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Autore: Angel TR    07/01/2023    3 recensioni
I've had some trauma, did things I didn't wanna, was too afraid to tell ya, but now I think it's time
Billie Eilish - Getting Older
Long fic che segue la vita di Jin Kazama dai quindici anni fino al Terzo Torneo.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
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Capitolo II parte VI: Sangue Reale


Quando si presentò davanti a Heihachi, lui si limitò a inarcare appena un sopracciglio nel vederlo in divisa scolastica. Lo condusse nel salone e si accomodò su una delle importanti sedie che si affacciavano sull'enorme tavolo. Guardandolo, Jin si sentì vagamente a disagio: l'uomo sfoggiava un completo elegante – seppur non di suo gusto –, mentre lui indossava solo la divisa scolastica, che non faceva altro che mettere in risalto la leggera rotondità dei suoi lineamenti ancora infantili.
«Quando discuto di lavoro non devi parlare a meno che io non ti dica di farlo» si raccomandò Heihachi. «Mangia quello che vuoi ma solo se salutare» aggiunse dopo un po', agitando una mano, come se il pensiero gli fosse passato appena di mente.
Era una frase giusta quella che gli aveva detto eppure suonava stonata: non era la richiesta di un nonno preoccupato per la salute del nipote adolescente, ma quella del proprietario di un circo che ha bisogno che i suoi animali siano in salute per potersi esibire nel suo show e guadagnarsi il malloppo.
Quel tono lasciò un sapore amaro nella bocca di Jin, anche se ormai aveva imparato a sue spese che Heihachi Mishima non ci teneva a lui, almeno non come un nonno tiene a un nipote – certamente non come sua mamma aveva tenuto a lui.
«Corpo sano, mente sana» mormorò, ricordando le sue parole.
La voce dell'uomo interruppe i suoi pensieri. «Cosa?» chiese.
Jin sollevò lo sguardo, imbarazzato. «Niente, una cosa che diceva sempre mia mamma» spiegò.
Heihachi lo fissò e, chissà, forse provò un minimo di pietà per lui perché chinò appena il capo in cenno di rispetto. «Era una donna saggia… perlopiù» commentò.
Perlopiù? Perché "perlopiù"? Si riferiva forse a… e proprio mentre Jin apriva la bocca per approfondire la questione, qualcuno bussò alla porta e la spalancò, brioso. Il ragazzo si interruppe per osservare un uomo smilzo dalla faccia poco raccomandabile fare il suo trionfale ingresso.
«Signor Mishima!» esordì, spavaldo. «Guardi cosa le ho portato!» ridacchiò, facendo scivolare la mano nell'interno della giacca per estrarne un pendente. Lo fece teatralmente ciondolare davanti allo sguardo impassibile di Heihachi. Poi, accartocciò il viso in un'espressione fintamente dispiaciuta. «Però, vede, ci sono stati alcuni problemi per recuperare questa bella collanina. Dovremmo proprio ritrattare il pagamento» si lamentò, portandosi una mano alla fronte.
Una strana sensazione di dejá-vu si impadronì di Jin. Chi gli aveva già parlato di un pendente? Strinse gli occhi per cercare di afferrare quella sensazione sfocata che gli sfarfallava davanti allo sguardo ogni volta che fissava l'uomo.
Il pendente dei Chang… consegna il messaggio.
Jin spalancò gli occhi. L'uomo che gli aveva consegnato i biglietti per Tokyo! O, meglio, forse quel tizio faceva parte di una cricca che si occupava di loschi affari. Jin abbassò lo sguardo: preso com'era dalle nuove informazioni su Ogre, si era completamente dimenticato di ripetere le parole dell'uomo della stazione a Heihachi.
«La trattativa c'è già stata quindi non abbiamo più niente di cui discutere» tagliò corto Heihachi, già annoiato da quell'inutile battibecco; Jin avvertiva brividi sulla pelle all'espandersi di quell'aura che sovrastava ogni cosa e che ora tremolava dalla stizza.
Il pendente, che fino a un secondo prima ballava allegro davanti al viso di Heihachi, sparì tra le mani del contrabbandiere, il quale atteggiò la bocca in una finta smorfia di dispiacere.
«Eh vabbè, ci sono tanti estimatori che non vedono l'ora di mettere le mani sul pendente dei Chang» insinuò, allargando le braccia. Era chiaro che stesse giocando tutte le sue carte per ottenere un aumento.
Purtroppo per lui, aveva fatto i conti senza l'oste.
«Jin» chiamò Heihachi, e quel nome calò giù come un'ascia, tagliando in due la tensione in sala. «Dimostra a questo tale cosa succede a chi si mette tra i nostri piedi. Insegnagli la legge del pugno dei Mishima» ordinò.
Jin spalancò gli occhi mentre il significato di quelle parole si formava nel suo cervello. Doveva combattere contro quel ladro per riprendersi il pendente? Il trafficante gli rivolse un'occhiata divertita e lui si vide riflesso nelle sue iridi velate: un ragazzino in divisa scolastica, insicuro del proprio posto nel mondo.
«Lasci che un bambino faccia il lavoro sporco per te, Heihachi?» lo canzonò.
«Tu non vali il mio tempo» liquidò la faccenda Heihachi Mishima, senza concedergli più nemmeno uno sguardo.
Con un inquietante struscio, Jin spostò la sedia e si alzò.
Il contrabbandiere ridacchiò davanti alla sua espressione determinata. «Se la mettiamo così…» cominciò, infilando la mano nella giacca.
Uno scintillio e la lama affilata del coltellino restituì a Jin il suo riflesso inquieto. Il trafficante si avventò su di lui in modo scomposto ma comunque pericoloso, menando fendenti feroci. La lama morse la pelle morbida del suo avambraccio, aprendovi uno squarcio. L'uomo ghignò, malevolo: non si sarebbe risparmiato solo perché era un ragazzo.
«Questo è per non aver ricambio il favore» sussurrò, per non farsi sentire da Heihachi.
A Jin sfuggì una smorfia di dolore e non poté evitare di lanciare un'occhiata stranita al tizio. Strinse le labbra, consapevole di non poter abbassare la guardia: il trafficante non si sarebbe fatto problemi a ferirlo gravemente, magari ad ucciderlo, ed Heihachi non avrebbe mosso un dito per prevenirlo, anzi, l'aveva gettato nella fossa dei leoni proprio per testarlo.
«L'avevo dimenticato, non l'ho fatto apposta» rispose in un fil di voce.
«Prendilo come un monito» ribatté il contrabbandiere, prima di lanciarsi su di lui con la lama tesa.
Questa volta, però, Jin non si fece cogliere impreparato: parò il fendente e lo disarmò con un colpo preciso che gli avrebbe storto il braccio. Dalle labbra dell'uomo scappò un grido di dolore.
Heihachi osservava la scena con aria soddisfatta. «Finiscilo» sentenziò, e Jin si girò verso di lui, confuso.
«Cosa?» chiese.
«Mi hai sentito bene: finiscilo» ripeté Heihachi, riducendo gli occhi a due fessure.
Tremando, Jin rivolse la sua attenzione al trafficante sofferente e, chiudendo gli occhi per non guardare, concluse lo scontro con tre destri dritti al volto che mandarono l'uomo a sbattere contro l'angolo del muro, facendogli perdere coscienza.
Sul volto di Heihachi si era formato un ghigno che si spense appena Jin si voltò verso di lui. Aveva vinto eppure sembrava voler sopprimere la gioia che ne derivava.
«Hai esitato» commentò Heihachi.
Il ragazzo sobbalzò, colto sul fatto. «Ehm, sì, ma…» tentò di giustificarsi, ma Heihachi lo fermò subito.
«L'esitazione è una debolezza, probabilmente ciò che ha ucciso tua madre» spiegò, beandosi del tremore che scosse il ragazzo e dei suoi occhi sgranati, le guance pallide, come prive di sangue. Sicuro di aver ottenuto la sua massima attenzione, continuò: «Non batterai Ogre con l'esitazione. Devi purificarti dal pacifismo dei Kazama e appiccare il fuoco dei Mishima dentro di te».
Fuoco. Il fuoco dei Mishima.
Un elemento ambivalente, il fuoco: nelle giuste dosi, riscaldava e alimentava gli animi ma, una volta fuori controllo, era capace di distruggere tutto ciò che si trovava sulla sua strada. Il fuoco aveva ridotto casa sua in cenere e ora Heihachi Mishima pretendeva che lui corteggiasse la morte, gettando la miccia nel suo sangue?


**




Summer has come and passed
The innocent can never last
Wake me up when September ends
Green days - Wake me up when September ends


Il fuoco di agosto scemò in un mite calore di fine settembre.
Il secondo semestre era cominciato dopo una pomposa cerimonia – Jin aveva ancora gli incubi per colpa di quell'orribile statua – dove Heihachi aveva intavolato un discorso dai toni marziali sul merito, sul dovere, sui frutti del duro lavoro, sull'onore e sulle grandi prospettive che si aprivano studiando in una scuola come la Mishima High School. Più Jin lo ascoltava, più osservava quelle labbra sottili muoversi e pronunciare quelle parole ostili, più sentiva montare in sé un senso di disprezzo venato di timore e riverenza. Chissà, forse Heihachi percepì il suo sguardo infiammato perché il pomeriggio lo sottopose ad un allenamento più duro del solito.
Quando bussò alla porta dell'ufficio, scortato da Ganryu, Heihachi stava discutendo con la segretaria Miura. Nel cogliere l'argomento della loro comunicazione, Jin sentì ogni fibra del suo corpo tendersi. Restò in religioso silenzio per non essere notato così da non interrompere quel delicato scambio di informazioni.
«Faccia analizzare il manufatto, devo sapere tutto» ordinò Heihachi, seduto alla grande scrivania.
Lo schermo del computer colorò di riflessi blu gli occhiali della segretaria. «Crede alle leggende, signore?» chiese lei, vagamente intimorita. Il solco che si formò tra le sue sopracciglia suggeriva che non era felicissima di doversi occupare di quel lavoro.
Heihachi ridusse gli occhi a due fessure. «Ossia che possa individuare spiriti come Ogre? Per questo pago gli scienziati… per scoprirlo» rispose, arguto.
La segretaria sollevò lo sguardo su Jin e al ragazzo parve di vedervi balenare una scintilla di sollievo. «Accomodati» lo invitò a prendere posto, cogliendo l'opportunità di prendersi una pausa da quella faccenda che le faceva venire i brividi.
Senza nemmeno distogliere gli occhi dallo schermo del pc, Heihachi impose la sua legge marziale. «Posizione della sedia finché non avrò finito» intimò.
Solo per un brevissimo istante, gli sguardi amareggiati della segretaria Miura e di Jin si incontrarono. La donna atteggiò appena le labbra in una smorfia di scusa; Jin scosse appena il capo: lei non ci poteva fare molto. Così, allargò appena le gambe e si piegò in uno squat come se volesse sedersi; ma non incontrò mai la soffice consistenza del divano, restò piegato in quel modo.
Schiarendosi appena la gola, Miura si rivolse nuovamente a Heihachi. «Signore, questo è un dato interessante. King, Wang Jinrei, Baek Doo San… sono tutti spariti. Riteniamo che potrebbe essere collegato a Ogre» suggerì, porgendogli un report.
Gli occhi dell'uomo volarono lungo il documento. «E Lee?» chiese.
La donna sembrò colta in contropiede. Si colpì gli occhiali con l'indice per prendere tempo. «Lee… Lee Chaolan?» ripeté, come se non fosse sicura di aver sentito bene. A un cenno del capo di Heihachi, inarcò un sopracciglio ma si ricompose subito. «Nessuno l'ha visto».
Il volto di Heihachi restò impassibile. Poi, finalmente, la luce blu emanata dal computer si spinse. «Se scompaiono altri combattenti, voglio essere avvisato immediatamente. Abbiamo finito per ora» disse, liquidando la faccenda.
Il viso della donna si distese, sollevato; con un inchino, uscì. Jin poté sentire l'occhiata pietosa che gli lanciò quando gli passò davanti per dirigersi verso l'uscita.
Lo sguardo che lo preoccupava di più, però, era quello che Heihachi gli stava rivolgendo in quel momento. Lo soppesava come un macellaio che si appresta a trucidare il maialino dal peso d'oro.
Giunse le mani sotto al mento. «Le radici dello stile Mishima iniziano a fare presa ma non basta: devi spingerti oltre. Lo stile Mishima deve far parte di ogni tuo istinto» commentò.
Una goccia di sudore scivolò lungo il collo di Jin. Ovviamente, non bastava mai. Digrignò i denti, un po' per la stizza e un po' perché i muscoli delle gambe iniziavano a tremare, minacciando di cedere. Sta' calmo, ricordati cosa ti serve, perché sei qui, s'impose.
«Sissignore» annuì. Mordendosi un labbro, non riuscì a contenere la sua curiosità. «Questi combattenti scomparsi… è la stessa cosa che è successa a mia mamma? È stato Ogre?» domandò. La voce gli uscì vacillante a causa dello sforzo di restare nella posizione della sedia.
Con uno scatto, la grossa mano di Heihachi chiuse il computer. «Invece di preoccuparti di Ogre, preoccupati di sopravvivere a me» tagliò corto, squadrandolo dalla testa ai piedi per soffermarsi sul modo in cui il sudore aveva iniziato a macchiare il collo della maglietta.
Jin digrignò i denti.
Heihachi si alzò dalla sedia, senza mai staccargli gli occhi di dosso. «Hai due opzioni: o uscirai di qui con le tue gambe o verrai trascinato fuori, umiliato e indegno dei nomi Kazama o Mishima».
A dicembre non festeggiarono Natale: il clan Mishima aveva cose più importanti da fare di perdere tempo per una stupida festa commerciale. A Yakushima, invece, ogni albero che circondava la casa veniva adornato dalla mamma che, puntualmente, gli chiedeva di aiutarla. Non facevano niente di ché: qualche pallina rossa e dorata da appendere ai rami, qualche festone fuori la porta, un simpatico Babbo Natale che si calava dal camino. Ciò che più amava del Natale, però, era il calore della cena natalizia: la loro piccola famiglia riunita attorno al tavolo, pigiami e vestaglie di pile, a scartare regali e rimpinzarsi di pandoro con la firma tutta ghirigori "Made in Italy" ma comprato all'A-Coop.
Come sarebbe stato crescere a Tokyo? Ora lo sapeva – o forse no. In fondo, c'erano così tante opportunità che si dipanavano davanti a lui lungo le scintillanti strade della megalopoli eppure, fino a quel momento, Jin aveva percorso solo la strada che lo conduceva dalla Villa alla scuola e viceversa. Il resto dei suoi giorni lo trascorreva intento a perfezionare la sua tecnica. Tokyo, quale Tokyo? Avrebbe potuto trovarsi a Kagoshima, a Osaka, a Kyoto o addirittura in un altro Paese, per lui sarebbe stato lo stesso, nessun panorama sarebbe cambiato: le mura del dojo erano sempre dello stesso colore.
Difatti, le mura del dojo restarono uguali anche l'anno successivo. Jin spense le candeline esattamente come l'agosto precedente e si ripropose di non essere più sciocco come lo era stato a quindici e a sedici anni. Non si sarebbe fatto manipolare più da Heihachi, non gli avrebbe concesso più di torturarlo in quel modo, avrebbe esatto più rispetto e fatto qualcosa, qualunque cosa.
L'ardore ribelle dei diciassette anni lo faceva agitare nel sonno, gli faceva prudere dappertutto, senza dargli mai pace, e lo faceva risvegliare nel cuore della notte con la gola secca e le gambe tremanti che, per quanto strusciasse tra di loro, non riuscivano a nascondere la prova del suo stesso corpo che sfuggiva al controllo. E allora, sgaiattolava fuori dal letto, indossava la tuta malconcia e zampettava tra i vicoli bui dei quartieri malfamati di Tokyo dove poter trovare… uno scontro. Si misurava con i peggior attaccabrighe che potesse scovare per provare a se stesso che stava davvero migliorando, sia nello stile che nella mentalità, una mentalità da Mishima qualora fosse necessario.
Ma no, lui non voleva diventare certo come Heihachi. Però… però bisognava ammettere che… la sua aura autoritaria…
Heihachi aveva un pugno di ferro con lui. Più cresceva, più il suo pugno si fortificava, e più esigente diventava nei suoi confronti; più gli anni passavano, più quel pugno di ferro smetteva di lasciare lividi sul suo corpo e veniva bloccato dalle sue parate. E più il suo corpo si irrobustiva, più il ghigno sulle labbra di Heihachi si allargava.
La sua voce si era definitivamente scrollata di dosso le ultime foglie dell'infanzia che erano rimaste attaccate ai suoi rami. Un bel giorno, Jin si era svegliato e, guardandosi allo specchio, si era accorto che nessuno gli avrebbe mai più dato del marmocchio, che nessun uomo si sarebbe più permesso di guardarlo dall'alto verso il basso, poiché la luce alla fine del tunnel dell'adolescenza era ormai forte e chiara.
Erano passati tre anni da quando era giunto a Villa Mishima. Il pigiama di tuta che aveva indossato la notte della morte di sua mamma ormai non gli stava più.


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N/D: il secondo capitolo è finalmente concluso e Jin è ormai grande! Cioè, no ahahahah è pur sempre un piccolo bambino <3 ho cercato di evidenziare le differenze tra l'ambiente caldo e accogliente di Yakushima con quello freddo e indifferente di Tokyo e come questo stia causando i suoi danni al povero bambino. Heihachi chiama Jun "una donna" ma ricordo che aveva solo 22 anni quando partecipa al torneo, praticamente una ragazzina. Vabbè.
La canzone dei Green Days colpo di grazia 🥺
Il terzo capitolo sta procedendo (wow), iniziamo a vedere la terra! Purtroppo devo tagliare alcune cose altrimenti veramente non la terminerò mai sta storia lol
Vabbè, spero di riuscire a concludere il primo atto entro le finali di febbraio, dove avremo notizie su tekken 8... Vdhdhhdhdhd
Baci, baci
Angel

  
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