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Autore: Neamh Moonstar    01/12/2022    2 recensioni
«Sapete, la gente tende a cacciare i demoni per vedere esaudito qualsivoglia desiderio. Credono che confinarli sia abbastanza da poter chiedere loro ciò che desiderano ed ottenerlo, ma non c'è niente di più sbagliato. Un po' di gesso per terra e qualche parola ben pronunciata non sono abbastanza; inoltre, i demoni sanno sempre come fregarti una volta che hai deciso di fare patti con loro. Gli angeli, invece? Oh, loro sono così difficili da trovare ma così facili da intrappolare. Non possono mentire ad un essere umano, sono fatti per proteggerci e consigliarci, feriscono solo i demoni e i loro stessi simili se Dio glielo chiede. Ma quando sono dentro quegli stessi cerchi è come se sparissero: i ponti con l'Altissima vengono tagliati, e per chiedere loro qualcosa basta strappargli una sola, candida piuma.»
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Gabriele, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    A fargli alzare la testa fu il suono di un paio di tacchi che si avvicinavano al bancone. Combattendo contro un sospiro, mise il segnalibro tra le pagine e - con il miglior sorriso che riuscì a tirare fuori - incontrò con lo sguardo la giovane che aveva davanti. «Posso aiutarla?» Chiese, seguendo un copione che ormai aveva ripetuto fino allo sfinimento.

Non che Aziraphale non amasse il suo lavoro, anzi: se l'era scelto, perciò sapeva bene sin dal principio ciò a cui stava andando incontro. Il problema non era nemmeno la gente: per quanto fosse uno al quale piaceva starsene solo ed in silenzio, c'era qualcosa nel contatto con gli umani che lo metteva a suo agio. In fondo, inizialmente era proprio per loro che aveva mosso i primi passi nel mondo e ancora aveva dentro di sé quell'istintivo e naturale senso di dovere e protezione nei loro confronti.

No, il vero problema era molto più specifico e molto più legato alla fortezza di pagine rilegate che si era costruito attorno. Aveva sempre paura di trovare il mortale capace di portarsi via qualcosa, togliendogli un pezzetto di quella che ormai era in tutto e per tutto, ufficialmente, casa sua.

    «In effetti sí» rispose l'umana davanti a lui, «ho una lista di volumi che mi piacerebbe consultare.»

Di solito chi veniva da lui sapeva già benissimo cosa stava cercando, e la donna con cui aveva a che fare stamattina non era da meno. Accettò di buon grado l'elenco che gli era stato presentato e subito iniziò a guidare la sua ospite in mezzo agli scaffali. A lavoro terminato, vide il volto pallido e lentigginoso di lei affondare tra le pagine e sorrise: un'altra buona azione ben fatta. Fossero stati tutti cosí curiosi ed accondiscendenti, non avrebbe avuto nessun problema al mondo.


Le ore passarono, le persone iniziarono ad uscire e Aziraphale decise di chiudere per il pomeriggio.

    Prima di prendere la porta, la donna lo salutò e si infilò la lunga giacca scura: «Grazie per l'aiuto» canticchiò, «tornerò volentieri». Detto ciò uscì, seguita da una lunga coda di capelli corvini.

Sí, se fossero stati tutti cosí curiosi, accondiscendenti e cordiali, anche le ultime leggere amarezze della sua esistenza sarebbero scomparse. Ma in fondo non si può avere tutto e lui aveva ricevuto molto più di quanto avesse mai sperato: libri, libertà, un mondo in cui vivere e...

Guardò con affetto una delle tante piantine che avevano trovato posto tra gli angoli liberi, i pochi scaffali mezzi vuoti, i tavolini e i davanzali. Erano tutte sanissime e verdissime; quelle munite di fiori erano sgargianti e profumate, messe in punti strategici affinché fossero illuminate quando serviva e non troppo soffocate dall'ambiente circostante. Erano arrivate assieme al loro proprietario e, come lui, erano rimaste.

In realtà era ancora un lavoro in corso. Crowley aveva fatto avanti e indietro innumerevoli volte ormai, spostando tutto lo spostabile e prendendosi i suoi spazi nella libreria. Incredibile ma vero: un essere che aveva passato il periodo più recente della sua esistenza in un appartamento spazioso aveva ora deciso che, sotto sotto, anche vivere in mezzo ad un ammasso di carta, copertine e polvere non era male. Ma la verità era - e lo sapevano entrambi - che non era tanto l'ambiente quanto la compagnia a spronarlo.

Qualcuno da amare: quella era la cosa più grande che entrambi avevano ricevuto ed accettato senza neanche pensarci. Era venuto naturale: in fondo, il tempo per avvicinarsi lo avevano avuto e adesso - dopo tanta fatica e tante restrizioni - avevano semplicemente eliminato quel poco di spazio che ancora li divideva. Avevano iniziato con delle inezie: dall'avvicinarsi mentre chiacchieravano al prendersi a braccetto mentre camminavano. Poi le distanze si erano fatte sempre più sottili, tanto da diventare invisibili e culminare - una sera come tante - in un unico, piccolo, dolcissimo bacio.


Aziraphale se lo ricordava ancora - come dimenticarlo, in fondo. Erano tornati da un giretto serale sotto la pioggia, avanzando stretti stretti in modo da stare sotto al suo ombrello e ben attenti a non calpestare le pozzanghere. Stava dicendo qualcosa intanto che andava ad aprire la porta d'ingresso, un qualcosa che venne prontamente bloccato dalla mano dell'altro che gli afferrava il polso.

Crowley non era mai stato un tipo delicato. Difatti, la sua presa aveva un non so che di nervoso, una veemenza che normalmente Aziraphale avrebbe rimproverato. In un attimo si era ritrovato con le labbra premute contro quelle sottili dell'altro, colto alla sprovvista da un tocco che non poté fare a meno di ricambiare.

Poche cose erano capaci di prenderlo cosí tanto e in un attimo si accorse di volerne ancora e di poterne chiedere senza paura. Fu per questo che intimò al demone di restare e quasi ci rimase male quando, per quella sera, non gli furono dati altri baci.

Fortunatamente, era un evento destinato a ripetersi. Col tempo divenne facile come bere un bicchier di vino: si vedevano, chiacchieravano, facevano quel che facevano sempre, e nei momenti più inaspettati scattava il bacio. All'angelo pareva un gioco: quando veramente lo voleva, lo aspettava - lo bramava quasi, facendosi un po' più vicino sul divano o mentre camminavano in una silenziosa richiesta d'affetto - Crowley non lo accontentava mai. Quando era invece intento a fare altro - raccontare un aneddoto, ordinare al ristorante, sistemare una pila di libri - le sue labbra si ritrovavano, sorprese quanto lui, in un bacio a tradimento seguito da due furbi e giocosi occhietti da serpente.

    Faceva finta di offendersi - «Starei cercando di sistemare, sai?» Si era lamentato una volta, arrossendo e prendendo al volo i volumi che gli erano scivolati dalle mani - ma in realtà adorava quel gioco e non gli importava nemmeno se era destinato a perdere sempre.


Cosí, tra un bacio rubato e l'altro, Crowley aveva fatto della libreria la sua nuova - molto più bella - casa. Intanto che si sistemava, faceva avanti e indietro, entrando ed uscendo come e quando voleva solo perché adesso non aveva più bisogno di avvisare né aveva paura di essere scoperto durante il tragitto.

A tal proposito...

Si dice che quando parli del diavolo, spuntano le corna. Di certo ad Aziraphale venne automatico farsi scappare una leggera risata quando sentí la campanella dell'ingresso tintinnare allegramente. Si stupí appena nel vedere il suo demone entrare con un nuovo "coinquilino" tra le braccia: un bel vaso con dentro alcuni dei fiori più particolari che l'angelo avesse mai visto.

    «Che cos'è?» Chiese, facendo spazio su un tavolino.

    «Ciao anche a te» scherzò Crowley andando a poggiare il suo bottino laddove entrambi potessero ammirarlo. «L'ho visto e ho pensato che potesse interessarti.»

Il che significava che gli sarebbe quasi sicuramente piaciuto. Spinto sia dalla curiosità che dall'espressione furbetta di Crowley, Aziraphale poggiò la pila di libri che aveva spostato e guardò con interesse i petali scuri, neri tendenti al violetto, di quelli che sembravano quasi...

    «Gigli» disse, «sembrano proprio gigli.»

    «Perché lo sono» affermò l'altro, poggiandosi con nonchalance accanto al vaso.

    L'angelo inclinó la testa, confuso. «I gigli sono bianchi, oltre che simbolo di purezza, castità, nobiltà, innocenza e candore» elencò non senza una punta di orgoglio nel ricordare quanto spesso i campanulati fiori candidi fossero stati dipinti proprio in mano agli angeli.

    Crowley gli puntò un dito contro, il sorrisino ancora in volto. «Esatto» disse solo.

Erano gigli certo, ma neri. Non c'era bisogno di pensarci tanto: erano un'elegante metafora in vasetto.

    Aziraphale sorrise. «Sono bellissimi, e sinceramente mi stupisce un po' non averli mai visti.»

    «Si chiama Lilium Asiaticus o qualcosa del genere. La tizia che me l'ha dato lo ha soprannominato: "Regina della Notte". Ha anche detto che non ha bisogno di tante attenzioni, perciò può anche rimanere sul tavolo.»

    L'angelo sfiorò un petalo e quasi poté sentire il fiore fremere di gioia. «Quindi non ha nemmeno bisogno di essere sgridato di continuo» disse, tirando un'occhiata di sottecchi al suo demone, il quale si era già buttato su una sedia, occhiali appesi al bavero della camicia.

    «Questo lo deciderò io» sogghignò quest'ultimo.

Aziraphale alzò gli occhi al cielo, si diresse verso uno scaffale che non aveva un filo di polvere e si mise a spolverarlo. Tutti i giochi iniziano in qualche modo, che sia un lancio di dadi, un sorteggio, una conta... Il gioco di Aziraphale e Crowley solitamente inizava con uno dei due che faceva qualcosa - una cosa qualsiasi, davvero. Perché non era tanto l'azione quanto il modo la chiave di lettura.

E infatti, l'angelo vide un'ombra arrivargli alle spalle, cauta e silenziosa. Trattenne a stento un sorriso.

    Crowley gli poggiò il mento sulla spalla: «Fammi indovinare: non parli con i molestatori di piante.»

    «Ignorerò il termine. In ogni caso: è solo un fiore innocente, Crowley.»

    «Che ne sai? Magari è velenoso e ha alle spalle innumerevoli, uhm, pianticidi. Magari me l'hanno dato a basso prezzo proprio per levarselo di torno.»

    «Non di certo perché ci hai messo lo zampino.»

    Il rosso gli cinse la vita: «Chi? Io? Quando mai.»

Ignorare quegli occhietti furbi e quelle labbra che erano ad un non nulla dal suo collo era la parte più difficile, ma anche la più divertente. Aziraphale emise un poco convinto: "Mhmh" che bastò a fargli meritare un breve ma delicato bacio sulla guancia.

    Solo a quel punto smise di fare ciò che stava facendo e incrociò le braccia. «Va' a dare un po' d'acqua al tuo nuovo amico o morirà prima che tu possa minacciarlo.»

    Il demone non si mosse di un millimetro. «E poi?»

    «E poi facciamo quello che vuoi. Tocca a te decidere dove andare, ricordi?»

    Con un movimento fluido, Crowley gli si piazzò davanti - facendo breccia nel piccolo spazio che c'era tra il suo angelo e lo scaffale - e gli diede un altro bacio, stavolta sulla punta del naso. «Ci sto, dammi un secondo» disse solo, allontanandosi di nuovo.

Aziraphale sospirò: era andata come al solito. Ormai lo sapeva: si sarebbero preparati, sarebbero usciti, lui si sarebbe messo a parlare di qualcosa - una cosa qualsiasi, davvero, tanto a Crowley sembrava interessare qualsiasi aneddoto Aziraphale raccontasse - e allora, solo allora, nel momento più inaspettato, avrebbe ricevuto il bacio che voleva.

Scosse la testa, divertito. Si sa che l'amore arriva sempre quando non lo aspetti, in fondo.


**


Quando non cacciava angeli, Lily vendeva fiori. La gente scherzava sempre sul fatto che una con un nome del genere non avrebbe potuto trovare lavoro migliore.

In realtà, i Queen nascondevano i loro loschi affari sotto petali e petali di fiori colorati da secoli. D'altronde, erano tra i pochi nel settore a sapere dove trovare le varietà più interessanti; tra queste, il fiore preferito della mamma di Lily: il Lilium Asiaticus nero, un giglio dai riflessi violacei che loro vendevano sotto il nome di Regina della Notte. Era un esemplare bellissimo, esotico, facile da tenere e alquanto significativo. Un fiore normalmente associato a ciò che di più puro c'è nel mondo, tinto di nero. Un fiore di cui la giovane stessa portava il nome. Scuro come gli abiti corvini del suo ultimo cliente.


Era stato fin troppo facile. Quei due dovevano aver abbassato la guardia dopo la loro ultima bravata. Sapevano che Inferno e Paradiso non avevano più avuto intenzione di prendersela con loro, e così avevano iniziato a fare i loro comodi come meglio credevano.

In realtà, l'angelo era ancora abbastanza cauto e si vedeva: sembrava avesse sempre un occhio attento e aperto nel caso fosse successo qualcosa. Se ne stava rintanato nella sua fortezza di antiquariato, al sicuro in quella che Lily aveva riconosciuto come una delle migliori coperture che avesse mai visto, colma fino al soffitto di miracoli che avrebbero reso qualsiasi mortale indifferente. Ma lei non era una mortale comune.

Con un sorriso ben piazzato ed una scusa, si era fatta portare in giro per la libreria del cosiddetto signor Fell e aveva osservato la tana della preda. Nulla di troppo insormontabile e, oh, ma cosa c'è di bello sotto quel tappeto? A quanto pareva, l'angioletto teneva ancora ben nascosti i "ferri del mestiere". Interessante.

Lui stesso era interessante. Come avesse fatto un tipo del genere a passare inosservato per tutto quel tempo, non lo sapeva. Ma una cosa era certa: quella lucciola troppo cresciuta non aveva certo l'aria di qualcuno capace di fregare l'alto dei cieli.

Il suo "collega" invece...


Secondo i credenti, il peccato è come un inchiostro che sporca tutto quello che tocca, lasciandolo macchiato di una sostanza scura ed indelebile - una metaforica chiazza ostinata su un panno bianco.

Il Tentatore, colui che il peccato lo aveva praticamente inventato, aveva lasciato una simile traccia su ogni singola foglia e petalo delle tante piantine che ornavano la libreria. Le era quasi venuto da ridere.

Ha il pollice verde ed io faccio la fioraia.

Ne aveva approfittato al volo, ispirata da un altro piccolo particolare. Così come i virgulti attorno a lui, anche l'angelo aveva le sue belle macchie, seppur lievi e destinate a sparire - mangiate dalla luce divina di cui la sua preda era composta. Erano in punti strani, però: il collo, le guance, la fronte, le spalle, il naso e le labbra.

Se i baci degli angeli lasciano le lentiggini, allora chissà cosa lasciano quelli di un demone.

Fu lì che capì con cosa aveva a che fare.

Alcune delle teorie di Gabriel si stavano rivelando corrette, anche se Lily non era del tutto sicura del fatto che l'arcangelo sapesse effettivamente cosa significhi "stare insieme" in gergo.


Così era volata in negozio e aveva iniziato a prepararsi come si deve. Aveva preso tutti i Lilium Asiaticus neri che aveva messo da parte e curato perché fossero pronti in qualsiasi momento. Per quanto siano fiori amanti del calore estivo, i Lilium hanno la capacità di sbocciare ovunque se gli sono date le condizioni - e Lily conosceva quelle condizioni bene quanto i Cori Angelici.

Fece qualche foto, aggiornò il suo sito come spesso faceva quando dava una rinnovata, e mise un annuncio ben pensato davanti all'ingresso. Non le rimaneva che aspettare e sperare che il suo obbiettivo cogliesse i segnali. Fosse stata capace di attirare le creature oscure così come attirava quelle divine, il lavoro sarebbe stato molto più semplice. E invece fu costretta ad accogliere un'anziana signora, uno studente curioso ed una mamma con tanto di figlioli casinisti al seguito prima che arrivasse il suo tanto desiderato ospite.

Se ne accorse dal rombo e dalla frenata improvvisa di un'auto d'epoca che anche ad un occhio inesperto come il suo parve stupenda. Una delle ruote anteriori venne volontariamente fatta arrampicare sul marciapiede, creando una cacofonia di clacson e gente sbigottita che, però, non durò che qualche secondo. Presto, lo spericolato autista venne dimenticato e superato come fosse parcheggiato nelle aree apposite e non a due passi dall'ingresso del negozio di Lily.

Quando entrò, però, la giovane sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Non era paura, né ansia, né timore.

Era ammirazione.


La sua famiglia aveva preso a cuore l'essere che le stava davanti anni orsono, definendosi "elegantemente satanista". Certo, si erano figurati spesso e volentieri l'aspetto del Tentatore: c'era chi lo vedeva come una sinuosa figura a metà tra un serpente e un angelo, chi invece preferiva rappresentazioni più orride e spigolose.

    Una volta, sua madre le aveva raccontato che era sbagliato definire gli angeli belli e i demoni grotteschi. «Semmai è il contrario» le aveva detto. «Più si avvicinano a Dio, più gli angeli diventano imponenti e spaventosi: ammassi confusi di occhi, ali ed anelli. I demoni sono fatti per seminare il male tra noi umani, e gli umani sono inesorabilmente attratti dalla bellezza. Perciò sì: i demoni sono probabilmente tutti bellissimi.»

A scuola, invece, le avevano spiegato che c'era stato uno scultore belga, un certo Joseph Geefs, il quale aveva rappresentato il Diavolo in una statua dalla bellezza sconcertante. Era stupenda, troppo per essere la rappresentazione del male. Cosí venne chiesto al fratello di Joseph, Guillame, di farne un'altra. Guillaume Geefs scolpì Le Génie du Mal, noto anche come Lucifero: una bellezza classica ancora più bella di quella realizzata dal fratello.

Sembrava quasi che non ci fosse modo di sfuggire al fascino del male.

    «Forse lo hanno rappresentato così perché è davvero così bello» aveva detto Lily alla sua professoressa di arte, la quale aveva ridacchiato e l'aveva liquidata con un semplice: "E chi lo sa".

Ora però Lily lo sapeva bene. Certo, non aveva certamente davanti Lucifero, ma aveva scoperto che i fratelli Geefs avevano assolutamente ragione.

C'era qualcosa in quegli abiti neri ed aderenti, in quel fisico magro e spigoloso sormontato da una fiammante capigliatura rossa che la faceva sciogliere. Forse era solo l'essere ferma d'innanzi a colui che la sua famiglia vedeva come una divinità.

Di certo la sua preda aveva buon gusto in fatto di amori proibiti.


    «Buongiorno» salutò cordiale, poggiandosi al bancone.

Lui parve non vederla nemmeno. Andò subito ad afferrare il vaso più bello dello stand e si mise ad osservarne il contenuto da dietro le lenti scure dei suoi occhiali da sole.

    Lily si limitò ad osservare per un po'. Poi decise di ritentare: «Sono belli, vero? Li abbiamo chiamati Regine della Notte.»

Stavolta si ritrovò con quello sguardo celato proprio addosso. Avrebbe voluto scorgere oltre il suo riflesso, ma qualcosa le disse che sarebbe stato volutamente impossibile.

    «Sono i migliori che hai?» Chiese il rosso in una mezza smorfia. Aveva inclinato appena il fiore ma non era scivolata giù nemmeno una briciolina di terra.

    «Temo che il più carino se lo sia portato via una signora poco prima di lei» rispose Lily poggiando la testa su una mano e mettendo su la facciotta più dispiaciuta che riuscisse a simulare. «Quello che ha in mano è decisamente il secondo in classifica, però.»

Seppur non convinto al cento per cento, lui sbuffò appena e andò a poggiare il vaso davanti a lei. Emise un impercettibile: "Essia" che sapeva tanto di rassegnazione.

    Lily prese a fare il conto con nonchalance. Le venne automatico scalarlo di qualche sterlina e non ebbe bisogno di chiedersi perché. «Tanta premura mi fa pensare che sia un regalo.»

    «Una specie.»

    «La maggior parte della gente viene qui in cerca del fiore perfetto per la persona che ama». Avvolse un nastro color crema attorno al vaso e ne fece un fiocco. «Lei sembra avere le idee chiare a riguardo.»

    «Che ne sai che non è solo una decorazione per davanzale?» Rispose lui, stizzito. Le sue guance avevano preso un colore roseo che troppo cozzava con il suo abbigliamento monocromatico. Bingo.

    Lei fece l'occhiolino: «Ho fiuto per queste cose». Consegnò il fiore. «Non ha bisogno di molte attenzioni. Lo tenga alla luce e il gioco è fatto». Dopodiché vide il Tentatore andare via con le sopracciglia aggrottate. Prima che potesse prendere la porta, però, esclamò: «Oh, e bel tatuaggio.»

Lui si voltò un'ultima volta, dandole la possibilità di scorgere il bel serpente attorcigliato che aveva disegnato sulla tempia. Poi parve rabbuiarsi ancora di più e prese la porta senza neanche salutare.

Chissà se si è accorto di qualcosa, pensò Lily tamburellandosi il fianco. Sotto al grembiulino pieno di fiori ricamati che portava a lavoro, se ne stava il solito pugnale.

Forse sì, forse no. Poco importava.

Prese il cellulare e mandò un messaggio al numero che Gabriel aveva utilizzato per contattarla. In realtà non doveva necessariamente informarlo di ogni singolo procedimento, ma certamente gli avrebbe fatto piacere (in realtà non tanto) sapere che ci aveva preso.

Noi umani pensiamo che bene e male esistano per completarsi, aveva scritto. Forse questi due lo hanno capito prima di chiunque altro.

   
 
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