Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |       
Autore: StarFighter    06/01/2023    5 recensioni
“Vuoi sposarmi?”
“Cosa?” il telefono quasi le cadde di mano, lo stupore le aveva bloccato le funzioni motorie.
“Vuoi sposarmi?” un respiro profondo, il suo temperamento mandava scintille anche a distanza. “È la terza volta che lo ripeto. Sei per caso sorda, Sango-san?” Un gentleman, come sempre.
C’erano due grossi problemi con quella frase: di sicuro non avrebbe sposato il suo capo e di certo lei non era Sango.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
A Business Proposal Au che partecipa al contest Inu-spiration, indetto su Tumblr dalla comunità feudalconnection :)
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutte! Vi avevo accennato che questa storia partecipava a un contest su tumblr ed era una collaborazione con un’artista del fandom, beh se siete curiose questa è la fanart che ha ispirato, creata dalla talentuosissima nartista.  Buona lettura!

 

                                                                                         

                                                                                                 CAPITOLO IV

 

Era una piacevole sensazione quella di risvegliarsi da donne libere dalla paura di finire sotto un ponte, sapere di avere ancora di che campare era come liberarsi da un macigno ingombrante che le premeva sullo stomaco. La sera precedente, quando era tornata a casa, ancor prima di togliersi la parrucca e di liberarsi di quelle scarpe infernali, aveva aperto il cassetto della sua scrivania e aveva recuperato l’assegno di Sango. L’aveva guardato quasi con le lacrime agli occhi e ci aveva stampato sopra un bacio. Quel piccolo pezzo di carta insignificante era la sua scialuppa di salvataggio, sarebbe rimasta ancora per un po’ a galla.

Si rotolò tra le lenzuola, stiracchiando le braccia sopra la testa e un grosso gatto balzò sul letto, impastando con le piccole zampine la sua pancia. “Buyo, potrò ancora riempire la tua ciotola, tranquilla.” Farfugliò con voce arrochita dal sonno, accarezzando la testa del felino. Si voltò a guardare la sveglia e piagnucolò, spaventando il gatto: aveva solo mezz’ora di tempo per prepararsi e lasciare casa, altrimenti avrebbe perso la metro per l’ufficio. Grazie a dio era venerdì.

Si lanciò di corsa in corridoio, cercando di non inciampare in Buyo, che le stava dietro nella speranza che le desse da mangiare. Vide suo fratello uscire dalla sua stanza in fondo al corridoio e scattò verso il bagno come una centometrista in vista del traguardo, chiudendosi la porta alle spalle. “Neechan!” lo sentì urlare, ma si stava già disfacendo del pigiama per buttarsi sotto la doccia.

Quando scese giù in cucina per afferrare qualcosa al volo per colazione, suo fratello le lanciò un’occhiataccia. “Ormai sei grande, Sota. Credo tu sia capace di trattenerla per cinque minuti.” E con quella frase si guadagnò un bel dito medio.

“Smettetela voi due. Il sole è appena spuntato e voi già siete qui a beccarvi.” Sua madre non sopportava i battibecchi,  la discordia o i contrasti familiari. Avrebbe voluto che tutti riuscissero  a vedere il mondo come lo vedeva lei, attraverso una lente rosa sfocata, dove c’erano pace e amore fra tutto e tutti. Peccato che fosse un’utopia. “Kagome, mettiti a sedere c’è la zuppa di miso.” Non appena la posò sul tavolo, suo fratello si tuffò con la testa nella scodella, alternando sorsi di zuppa a bocconi di riso e pesce essiccato.

“Mi dispiace mamma, ma devo scappare. Non posso far tardi di nuovo.”  Afferrò una fetta di pane tostato, ci spalmò sopra della marmellata e se la infilò tra i denti. “Mukotsu mi sta con il fiato sul collo.” Riuscì a dire tra un morso e l’altro, mentre nel frattempo si versava del tè. Ingurgitò l’ultimo pezzo di pane, mandandolo giù con un sorso di tè, e quasi si strozzò. La madre le batté una mano sulla schiena e scosse la testa, abituata a quella scena pietosa.  Lasciò la tazza nel lavandino, scompigliò i capelli di Sota, lasciò un leggero bacio sulla guancia della mamma e si diresse verso il genkan. Mentre si infilava le scarpe, il nonno entrò dalla porta tenendo qualcosa tra le mani. “Oh Kagome, cercavo proprio te. Tieni, ecco.” Le depositò un piccolo fagottino di stracci tra le mani e guardò con ansia mentre lei lo srotolava. All’intero c’era quella che sembrava essere la zampa di un qualche anfibio, grigia e un po’ rattrappita e dall’odore penetrante. Guardò suo nonno con un sopracciglio alzato e il vecchio si illuminò. “È una zampa di kappa, è un grande portafortuna. Voglio dartela, per incanalare tutta la buona sorte su di te perché tu abbia un aumento.” Le diede una pacca sulla testa, come quando era bambina, regalandole un enorme sorriso. E se all’inizio aveva pensato di lasciare quel regalo nell’ingresso, sperando che Buyo lo trovasse e lo facesse sparire come uno spuntino, decise che l’avrebbe portato con sé, non voleva dare un dispiacere a suo nonno. Non capiva come la zampa di qualche rospo morto chissà quanto tempo prima potesse portarle fortuna ma riavvolse stretto il piccolo involucro e se lo infilò in borsa. “Spero porti fortuna allora. Grazie, jii-san.”

Valeva la pena portarsi dietro quel coso, se suo nonno le sorrideva così.

Scese a rotta di collo l’enorme scalinata del tempio e frugò nella borsa per recuperare il cellulare che vibrava insistentemente. Rispose mentre correva verso la stazione, facendo lo slalom tra vecchietti e studenti che come lei si affrettavano nella stessa direzione. Non li invidiava, gli anni del liceo per lei erano stati un vero delirio.

“Moshi, moshi.” Rispose col fiatone e il pensiero che forse alla sua età avrebbe dovuto essere più in forma le baluginò per un breve istante in mente.

“Ohayo, Kagome-chan!”- la voce cristallina di Sango le carezzò l’orecchio- “Ti sei divertita ieri sera?”

“Sei fortunata ad essere la mia migliore amica, la gente uccide per molto meno.” Tenne il cellulare tra la spalla e l’orecchio, pescando dalla tasca la tessera della metro e la passò sul lettore ottico. Si infilò nel tornello, incanalandosi nel flusso di persone che si affettavano verso le banchine.

“Era così terribile? Di solito sono almeno belli da guardare.” Sentì Sango sorseggiare qualcosa, di sicuro il caffè più nero che avesse potuto trovare, corretto con non meno di tre bustine di zucchero. La sua colazione tipo dai tempi dell’università. A nulla erano valsi i suoi ammonimenti sugli effetti negativi di quelle quantità di caffeina che ingurgitava: Sango non c’avrebbe mai rinunciato, se la sarebbe fatta iniettare direttamente in vena se ce ne fosse stato il bisogno.

“Era il mio capo.” Le disse cercando di non urlare nel frastuono composto del binario. Era già imbarazzante così, se qualcuno l’avesse sentita sarebbe sprofondata.

 “Eeeh! Toga Taisho?”- esclamò incredula Sango, urlando così forte che dovette allontanare il cellulare dall’orecchio-  “Non pensavo fosse ancora sulla piazza.”

“Non lui, suo figlio. Il nuovo responsabile del marketing,”- si portò una mano alla bocca, sussurrando nel cellulare il nome che  l’aveva perseguitata fino a casa dopo il loro appuntamento e che non l’aveva lasciata riposare nemmeno durante la notte- “Inuyasha Taisho.”

Sango ammutolì e le sembrò che avesse messo giù.  Ops.”

“Già, Sango. Un gran bel ops.” Ops non  era abbastanza per descrivere quella situazione, ma doveva  accontentarsi. Era in metro, stretta tra decine di persone, non si sarebbe lasciata andare a parole più esplicite.

“E?” Poteva sentire la trepidante ansia di Sango anche a distanza, da quell’appuntamento dipendevano troppe cose non solo per lei.

“E cosa?”

“Ti sei divertita?”

“Sango ti ho appena detto che il mio - tuo- appuntamento al buio era il mio nuovo capo e tu mi chiedi se mi sono divertita?” Perché l’amica metteva così a dura prova la sua pazienza di prima mattina? Non aveva già sofferto abbastanza la sera prima?

“Ho sentito dire che è molto attraente.”

“Il-mio-capo.” Sillabò lentamente, cercando di non urlare. Qualcuno dei pendolari le lanciò un’occhiata incuriosita. “Quello che mi paga lo stipendio e che se dovesse venire a sapere che l’ho ingannato in quel modo, spacciandomi per te, mi licenzierebbe senza pensarci su due volte.” Sospirò, svuotata dopo quell’affermazione, e la paura che in qualche modo Inuyasha avesse potuto scoprire la sua vera identità, tornò a serrarle lo stomaco. “È stato orribile.”

“Su, su, Kagome-chan. È uno degli scapoli d’oro del paese, dubito sia così male.”

“Avrei preferito ingoiare carboni ardenti.” Proferì, roteando gli occhi per il fastidio. Era da molto che una persona non le dava così noia, e l’ardore che le incendiava il petto la colse di sorpresa.

“Stai chiaramente esagera-”

“È  scontroso, impudente, manca delle più basilari buone maniere,” -prese un respiro e continuò -“solo perché è attraente crede di poter trattare il prossimo con sufficienza, per non parlare della sua totale mancanza di umiltà! Mi ha praticamente detto che chiunque lo sposerebbe solo per i suoi soldi. Che bastardo!” La sua voce, partita come un sussurro accorato, finì per diventare un’invettiva concitata. Gli altri passeggeri la fissarono attoniti.  L’interfono del vagone annunciò la sua fermata, interrompendo quell’immobilità imbarazzante e stringendo forte le labbra per non urlare, si affrettò verso l’uscita con la speranza di lanciarsi fuori dalla metro il prima possibile. Non appena il vagone si fermò riuscì nel suo intento, Sango continuava a sorseggiare il suo qualsiasi cosa fosse dall’altra parte della linea e lei correva come un’ossessa tra le strade brulicanti, tenendo il cellulare attaccato all’orecchio con una mano e reggendo la sua borsa con l’altra.

“Quindi è andato tutto bene da quello che sento. Hai trovato comunque uno sfogo alla tua frustrazione e l’appuntamento è andato male.  Entrambe ne abbiamo ricavato qualcosa. Chiamerò mio padre nel pomeriggio per dirgli che lo scapolo numero otto non faceva per me e lui, chiamando l’altra parte per avere conferme si sentirà dire che questo matrimonio proprio non è fattibile. Tu incasserai quell’assegno e io continuerò a vivere libera ancora per un po’. Tutto bene quel che finisce bene, giusto?”

“G-giusto.” Farfugliò, avvicinandosi di corsa all’entrata del suo ufficio: la Taisho Tower si stagliava grigia e fredda, come la lama di una katana, contro il cielo plumbeo di Ottobre. Non era del tutto d’accordo con Sango. Sì, l’appuntamento era stato un disastro. Sì, lei avrebbe incassato l’assegno e sì, un po’ della sua frustrazione repressa aveva avuto sfogo, ma a quale prezzo? La sua ansia si era quadruplicata nelle ultime dodici ore e il timore di essere scoperta le faceva attorcigliare le budella. Forse sarebbe andata in analisi. “Ma…” cercò di mettere a parole le sue paure.

“Congratulazioni, Kagome-chan. Cosa te ne farai della tua bella ricompensa? Te la sei meritata.” La sua amica la stoppò sul nascere, portando i suoi pensieri su altri binari. In effetti ci aveva già pensato, la sera precedente prima di addormentarsi, aveva fantasticato su cosa potersi regalare dopo aver pagato le bollette del tempio. “Potremmo andare a fare shopping sabato, che ne pensi?”

“Aiuterò il nonno a riorganizzare il deposito, mi aspetta una favolosa giornata di racconti deliranti su presunte reliquie dell’epoca Sengoku.” Attraversò l’atrio della Taisho Tower- il tap-tap-tap dei suoi passi risuonava sul pavimento di marmo lucido-  affrettandosi verso gli ascensori. “Sarà per la prossima volta.”

“Peccato.” Sentì qualcuno rivolgersi a Sango e l’amica coprì il microfono del cellulare, rispondendo in maniera formale. “Devo andare, Kagome-chan. Ci vediamo al solito posto stasera?”

“A stasera, Sango-chan.” Chiuse la chiamata e pigiò il tasto per chiamare l’ascensore. Stranamente non c’era nessuno in attesa di salire ai piani, e si lasciò sfuggire un pesante sbuffo mentre si passava una mano tra i capelli. Quando sarebbe passata quella sensazione di panico che l’attanagliava? Si sarebbe mai liberata del terrore di incontrare il suo capo in ufficio e di essere scoperta per l’imbrogliona che era? Dopotutto da quando lavorava lì aveva visto Toga Taisho solo una volta, quante possibilità c’erano di incrociare Inuyasha lì negli uffici? Secondo la sua personalissima teoria delle probabilità, una su mille.

 Il ding dell’ascensore la risvegliò dalle sue elucubrazioni e si infilò dentro, schiacciò il tasto del suo piano meccanicamente, senza guardare, mentre scrollava la mail sul cellulare. Era così concentrata dal cancellare lo spam che non si accorse della mano che si infilava tra le porte che si chiudevano. Quando si rese conto che era ancora ferma al piano terra e alzò lo sguardo dallo schermo del cellulare, il cuore le saltò in gola.

La sua teoria delle probabilità faceva acqua da tutte le parti. 

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.

 

 La donna nell’ascensore lo guardò come se fosse sul punto di ucciderla: occhi sgranati, cellulare stretto al petto e respiro rotto. Perché faceva quell’effetto? Non aveva la reputazione di essere una persona violenta. Possibile che le voci sulla sua irritabilità avessero varcato i confini del reparto marketing? Cercò di non sembrare spazientito. Ultimamente tutto gli dava sui nervi.

“Ohayoo gozaimasu.” Mormorò, tenendo aperte le porte per Miroku che gli era corso dietro. La donna inchinò rigida il busto e non si rialzò, farfugliando un saluto con un filo di voce, rimanendo in quella scomoda posizione anche quando l’ascensore cominciò a salire. Miroku lo imitò e quando si accorse che la donna rimaneva immobile, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

Scrollò le spalle - a quel punto non gli importava più di niente - e inspirò profondamente per controllarsi. Un odore penetrante gli colpì le narici, un fetore di morte stagnante che gli fece arricciare il naso,  misto al profumo di un qualche detergente da discount. Quell’odore proveniva dalla donna.

 “O lei è uno zombie o qualcosa è deceduto nella sua borsa.” La sua bocca fu più veloce del suo autocontrollo e vide la donna sussultare. Un verso strozzato le uscì dalle labbra e si raddrizzò quasi del tutto, solo il volto rimase nascosto dietro una cortina di capelli scuri.

“M-mi scusi?” squittì, come un topolino messo all’angolo, stringendosi ancora di più su sé stessa, come volesse scomparire davanti ai suoi occhi.

Miroku lo fissò a bocca aperta, il suo sguardo si muoveva tra lui e la donna come la pallina in una partita di ping pong.

“C’è un odore terribile che proviene da lei.”

“T-taisho-sama.” Cercò di ammonirlo Miroku.

“Spero non sia il suo bento.” Infilò le mani in tasca e diede uno sguardo al display dell’ascensore, con i piani che scorrevano veloci.

“Le assicuro che non proviene da me, Taisho-sama.” si affrettò a ribattere, tenendo sempre il volto rivolto verso il pavimento. La sua ansia aveva un odore acre, come di caffè bruciato. “Io-”

Poi lei sembrò ripensarci e frugò nella borsa, tirandone fuori degli stracci, che srotolò in fretta e ne cacciò quella che a prima vista sembrava la zampa di un kappa. “Credo provenga da qui il cattivo odore. È solo un portafortuna, mio nonno…”

Non la lasciò finire. “La pregherei di non portare certi oggetti in ufficio, rispetti i suoi colleghi yokai. Il nostro olfatto è molto più sviluppato di quello di voi umani.” Le porte dell’ascensore si aprirono e lui mise un piede fuori, seguito da Miroku. “Buona giornata.”

Non le diede il tempo di rispondere, nemmeno quello di restituirgli il saluto.  Era già in fondo al corridoio, con la mano sulla porta del suo ufficio, pronta ad una nuova giornata infernale.

Miroku lo raggiunse con passo lento stavolta, chiudendosi la porta alle spalle a lanciandogli un’occhiataccia. “E poi ti chiedi perché ti detestino così tanto. Anche per te la scenetta di poco fa è troppo, le hai praticamente detto che puzzava! Non mi meraviglierei se la poverina si licenziasse per la vergogna.”

“Mandale un biglietto di scuse se ci tieni tanto.” Prese posto dietro alla scrivania, sbottonando l’unico bottone della giacca che indossava.  Accese il portatile mentre Miroku gli sciorinava gli impegni della giornata. Gli prestò poca attenzione, quel poco che bastava per individuare tra i vari impegni un eventuale nuovo appuntamento al buio. Quello della sera precedente era deflagrato come un test atomico nel bel mezzo dell’oceano Pacifico. Era stato rapido ed indolore. Sango Taijiya sembrava interessata al matrimonio tanto quanto lui, quindi non aveva dovuto cercare di sembrarle odioso. Era stato semplicemente se stesso.

“Prima di cominciare, dovresti leggere questo.” Miroku gli porse un giornale, uno di quelli pieni di gossip su celebrità e volti noti del jet set, già aperto su una pagina specifica. La sua espressione non prometteva nulla di buono.

Chi vuole sposare Inuyasha Taisho?, urlava a caratteri cubitali il titolo.

“Il secondo in linea di successione dell’impero aziendale dei Taisho è ufficialmente sul mercato e dalle indiscrezioni di una fonte anonima -molto vicina alla famiglia- sembra che lo scapolo d’oro abbia in programma di sposarsi entro la primavera. Chi sarà la fortunata?” Ringhiò l’ultima parola, con la rabbia che gli chiudeva la gola. Richiuse il giornale con un gesto secco e lo lanciò via. “Non posso crederci.”

 Miroku lo raccolse e lo aprì di nuovo sull’articolo incriminato. “Chi sarebbe questa fonte anonima?”

 “È mio padre, chi altri? Il giornale è di Kagura.”Si passò le mani sul volto, come se quel gesto potesse cancellare la stanchezza che vi era impressa.  Era sicuro che suo padre e la moglie di suo fratello stessero ridendo alle sue spalle in quel momento. “Mi sta facendo impazzire! Vecchio bastardo.” Si alzò e cominciò a misurare a passi ampi la pianta del suo ufficio. “È come se mi avesse masso un cartello sulla testa che grida in vendita.” Si accostò al mobile bar e fece per prendere la bottiglia di Macallan che il padre gli aveva regalato qualche tempo prima e che fino ad allora aveva sempre evitato come la peste. Poi ci ripensò. “Ho bisogno di un caffè.”

“Forse dovresti sederti, prima di tagliare la testa a qualcuno con quelle.”

Si fissò le mani e si accorse di come i suoi artigli si fossero allungati. Il suo istinto di autoconservazione stava prendendo il sopravvento, preparandosi a dare battaglia ad un nemico che, a conti fatti, non esisteva. Non poteva macchiarsi di parricidio per così poco. Eppure, il fugace pensiero di fargliela pagare in qualche modo stuzzicò il suo subconscio. Pensare di poter vincere seguendo le regole di suo padre si era rivelato un piano fallace. Acconsentire a quegli appuntamenti non l’aveva rabbonito come aveva sperato, anzi, l’aveva reso ancora più irrequieto. Toga Taisho stava dando il peggio di sé in materia e ora, quell’alleanza con Kagura, non faceva altro che mettergli ancora più pressione sulle spalle. Se non avesse trovato una donna adatta per primavera sarebbe diventato lo zimbello dell’alta società e a quel punto nulla l’avrebbe salvato dall’eremitaggio tra le foreste dello Shirakami-Sanchi. Doveva trovare un modo per toglierselo di dosso.

“Sono sicuro che tra le donne su quella lista ce ne sarà almeno una che può piacerti, disposta a sposarti nonostante le tue…peculiarità.” Miroku era sempre positivo, a volte fin troppo: cercava di trovare uno spiraglio di luce anche nell’oscurità più totale, ma quella situazione non era niente di meno che buio siderale.

“Ne dubito.” Si pizzicò l’apice del naso, tenendo premuto pollice e indice come per scacciare la pressione che gli si stava accumulando tra gli occhi. “Chi sarebbe la prossima?”

“Non c’è ancora un appuntamento ufficiale ma si tratta di Tendo Akane, figlia del ministro delle finanze.”

“Prima è, meglio è.”

“Perfetto, prenoto l’aereo.” Il tap-tap delle dita di Miroku sullo schermo del tablet cominciava ad innervosirlo, “Tuo padre ne sarà estasiat-”

“Come?” Ringhiò e lo fissò come se anche a lui fossero spuntate in testa orecchie da cane.

“La signorina Tendo studia in Svizzera.” Gli spiegò, scrollando il dossier della donna sul tablet. Myoga aveva inoltrato a Miroku tutta la documentazione inerente a quelle donne, di sicuro informazioni liberamente offerte dalle loro famiglie. Erano -lui e quelle donne-  in tutto e per tutto prodotti in mostra su un catalogo.

Un ringhio di  frustrazione gli uscì dalle labbra, mentre lanciava contro il muro la prima cosa che gli era capitata sotto mano. “Dovrà pur esserci un modo per farlo desistere dai suoi folli intenti.”

“Andiamo, sarebbe folle da parte sua aspirare al dominio del mondo, ma qui si parla solo del-”

“Totale dominio sulla mia esistenza!” urlò fuori di sé. Avrebbe voluto lanciarsi fuori dalla finestra, correre all’infinito verso il Monte Fuji e gettarvisi dentro. “Se non avesse progettato di espandere la dinastia a dismisura mi avrebbe proposto di sposare quel bastardo di Koga pur di avere un partner aziendale alla nostra altezza.” Il solo pensiero lo fece rabbrividire. Quel lupo rognoso era l’essere più fastidioso che conoscesse, un vanaglorioso sacco di pulci maleodorante che sfortunatamente continuava ad incrociare sul suo cammino.

“Per quanto possa essere ricco Koga è un imbecille vanesio e chiassoso, Toga-sama non avrebbe mai accettato. Anche lui ha i suoi limiti.” Miroku ridacchiava tra sé, lisciandosi la cravatta color melanzana.

Era più che certo che l’amico fosse in possesso di un quantitativo non ben identificato di cravatte, fazzoletti da taschino e vari capi d’abbigliamento di quella particolare sfumatura. Un colore insolito, che dava nell’occhio, quasi sfacciato nei suoi toni più chiari.

Come gli abiti eccentrici di Taijiya-san, gli suggerì il suo inconscio. Un completo di un viola glicine che sarebbe stato meglio nel videoclip di qualche idol che nella sala da tè dello Shikon.

Aveva visto le teste di molti uomini girarsi al suo passaggio quando era scappata in bagno e sarebbe stato ipocrita da parte sua negare di aver lasciato scivolare lo sguardo su quella striscia di pelle tonica e liscia che il suo completo lasciava intravedere all’altezza dello stomaco, di aver percorso con gli occhi la curva gentile della mascella per soffermarsi su quelle labbra -solo all’apparenza – dolci, capaci di sputare veleno come una vipera. Era indubbiamente attraente, di una bellezza aggressiva e poco conforme alle norme della società.

Un piano cominciò a prendere forma nella sua mente. Dapprima gli sembrò solo un ammasso confuso di idee, poi pian piano cominciò a palesarsi un qualcosa di senso compiuto, il disegno geniale di un piano diabolico. Avrebbe fregato suo padre al suo stesso gioco.

Per quanto Sango Taijiya gli fosse sembrata sopra le righe, era stata l’unica a non essergli stata totalmente indifferente. Non l’aveva annoiato come le altre, né aveva cercato in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Al contrario, gli era parso che avesse fatto di tutto pur di allontanarlo da sé, per indurlo a pensare male di lei. Tutto di lei gridava non adatta, dal suo abbigliamento alle sue discutibili buone maniere, per non parlare delle sue non troppo velate allusioni sessuali. Proprio per quello era il soggetto perfetto per mettere in pratica il suo piano.

Il vecchio voleva che si trovasse una moglie? Bene, ne avrebbe trovata una, ma non quella che desiderava lui. 

“Sposerò Taijiya Sango.” Esordì e vide Miroku boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, incapace di commentare quell’affermazione così improvvisa. “Per accontentare mio padre, ovviamente.”

“Da quello che mi hai detto non mi sembra il tipo di donna adatto a te, mi sembra un po’… esagerata, capisci cosa intendo? Credo non sia nemmeno il mio di tipo, il che è tutto dire.” 

“Proprio per questo è perfetta.” Fece cenno all’amico di sedersi sul divano e lui gli si accomodò di fronte. “Ascolta, sposerò Taijiya-san così mio padre avrà quello che desidera. Oppure, quando gliela presenterò, non ne sarà felice e disapproverà la mia scelta, lasciandomi finalmente libero.” 

“Sposeresti una donna come quella solo per far dispetto a tuo padre? Ti rendi conto che diventerà tua moglie?”

“Sarò anche un cane ma non sono territoriale, non le piscerò addosso per marcare il territorio o cose simili. Potrà continuare a fare e a farsi chiunque vorrà, così che io possa concentrarmi sul mio lavoro. Tempo un anno e chiederò il divorzio.”

“È folle.”

“È geniale, oltre che essere una situazione vantaggiosa per entrambe le parti. Sono sicuro che quella donna ha il mio stesso tipo di problema.” Perché Miroku non riusciva a vedere la visione d’insieme?

“È un matrimonio, c’è sempre un solo vincitore in queste situazioni.” Cercò di farlo rinsavire il suo amico.

Ma ormai lui era già proiettato verso un futuro di libertà, conquistata con inganni e sotterfugi. “E quel vincitore sarò io.”

“Non ci giurerei. Dopo il matrimonio tuo padre vorrà dei nipoti, prove tangibili e vive di questo matrimonio. Per quanto pensi di poter fingere?”

“Per tutto il tempo necessario.”

Non aveva pensato a quell’evenienza. Ma d’altronde il padre in quel campo non avrebbe potuto interferire: la natura e i suoi ritmi erano qualcosa di incontrollabile. Anche Sesshomaru e Kagura ci avevano messo tre anni prima di moltiplicarsi, perché suo padre avrebbe dovuto mettergli fretta? “Ci penseremo dopo, per il momento trovami il numero di Taijiya-san, ho una proposta da farle.”

Il buon umore, che lo disertava da settimane, sembrò tornargli tutto a un tratto. Non sapeva come sarebbe andata quella telefonata ma almeno aveva trovato un modo per raggirare suo padre. O almeno per guadagnare tempo.

“Com’è che si chiamava quella dipendente di prima?”

“Non l’ha detto.” Miroku gli passò il cellulare con il numero già composto.

“Scoprilo e mandale una scatola di cioccolatini.”

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-

Era la quarta volta in un’ora che un numero privato provava a contattarla. Non poteva essere un centralino, avrebbero desistito al secondo tentativo vano. La sua ansia stava aumentando esponenzialmente col passare dei minuti: forse era l’ospedale, forse era capitato qualcosa al nonno o a Sota e lei come una sconsiderata non aveva risposto. Ma in entrambi i casi qualcuno l’avrebbe avvisata, giusto? Quando il cellulare vibrò per la quinta volta, rispose d’istinto.

Dall’altra parte le rispose una voce che sperava non avrebbe più sentito, “Taijiya-san?”

Il loro incontro in ascensore era stato un crudele scherzo del destino. Aveva riposto troppa speranza nella logica e nei numeri per prestare attenzione ad una sola ed unica verità: la sua vita era la versione estrema dell’assioma di Murphy. Pensava che non avrebbe mai incontrato il suo capo sul posto di lavoro perché raramente i manager si mischiavano ai dipendenti? BAM! Inuyasha Taisho si materializzava in ascensore accanto a lei in tutto il suo fastidioso splendore. Pensava che il loro finto appuntamento fosse andato così male da liberarsi di lui per sempre? KABOOM! Inuyasha Taisho della malora la chiamava sul suo cellulare personale.

Tutto quello che poteva andare male, l’aveva fatto.

“Chi le ha dato il mio numero?” cercò di controllare il tremolio della voce.

“La sua segretaria.”

“Quale segretaria?”

“Hirashi Haome, credo.” Ci fu una pausa, “Sa credo debba mandarla a casa, continuava a tossire, non è bene sfruttare così i dipendenti, potrebbero ritorcersi contro.”

Evitò di urlargli contro che nelle ultime due settimane lei e i suoi colleghi avessero fatto gli straordinari per preparare un progetto inaffondabile da presentare agli Ookami, e che ogni loro idea era stata bombardata da critiche poco costruttive da parte sua, e che a causa del suo comportamento in ufficio c’era quasi stato un ammutinamento.

“A cosa devo questo piacere?” calcò la voce sull’ultima parola, infondendo in quelle tre sillabe tutto il suo astio.

“Vorrei proporre un matrimonio, Sango-san.”

“N-non capisco.” Jakotsu le lanciò uno sguardo incuriosito, inarcando un perfetto sopracciglio scuro sbirciando dall’alto del suo cubicolo, “Perché tutto d’un tratto mi chiama per nome?”

“Sarebbe strano chiamare la mia futura moglie per cognome, no?”

Il cuore le saltò in gola, se avesse tossito l’avrebbe di sicuro sputato di bocca. “Continuo a non capire.”

“Vuoi sposarmi?”

“Cosa?” urlò nel silenzio generale. Il telefono quasi le cadde di mano, lo stupore le aveva bloccato le funzioni motorie.
“Vuoi sposarmi?” un respiro profondo, il suo temperamento mandava scintille anche a distanza. “È la terza volta che lo ripeto. Sei per caso sorda, Sango-san?” Un gentleman, come sempre.
C’erano due grossi problemi con quella frase: di sicuro non avrebbe sposato il suo capo e di certo lei non era Sango.

Pensava d’aver portato a termine la sua missione con successo, d’aver fatto un enorme casino. Aveva fatto di tutto per risultargli un piatto indigesto, aveva provato ad interpretare una donna sfacciata e vorace, l’esatto opposto di una probabile buona mogliettina. Ci aveva provato con tutta se stessa, ma la sua indole da bisbetica aveva avuto la meglio e la sua parodia di Jessica Rabbit si era trasformata in un tributo a Lizzie Bennett. Poteva spuntare dalla sua personale lista di cose da fare prima di morire sia mettere a posto arroganti ricconi che non accettare le loro stronzate da ricconi. 

Non di meno sapeva che il loro appuntamento avrebbe potuto essere annoverato nella top ten dei peggiori appuntamenti della storia.

Allora perché la stava chiamando per chiederle di sposarlo?

Non poteva negare d’aver fatto un sogno alquanto esplicito su di lui la notte precedente,  in un contesto molto più piacevole rispetto alla sala da tè dello Shikon. Ma pensare di poterlo sposare? Mai! Quell’uomo era un emissario del male, un demone che Jigoku aveva sputato fuori solo per renderle la vita difficile.

“I-io davvero non riesco a capire.” Si allontanò di corsa dalla sua postazione, con la coda dell’occhio vide Jakotsu sghignazzare appollaiato sulla sua sedia ergonomica –per la sua postura, diceva lui, quando tutti sapevano che era per stare più comodo durante i suoi pisolini di bellezza.

Si infilò nel bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

“Cosa c’è di così difficile da capire? Mi sembra una domanda molto semplice.”

 “Non capisco perché questa domanda così improvvisa e sinceramente indesiderata.” Controllò che non ci fosse nessuno oltre lei negli altri bagni. Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte. “Mi sembrava che il nostro appuntamento non fosse andato molto bene.”

“Ho un ricordo differente.” Le stava chiedendo di sposarlo ma la sua voce era piatta, annoiata, come se quella cosa non lo riguardasse in prima persona.

“Le rinfresco la memoria, se vuole.” Cominciò a camminare come un cane in gabbia nello spazio stretto e lungo del bagno, stringendosi un braccio sotto al seno per contenere il suo cuore impazzito. “Abbiamo scambiato sì e no qualche frase e le buone maniere non erano state invitate al nostro tavolo, da quello che ricordo.”

“Devo aver sbagliato persona allora, perché io ricordo un vivace scambio di opinioni.”

“Gentile eufemismo per descrivere gli insulti che ci siamo scambiati a vicenda.” Fermò la sua marcia, aveva già fatto avanti e indietro troppe volte. “Cos’è, si è innamorato di me a prima vista?” le andava di giocare con lui, essere sfacciata ed odiosa come lo era stato lui con lei in ascensore.

Ci fu un rumore sordo dall’altro lato della linea, come di qualcosa che cadeva e poi un verso strozzato in lontananza. “Compiacersi così è sintomo di un’autostima debole.”

“Lei ne sa qualcosa, Taisho-san, vero?”

Stavolta ne era certa, qualcuno dall’altro lato aveva riso.

“Mmph.” Quel verso di sufficienza la fece quasi ridere, dargli sui nervi era più facile di quanto avesse immaginato. “Quindi la sua risposta è un no.”

“Con assoluta fermezza.”

“Vedremo.”

“Come scusi?”

“Buona giornata, Sango-san.” e mise giù, lasciandola lì ferma nel bel mezzo del bagno delle donne con un’espressione da pesce lesso.

Che diamine era appena successo? Perché la sua vita cominciava a somigliare sempre di più a un telefilm? Perché il suo capo si era messo in testa di sposarla quando chiaramente il loro appuntamento era stato un disastro su tutti i fronti?

Continuò a fissare il cellulare ancora per un minuto, poi si convinse a salvare il numero ed inserirlo tra quelli della sua lista nera. Non avrebbe più risposto, nemmeno sotto tortura.

Quando si decise ad uscire dal bagno, il cellulare squillò di nuovo. “Merda.” Mormorò tra sé quando lesse il nome sul display.

“Moshi mosh-” non riuscì nemmeno a terminare.

“Kagome che diavolo hai combinato? Mio padre mi ha appena chiamata per dirmi che Toga Taisho l’ha contattato per scegliere una data per le nozze! Dovevi farti scaricare, non piacergli così tanto da farti sposare!” Sembrava che Sango fosse nel bel mezzo di una crisi di panico, il suo respiro le arrivava spezzato ed affannato.

“Non so cosa sia successo! Posso assicurarti che l’appuntamento è stato una catastrofe di proporzioni bibliche.” Cercò di giustificarsi, portò una mano davanti alla bocca e sibilò nel cellulare, “Gli ho fatto credere di essere interessata ai vecchi e ai giochetti sessuali utili a farli capitolare ai miei piedi. Dubito siano cose che una perfetta futura moglie direbbe a un primo appuntamento.”

“Tu cosa?” la voce dell’amica salì di un’ottava e sembrò avesse smesso del tutto di respirare.

“Mi hai  detto di usare qualsiasi mezzo, e così ho fatto. Sai che sono una perfezionista.”

“Chiaramente non ha funzionato. O questo Inuyasha è un feticista o ha qualche rotella fuori posto.”

“Né l’uno né l’altro, credo. È solo un gran bastardo.” Sentiva di poterlo affermare con sicurezza, nonostante l’avesse visto solo due volte, non gli era sembrato uno svitato ma solo uno stronzo arrogante, qualcuno che pensava che tutto gli fosse dovuto.

“Be’, quel bastardo vuole portarti all’altare.”

“Sango, devi parlarci! Non posso sposare il mio capo.”

“Ciò implicherebbe doverne parlare a mio padre e sai che non posso! Sai cosa accadrebbe se venisse a sapere del nostro giochetto?” la sua voce era diventata un lamento confuso, come quello di una bambina capricciosa. Quando parlava del padre Sango regrediva ad uno stato larvale, quasi che quell’essere assoggettata alla volontà paterna la spogliasse di tutto quello che era: smetteva di essere una giovane donna in carriera, bella e ricca, per tornare ad essere una bambina spaventata e timorosa del giudizio di quell’uomo che, almeno ad uno sguardo esterno, non sembrava essere poi così cattivo.

“Tirami fuori da questo casino, Sango!” le sue parole suonarono dure anche alle sue orecchie. Ma non si sarebbe lasciata impietosire ancora una volta dall’amica, che l’aveva lanciata senza paracadute in quel guaio. Aveva fin troppo da perdere! Sango forse se la sarebbe cavata con una sgridata e la revoca della carta di credito, lei invece sarebbe stata licenziata di certo.

“Urgh! D’accordo!” le urlò frustrata, “Inventerò qualcosa.”

“Sarà meglio per te.”  Fece per mettere giù, quando si ricordò di una cosa. “Ah e Sango?”

“Sì?”

“Hirashi Haome? Sul serio?”

Ci fu un momento  di silenzio. Beccata. “Non sono brava a improvvisare, quella versata nella recitazione sei tu.”

“Già e vedi a cosa ci ha portate.” Si massaggiò la tempia sinistra con la mano libera, sentiva vicino un attacco di emicrania.

“Se vuoi ho il contatto dell’agente di Aya Asahina, chissà, potresti diventare la musa del prossimo Kurosawa.” Sango era tornata ad essere padrona di sé, riusciva di nuovo a scherzare e quello era un buon segno.

 “Ora metto giù.” Tossì per coprire la risata che stava per sfuggirle, non voleva che Sango pensasse che quella fosse una situazione da poco. “Chiama solo quando avrai buone notizie o scordati di avere un’amica.” E attaccò.

Uscì finalmente dal bagno e rientrando nel suo ufficio sospirò abbattuta alla vista di quel pettegolo di Jakotsu seduto alla sua postazione che giocherellava con la calamita che suo fratello Sota le aveva portato da Kyoto. Il collega non le avrebbe dato via di scampo, avrebbe voluto sapere tutto e lei, in quei dieci passi che li separavano, avrebbe dovuto inventare una storia.

Non sarebbe stato difficile.

D’altronde mentire era diventato il suo nuovo mestiere.

 

 

 

 

Nda: questo capitolo è gentilmente offerto dalla febbre che mi tiene a letto da cinque giorni (sto pagando a caro prezzo la notte di bagordi del Primo), se trovate errori anche quelli sono gentilmente offerti dalla suddetta. Ora che ho pubblicato la storia anche su Ao3 riprenderò a pubblicarla anche qui :) come sempre grazie mille per il vostro supporto e le vostre recensioni, sono praticamente il carburante che mi fa continuare a ticchettare sulla tastiera! Spero che l’attesa sia stata ripagata.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: StarFighter