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Autore: Wilson Walcott    16/12/2022    0 recensioni
Martedì 06 Maggio 2014
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

 

La situazione era più complicata del previsto e non gli dava pace.

Purtroppo non sembrava migliorare ma, al contrario, con il tempo a tratti era persino peggiorata.

Francesco ricadeva in circoli viziosi perpetui, attirato come in un vortice infinito di pensieri che lo inghiottiva e lo portava a commettere sempre gli stessi identici errori, ormai da anni.

Ed eccolo lì, immobile e demoralizzato, seduto su quel divano rosso porpora che era diventato come una seconda pelle per lui, con lo sguardo perso nel vuoto più totale, la lucidità mentale appannata che lo portava a contemplare il nulla, fissando un punto spento della stanza: paralisi generazionale.

Punto e d'accapo, a dannarsi su come sarebbe potuta essere la sua vita se le circostanze non fossero state tanto avverse e il destino così crudele nei suoi confronti (almeno secondo il suo punto di vista).

Aveva creato una sorta di muro, una barriera mentale che non riusciva a superare. Più cercava di scavalcarla e più cadeva in vecchi schemi. Più tentava di farlo e più falliva.

Era bloccato nel passato, in quei ricordi e rimpianti che non riusciva ad accettare e superare in quanto tali, artefici di paure ed ansie, tra lacrime e vecchi mostri che, ciclicamente e senza apparente motivo, si ripresentavano più forti e paurosi delle volte precedenti.

Era sull'orlo del baratro.

Aveva il cervello intasato da immagini e pensieri negativi che lo avrebbero portato sicuramente alla morte, o peggio alla pazzia, se non avesse posto rimedio in tempo.

Dal profondo del suo cuore ne era perfettamente consapevole e questo stato mentale lo logorava da dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì 06 Maggio 2014, ore 16:35

 

Il clima era piacevole ed accogliente.

Soffiava un vento fresco e rilassante che rinnovava l'aria tutt'intorno; qualche nuvola spara qua e là su un cielo limpido, come in un quadro di Georges Seurat, faceva da cornice allo spettacolo verdeggiante della natura.

Un Sole stranamente mite per il periodo sormontava il tutto conferendone colore e luce mentre il 32enne Francesco Vella, figlio di un ex operaio edile e di una casalinga del napoletano, si recava con la sua Fiat Punto blu presso lo studio medico dal quale, non molto tempo prima, lo aveva indirizzato la zia Carmela, fiduciosa e speranzosa che una delle migliori psicologhe della zona potesse aiutare il nipote ad uscire dal tunnel della depressione nel quale era incappato.

Dopo giorni e giorni di incertezza, infatti, il giovane si era finalmente convinto a tentare anche quella strada.

Si fece dunque prenotare una visita a suo nome, dopo essersi fatto spiegare per filo e per segno ove si trovasse il luogo dell'appuntamento.

 

«C. so Vittorio Veneto numero 4. Ci sono quasi» disse tra sé e sé il giovane, fissando il foglietto a quadretti macchiato di caffè e logoro, stropicciato e scarabocchiato dalla zia, con sopra scritto un indirizzo ed una mappa improvvisata per agevolarne la comprensione, mentre con la sua automobile svoltava sulla sinistra, imboccando una stradina appartata che conduceva ad un quartiere isolato.

 

Si trovava a Giugliano in Campania per l'esattezza: una piccola Napoli ai confini di Napoli.

 

«Eccolo. Dovrebbe essere questo se non mi sono sbagliato del tutto» aggiunse al suo discorso mentale alzando lo sguardo dalla strada ed osservando la palazzina appariscente che gli si prospettava davanti agli occhi, colorata di un rosa salmone, tra balconi e panni stesi al Sole.

Immersa in tanti altri fabbricati ed abitazioni era facilmente riconoscibile dalla descrizione che ne aveva dato la sorella del padre, accennando ad un enorme parafulmini nero che si ergeva al di sopra del palazzo, quasi come una sorta di stendardo messo lì come monito della superbia umana.

 

Ed effettivamente quest'ultimo sormontava quell'edificio, conferendone importanza e distinguendolo da tutti gli altri, essendo la prima cosa visibile ad occhio nudo, soprattutto a quello di un forestiero.

 

“Spero che si possa parcheggiare qui senza problemi” pensò inizialmente Francesco, mentre sistemava la macchina tra due auto, una Cabriolet rossa ed una Mini bianca, nelle apposite strisce blu.

A quel punto, dopo aver spento l'auto, scese dalla stessa e si osservò intorno, notando che nessuna macchina di quella fila aveva il tagliando del parchimetro sul cruscotto.

 

“A pensarci bene potrei benissimo non pagare, tanto chi se ne accorgerebbe?” si chiese con aria furbesca mentre i piedi gli indicavano la direzione da seguire.

Dopo quel pensiero, però, tornò subito sui suoi passi, avendo avuto un'educazione rigida o, meglio, dopo aver sviluppato nel corso della sua intera esistenza una sorta di astio nei confronti della fortuna ed essere giunto, negli anni, alla conclusione che la Divina Provvidenza non ha legislatura nella vita degli uomini, che non aiuta od interviene, se non in casi rari e che tutto è dominato dal puro caso e dal potere, decise di pagare senza troppi indugi e di non mettere alla prova il fato.

 

Questa riflessione teologica lo convinse che era meglio non osare.

Anche se trovare un vigile urbano a Napoli o in provincia, alle 16:40 di un giorno infrasettimanale di Maggio, che se ne va in giro a fare multe con il suo taccuino in mano, in una stradina appartata e fuori zona, è una situazione altamente improbabile che lascerebbe perplesso anche il Re del creduloni.

Ma a quanto pare quell'unica e remota eventualità preoccupava non poco il nostro protagonista che decise perciò di non rischiare.

 

Dopo aver cercato il parchimetro ed aver pagato la somma di 1,20 euro per due ore, aver riposto il bigliettino sul cruscotto in bella vista ed essersi aggiustato i capelli neri e folti nel riflesso dello specchietto rotto della sua Punto del 2005, si avviò verso il palazzo, distante pochi metri dal parcheggio esterno.

Un cancelletto grigio chiaro delimitava l'entrata dello spazio antecedente il portoncino marrone, contraddistinto da un citofono dello stesso colore del cancello che faceva pendant con il resto del tema e tra i tanti nomi e cognomi che vi figuravano sopra, vi era anche quello della Dott.sa Michela Vivenzio, psicoterapeuta.

 

Aspettò un po' prima di agire, con aria sofferente ed agitata, essendo lui una persona molto insicura ed ansiosa di natura.

Alla fine, sbuffando ed alzando lo sguardo al cielo, si decise e suonò il campanello.

Dopo alcuni minuti il cancelletto si aprì, lasciando Francesco per un attimo stupito ed impaziente di sentire una voce che lo chiamasse, chiedendogli almeno chi fosse ma che, nonostante il tempo già trascorso ad aspettare, tardava ad arrivare dall'altoparlante.

Attese ancora un po', con il volto perplesso ed interdetto.

“Uhm strano” pensò in un primo momento il ragazzo, il cui stupore iniziale però lasciò subito posto ad un dubbio che lo aveva accompagnato fin dall'inizio del suo tragitto e che fece scivolare la questione del citofono muto in secondo luogo.

“Quale piano sarà?”

Dopo essersi soffermato una manciata di secondi nel riflettere si rispose da solo: “Mi sembra che sia il terzo”.

Era quasi convinto di questa affermazione, anche se non del tutto certo ed ancora leggermente confuso.

Tuttavia, decise di incamminarsi sulle scale bianche che conducevano ai piani superiori.

Nel farlo, però, incrociò una signora anziana che le stava scendendo, mentre lui saliva.

La osservò attentamente per qualche istante, soprattutto in viso, soffermandosi molto sulle rughe scavate.

«Buonasera» disse Francesco con aria di cortesia.

«Buonasera giovanotto» ricambiò la signora accennando un timido sorriso.

 

Dopo quel breve ed informale saluto gli rimanevano ancora un altro paio di scalini da superare prima di raggiungere il terzo piano e ritrovarsi fuori dallo studio.

Camminò un po' per il piano, scrutando le varie porte cercando il nome della dottoressa. Preso dall'agitazione per la situazione nuova che doveva affrontare e non volendo per tale motivo fare tardi al suo primo appuntamento, pensò che sarebbe stato il caso di chiedere indicazioni alla donna anziana vista poco prima sulle scale. Ma non ci aveva pensato in quel momento.

Con questo stato d'animo era quasi convinto ad andarsene quando notò in lontananza una porta, con una targhetta fuori. Era il posto giusto.

 

Appena giunto sull'uscio si soffermò per un attimo, di fronte all'ingresso, vicino ad uno zerbino verde scuro contrassegnato dalla scritta “WELCOME” a caratteri cubitali, di un rosso acceso.

Era leggermente posizionato sulla sinistra rispetto al punto in cui, di norma, doveva trovarsi. Notò questo piccolo particolare e con un piede lo spostò al centro, il più simmetricamente possibile; era una persona decisamente ordinata, a volte anche maniacale, sempre pronta a controllare le minime cose. Non amava la confusione e il disordine, almeno non quello esterno.

 

 

La sua attenzione, dopo quel gesto, tornò al presente, a quello che stava facendo, al posto in cui era e al motivo per il quale si trovava lì.

“Sicuro che non sia solo una perdita di tempo?” pensò titubante, mentre fissava quella porta marrone.

 

Aveva più di una incertezza ed era ancora in tempo per fare dietrofront, ma il suo istinto di sopravvivenza, misto alla voglia di cambiamento e di riscatto, lo fecero desistere dall'andarsene e convincere a restare, almeno per una volta nella sua vita; così fece un sospiro profondo e suonò il campanello.

 

Dopo qualche secondo di attesa si aprì la porta.

Ad aspettarlo una giovane ragazza di bell'aspetto sulla trentina, vestita con una gonna nera sotto una camicetta bianca.

 

«Salve, buonasera. Piacere, Francesco» disse tutto di un fiato, con la voce tremante, mentre le stringeva la mano con delicatezza, diventando rosso in viso.

In questo modo si presentò, visibilmente imbarazzato. Di certo non si aspettava una così piacevole sorpresa.

Del resto, nelle sue proiezioni mentali, se l'era immaginata in modo totalmente diverso: anziana, capelli grigi, vestiti all'antica, magari con un accento strano e con qualche dente mancante.

«Salve, mi chiamo Michela Vivenzio, piacere di conoscerla. Entri e si accomodi» rispose lei in modo molto calmo e pacato, tipico atteggiamento di chi, per mestiere, deve mettere le persone a proprio agio.

«In fondo a destra» disse la psicologa, mentre con una mano indicava davanti a sé e con l'altra chiudeva la porta dietro le sue spalle.

Il giovane, seguendo le indicazioni di quella bellissima ragazza, entrò in una stanza, quasi isolata dal resto delle camere dell'appartamento.

Era piccola ed accogliente, arredata con una scrivania in mogano di un marrone ombroso, un divanetto verde pastello e di fronte una poltrona dello stesso colore, mentre sulla sinistra regnava un balcone immenso che affacciava sulla strada principale e dal quale si intravedeva anche il parcheggio.

 

«Si accomodi» disse la Vivenzio, indicando il divano e prendendo posizione sulla poltrona. Così Francesco si sedette.

 

L'atmosfera era rilassante e tranquilla, la stanza era tappezzata di un parato celeste, il tutto contraddistinto da quell'ampio balcone che conferiva luce all'interno.

Trascorsero un paio di secondi di silenzio che sembrarono durare un'eternità.

Per rompere il ghiaccio, allora, il ragazzo menzionò la vicenda del citofono.

«Per caso è rotto il citofono? Non mi ha risposto quando ho suonato» chiese con un sorriso tirato, cercando di stemperare un po' l'imbarazzo generale che si era creato.

«No, è che presumevo fosse lei. Di solito non rispondo al citofono se ho appuntamenti in lista» rispose l'analista.

«E se fosse stato un ladro?» se ne uscì con una domanda che non voleva nemmeno porre, ma che era uscita quasi da sola dalle sue labbra, dopo averla pensata.

«Non credo che i ladri suonino il citofono» disse lei «al massimo avrei chiamato la polizia» aggiunse con tono quasi ironico.

 

Quel silenzio calò di nuovo nella stanza mentre Francesco, con calma, cercava di ambientarsi.

Venne, però, interrotto dalle parole della terapeuta:

«Mi dica Francesco, perché è qui? Perché sente la necessità di un consulto psicologico?»

 

   
 
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