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Autore: Nazuhi    25/12/2022    1 recensioni
E' la notte della vigilia di Natale e Isaac sta osservando la neve imbiancare le foreste siberiane. E' tardi, ma lui non ha sonno e non vuole andare a letto, nonostante le insistenze di Camus. Quello che vuole è trovare il coraggio per dire al maestro quello che prova davvero, ma scendere a patti con i propri sentimenti è tutt'altro che facile.
***
[Nda: la OS verte su un amore adolescenziale non corrisposto; è abbastanza sfumato, ma non ho inserito il tag per le relazioni shonen-ai perché in questo caso il sentimento è a senso unico e non si può parlare di coppia in senso stretto]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Kraken Isaac
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il desiderio più grande

 

Isaac era appoggiato al davanzale della finestra, il naso appiccicato al vetro gelido. Fuori, un manto bianco aveva ricoperto la foresta siberiana, i tetti spioventi delle case del villaggio e gli enormi ghiacciai che vegliavano sulla regione come antichi giganti addormentati. Era tutto candido e freddo, e sopra la terra i riflessi iridescenti dell’aurora boreale increspavano il cielo notturno. Era la notte della Vigilia di Natale e lì in Siberia faceva molto più freddo del solito.

«Dovresti andare a letto.»

Isaac si staccò dal vetro e si voltò verso Camus. «Non ho molto sonno.»

«È quasi mezzanotte e tra non molto qui farà freddo.» Camus lo guardò con un lieve sorriso accennato sulle labbra. «E se non vai a dormire, Babbo Natale non potrà portarti il regalo.»

Il ragazzino sbuffò e si allontanò dalla finestra. «Non ci credo mica più.» Si lasciò cadere sulla poltrona e raccolse le gambe al petto. «Non ci credevo più di tanto neanche da bambino.»

Il maestro non commentò e gli poggiò una coperta sulle spalle. «Vuoi una cioccolata calda?»

«No, grazie.»

«Del latte? Forse ne è rimasto un po’.»

«Puoi restare un po’ qui con me?»

Camus sollevò le sopracciglia, ma si sedette sul divano. Per molto tempo ci fu solo silenzio.

«Non ti piace proprio il Natale, vero?» gli chiese l’uomo.

Isaac si strinse nelle spalle e spostò gli occhi sul fuoco che crepitava basso nel camino. Accanto, c’era un piccolo abete addobbato con alcune palline di plastica e un angioletto sulla punta. Su un ramo in alto era appeso un foglietto di carta ripiegato e spillato: era il desiderio di Hyoga. Il suo non l’aveva mai scritto.

«Diciamo che il Natale sveglia fantasmi che vorrei continuassero a dormire» rispose, con un filo di voce.

«Come i tuoi genitori.»

«Già…» Tornò a guardarlo. «Però forse per Hyoga è peggio.»

«E perché lo pensi?»

«Bè, sua madre era una brava persona, immagino che lo festeggiassero insieme.»

«Mi dispiace.»

«Non è colpa tua, maestro.»

«No, ma vorrei comunque vedervi stare bene.» Si alzò in piedi e gli si avvicinò. «Vai a letto, per favore.»

Isaac abbassò gli occhi sulle sue braccia avvolte intorno alle ginocchia. Non ne aveva molta voglia, voleva restare in soggiorno con lui, anche in silenzio andava bene. Era disposto a tutto pur di trascorrere qualche momento con Camus, da soli.

«Lo dici perché così metti i nostri regali sotto l’albero?»

Camus fece un timido sorriso. «Anche. E perché sembri esausto e devi riposare.»

«Io sto bene, posso stare in piedi un altro po’. Magari leggo qualcosa.»

«Per favore, non farmelo ordinare.»

«Però…» Isaac si morse il labbro e ingoiò la protesta. Voleva restare con lui, ma non al prezzo di avere una discussione. «D’accordo, come vuoi.»

Si alzò in piedi, ripiegò la coperta e la appoggiò sulla poltrona. Si incamminò verso la camera da letto che condivideva con Hyoga, ma si fermò sull’ingresso del piccolo soggiorno. Rimase immobile per una manciata di secondi, nel tentativo di raccogliere il coraggio necessario per fargli la domanda che da tempo gli dilaniava il petto.

«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese Camus.

“Sì, di una risposta”, gli avrebbe voluto rispondere, ma rimase in silenzio. Non poteva chiederglielo e rischiare di rovinare tutto. Anzi, avrebbe distrutto qualsiasi rapporto abbiano mai avuto, ne era certo. Quella era una domanda pericolosa e la risposta, alla fine, la conosceva già.

Non lo amava, non nel modo in cui lo amava lui.

Eppure, non riusciva a continuare a ignorare quella fitta nel petto.

Si voltò.

«Cosa sono io per te? Sii sincero.»

Camus sollevò le sopracciglia e lo guardò per un silenzio troppo lungo e assordante, poi le labbra si incurvarono in un piccolo sorriso.

«Sei il mio allievo e mio figlio. E qualsiasi cosa accada continuerai a esserlo, Isaac.»

Allievo, figlio, ma non quello che avrebbe voluto essere lui. E lo sapeva, in cuor suo lo aveva sempre saputo che Camus non l’avrebbe mai visto in modo diverso. Forse perché lo aveva cresciuto, forse perché era più grande di lui di sei anni, forse perché ai suoi occhi sarebbe sempre stato il bambino spaventato che aveva salvato da una famiglia violenta.

Ma mai, mai, sarebbe stato il suo amato. Quel corpo gli era precluso e sempre lo sarebbe stato.

Ingoiò la fitta che gli stava dilaniando il petto e accennò un sorriso, il più luminoso e falso che potesse indossare in quel momento.

«Grazie» mormorò. Gli diede le spalle una seconda volta e fece per oltrepassare la soglia.

«Aspetta.»

Isaac si fermò e tornò a guardarlo. Camus lo raggiunse in pochi passi e lo abbracciò. Le sue mani gli strinsero la nuca e l’incavo della schiena, ciocche rosse come il fuoco gli invasero il campo visivo. Il suo calore lo invase e gli bruciò l’anima.

«Va tutto bene, non sei sbagliato» sussurrò. «Essere tristi e sofferenti per quello che ti hanno fatto i tuoi genitori va bene. Almeno per stasera puoi permetterti di essere debole, non ti rimproverò.»

Isaac si morse il labbro, appoggiò la fronte sulla sua spalla e ricambiò l’abbraccio. Per un breve e sciocco attimo aveva creduto che il maestro avesse capito il gomitolo di emozioni che aveva nel petto, che avesse visto attraverso i suoi gesti e le sue parole ciò che non aveva il coraggio di dirgli.

Ma si era illuso. Camus non aveva capito e, in fondo, era meglio così. Se non poteva amarlo come desiderava il suo cuore, allora lo avrebbe fatto come figlio devoto. Era disposto a tutto pur di continuare a vivere al suo fianco, anche a fare a pezzi la sua anima.

Camus sciolse l’abbraccio, gli arruffò i capelli e tornò verso il camino per spegnere il fuoco. Isaac lo osservò per una manciata di secondi e poi uscì dal soggiorno e si diresse nella stanza che condivideva con Hyoga.

Entrò in silenzio e senza accendere la luce. Si infilò sotto le coperte e aprì il cassetto del comodino. Prese il foglietto che aveva riposto al suo interno e lo aprì. Alla luce fievole della luna riflessa sulla neve, l’inchiostro nero della biro brillava di riflessi argentei. L’accarezzò con il pollice, quelle cinque lettere tracciate con grafia sottile e sbilenca. Quel nome depositario di un amore che gli bruciava nel petto, ma che non aveva il coraggio di pronunciare ad alta voce.

Il nome dell’uomo di cui si era innamorato.

Il suo desiderio più grande.

  
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