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Autore: Angel TR    27/11/2022    2 recensioni
I've had some trauma, did things I didn't wanna, was too afraid to tell ya, but now I think it's time
Billie Eilish - Getting Older
Long fic che segue la vita di Jin Kazama dai quindici anni fino al Terzo Torneo.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
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Capitolo II parte III: Sangue Reale


Le città al pari delle foreste, hanno antri in cui si nasconde tutto ciò che esse hanno di più cattivo e di più terribile. Solo che, nella città, ciò che si nasconde così è feroce, immondo e misero, cioè brutto; nelle foreste, ciò che si nasconde è feroce, selvaggio e grande, cioè bello.

Victor Hugo


Era la terza volta che tentava di infilarsi nell'ascensore che portava all'ufficio di Heihachi Mishima ed era la terza volta che la guardia – un omaccione gigantesco con due sopracciglia che sembravano grassi bruchi che si erano rotolati nel fango – l'acchiappava, trascinandolo per il bavero della tuta pigiama.
«Adesso devo chiamare Mishima-sama per colpa tua… non potevi startene buono buono, eh?» si lamentava, mentre trafficava con il walkie-talkie che, nelle sue enormi manone, sembrava un giocattolo per bambini. Il suo accento rendeva la sua voce ancora più cupa, come se provenisse dalle profondità del suo stomaco. Quel suo bofonchiare fece inarcare le sopracciglia di Jin: era un uomo grande e adulto eppure aveva l'espressione imbronciata di un bambino al quale avevano rubato il giocattolo.
«Ho bisogno di vedere Heihachi Mishima. Sono suo nipote!» insistette Jin.
«Ragazzo, dubito che tu sia legato a qualcuno là dentro!» valutò l'uomo, senza cattiveria, squadrandolo.
Istintivamente, Jin raddrizzò le spalle, ergendosi in tutta la sua statura. Non sapeva niente di quei Mishima, a parte che fossero ricchi, e fino a quel momento non avrebbe mai pensato di avere nulla a che fare con loro; ma la mamma aveva detto che Heihachi Mishima era suo nonno, ergo, Heihachi Mishima era suo nonno, che agli altri piacesse o no.
«Sono Kazama Jin e sono il nipote di Heihachi Mishima!» affermò, quindi, perentorio, imprimendo un timbro imperioso nella sua voce.
I due grassi bruchi della guardia si contorsero e gli occhi porcini che contornavano si spalancarono. «Kazama!?» esclamò, sorpreso.
In quel momento, la voce di Heihachi Mishima emerse dal walkie-talkie in risposta. «Portalo su, Ganryu. Me ne occuperò io» ordinò con fare perentorio.
Jin tremò: era quella la voce di suo nonno? Cercò di trovare un sentore di se stesso in quel tono autoritario che faceva scorrere un brivido lungo la schiena ma, contemporaneamente, esigeva una postura militare da quella stessa spina dorsale che voleva piegare. Lo cercò a lungo; non lo trovò.
Ganryu, la guardia gigantesca, posò una manona a coppa sulla sua nuca e lo guidò lungo quei freddi corridoi dallo stile moderno e all'avanguardia.
Jin aveva scoperto di non amare quell'arredamento formale e futuristico, così adatto alla megalopoli di Tokyo. Appena sceso dal bus notturno, era rimasto stupefatto e disorientato dall'enormità della città. Tokyo era una gigantessa con arti robotici che si esibiva in antiche danze per stupire, sbalordire, ammaliare e non annoiare mai chi la visitasse. Quelle arti eseguite con tecnologica precisione, però, lo confondevano, facendogli girare la testa. Per giungere a Shibuya, il cuore economico della capitale giapponese dove si ergeva lo spaventoso complesso della Mishima Zaibatsu, Jin era stato letteralmente trascinato dalla marea umana che percorreva trafelata le strade a sei corsie dei quartieri, con la perenne paura di perdersi in quella folla di visi così fitta da parere un'unica scia beige di facce senza nomi, gli stessi occhi assenti che già pensavano alle cose da fare più tardi, il giorno dopo e quello dopo ancora… Jin si era sentito mancare il fiato e aveva pensato a quando aveva chiesto alla mamma come sarebbe stato crescere a Tokyo. No, non gli sarebbe piaciuto. Al caos della megalopoli preferiva decisamente la tranquillità della foresta; alla divisa urbana composta da tailleur e giacche e cravatte degli uomini d'affari preferiva le tute da trekking; alla cacofonia dei clacson, alle musichette dei negozi e alle grida preferiva la melodia della natura e dei piccoli e accoglienti commerci; ai led, ai neon e alle luci artificiali il soffuso chiarore della luna e del cielo stellato; ai grattacieli ammassati gli uni sugli altri, la sua piccola casa col tetto spiovente. Ancora una volta, la mamma aveva ragione.
Ma poi l'arredamento iniziò a mutare, come se Jin stesse facendo un viaggio nel tempo: dall'ultramoderno Giappone dal gusto cyberpunk a quello antico fatto di case minka abbellite da giardini e bonsai. Jin si guardò attorno stupito: ogni oggetto era semplice eppure e opulento lussuoso nel suo aspetto.
«Mishima-sama, sono Ganryu» annunciò la guardia.
«Entra. Cosa succede?» rispose la voce autoritaria dietro al pannello.
Ganryu aprì la shoji, la tipica porta scorrevole tradizionale, e condusse Jin all'interno, spingendolo delicatamente dentro; prima, però, gli fece segno di sfilarsi le scarpe. E allora, tramite quel tocco gentile, Jin capì una cosa: quell'uomo poteva stare dalla sua parte – o, almeno, poteva contare su un minimo di umanità da parte sua.
«Abbiamo un intruso» rispose Ganryu.
Jin si guardò attorno; l'arredamento era allo stesso tempo moderno e antico, in una sintesi perfetta della capitale giapponese: una bella scrivania ad angolo, su cui campeggiava un computer di ultima generazione, la faceva da padrona, abbellita da una palma nana e… Jin sobbalzò. Due occhi verdi di tigre lo stavano fissando, ruggendo minacciosa.
«Un intruso?» ripeté la tigre. «Tutto quello che vedo è un topo di fogna che, grazie a te, è sgaiattolato dentro» concluse. Annusò l'aria. «Puzza come un topo di fogna».
Jin sollevò lo sguardo per incontrare quegli occhi feroci che gli stavano prendendo le misure e strinse i pugni. Sentì la necessità di difendersi: certo che puzzava, era quasi una settimana che non aveva il lusso di farsi un bagno come si deve! Quasi una settimana che la mamma…
Si tese. «Non sono un topo di fogna né un ragazzino. Sono Kazama Jin, mia mamma mi ha mandato a cercarti!» affermò e qualcosa nel suo tono dovette attirare l'attenzione della tigre.
«Kazama, eh?» disse, pensierosa. Si sollevò e il suo spaventoso ruggito si trovò dinanzi agli occhi di Jin e poi sparì, sostituito da un petto possente. Finalmente il ragazzo poté vedere il volto dell'uomo che aveva cercato per giorni.
«Il figlio di Kazama Jun?» domandò, nel mare di ferro del suo sguardo uno scintillio di interesse.
Jin gli arrivava poco sopra il petto eppure era alto per la sua età, ormai aveva raggiunto la mamma che si aggirava attorno al metro e settanta. L'uomo davanti a lui, però, oltre a essere più alto, pesava almeno il triplo grazie a una massa possente di muscoli che, unita all'espressione dura e vissuta, aveva il dono di risvegliare in qualunque essere umano un senso di sottomissione e riverenza, quasi ci si trovasse di fronte al vecchio capo alfa di un branco di lupi. Jin fissò gli occhi in quelli del lupo.
«Sì. Ha detto che sei mio nonno» rispose.
E dunque Heihachi Mishima scoprì i canini in un ghigno che pareva uno squarcio nel viso. I suoi occhi scintillavano divertiti ma era un divertimento a senso unico.
«Ganryu, lasciami solo con il ragazzo» ordinò, agitando una mano, senza staccare gli occhi dai suoi. Ganryu filò via con un inchino.
Poi, Heihachi Mishima assunse la posizione di combattimento. «Attaccami» lo invitò.
Per Jin, quell'invito giunse tanto inaspettato quanto inaspettata era l'apparenza di quell'uomo – no, si corresse, non quell'uomo; mio nonno. Non avrebbe saputo dire con esattezza come immaginasse suo nonno o suo padre però l'idea che aveva preso forma nella sua mente era frutto di anni di scene di figure maschili paterne che andavano a prendere i figli o i nipoti a scuola, al parco, alle feste. Gentili vecchietti dall'aria saggia e con ciuffi di barba bianca, ricurvi e fragili, sorridevano a ragazzini in divisa scolastica come fossero il più grande dono della vita; altri più giovani, la schiena ancora dritta e l'aria più sana, guidavano bambini meravigliati sulle giostre. Così, nella mente di Jin si era plasmata un'idea di "nonno" disponibile e premuroso, un po' fragile ma ancora in salute, dai capelli e la barba bianca, che curava le piantine di casa e che sarebbe stato felice di conoscerlo.
Quella figura sorridente e affabile fu completamente demolita dal pugno di ferro di Heihachi Mishima, da quel ghigno di chi attendeva il cadavere sulla sponda del fiume, da quegli occhi da predatore. Suo nonno non corrispondeva a nessun ideale di nonno.
Mi ha chiesto di attaccarlo e la sua postura è quella di un grande esperto di arti marziali. Non ha intenzione di andarci piano, notò Jin, con gli occhi sbarrati di chi vede infrangere davanti a sé la flebile speranza per l'ennesima volta. Eppure, la sua ingenuità lo spinse a credere che si trattasse di un equivoco. Forse aveva capito male, sì, doveva essere così.
«Cosa!?» esclamò, confuso.
Heihachi Mishima gli diede le spalle e la tigre ruggì di nuovo. «Non farmi ripetere ciò che ho detto».
Jin parò le mani davanti. «Non sono venuto qui per combattere con lei!» spiegò, la voce appena stridula per l'incredulità.
Lo squarcio sul volto di Heihachi Mishima si aprì ancora di più, simile alla bocca di uno squalo che si appresta a divorare la piccola foca. «E io voglio che tu combatta, invece» ordinò.
Davanti a quella vista, Jin si sentì quasi in imbarazzo. Attaccare un anziano, specialmente per primo, andava contro tutto quello che sua madre gli aveva insegnato. Non importava che Heihachi Mishima fosse una montagna d'uomo, non importava il suo ordine; importavano solo gli insegnamenti della mamma.
«Non posso» spiegò, la voce più alta di un'ottava che incespicava sulle parole per l'ansia. «Mia mamma mi ha insegnato a non attaccare mai per primo!»
E lo squalo azzannò, affondando i denti affilati nella carne tenera della piccola foca.
Con un ghigno, Heihachi Mishima gli sferrò un pugno in faccia che lo mandò letteralmente testa a terra. Jin si sentiva stordito, gli fischiavano le orecchie; era solo un miracolo che non fosse svenuto. Si rialzò barcollando, un rivolo di sangue gli rigava il mento. Osservò con occhi nuovi quella sagoma possente, quella figura familiare che avrebbe dovuto accoglierlo e proteggerlo. Si sentiva tradito.
«Ecco, ti ho attaccato per primo. Ora puoi difenderti» constatò Heihachi, soddisfatto. Il suo pugno ancora teso sembrava fumare di energia.
Jin digrignò i denti: non aveva altra scelta. Avrebbe dovuto affrontare Heihachi Mishima e mostrargli lo stile Kazama affinché… l'accettasse? Lo lasciasse parlare? Ma perché? Se non avesse saputo combattere, se sua madre non gli avesse mai insegnato le arti marziali, allora non ci sarebbero state possibilità? Cosa voleva ottenere Mishima da quello sfoggio di tecniche? Non l'avrebbe mai saputo – non in quel momento, almeno. Non c'era più tempo: doveva reagire. Si lanciò sulla grossa tigre a caccia con un urlo di battaglia.
Con una zampata, la tigre lo mise a cuccia.
«Attaccami di nuovo!» comandò Heihachi Mishima.
Jin si rialzò e riattaccò; di nuovo, fu messo a tacere con tre pugni dritti al viso che lo spedirono a terra.
«In piedi! In piedi, ho detto» ordinò perentorio l'uomo.
E Jin si mise in piedi.
La sequenza si ripeté per ore fin quando Jin non fu nuovamente zuppo di sudore, pieno di lividi e la pelle arrossata dalle ferite. Tentò di issarsi, dandosi lo slancio con i pugni, ma le braccia non avevano più forze e lo lasciarono carponi come un bambino.
Le grosse cosce di Heihachi Mishima gli si pararono davanti.
«Se il tuo nome è davvero Kazama, non gli arrechi altro che disonore» sentenziò.
Al tempo, quelle parole ferirono il suo orgoglio – ancor di più perché credeva molto ingenuamente di essere l'ultimo Kazama rimasto –, eppure, anni dopo, avrebbero fatto piegare le sue labbra in un sorriso mesto e amaro. La vecchia volpe aveva ragione, avrebbe pensato.
«Alzati e vattene. Non disturbarmi più» comandò Heihachi Mishima, senza degnarlo di uno sguardo.
Jin digrignò i denti, il respiro ansimante gli sollevava il petto e gli rendeva difficile formulare una frase senza prendere pause. Non poteva permettersi di fallire nel primo compito assegnatogli dalla mamma!
«Trova Heihachi Mishima» gli aveva detto, prima di uscire dalla porta di casa.
E lui l'aveva trovato; non avrebbe lasciato che lo cacciasse via come una mosca fastidiosa. Sarebbe rimasto lì perché così aveva promesso alla mamma.
«Non m'importa quello che pensa, se disonoro il mio nome o no, io so solo che, prima che quel mostro verde uccidesse mia madre, lei mi ha fatto promettere di trovarla! Non me ne andrò!» replicò Jin, alzando la voce di un'ottava. Batté il pugno sul pavimento lucido e, con le ultime forze rimaste, si rialzò in piedi.
Non poté vedere il fuoco di interesse che si accese negli occhi di ferro di Heihachi Mishima. «Cos'hai detto?» ripeté, stupefatto.
«Siamo stati attaccati, mia mamma è morta…» cominciò Jin, rassicurato dalla richiesta. Evidentemente il nonno finalmente si rendeva conto della situazione nella quale si trovava…
«Non mi interessa. Un mostro dalla pelle verde, hai detto? L'hai visto, dunque?» interruppe Mishima, afferrandolo per le spalle per ancorare lo sguardo al suo, nel tentativo di intimidirlo per ottenere la verità.
Jin batté le palpebre. «Sì» confermò. «E, con o senza il suo aiuto, io lo troverò e lo ucciderò!» gridò.
Il volto di Heihachi Mishima s'illuminò di una soddisfazione incontenibile. «Ogre» nominò.
«Cosa?» Jin non capiva.
Ogre? Cos'era? E poi che significava "Non mi interessa"? Come poteva qualcuno essere così freddo davanti a un evento così tragico? Anche se non fosse stato suo parente, sapere della morte di una persona che lasciava un figlio adolescente avrebbe fatto rabbrividire o almeno impietosire chiunque, a maggior ragione se avessero avuto un legame di sangue. E, invece, Heihachi Mishima non aveva battuto ciglio bensì era stato attratto da un'altra notizia. Il mostro.
«Il mostro dalla pelle verde che ha ucciso tua madre è Ogre, un antico dio azteco della lotta» spiegò Heihachi; il suo tono tradiva una certa ammirazione, ma era un'ammirazione subdola che si traduceva in volontà di possesso. Se Jin fosse stato più attento e meno soggiogato dalla sua sete di vendetta, l'avrebbe notato e si sarebbe messo sull'attenti poiché un uomo che ammira e desidera il potere di un mostro è un mostro anch'egli.
E, poi, il cobra lo avvolse nelle sue spire.
«Io ti allenerò, ragazzo, e ti preparerò ad affrontare Ogre. Tu, in cambio, mi dimostrerai di essere all'altezza della tua eredità, del tuo sangue Mishima. Il clan Mishima discende da samurai risalenti a prima del periodo degli Stati Combattenti. Il bushido guida il nostro percorso così come guiderà il tuo. Tu proverai il tuo valore… anche a costo della tua vita» furono le parole che uscirono dalla bocca velenosa di Heihachi Mishima e, non avendo alternative, l'ingenuo Jin firmò il suo primo patto con il diavolo.


For the debt I owe, gotta sell my soul
'Cause I can't say no, no, I can't say no

Billie Eilish - Bury a Friend


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N/D: finalmente il piccolo Jin incontra Heihachi. Ho voluto arricchire l'episodio dell' anime, rendendo Heihachi ancora più crudele. Insomma, rispondere al proprio nipote "Non mi frega che tua mamma sia morta, fammi capire se hai visto Ogre, lui sì che mi interessa" è da ba***** proprio! Questo secondo capitolo è lunghissimo e menomale perché con il terzo ho appena iniziato il Torneo lol aiut

  
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