuonarono dietro di lui. Ben presto, anche il carretto che trasportava il baule di uova li raggiunse, e Castigo dal cielo, richiamato dal suo Compagno attraverso il legame mentale. I nani, che trainavano e indirizzavano i muli che guidavano il carretto, si abbassarono bruscamente, i residui di paura ancora dalle battaglie della Guerra.
Castigo atterrò infine abbastanza lontano, per tranquillizzare anche la popolazione che si era affacciata alle aperture nella roccia, in alto verso la vetta della montagna.
Murtagh ruppe quel momento sospirando, poi voltandosi indietro per afferrare il baule con le proprie mani, emettendo un lieve grugnito quando lo fece ondeggiare fino a portarselo, con un unico fluido movimento, su una spalla. Orik si strofinò la barba sotto il naso, nascondendo l’imbarazzo del momento. “Dove andrai adesso, Cavaliere?” , chiese monotono.
Il più alto tentò di fare spallucce, ma non riuscì. Decise allora di parlare. “Continuerò il mio viaggio verso e attraverso il Surda, poi di nuovo alla volta della capitale, se non dovessero schiudersi uova. Mi ritirerei fino al prossimo viaggio da mia moglie e mio figlio.”
Orik incrociò le braccia tozze al petto. “Ti chiedo di portare i miei saluti a Nasuada.”
Murtagh annuì, continuando a percepire un fremito da dentro una delle uova. Come era possibile che nonostante la vitalità del cucciolo non si era più percepito, una volta aperto il baule? Era comprensibile che non si fosse schiuso, non avendo trovato il proprio Compagno, ma addirittura arrestarsi in quel modo sembrava inusuale.
“Al prossimo incontro, re Orik. Spero che la fortuna ti assista con quella fanciulla.”
Il nano rise di gusto. “La proteggerò, puoi stare tranquillo.”
Murtagh prese a camminare, cercando di muoversi quanto più cautamente possibile, per non rischiare di spezzarsi una caviglia nel terreno sconnesso sotto il peso del baule.
Orik si circondò la bocca con le mani. “La prossima volta potrai portare tuo figlio a vedere una davvero bella città!” , gli urlò in giocoso scherno.
Senza voltarsi, staccò un braccio dal suo carico, sventolandolo in aria per fargli cenno affermativo.
Incantò il baule perché viaggiasse seguendoli senza scossoni, e in uno spazio invisibile, poi spiccò il volo assieme al suo compagno.
Mi sembra che il nano sia meno ostile nei tuoi confronti. , commentò Castigo.
Mi sono comportato in modo esemplare, portando i miei ossequi a suo padre. Ma la cosa più stupefacente è che ho probabilmente trovato una moglie per il re!
Mai nulla per me... , protestò Castigo scherzando.

 

Visitarono alcuni villaggi, facendo toccare a tutti i ragazzi a disposizione le tre uova, con particolare attenzione a quella verde, che nuovamente si immobilizzava all’apertura del baule.
Solo nella cittadina di Cithrí, quell’abitudine dell’uovo non si ripeté. Murtagh allora domandò un incontro con il capo del villaggio, un ricco uomo dalla pelle di intermedio tono, coperto di oro e seta gialla, perché avvisasse per il giorno successivo tutta la popolazione di dover partecipare alla Cerimonia, organizzando i proprietari di bottega e i pescatori per poter essere testati per primi.
Nel sentire che il primo nuovo Cavaliere si sarebbe rivelato nella sua città, dandogli maggiore prestigio di per certo, l’uomo si rivelò molto accondiscendente. Murtagh sapeva che la sua sensazione al braccio sinistro avrebbe potuto essere solo una rimembranza errata, ma si ricordava chiaramente il momento in cui l’aveva ricollegata alla premonizione della schiusa del suo drago, decidendo di fidarsi anche quella volta dei suoi sensi. Probabilmente un essere comune non provava lo stesso, ma lui in quanto figlio di un Cavaliere - di una stirpe in realtà - aveva già in sé la magia che lo collegava ai draghi, rendendolo particolarmente ricettivo.
Attraversò la città in fermento, vedendo i soldati bussare alle case, urlando indicazioni e segnando eventuali esigenze. Tornò da Castigo, nello spiazzo erboso che avrebbero usato come letto, e preparò la cena. Si mise a osservare le stelle, sfiorandosi la moneta che aveva al collo, l’amuleto portafortuna ricavato da un pezzo d’oro coniato l’anno della nascita del figlio. Avrebbe avuto bisogno di tutta la fortuna, perché nonostante il braccio non gli desse riposo, la sua mente gli rimandava tutti gli scenari peggiori che avrebbero potuto accadere se l’uovo non si fosse schiuso, nonostante le sue promesse al capo di quel luogo.

 

L’alba filtrò attraverso le sue palpebre, il sole in quel luogo era forte e insopportabile già dalle prime ore del giorno. Si andò a lavare al fiume, poi si vestì con i migliori abiti ricamati con draghi che aveva con sé. Le persone meno colte avrebbero potuto scambiarlo per il re, agghindato in quel modo. Invece, il tanto odiato figlio di Morzan, stava sfilando per le strade della cittadina in pieno sole, come mai aveva avuto il lusso di poter fare. Si era sempre dovuto nascondere e questo cambiamento - che potesse essere sempre benaccetto o meno - era solo da attribuire alle doti di Nasuada. Lo aveva salvato anche da quella che gli era sempre sembrata l’inevitabilità di dover abbandonare il suo nome, celarlo e nasconderlo, rendendolo invece libero di ripulirlo per poi in un futuro sfoderarlo con orgoglio. E ogni volta che i suoi occhi ambrati si posavano sul bel Cavaliere, non vi era dubbio sulla buona riuscita di quel processo.
Alzò il mento come avrebbe fatto lei, issando il baule con le uova su un carro dorato che lo attendeva in una piazza, assieme al capo di Cithrí.
La prima folla era già accalcata nella piazzetta, sotto una piattaforma. Col carro issarono il baule su di essa, con l’aiuto di alcune guardie della corona scelte dal capo in persona.
Persona dopo persona, le uova vennero timidamente toccate da tutti i presenti, sotto lo sguardo di alcuni curiosi assonnati, affacciati alle finestre dei palazzi che davano sulla piazza.
Quando una donna, il cui volto tra la miriade di persone che Murtagh vide quel giorno non riusciva a ricordare già dopo averla osservata allontanarsi, si presentò assieme alle sue figlie, uno dei soldati si mosse a disagio al limitare del campo visivo del Cavaliere, catturando la sua attenzione. E il formicolio al braccio riprese. Guardò alla pietra verde, senza però notarvi movimento.
“Tu.” , lo chiamò atono, ma cercando di non suonare intimidatorio.
Il soldato fece un passo avanti. “Cavaliere, è tutto in ordine nella piazza, come posso aiutarvi?”
Murtagh guardò di sfuggita la pietra, mordendosi il labbro. “Voi soldati non siete stati sottoposti alla Prova.” , ragionò.
L’uomo alzò le spalle, sotto il cuoio indurito. “No, ma siamo tutti uomini adulti, che senso avrebbe?”
“Io sono divenuto Cavaliere all’età di diciotto anni, non esiste un limite massimo d’età per un drago.”
Il soldato rise. “Dovrebbero esserci invece, nessuno è più agile e fresco dopo le prime venti estati. Se fossi in loro, cercherei carne fresca.”
“Cercano un Compagno, non certo cibo tenero e delizioso.” , sbottò freddamente Murtagh.
Indicò poi il baule. “Toccate anche voi le uova, ora.”
“Perché?” , chiesero i soldati in coro, spaventati.
“La folla sarà tranquillizzata nel vedere voi soldati sottoporvi alla Prova come loro. Non è la stessa sensazione, in guerra, se il Generale scende in campo con le truppe?”
Il primo soldato interpellato, il più anziano, annuì seriamente. “Andrò io per primo.”
Murtagh avrebbe voluto rispondere affermativamente, se non fosse stato per una fitta così forte al braccio da raggiungergli il cuore. La vista si fece grigia, poi bianca e infine nera per qualche istante, mentre le orecchie gli fischiavano.
Quando riacquistò la vista, il soldato stava fissando con occhi sbarrati in basso, dentro il baule.

 

Un cucciolo di drago era acciambellato nel liquido che lo accoglieva nel suo uovo, ora sbriciolato sul tessuto pregiato. Di un verde bocciolo come l’uovo, il piccolo osservava il mondo con due occhi dello stesso colore, spaventato. Il suo futuro Cavaliere era interdetto, e fissava l’esserino e la sua mano, mentre con l’altra si stringeva il polso per attutire il bruciore, che Murtagh conosceva bene. Esclamò e saltò in piedi, accostandosi al soldato dai capelli rossi.
“Come ti chiami?”
“Sol-… soldato Reenan, Cavaliere.” , gli rispose lasciando il labbro inferiore tremare.
“Non sei più un soldato, ma un Cavaliere anche tu, in addestramento.” , gli disse con quanto più tatto riuscì a trovare in corpo.
Il fulvo sbiancò. “Non posso essere un Cavaliere… Ho una famiglia!”
Murtagh sapeva che si sarebbe presentato quel problema, assieme al tentativo di far ritornare i Cavalieri dei Draghi. Soprattutto sottoponendo chiunque, senza limitazioni, alla Prova.
E il primo cucciolo si era schiuso per un soldato, un padre di famiglia da quanto aveva udito.
Gli mise una mano sulla spalla. “Anche io ho un figlio e una moglie, ma essere un Cavaliere non mi impedisce di vederli. Anzi, li rende orgogliosi della missione che sono chiamato a servire.”
Uno dei suoi compagni si fece avanti, dandogli una pacca rinforzante su una spalla. “Sei fortunato, soldato! Non dovrai più mangiare cibo triste e passare lunghe notti di veglia.”
Murtagh avrebbe avuto da ridire, ma si trattenne, perché quelle parole strapparono un sorriso al fulvo. Il moro gli posò una mano su una spalla. “È una bella vita quella che ti aspetta davanti.”
Vivrai in eterno, con tutto ciò che questo comporta. Vedrai morire tua moglie e i tuoi figli, vedrai guerre e paci fatte, sovrani succedersi e capricci di nobili…
Non farti prendere anche tu dalla disperazione, essere Cavalieri è un onore, è essere liberi da spazio e tempo. , lo ammonì Castigo, fremente di gioia.
“Va’ a casa e avverti tua moglie di essere stato promosso, e che andrai a conoscere la regina e il Cavaliere Eragon.”
Reenan annuì ancora incredulo, poi corse via, facendo pigolare il cucciolo verde tra le braccia di Murtagh. Si infilò il mantello, e gli altri soldati issarono il baule sulla cavalcatura con cui era giunto.
Si avvicinò al bordo della piattaforma, alzando il cucciolo oltre la testa, sulle mani giunte.
“Una nuova generazione di Cavalieri sta rinascendo per proteggere la vostra libertà e le vostre vite. Abbiate pazienza e fiducia che questo mondo non tornerà un mondo cupo come era solo un anno fa.” , gridò trattenendo le lacrime di commozione.
La folla esultò, mentre il giovane moro fece cenno ai soldati di disperdere i presenti e rinviarli alle loro case.

 

Arrivò finalmente alla sua tenda, seguito da alcuni soldati che scortavano il baule con le rimanenti uova, il piccolo draghetto ingiustamente rinchiuso in una gabbia da uccelli: aveva incontrato l’amministratore della città in cui il primo uovo si era schiuso e avevano pranzato assieme - siccome l’uomo aveva insistito di volerlo ringraziare per aver dato risalto alla sua città prima di tutte le altre d’Alagaesia, anche se Murtagh non aveva meriti di per sé, perciò si era ritrovato costretto ad accettare - , ma il neonato rettile aveva subito spaventato l’ospite, perciò una guardia aveva afferrato una gabbia e aveva cercato di rinchiudere il drago. Murtagh lo aveva prontamente bloccato con la magia, sgridandolo aspramente, ma l’amministratore lo aveva persuaso subdolamente ad accettare di riporlo dentro una gabbia per sicurezza del drago e degli abitanti della città.
Dunque il Cavaliere rosso non aveva tardato a terminare il pranzo quanto prima possibile, rimettendosi in viaggio in direzione del suo accampamento.
L’enorme drago rosso, che lo aveva osservato dal cielo per tutta la prima metà della giornata, atterrò davanti a lui appena ebbe lo spazio per farlo, quasi bisarcionando il Compagno da cavallo.
Scese imprecando tra sé, anche perché il traghetto si stava pericolosamente dimenando per la paura nella gabbia, rischiando di spezzarsi le ali.
Il rettile rosso ringhiò, quando lo vide. Liberalo subito! , ordinò.
“Che succede?” , si udì provenire dalla tenda, dalle giovani e spaventate labbra di lord Derrel.
Le guardie lo tranquillizzarono come poterono.
Castigo, calmati! Sai che non ho voluto io che venisse rinchiuso. Ora lo libererò, e farò in modo che non venga mai più messo in gabbia…
La mente dell’enorme animale pulsava di risentimento - non verso il suo Compagno, ma verso il Re Nero, che lo aveva tenuto in cattività sin dalla sua nascita, per coercizzare il giovane Murtagh a compiere ciò che Galbatorix voleva da lui - , le immagini che i suoi giovani occhi avevano registrato che riaffioravano come un fiume in piena.
Murtagh usò la magia per tranquillizzare il piccolo traghetto verde, osservandolo con attenzione per la prima volta: era meno spinoso di Castigo alla sua stessa giovanissima età, e aveva occhi languidi, quasi vacui. Di sicuro non avrebbe incusso paura, una volta adulto, come Castigo.
Quando ebbe visto che il cucciolo ancora senza nome era ritornato completamente quieto, infilò la mano nella gabbia, prendendolo sull’avambraccio e poi piegandosi sui talloni per metterlo a terra. “Va’ a incontrare il tuo maestro, piccolo.” , disse con orgoglio, sentendo qualche lacrima riempirgli le palpebre inferiori.
Castigo si accucciò e il piccolo color bocciolo si zampettò vicino, istintivamente curioso di vedere un suo simile. Il rettile rosso si commosse anche’egli, dopo aver annusato il cucciolo.
I draghi stanno tornando, non siamo noi gli ultimi tre esemplari viventi!
Murtagh asciugò le proprie lacrime, voltandosi verso le porte della città, chiedendosi se mai Reenan sarebbe ritornato dal suo Compagno.
Tornerà, questo cucciolo è parte di lui, ormai. , lo rincuorò Castigo dopo qualche istante di silenzio.
Il Cavaliere si riscosse, voltandosi verso la tenda. Fece un cenno verso i soldati della regina, che si erano distaccati dal contingente della città per badare a lord Derrel, per concedere loro del riposo. “Lord Derrel?”, lo chiamò.
Il bambino rispose come gli aveva insegnato: chiedendogli, prima di uscire allo scoperto, chi lo cercasse. Lo anticipò entrando nella tenda per primo, e il bambino corse verso di lui emozionato.
“Potrò vedere il cucciolo di drago?” , gli chiese con mal celata emozione.
Murtagh annuì, abbassandosi sui calcagni. Il draghetto che aveva recuperato da Castigo saltò giù dalle sue braccia, pigolando all’essere umano per lui di nuova conoscenza, in saluto.
“Ha un nome con cui possa chiamarlo?”
Murtagh si morse il labbro. “Il suo Cavaliere è andato a salutare la sua famiglia, capisci che non sia un tuo giocattolo?”
Il bambino annuì leggermente stizzito.
“Molto bene. Potrai tenergli compagnia e insegnargli i nomi degli oggetti in questa tenda, se vorrai.”
“Quanto mancherà il suo Cavaliere?”
Murtagh non seppe rispondere, stupito dalla domanda candida del bambino. Un adulto sapeva che l’abbandono era una possibilità da considerare certamente, mentre un bambino non ne era capace. Anche lui stesso, si ricordò, che aveva continuato a chiedersi quanto sarebbe stata lontana sua madre quella volta, dall’ultima che l’aveva vista partire. Eppure Selena non era mai tornata, e il piccolo Murtagh non aveva accettato questa realtà nemmeno quando il re aveva gli comunicato che entrambi i suoi genitori fossero morti. Gli ci erano voluti anni per comprendere di essere stato abbandonato. Prese il necessario per preparare la cena: carne secca che tagliò in pezzi, mettendoli in acqua e spezie a cuocere sulle braci lasciate accese dai soldati.
Guardò intanto il bambino giocare con delicatezza con l’animale, cercando di smuovere gli istinti di questo, muovendo una mano nascosta sotto il tappeto. Ogni volta che questo saltava, palesemente senza sufficiente forza per raggiungere l’obiettivo, Derrel rideva di gusto.
Murtagh gli passò dietro dirigendosi alla sua branda, accarezzandogli la testa di capelli scuri con affetto.
Cercò di immaginarsi la gioia che avrebbe provato vedendo anche suo figlio giocare così con un drago: due cuccioli - uno di Cavaliere e uno di drago - crescere insieme, con spontaneità e magia - sia metaforica sia fisica - . Gli avrebbe giovato allo spirito, ne era certo.
Prese una pergamena e scrisse qualche pensiero, come era solito fare quando si sentiva ispirato.
Scrivere lo aiutava a pensare, a comprendere le sue emozioni e fissarle sulla carta.
Nel frattempo dentro la tenda la luce del sole che filtrava dal tessuto si fece via via più fioca, finché non scomparve completamente, lasciando il fuoco come unica fonte di illuminazione.
Murtagh scattò in piedi, percependo una presenza all’esterno della sua tenda.
“Sta’ qui, Derrel. Di tanto in tanto, accudisci alla cena, senza bruciarti.” , gli disse con decisione. Il bambino annuì, stringendo al petto il cucciolo di drago con più forza, ma senza fargli male. Il piccolo pigolò contento di quell’abbraccio materno.
Il Cavaliere scostò la tenda, uscendovi solo con la metà destra del corpo, stringendo con la sinistra già Zar’ Roc a sé. Ma non vi fu bisogno di sfoderarla, siccome riconobbe subito il neo-Cavaliere, anche senza la divisa da soldato.
“Reenan, bentornato. Speravo di rivederti qui, ma stavo perdendo la fiducia, in realtà.” , lo salutò.
Reenan sospirò. “Volevo fingere non fosse mai accaduto - che quel drago si schiudesse davanti a me - , ma è successa una cosa così strana…” , spiegò alzando le spalle più volte, come a voler scrollare un pensiero, “Sentivo la tristezza come di un bambino, la sensazione di abbandono. Poi ho visto l’enorme occhio rosso del vostro drago, come se vi fossi io di fronte a esso.”
“È il legame con il cucciolo. Si crea alla sua schiusa ed è inscindibile.” , illustrò Murtagh.
“Io non ho mai chiesto questo…”
“Nessuno può scegliere di diventare Cavaliere o meno.”
Gli fece un gesto di invito all’interno della tenda, proprio mentre il cucciolo di drago squittì di gioia, sentendo il suo Compagno avvicinarsi.
Il piccolo era sfuggito a Derrel, e li attendeva a un piede dall’entrata, pestando alternatamente le zampe a terra, facendo le fusa.
“Oh, immagino lui sia il nuovo Cavaliere.” , mormorò il bambino che era in ginocchio, proteso verso l’animaletto.
“Immagini bene, Derrel. Lui è Reenan, tornerà con noi a Illirea.”
Il nobile bambino sorrise. “Avrò qualcun altro a farmi compagnia.”
Murtagh gli fece cenno di alzarsi e di raggiungerlo. Lo tenne premuto alla sua gamba in modo protettivo, mentre introduceva i due sconosciuti.
Stranamente, il bambino gli strinse la mano senza timore, forse perché Murtagh gli aveva detto che sarebbe divenuto anche lui un Cavaliere a tutti gli effetti, un giorno.
Un pensiero balenò in testa al moro. “Dove si trova la tua famiglia? Ti hanno accompagnato?”
L’adulto scosse il capo. “No.” , rispose laconicamente, ingoiando saliva ripetutamente.
“Non hanno accettato la notizia?” , chiese cautamente Murtagh.
Reenan scosse nuovamente il capo, alzando poi le spalle. “Mia moglie è stata di supporto come sempre. Come una moglie deve essere.”
“Lascia che ti offra da bere mentre aspettiamo che la cena venga pronta.” , suggerì Murtagh cercando di sembrare quanto più conviviale gli riuscisse.
Reenan accettò, prendendo della birra in un boccale di legno.
I due adulti si sedettero su due ceppi di legno coperti con dei tappeti, in un angolo della grande tenda. Il piccolo rettile verde zampettò subito verso il suo Compagno, pigolando insistentemente finché questo non lo accarezzò. Allora si quietò, balzandogli in grembo. Reenan sorrise involontariamente.
“È sparita la sensazione ora?” , s’informò Murtagh vagamente.
L’altro annuì. “Lui - se è un lui - sta bene?”
Con intensità, il Cavaliere rosso fissò il draghetto, percependo subito la potente emanazione della sua contentezza. “Sì, si è quietato finalmente.”
Reenan sospirò, stranamente fin troppo a lungo per trattarsi solamente di apprensione per il neonato.
“Io sono Murtagh, ti chiedo perdono per non essermi ufficialmente presentato dopo… gli sconvolgimenti di oggi - per te, ovviamente, così come per me: non avrei mai aspettato un uovo si schiudesse così presto - .”
Gli mostrò il palmo con la cicatrice a favore della luce del fuoco. “Sono un Cavaliere, anche se non da molto tempo, seppur mi sembri una vita.”
Reenan la percorse istintivamente con le dita, per poi toccare la propria, per verificare che fossero identiche in consistenza.
Quando realizzò, impallidì. “I-io cosa sono, q-quindi?”
“Un Cavaliere in addestramento. Ti fornirò io le basi, poi ti accompagnerò da Eragon, nel luogo dove ha deciso di crescere con creature come noi.”
“Quanto ci vorrà?”
Murtagh alzò le spalle. “Il tempo che Eragon e gli Antichi riterranno sufficiente. Io e lui abbiamo completato il processo di addestramento in modi poco ortodossi e velocizzati, per via della situazione che dilagava in Alagaesia, perciò non posso fornirti una stima certa.”
“Che cosa fanno i Cavalieri?”
“Difendono questo mondo con mezzi superiori alla mera violenza o forza fisica.”
“Intendete con la magia?”
Derrel drizzò la testa. “Oh, sì! Il Cavaliere Murtagh è il miglior mago che esista al mondo!”
Murtagh liquidò le lusinghe, e entrambi tornarono a occuparsi di ciò che stavano facendo precedentemente.
Il neo-Cavaliere alzò un sopracciglio guardando al bambino di meno di dieci anni che mescolava assorto la zuppa. “È vostro figlio?” , chiese a Murtagh.
“‘Tuo’, te ne prego, io e te un giorno piuttosto prossimo saremo pari. Comunque, no, lui non è mio figlio. È il mio Protetto.”
Reenan strinse le labbra in una riga sottilissima, turbato. “È da irresponsabili portarsi per il paese un Protetto, per giunta un bambino! Sarete in grado di proteggerlo veramente se qualcuno dovesse tendervi un’imboscata?!” , sibilò.
Murtagh si protese in avanti, perché stavano parlando sottovoce, per non turbare il bambino. “È più sicuro con me che alla corte. Io e mia moglie abbiamo a cuore la sua vita, ma di nessun altro possiamo dire lo stesso. Nasuada è occupata con il governo e la segretezza impedisce a Derrel di stare con lei. Mentre molti hanno reverenzialmente premura della vita del futuro re di Alagaesia, non si può dire lo stesso per lui, lasciandolo in balìa degli eventi di corte. In più mi sono promesso di insegnargli la libertà, e solo lavorando per l’Ordine dei Cavalieri un uomo si può chiamare veramente ‘libero’.”
“Perciò non gli ordineresti mai di rimanere al tuo fianco a combattere?” , lo sfidò.
Il Cavaliere rosso scosse il capo, con sorpresa dell’altro. “Sarei io a rimanere a difendere la sua, o in casi estremi, a permettergli di avere il tempo di scappare dai pericoli e mettersi in salvo.”
L’altro guardò la sua pinta di birra con curiosità. “Quindi è questa la vita di un Cavaliere, morire per gli altri? Non sono sicuro di volerlo fare, allora. Ho una famiglia da difendere, sempre e comunque.”
“Anche io. Ma non ti verrà chiesto di combattere in una fazione. Non sei un soldato per l’esercito dei Cavalieri. L’esempio dei Cavalieri degli ultimi secoli non corrisponde a ciò che detta il codice morale dell’Ordine, temo. Io e mio fratello abbiamo combattuto in due fazioni, al posto di essere senza parti. Noi Cavalieri stiamo cercando di ripristinare la vecchia gloria e i vecchi compiti dell’Ordine. Difenderemo la pace e gli oppressi in molti modi, per ultimo la violenza.”
“Detto dal figlio dell’uomo che ha aizzato una guerra tra i suoi stessi compagni, finché non si sono distrutti e non hanno dilaniato il mondo come era, non ha molta credibilità.”
“Mio padre mi ha fatto il favore di morire ai miei tre anni, perché io potessi ribellarmi al suo scempio.” , mormorò Murtagh prendendo il primo sorso della sua birra. Storse il naso perché lui preferiva da sempre e di gran lunga il vino - purtroppo, ‘da vero figlio di suo padre’ - .
“A proposito, immagino tu sappia che il mio ruolo a corte è di Primo Cavaliere della regina Nasuada.” , aggiunse.
Il fulvo annuì. “Ho udito dal mio superiore che la nuova sovrana abbia un Cavaliere al suo servizio, un Cavaliere che è più di un servitore…” , gli rispose con lieve imbarazzo nella voce, roteando il boccale per mescolare la birra.
“Sì, sono suo marito, per quanto strano suoni… E nostro figlio è il futuro re di Alagaesia.”
Reenan sbarrò le palpebre. “Un figlio? Mi è giunta voce del matrimonio della nostra regina solo un mese fa…”
Murtagh fu indeciso se rivelare la verità o se mentirgli, minando così l’immagine della moglie. Espirò. “Il nostro matrimonio è stato imposto da Galbatorix, altrimenti Nasuada non avrebbe mai sposato il figlio di Morzan.” , gli spiegò una volta che ebbe trovato un accordo con sé stesso.
“No, infatti, fino a ora non riuscivo a spiegarmelo.” , finì in un sol sorso la bevanda, “Questo mi preoccupa, per l’incolumità della regina e ora della mia.”
“È conosciuto a pochi il giuramento strappatomi dal re, che mi costringeva con la magia a compiere atti indicibili come suo servitore.” , gli spiegò Murtagh, “Ma non è nella mia indole la crudeltà. Purtroppo per i miei genitori, io non ho ereditato quasi nulla da loro.”
Reenan rise amaramente. “È quello che direbbe chiunque prima di tagliarti la gola nel sonno.”
“Ma non lo farò: sei un Cavaliere dell’Ordine a cui appartengo. Il lavoro che svolgo quotidianamente è incontrarvi e avviarvi al nostro stile di vita.”
“Che sarebbe uccidere la gente al servizio di una causa maggiore - che dite di non avere, ma che di fatto esisterà sempre - , allora? Diventare dei regicidi come voi ed Eragon siete?” , sbottò il fulvo, ormai alticcio.
Murtagh rimase impassibile all’affronto, facendo diminuire nell’altro la sicurezza. “In guerra ci siamo macchiati di crimini gravi, ed eravamo coadiuvati dal pensiero che il fine giustificasse i mezzi, ma non sempre è così. Dunque ora, in questo periodo di pace, vorrei che i Cavalieri tornassero al loro compito di moderatori, non di soldati dai poteri sovrannaturali.”
Reenan tirò su col naso. “Siamo uomini, o elfi, o nani, o Urgali… possiamo fingere che risolveremo i conflitti pacificamente, ma quando la diplomazia non avrà effetto, torneremo alle armi come abbiamo sempre fatto. È per questo che girate accompagnati da una spada anche in tempo di pace.”
Il moro sospirò alla ragionevolezza dell’altro. “Sei un soldato, è inutile cercare di convincerti del contrario.”
“E dirmi di essere libero di scegliere di diventare un Cavaliere: se non dovessi accettare, che ne sarebbe di quel cucciolo?”
Murtagh fece un lungo silenzio. “Io… vorrei cambiare il mondo, davvero.”
“Nessuno ne è capace. È un’opera enorme persino per il vostro drago.”
Eppure mio padre e i suoi complici ci sono riusciti…
Castigo gli inviò l’odore delle mattine di sole, dopo la pioggia notturna. Hanno mandato tutto nel baratro perché esistessero cocci da ricomporre a nostro piacimento. Magari tu e io non riusciremo a cambiare il mondo, ma è l’unione a fare una vera forza.
“Se fosse per me, chi non desidera in cuor suo di entrare nell’Ordine, può vivere con il proprio drago in libertà.”
“Non sarebbe pericoloso per l’immagine di voi Cavalieri? Cosa direbbe la gente se vi lasciaste scappare dei membri preziosi, se lasciaste il potere di un drago libero di autogestirsi?”
Murtagh si morse il labbro. “Servirebbe a insegnare alla gente comune come si possa di nuovo convivere con i draghi, ora che sono ritornati. Ma gli Antichi non condividono con me questo pensiero.”
“Ovviamente no: a loro servono membri tra le loro fila per chiamarsi di nuovo un Ordine.” , spiegò, “Quando ho udito quale sarebbe stato il mio compito per questo giorno, avrei voluto rifiutare. Sin da quando siete ricomparsi, ho sperato di non dover incrociare mai la via con uno di voi.”
Murtagh strabuzzò gli occhi. “Per quale motivo, se posso chiedere, ti creiamo questo rigetto?”
Reenan sospirò. “Rifletti sulla parola che usate a definire un gruppo di Cavalieri: Ordine. Sono stato un soldato per necessità, mai per vocazione. Esattamente come voi non siete Cavalieri per vocazione, perché siete stati reclutati attraverso un uovo di un animale magico a compiere il vostro destino.”
“È corretto, ma non vedo il punto di tanto odio, se per te siamo come soldati.”
“Perché vivrete in eterno! Prima la mia vita avrebbe avuto un termine, avrei trovato la pace, invece ora dovrò continuare a servire una causa in cui non credo per sempre!”
Murtagh fece un sorrisetto sghembo, guardandolo intensamente negli occhi. “Non credi alla nostra causa perché non la conosci. Eragon non la conosceva, ma ha lottato secondo gli insegnamenti del Cavaliere suo padre. Io ho sempre vissuto conoscendo i vecchi motivi che muovevano l’Ordine, quelli che Galbatorix e Morgan hanno sempre tentato di cancellare, perciò è stato più facile crederci, ma non ti posso dire che fino alla morte di Galbatorix anche io li rinnegavo perché li credevo irrealizzabili.” , spiegò sentendo le lacrime ammontargli agli occhi, “Eppure, se nessuno vi crede e combatte perché tali ritornino realtà, resteranno effettivamente solo idee tediosamente utopiche.”
Il fulvo grugnì. “Dovrei odiarvi di meno, dopo che vedo che ti brillano gli occhi solo perché hai sempre segretamente sognato di diventare Cavaliere e ora lo sei?”
L’altro si bloccò scioccato.  “È vero, per quanto lo negassi, ho sempre voluto diventare Cavaliere, perché ho udito storie delle loro grandi gesta, e avrei voluto diventare un eroe come loro.”
“Alla fine, sei diventato un eroe?”
“Non posso reputarmi tale. L’unico che posso chiamare eroe è Eragon, perciò questa conversazione credo dovresti averla con lui.”
Se la tua passione non lo ha convinto, Eragon non avrebbe nulla da dirgli.
Magari qualche sciocchezza pacata trasmessagli a Ellesméra.
Castigo rise.
“Il tuo drago non è d’accordo.” , puntualizzò Reenan lucidamente.
“Non curarti di lui. Se odi noi Cavalieri, perché sei qui?” , cambiò tattica Murtagh.
L’altro fece un’espressione offesa. “Mia moglie rigira le questioni in suo favore allo stesso modo.”
Risero assieme, casualmente.
Reenan fissò il fondo del suo recipiente per bevande. “Non so perché sono venuto da voi. Forse perché ho continuato a fare il mio dovere come sempre.”
“Posso farti una domanda personale?” , esordì Murtagh con tono solenne, allora.
L’altro gli diede il permesso annuendo col capo.
“Hai mai avuto un desiderio in vita tua?” , fece una pausa, “Qualcosa che hai desiderato per più di un solo istante.”
L’altro emise un colpo di risata. “Diventare qualcuno di speciale.”
Murtagh alzò un sopracciglio, sorpreso, ma si voltò verso Derrel per nascondere la sua reazione.
“Ma immagino di averlo messo da parte da quando ho trovato moglie e ho messo su famiglia.” , si affrettò ad aggiungere il neo-Cavaliere.
Il moro si schiarì la gola. “Immagino che ti senta come se il Destino ti abbia giocato un bello scherzo.”
Il fulvo sospirò in conferma.
“Sono dispiaciuto solo per la mia prole, che non avrà più un padre. Mia moglie, per quanto ci amiamo, è stata sollevata della notizia.”
Murtagh strabuzzò gli occhi, quella volta ignorando di essere visto.
“Non sembri un uomo cattivo o disattento, da essere un pessimo marito.” , disse diplomaticamente Murtagh.
Reenan fece un sorrisetto, seppur velato di tristezza. “Promettimi di insegnarmi anche come usare così bene le parole, te ne prego.”
“Lo giuro.”
“Ecco, il suo sogno era divenire una sarta - di quelle che creano meravigliosi e preziosi abiti per le lady del Surda - e aver contratto matrimonio le ha impedito di farlo: anche se non le ho mai impedito come marito di inseguire il lavoro dei suoi desideri, non l’ho nemmeno mai inviata a bottega, lasciandola a casa a gestire le nostre figlie. Ora, avendola nominata autonoma di decidere per sé e per le bambine, mi ha informato di voler lavorare perché il suo sogno divenga realtà, così come il mio.”
Fissò il vuoto a lungo. “Ho sbagliato, anni fa, a svelarle quale fosse il mio…”
Murtagh gli posò la mano sulla spalla. “Coraggio, Reenan. Nessun sogno va taciuto. Diventerai qualcuno di speciale, qualsiasi forma vorrai far assumere a tale frase.”
Reenan tirò su col naso. “Quale era il tuo sogno?”
“Non diventare come mio padre.”
“Non è un sogno!”
Murtagh annuì con forza. “Se avessi conosciuto Morzan, capiresti.”
L’altro si morse il labbro. “Ti chiedo perdono.”
“Nessun bisogno di farlo.”
“Si è realizzato?”
“Si sta realizzando ora, giorno dopo giorno…”
Il silenzio aleggiò a lungo. Derrel dovette sentirsi a disagio, perciò li richiamò per la cena, anche se questa avrebbe necessitato di qualche tempo di cottura ancora.

  
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