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Autore: summers001    20/11/2022    6 recensioni
Oscar&Andrè | probabile OOC | what if?
Si dice che il battito di una farfalla sia capace di provocare un urgano dall’altra parte del mondo. Ma cosa succederebbe allora se nella moltitudine di ripetizioni che la storia compie, ribellandosi alle regole della natura, la farfalla si posasse su un altro fiore?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 
Agathe rimase a Versailles con i principini quella mattina e solo poi vide Cyril. Giocò nervosa col suo fazzoletto tutto il giorno in attesa, fino a sera, quando scoprì che Cyril a malapena camminava: era stato ferito. Rimase con lui tutta la notte a bagnargli la fronte, sofferente nella camerata della caserma. Dalla finestra si vedeva la reggia.
“E’ bellissima, non è vero?” le disse lui e furono le uniche parole che pronunciò dal suo rientro, mentre un boccolo di capelli neri cadde sulla fronte preoccupata di Agathe, che sorrideva facendo sì con la testa. Sorrise anche lui con tutte le forze che aveva. Si fece prendere la mano, strinse come se potesse essere un abbraccio. Si voltò per catturare con gli occhi le luci del primo sole che ribalzavano sui tetti dorati della reggia. Poi chiuse gli occhi.
 
Agathe urlò, chiamando a raccolta tutti i commilitoni del suo amato, che si strinsero attorno a lei, trattenendola, come se potessero chiudere e soffocare il suo dolore. Pianse tutte le lacrime che aveva, mentre li guardava portare via il suo corpo. Si aggrappò alla sua mano, la strinse, ancora calda.
Rimase là in caserma. Il comandante non aveva il coraggio di cacciarla fuori. I soldati andavano e venivano. Rimase sul suo letto, dove aveva sudato, dormito e dove era morto. Si strinse al cuscino, mentre guardava quei tetti, disprezzandoli, convinta che fossero stati quelli ad aver ucciso Cyril. Ad ora di pranzo apprese che alcune sentinelle, giù alla Bastiglia, avevano colpito a morte Oscar Françoise De Jarjayes, la donna vestita da uomo che aveva frequentato Versailles fino a pochi anni prima. Qualche anno più tardi scoprì che quel giorno di luglio fu proprio lei a sparare un colpo di pistola nel ventre del suo amato, dove colpì e perforò prima l’intestino, poi l’arteria iliaca.
Si prese solo poche ore per piangere. Decise che lo spirito combattivo e redentore di Cyril doveva esserle d’esempio. Uscì dalla caserma e cominciò a camminare, senza guardare indietro, senza tornare mai più.
 
Se le cose fossero andate diversamente invece, Agathe avrebbe pianto sull’erba e sul selciato alla vista del corpo coperto di Cyril, dopo aver scorto il suo fazzoletto. I soldati, che nei giorni precedenti avevano sbeffeggiato Cyril mimando scene di sesso dietro alle spalle di Agathe, la avrebbero aiutata a sollevarsi dal fango e portata in caserma. Là le avrebbero raccontato che il resto della storia. Avrebbe lasciato Versailles per non tornare mai più.
 
In entrambi i casi, vedova in bianco, affamata, triste e sola, sarebbe arrivata alla Bastiglia dopo la sua caduta. Avrebbe guardato gli altri francesi gioire, saltare ed abbracciarsi. Sarebbe rimasta ad osservare prima di scoppiare a piangere al centro della piazza in mezzo alla gente che festeggiava, circondata da vino e festoni.
 
***
 
Intanto, Oscar guardava il cielo mentre il suo cuore batteva al ritmo dei fucili. Nel petto sentiva vibrare l’eco dei cannoni. Il cielo s’era fatto pieno di polvere di pietra grigia, di marrone dei mattoni che cadevano, di giallo zolfo degli spari e di rosso sangue. Erano i colori della rivoluzione.
L’aria s’era fatta irrespirabile, diffondeva un senso di claustrofobia. Oscar s’era fatta inquieta. Il pensiero dei suoi soldati tra la mischia sotto la Bastiglia, la polvere ed il fumo che infestavano l’aria già marcia di Parigi, il tanfo del sangue e delle malattie, la paura che gli tutto sarebbe crollato addosso, e persino quel sentimento che le ribolliva dentro come un fuoco le facevano venire voglia di scappare, sia sul campo di battaglia che all’esatto opposto, molto lontano. Una sola cosa invece la tratteneva, Andrè. Lui la stava chiamando dall’altra stanza preoccupato. Se non avesse avuto il pensiero della sua sicurezza, così lontana da lui appoggiata alla porta di una vetrina mezza rotta in mezzo ad una coltre di polvere, avrebbe provato senso di colpa per la sua ferita, che stava tenendo entrambi lontani dalla fuga e dalla gloria. Il senso del dovere, verso i suoi principi, le faceva fremere le mani, la volontà e l’amore le inchiodavano i piedi a terra.
“Oscar.” Chiamava lui e lo ripeteva all’infinito come se fosse convinto che la sua voce potesse salvare entrambi.
 
Lei si sentì svegliarsi come da un incanto. Lo raggiunse a passi decisi, come se stesse continuando a perseverare lungo una strada. Tutti i sentimenti negativi, la paura, la stanchezza e persino la noia, s’erano mischiati in un’unica poltiglia di emozioni che pesava sulle spalle curvandole.
Raggiunse Andrè. Si sedette su quel lettino di fortuna di fronte a lui e cominciò a tremare. Pensò che se lui non ci fosse stato, se non avesse avuto niente da perdere, sarebbe stata là, respirando in attesa di gridare, incitando lo sparo dei cannoni. Pensò a cosa sarebbe successo se lui non ci fosse stato, o peggio se fosse morto la sera prima e tremò ancora. Provò il forte desiderio di abbracciarlo, sentire la sua pelle calda sotto le dita, come due sere prima, quando sbottonandogli la giubba aveva assaggiato con timore ed intraprendenza il contatto del suo corpo. Lo guardò, quasi studiandolo, ammirando ed apprezzando la naturalezza e a normalità della sua presenza. Notò che ancora non indossava null’altro se non la camicia macchiata e strappata. Aveva entrambe le maniche infilata, ma un enorme squarcio la faceva penzolare sulle spalle, lasciando il petto e la ferita scoperti. Si guardò attorno e ritrovò il mantello che aveva usato per coprirlo poche ore prima e glielo mise sulle spalle. Lo trattò con fare materno. Poi s’appoggiò alla sua spalla, quella sana, cercando rassicurazione, calore e conforto.
 
“Hai paura?” Bisbigliò Andrè, così piano che nessuno potesse sentire.
 
Il tonfo di un’altra raffica di cannoni echeggiò nell’aria. Oscar chiuse gli occhi, come se avesse potuto isolarsi in quel modo. Li riaprì quando sentì altra polvere solleticarle la testa. Guardò in alto solo allora, come per tornare alla realtà ed annuì.
 
Andrè si strinse in quell’abbraccio premuroso. Allungò la mano offesa, si forzò oltre il dolore per prendere quella di lei, intrecciare e stringere le dita. “Va tutto bene.” Le fece con voce rassicurante. “Siamo vivi, sani e salvi. Quasi.” Aggiunse alla fine sorridendo. Si voltò ed aspettò che anche lei sorridesse e le passasse dal volto quell’espressione di terrore, che presto mutò in un colpo di tosse soffocato, di cui Andrè non si preoccupò quanto avrebbe dovuto. Aspettò che finisse, presto. Le chiese come stesse e dopo essere stato rassicurato che non si trattava di altro che di polvere, tornò a stringersi in quell’abbraccio.
 
Attesero così tutta la mattina, occasionalmente interrotti da Rosalie e Bernard che facevano loro cronaca di quello che stava succedendo. Qualche cittadino che aveva saputo dell’esistenza di quella panetteria trasformata a luogo d’aiuto, era entrato invece alla ricerca di modi per tamponare una ferita, sciacquare una bruciatura o avere qualcosa da bere per pulirai la lingua. Osservavano l’andirivieni di gente, il retroscena della rivoluzione. In poche ore sentirono tante storie diverse: i soldati stavano combattendo a mani nude; hanno sparato al generale; smontano la Bastiglia pezzo per pezzo; combattono persino dopo la morte. In tutte le storie comunque i soldati della guardia cittadina si stavano rivelando degli eroi.
 
Poi arrivarono anche loro. Urlavano, chi di dolore, chi esultando “l’abbiamo presa”. Urlavano in un unico coro tre parole: libertà, uguaglianza, fraternità. Furono stappate bottiglie, le poche che si trovavano in giro. Il vino veniva versato da uno all’altro direttamente nelle bocche dei vincitori, sui vestiti e nei capelli. Avevano fatto la nuova Francia. Tutti tra di loro si chiamavano cittadino. Tutti i soldati entrarono per rendere omaggio al capitano, raccontare delle loro eroiche gesta, mimandole persino in un racconto concitato che sapeva di alcol ed adrenalina.
 
Subito dopo arrivarono i feriti, quelli più gravi, storditi o sanguinanti. Allora tutti gli altri uscirono, perché il dolore avesse il rispetto che meritava, prima ancora della vittoria. Tra i feriti c’era anche un omone grande, che a prima vista pareva imbattibile: Alain. Lo sollevavano a tre di loro vista la stazza, uno per braccio e l’altro per i piedi. Lo depositarono con fatica proprio sul letto accanto ad Andrè. Una donna con la cuffietta azzurra in testa accorse subito da lui. La fretta e l’impegno che stava dedicando in quei giorni le nascondevano le rughe del volto. Alain aveva una ferita tra i capelli, forse un urto, una caduta o un colpo intenzionale. Non c’era più sangue ormai, non fresco almeno. Quello che c’era prima s’era rappreso alla polvere nell’aria. Questo, spiegò la donna, faceva ben sperare. “Potrebbe svegliarsi a breve.” Disse poi.
 
Tutti, Oscar, Andrè, persino Rosalie e Bernard e qualche altro soldato che si era allontanato dai festeggiamenti per sapere del suo amico, attesero. Quando aprì gli occhi, si sentì accerchiato ed urlò per allontanarli tutti. “Mica sono morto, stronzi!” Fece a tutti quanti. Gli pareva d’essersi svegliato alla sua veglia funebre. “E che avete da guardare voi?” Sbraitò, si ribellò fino a che una non lo mise calmo a letto e lui si fece accudire. S’addormentò di nuovo, mancando i festeggiamenti per tutto il pomeriggio e pure la sera.
 
Nel frattempo i medici, gli infermieri più o meno esperti, quelli che erano stati in guerra e qualcosa sapevano fare, badarono a tutti gli altri, un cittadino per volta. Un cerusico si adoperò per meglio sistemare la ferita di Andrè. Mise nella mani di Oscar acqua calda ed un panno bianco, più o meno puliti e se ne andò, chiamato da un altro ferito nell’altra stanza che chiedeva pietà.
 
Oscar si sporse sulla spalla di Andrè, per curiosare sulla ferita. Un alone rossastro disegnava ancora dei margini circolari. C’era sangue rappreso che era colato dalla ferita ormai linearizzata dalle suture. Un liquido giallo citrino bagnava i fili di cotone scuro. “Hm” le venne fuori dalla bocca.
 
“Cosa?” chiese Andrè, mascherando un sibilo di dolore.
 
“C’è del sangue.” Rispose lei. Recuperò quello che l’uomo di pocanzi le aveva lasciato. Bagnò il panno con l’acqua e cominciò a pulire, facendo attenzione a non tirare nulla, e non scucire la ferita come se fosse lo strappo di un vestito. Tenne ferma la pelle in alto e cominciò a grattare e strofinare, rivelando il colore pulito della pelle di lui.
 
“Credevo che una donna non si impressionasse per un po’ di sangue.”
 
Oscar fece finta di ignorarlo all’inizio. L’avrebbe fatto ogni altro giorno, ma si era concessa di pensare d’esser felice da quando s’era svegliato, da quando stava con lui, da quando aveva visto il suo sorriso adornargli di nuovo il viso e da quando le grida di libertà le erano entrate in testa. Ci credeva. Gli schizzò acqua dietro la nuca, dove meno se l’aspettava. Andrè rabbrividì e si mise a ridere.
Gli guardò la pelle tendersi sotto il profilo dei muscoli, il disegno dell’abbronzatura tra il collo e la camicia, l’acqua scivolargli addosso come se fosse fatto di seta e fargli venire i brividi, che si vedevano alla vista e si sentivano al tatto. Oscar passò le dita nude lungo un’unica goccia di sangue che scappò dalla ferita, ultima memoria del proiettile, per sentirlo caldo sotto i polpastrelli. Emanava calore. La sua pelle odorava di cuoio caldo e di pino innevato, regalando insieme tepore e freddo in estate.
 
“Sei silenziosa” notò lui, rompendo l’incantesimo in cui s’era persa.
 
“Sono concentrata.” Rispose subito. “E turbata.” Si trovò ad ammettere. Era strano e così normale insieme. Con Andrè non aveva paura di dire cose che s’era sempre tenuta dentro, nascoste, timorosa persino con sé stessa.
 
“Non è nulla, non fa neanche male.” Finse Andrè, mentre cercava di trattenere una smorfia di bruciore ed agitava la mano, come ad essere sicuro di poterlo ancora fare.
 
Oscar si fermò, indispettita dal fatto che dopo aver trovato il coraggio di ammettere il suo turbamento, Andrè non ne aveva neanche colto il significato. Troppo presto? Non adeguato? “Non è quello.” Disse solo fingendosi seria e schiarendo la voce, come a recuperare compostezza per nascondere delusione ed imbarazzo.
 
Ebbe appena il tempo di finirsi di spiegare. Andrè le afferrò il braccio, sorprendendola con l’irruenza in quelle giornate che, nonostante fossero feroci ed instabili, sapevano della calma piatta dell’attesa. Nei suoi gesti c’era l’imbarazzo dell’amore fresco e la complicità dell’amicizia tenuta calda dalla quotidianità. I capelli di Oscar gli si appiccicarono addosso al sudore tanto era vicina. Ne sentiva il solletico accanto allo scorrere lenitivo dell’acqua. Fu immediatamente cosciente di tutti i suoi sensi, come se gli si fosse accesa una fiamma. “E cosa?” Le chiese solo, misurando ogni suono.
 
Il corpo di Oscar tremava. Respirava a fatica come se fosse la sua presenza a togliergli il fiato. Respirò più forte che poteva, ansimando quasi sotto lo sguardo caldo e smanioso di lui. Lo vedeva fissarle le labbra. Sentì la sua mano accarezzarle il viso, dietro l’orecchio, con il pollice che quasi toccava l’aria che lei cacciava. Chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Si sentì bruciare addosso, sotto i vestiti, sotto la pelle e poi anche in gola. Si raccontò che era la polvere, che graffiava, fino a sentire il sapore ferroso di sangue in bocca. Allora la richiuse per paura che anche lui potesse sentire ed indietreggiò, quasi fosse spaventata. Aprì gli occhi e lo guardò in cerca dei suoi. Cercò in sé stessa il coraggio di allontanarsi con l’intento di proteggerlo dai segreti che forzavano una distanza. Studiò lui e poi si  guardò attorno anche, sperando che nessuno avesse capito, che quello che sapeva Alain, che ancora dormiva, fosse al sicuro con lui.
 
“Scusa.” Disse Andrè, che aveva seguito il suo sguardo ed aveva frainteso il divincolarsi di lei e la sua ricerca di occhi ed orecchie come vergogna. Bramava la sua presenza, vicina come lo era stata solo qualche notte fa, in cui poteva toccarla, accarezzarla, tenerla vicina e respirare la sua pelle che sapeva di resina calda e confortevole.
 
Oscar sorrise e per davvero provò vergogna, ma non per l’effusione. Era quello che gli stava facendo credere a crearle disagio. “Non è niente.” Mormorò, forzando un tono di voce dolce e mellifluo. Scosse la testa per essere convincente. Ebbe persino paura di avergli lasciato credere che non lo volesse.
 
“Davvero, scusa.” Ripeté lui, vergognandosi di sua volta dei suoi pensieri e dei suoi desideri.
 
Oscar deglutì. Si sentì sola, abbandonata, così in errore, così spaventata d’aver rovinato quei primi approcci. “Ho detto che non è niente.” Rispose insistendo, quasi acidamente, in maniera imperiosa, come era solita fare sempre, salvo poi rendersene conto. Si voltò verso di lui e lo chiamò per nome ed Andrè, come un marinaio, rispose al canto della sua sirena e si trovò ad un respiro dalle sue labbra.
 
Era sempre lei, era sempre la stessa: i suoi occhi azzurri, limpidi, gentili, determinati; le sue mani che possono uccidere, placare, guarire ed allietare insieme, come se fosse Marte e Venere insieme; le sue labbra sagaci che da sempre avevano pronunciato il suo nome con ogni sfumatura, quasi la presenza di lui fosse stata sempre un bisogno nella vita di lei; il suo corpo, atletico, letale e delicato che aveva potuto sfiorare con la punta delle dita e coi pugni; la sua testa, scaltra e libera, che aveva rotto le catene.
Le accarezzò il viso, allontanò i pochi capelli catturati dal sudore attorno agli occhi e glieli arrotolò dietro le orecchie. Andrè respirò la sua aria. Non l’avesse adorato tutta la vita, lo sguardo di Oscar l’avrebbe quasi messo a disagio, invece che provocargli un sorriso. La guardò chiudere gli occhi, aspettare un bacio, godersi l’istante prima del contatto. Chi credeva che fosse una donna fredda, non l’aveva mai davvero conosciuta. Era fatta per amare ed essere amata, per essere libera, per insorgere e sollevarsi. Sfiorò appena le labbra di lei con le sue. Respirò il suo sorriso che stava nascendo e rise sulla sua bocca.
Erano ancora così nuovi all’amore che non ne conoscevano a pieno i gesti e le parole.
 
“Patetico.” Bisbigliò lei, ancora ad occhi chiusi, mentre riguadagnava spazio e l’aria si faceva di nuovo cupa e sporca lontano dal respiro di Andrè.
 
“Io o tu?” Chiese lui sorridendo, mente non smetteva di accarezzarle ancora il volto. Sentiva i calli delle sue dita sfregarle contro il collo
 
“Tu.” Fece lei d’impeto ed in tutta risposta si sentì pizzicare una guancia, mentre la confidenza dell’amicizia tornava, facendoli di nuovo camminare su terreni più sicuri.
 
“Patetico davvero.” Fece la voce boriosa di Alain, che nel frattempo s’era svegliato e li stava guardando, geloso, invidioso, contento ed arrabbiato. Li derise, ridendo egli stesso di quelle poche parole, come se metterli in imbarazzo fosse stata una vittoria. Quando si girarono entrambi a salutarlo, Andrè gli allungò una mano, aspettò che gliela prendesse e che se la stringessero con fare amichevole, per sporsi poi in una pacca ovunque l’amico lo riuscisse a toccare. Dopo quel saluto Alain guardò Oscar, che a sua volta sembrava come indagare ed implorare insieme. Lo fissava ad occhi spalancati, mentre rigida agitava appena la testa per chiedergli di non farlo, di non parlare. “Andrè,” chiamò Alain, quasi sfidando Oscar. Ammirò il suo respiro farsi pesante, le labbra chiudersi per non parlare, gli occhi quasi riempirsi di lacrime. Era fortunata che il fidanzatino fosse orbo! “che ne dici di festeggiare un po’? Del vino?” propose.
 
Ed allora guardò Oscar, ma non era più da solo. Anche Andrè guardava verso di lei, come se la richiesta fosse congiunta. Oscar ebbe paura che entrambi volessero allontanarla, parlare da soli, senza di lei, che Alain rivelasse tutto ad Andrè prima che lo facesse lei, che gli raccontasse del suo amaro fato e che lui perdesse ogni tipo di fiducia che aveva costruito negli anni. Ebbe paura che lui si credesse non degno di custodire i suoi segreti. Assurdo come nonostante la morte imminente, Oscar si preoccupasse di non ferire i sentimenti di Andrè più che della sua stessa vita.
 
Andrè sbuffò. “Siamo a malapena sopravvissuti.” Disse voltando il capo e lasciandosi cadere sui cuscini.
 
Alain invece mantenne ancora lo sguardo con Oscar. La lasciò cuocere, la torturò come non aveva potuto fare in passato, come non aveva più voluto fare dopo. Si sentiva come se fosse l’unico a vederla per quella che era davvero: una donna debole, bugiarda, come le altre; troppo magra, senza forme; scialba. Eppure nutriva quel malsano sentimento di farle male, quella passione sfrenata che sfociava nella violenza. Sapeva che le sarebbe piaciuto. Sapeva che avrebbe goduto e che l’avrebbe supplicato e detto basta, ma lui non si sarebbe fermato. Con quell’immagine di fantasia in testa, continuava a guardarla con un sorriso svergognato ed osceno.
“Sono muto come un pesce.” Disse alla fine mollando la presa.
 
Oscar s’agitò, ancora seduta su quel lettino. Strinse il lenzuolo. Guardò verso Andrè. Sapeva che aveva capito qualcosa. Era intelligente, attento. Coglieva ogni parola o sottointeso. Provò il bisogno di allontanarsi, di respirare aria pulita prima di tornare indietro e scoprire che niente era cambiato.
“Vado a cercare qualcosa da mangiare piuttosto.” Inventò, tirandosi in piedi e se ne andò. Neanche si ricordò di lasciargli un bacio. Andrè allungò la mano e sfiorò le sue dita: aveva capito. Aveva capito e cercava un contatto. Si coprì la bocca con una mano per soffocare i singhiozzi. Ignorò la gente, uscì in strada e si lanciò nella festa e nella polvere. Camminò ed urlò sopra i giubili e la baldoria, fino a che non ebbe più fiato, fino a che l’aria le bruciò gli occhi e sporcò i capelli.
 
***
 
Nel frattempo Alain ed Andrè erano rimasti soli. Non glielo avrebbe detto, no. Non gliel’avrebbe fatto sentire dalla sua bocca. Piuttosto avrebbe costretto lei, in un modo o nell’altro. Più guardava il suo amico, più Alain si convinceva che meritasse di più, di meglio: una donna premurosa, che si sarebbe fatta ingravidare ed avrebbe cresciuto i suoi figli, che avrebbe vissuto per lui, aspettandolo la sera a casa. “Non è tutto questo granché.” Gli uscì ad alta voce, aspramente, quasi stesse cercando di convincersi da solo.
 
Andrè sorrise. Avevano fatto quella discussione mille e mille volte. “Invidioso.” Gli disse solo, colpendo dritto. Si risistemò meglio disteso e chiuse gli occhi. Cosa ne poteva sapere Alain di Oscar. Ripensò a lei, all’intelligenza, al coraggio, alla bellezza. Sembrava di stare ancora in caserma, entrambi sulle lettighe a parlare di donne, anzi sempre di una sola. C’era qualcosa di diverso però che lo turbava: quell’esitazione e quella lontananza che in poche mosse aveva messo Oscar tra loro. Ripensò a quella prima notte, allo sguardo adorante e curioso con cui lo guardava, a come lui s’era sentito più forte allora, a come lei s’era abbandonata e l’aspettava, come se lo stesse facendo da tempo. Chissà quanto. Ripensò alla sorpresa inaspettata che gli aveva fatto in caserma, regalandogli tutto ciò che era, rinunciando a tutto, persino al suo posto nella storia. Poi a come s’era allontanata, alla paura che la faceva tremare, all’odore marcio che le veniva su dalla bocca che si mischiava a quel posto fetido impedendole di brillare. Si girò verso Alain, che tirò su col naso, si pizzicò tra gli occhi e si risistemò meglio steso anche lui. Riempiva il silenzio con gesti d’imbarazzo.
“Non vuoi dirmi nulla?” Chiese, inquisitore ed ansioso.
 
“No.”
 
Strinse i pugni. Gli salì rabbia addosso, insieme alla paura di qualunque cosa gli stessero nascondendo. Strinse ancora la mano, quella sotto alla spalla offesa, fino a sentire il dolore della pelle tirata sulle nocche, scacciando quello della ferita. “Ti ha parlato?” chiese misurando le parole.
 
Alain poteva dirgli tutto ed evitarsi i silenzi e la rabbia passiva, che Andrè preferiva. Sfidò invece il suo amico, decise per il silenzio di nuovo e sperò che lui lo picchiasse, che lo colpisse dritto in faccia, per lenire il dolore del suo segreto e la vergogna dei sentimenti che provava per la donna del suo amico. “Di qualcosa in particolare?” chiese, fingendo disinteresse, sfida, voltandogli addirittura la faccia perché non ce la faceva proprio a guardarlo. Qualunque cosa gli sarebbe arrivata, se la sarebbe meritata.
 
Andrè mollò la presa. Tirò un calcio nel letto, dove colpì solo paglia che attutì il colpo senza neanche fare rumore. “Cristo.” Bestemmiò per non reprimere rabbia e paura, lasciandola uscire in gesti o parole violente.  
 
***
 
Quando Oscar tornò, all’ingresso dello stabile trovò corpi fermi e persone agitate che smaniavano per entrare e per ricevere aiuto. Ancora altri avevano scoperto di quel posto col passaparola ed erano giunti da ogni angolo di Parigi per poterlo raggiungere. Quelli che erano già in piedi stavano aiutando i pochi medici rimasti: tenevano fermi i loro compagni, premevano sulle ferite o rimettevano a posto le ossa con uno strattone.
L’aria era diventata ancora più viziosa e calda, tanto che ne provò nausea. Sembrava aver già dimenticato la muffa che scendeva ed il sangue che macchiava le pareti. Nascose il naso e la bocca nella piega del gomito e raggiunse Andrè. Lo trovò in piedi che metteva via la sua giubba, il fucile, la spada e tutte le sue cose in un sacco bianco creato di fortuna con delle lenzuola rotte. Nel frattempo s’era anche rivestito, con la giubba infilata in un solo braccio ed appoggiata solo all’altra spalla. Aveva fasciato la ferita, arrotolando quel che rimaneva della camicia attorno al petto e sulla spalla, isolandola. Avrebbe preso freddo, pensò Oscar, era completamente scoperto sull’addome ed un braccio.
“Che fai?” gli chiese stranita e preoccupata, mentre deglutiva per mascherare il senso di vomito.
 
Andrè teneva ancora il braccio destro appeso alla spalla, inutilizzato. Usò la mano per stendere le lenzuola e preparare il giaciglio al prossimo che sarebbe venuto. “Lascio il posto a qualcuno che ne ha più bisogno.” Rispose monotono, cercando di stringere il nodo tra le dita di una mano ed i denti dall’altro lato. L’amarezza gli era entrata nella voce, facendola quasi sembrare delusione.
 
Oscar gli si avvicinò e gli sfilò via il fagotto. Lo chiuse con due nodi stretti. Glielo porse mettendolo davanti all’evidenza, come per dirgli che non era neanche capace di fare un nodo. “Tu ne hai bisogno.”
 
Andrè guardò il sacco bianco ed il nodo. Si concentrò su quello, provò a stringere la mano destra. Non sentì le dita chiudersi, ma se le guardò ugualmente, provando una lieve soddisfazione nel vedere il polpastrelli toccare il palmo della mano. “Troveremo un altro posto.” Aggiunse. Evitò di guardarla dritta negli occhi, perché sapeva che avrebbe ceduto. Le passò davanti, si allontanò. Camminò fino all’uscita e raggiunse la strada.
 
Era scesa la sera, non si sentivano più né urla né le feste. La attese sull’uscio della porta. Guardò lo stesso spicchio di cielo sporco che aveva guardato lei quella mattina. Dietro di lui qualcuno tossì. Respirò a pieni polmoni l’aria della rivoluzione, sentendosi fortunato di essere in piedi. In quel momento realizzò che qualunque cosa fosse successa l’avrebbero superata. L’aveva aspettata ed amata tutta la vita. Qualunque cosa fosse l’avrebbero combattuta e superata, non con le unghie e con i denti, ma coi baci e le carezze. Si girò, sperando di vederla dietro di lui, eterea in mezzo alla sofferenza.
 
Si girò e si spezzò.
 
Oscar era sì al centro della stanza, ma piegata su sé stessa. Aveva le mani sulla bocca ed i capelli che le nascondevano la faccia. Le sue ginocchia si sporcavano sul pavimento lurido, sul fango, sul vetro e sul sangue. Dalla sua bocca uscivano suoni che Andrè non aveva mai sentito, che spezzavano l’aria. Sembrò che i polmoni le si rivoltassero fuori in un vomito straziante. Andrè rimase a guardare, impotente. La soccorsero, arrivarono i soldati della guardia, Alain e persino cittadini comuni.
 
La tosse raschiò la gola con violenza, graffiandola a sangue, che venne fuori durante l’accesso. Venne prima la difficoltà a trattenere tutto in bocca, poi l’urgenza, la ferocia e la crudeltà che aveva il sapore di muco purulento e sangue ferroso, che si rovesciò dalla bocca a terra e colò sul mento. Fu come mordere una lama e sputarne gli effetti. Mentre tossiva, Oscar prese coscienza del terrore che bloccava il viso di Andrè, che probabilmente aveva combaciato con il suo di appena due giorni prima.
 
Quegli attimi durarono infinitamente tanto, il tempo della consapevolezza, che lasciava il posto all’angoscia che la morte non solo si stesse avvicinando, ma che fosse addirittura alla porta.
Andrè le fu accanto un attimo dopo aver realizzato il peso di quello che stava succedendo. L’incredulità poi lasciò il posto ad un pensiero egoistico, che era “tutti, ma non lei”. La guardò negli occhi e cercò in lei la paura, perché se lei non ne avesse avuta, Andrè avrebbe capito che episodi del genere s’erano già verificati e non avrebbe dovuto temere dell’immediato. Al contrario invece se fosse stato per entrambi una novità, non gli sarebbe rimasto che affidarsi alla sorte. Ignorò tutto: l’umiliazione e la rabbia, la paura del domani. Le chiese se avesse dovuto spaventarsi in un dialogo muto e sordo, ma non ricevette risposta. Le rimase accanto fino alla fine allora, tenendole le spalle e spostandole i capelli che le si infilavano in bocca, allontanando tutti perché era a lui che spettava il dovere ed il piacere di accudirla, lottando contro il dolore che sentiva alla sua spalla, fino a che non la udì pronunciare il suo nome.
 
“Andrè.” Lo chiamò piangendo. Si afferrò alla manica della sua giubba. Strinse il tessuto fra le dita e nascose gli occhi e la bocca che l’avevano tradita. Continuò a piangere mentre si sentì abbracciare, mentre dimenticava la puzza e l’aria stantia, mentre sulla sua pelle riusciva a respirare, mentre il suo odore gli leniva il dolore come un balsamo. Singhiozzò quasi fosse una bambina che s’era sbucciata il ginocchio e più piangeva, più s’aggrappava a lui che la stringeva sempre più forte, in una morsa invincibile che tagliò gli altri fuori dal mondo.  Oscar urlò fino a che ebbe fiato sotto gli occhi di tutti, di Rosalie, Alain, persino Bernard.
 
Rimasero là aspettando che lei si calmasse, che smettesse di piangere. Stava distesa quasi completamente a terra, con l’uniforme macchiata di liquami. Andrè la tratteneva per la vita con una mano e con l’altra le stringeva le spalle. Oscar era aggrappata ai suoi vestiti, nascosta nel suo petto dalla giubba lasciata aperta e dai capelli sporchi. I singhiozzi ed il pianto si erano esauriti lentamente. Una strana calma, ancor più libera di prima s’era impadronita di lei. Stava addirittura per addormentarsi. Dall’altro lato invece, la veglia di Andrè era appena iniziata. Si stava arrovellando per pensare a quand’era stata la prima volta che l’aveva sentita tossire, che l’aveva vista pallida e debole. Se solo la sua vista l’avesse aiutato prima. Nascose la rabbia per non averlo capito subito, per essersi cullato nella sua cecità, per non aver voluto vedere.
Tisi.
Chi conosceva che l’aveva avuta? Chi conosceva che era guarito e chi conosceva che era morto? Oscar era giovane, forte, non avrebbe mollato, sarebbe guarita, l’avrebbe aiutata. L’avrebbe portata via da quel posto malsano e l’avrebbe curata. Pensò ad Arrais. Se la immaginò là a giocare con l’acqua, a guarire. Sì, l’avrebbe aiutata, le avrebbe procurato tutto quello di cui aveva bisogno, doveva solo pensare a dove andare a stare e come arrivarci.
 
“Scusate.” Una donna coi capelli castani striati di grigio, che fu tutto quello che Andrè riuscì a distinguere, lo chiamò mettendogli una mano sulla spalla. Non l’aveva sentita arrivare. Provò a mettere a fuoco e la riconobbe: era la stessa che s’era presa un minuto per fargli sapere che Alain stava bene. “Esistono dei posti,” iniziò con un velo di mistero come a voler catturare la sua attenzione “per guarire.” Concluse indicando Oscar “Mia figlia ci ha portato suo marito ed i figli.” Si finse indaffarata col grembiule mentre raccontava quest’ultima parte, nascondendo emozioni di pena e preoccupazione. “Si chiamano sanatori.”
 
Andrè si voltò. Tenne stretta Oscar, che sapeva essere in ascolto. Il suo respiro prima regolare s’era fermato e con le mani gli premeva i polpastrelli sulla pelle. Andrè guardò prima lei, s’assicurò che stesse bene, di non toglierle il riparo che si era creata col suo corpo e poi si sporse appena per poter parlare meglio con quella donna. Le avrebbe preso una mano se avesse potuto, se non avesse significato lasciare l’abbraccio. “Dove si trovano?” Chiese.
 
La donna guardò Andrè e sorrise. Pensò a sua figlia, alla su famiglia, al marito ed ai figli che s’era portata via. Era solo una ragazza quando aveva attraversato quel viaggio di speranza, da cui ancora non era tornata. Sapeva come ci sentiva a stare accanto ad una persona in fin di vita, vedeva il dolore che avrebbe provato presto Andrè e ne provò pena al ricordo. “In Slesia. Sulle montagne.”
 
“Fa freddo lassù?” Chiese Andrè, sorridendo grato che già qualcuno gli avesse acceso così presto una speranza. Fu preso dagli eventi immediatamente, non ci fu un momento per pensare. Un attimo prima Oscar era sana e gli stava accanto mentre le sue ferite guarivano, quello dopo Oscar aveva le ore contate e l’orologio ticchettava i secondi dalle montagne della Slesia. La ringraziò, sinceramente con gli occhi umidi e una irrefrenabile contentezza. Si fece dire il nome di quella donna, se lo ripeté mille volte con l’idea che mentre Oscar guariva, lui avrebbe cercato la figlia di quella donna ed avrebbe scritto a Bernard per farle avere notizie.
 
Avrebbero viaggiato coi cavalli. Non ci avrebbero messo più di due settimane. Avrebbero corso e si sarebbero riposati ad intervalli regolari. Oscar sarebbe guarita, sarebbe tornata la Oscar che aveva amato tra le lucciole. Avrebbero avuto una lunga vita felice insieme. Si sarebbe preso cura di lei. Avrebbero costruito una casa, forse una famiglia. Non l’avrebbe mai lasciata. Dio, quanto l’amava.
“Sentito?” le chiese cullandola “Ce ne andiamo via, a respirare aria fresca.” Disse in tono di incredulità, come si parla coi bambini perché il fascino del mondo li incuriosisca.
 
Oscar si strinse ancora di più, chiuse gli occhi timorosa di sperare. Ripensò alle parole del dottor Lasson. Se voleva guarire doveva abbandonare la divisa, andare in un altro posto e respirare aria fresca. Chiuse gli occhi e rimase lì ancora un altro po’ a lasciarsi cullare.
Era così stanca di combattere. 



 


Angolo dell'autrice
Oh, che faticaccia! 
La trama di questa storia è decisamente più lenta. Volevo soffermarmi sulle descrizioni e sui sentimenti dei personaggi, in un racconto corale finché potevo, senza esagerare. E' il caso di Alain per esempio, molto vicino al manga. E' il caso della donna che ha perso la figlia, di Agathe, Cyril... Spero di avercela fatta.
Dunque qualche giorno fa ho contato circa 7 capitoli, nel senso di altri 5, ma mi capita spesso di allungare da qualche parte, quindi non mi fiderei di me stessa. Mi dispiace per il ritardo, ma ho avuto turni molto lunghi a lavoro e di solito nel mezzo tutto quello che si vuole fare è dormire. Prometto però di finire la storia :)
Dunque, fatemi sapere che ne pensate! Un bacio a tutti!
  
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